venerdì 26 febbraio 2016

Il profilo del perfetto militante “gay”

Quale è il profilo del militante gay? Non stiamo parlando della persona omosessuale che vive nel privato la propria condizione di omosessuale indifferente alle lotte culturali e politiche che si accendono fuori dalla sua camera da letto. Stiamo parlando dell’attivista arcobaleno, di quello che scrive, parla, manifesta per i cosiddetti diritti civili, di quello che aspetta il varo della legge Cirinnà come i neri d’America aspettavano la fine della schiavitù.
L’identikit del perfetto gay militante potrebbe essere composto dai seguenti segni particolari.
  • L’ideologia. È il primo aspetto, forse il più importante e il più evidente. Il discepolo del credo omo non vede la realtà per quello che è, ma è arcigay convinto che ce ne sia un’altra, una realtà costruita a tavolino pensata per sostituire quella naturale. Chiamasi razionalismo. E così non c’è maschio e femmina, ma il gender; non c’è un solo orientamento sessuale naturale, ma molteplici; non c’è una sola famiglia, ma una infinità di modelli familiari; non è vero che il bambino ha bisogno della figura maschile e femminile per crescere, ma solo di un puro affetto asessuato. Se la realtà si ribellerà allora occorrerà farle guerra.
  • Il gay bifronte. La precedente caratteristica ci traghetta ad un aspetto che ormai si è ben cristallizzato nelle comunità gay. Il militante arcobaleno presenta due volti: quello livoroso e quello gaio al limite della macchietta. I gay si sono infilati in uncul de sac da cui sarà difficile uscire. Da una parte mostrano un aspetto bellicoso: pronti a lanciare fatwa contro chiunque sia dissenziente, a bollare come omofobi i renitenti, ad attaccare fisicamente le Sentinelle in Piedi, a boicottare i prodotti degli imprenditori poco gay friendly, ad urlare da ogni blog o gazebo esistente tutta la loro indignazione e frustrazione, a colpire con attacchi hacker i siti pro family. È l’invasore minaccioso di un Paese che non è in guerra, non perché pacifico ma perché imbelle. Dall’altro ostentano una spensieratezza che sa di plastica, cioè finta perché forzata, sguaiata e carnascialesca. È la vacua vaporosità tutta colori fucsia e lustrini dei gay pride. Una fluorescenza fatua e frivola da luna park, senza consistenza. Il tutto immerso a bagnomaria in un erotismo dal gusto lascivo e provocatore, sfoggiato senza riserve e pudore. I gay allora cadono spesso nell’errore di essere la peggior caricatura di loro stessi.
  • Il normalizzatore. Questa scissione schizoide tra l’iroso e il goliardico è forse l’aspetto che risulta più scostante alla gente comune. Proprio per questo motivo chi sta in cabina di regia sta tentando di eliminare tale doppiezza antitetica, cercando di avvicinare questi due poli estremi per normalizzare il più possibile la figura dell’omosessuale. L’intento – anche se appare paradossale – è quello di rendere borghese il gay, di civilizzarlo, di renderlo meno selvatico. Che il gay sia urbano e non più bombarolo ed eccentrico, che non si riesca più a distinguerlo nella massa perché ormai mimetizzato perfettamente. Caso paradigmatico è proprio il “matrimonio” gay che nell’immaginario collettivo rivoluzionario è l’istituzione più borghese che esista.
Ecco allora far vedere in TV la coppia lesbica con tanto di bambina che gioca sul tappeto di casa per dire che è una “famiglia normale”, ecco l’inserimento a pioggia di personaggi gay nei film e soprattutto nelle fiction, ecco il racconto sui giornali di storie drammatiche o liete, ma sempre normali, di persone che – così viene venduto in modo subliminale – sono accidentalmente omosessuali. Ora stiamo ancora vivendo la fase in cui l’omosessualità è un tratto distintivo da tutelare e custodire come ricchezza, un aspetto che nella battaglia ideologica deve essere messo in risalto.
Domani dovrà finire dietro le quinte perché ormai assimilato dalla coscienza popolare, assorbito come normale. L’omosessualità dovrà diventare come l’aria che respiriamo, impregnata di polveri sottilmente gaie che nessuno si accorgerà di respirare. E ciò che è normale non merita le prime pagine dei giornali, né discussioni al calor bianco in Parlamento. Il fine dei signori Cirinnà, Scalfarotto e Fedeli è quello di non parlare più di omosessualità perché il problema sarà risolto una volta per tutte. Così come è ormai accaduto per divorzio, aborto e fecondazione artificiale.
  • Il massimalista. Il gay di oggi era il comunista radicale di ieri. Ha imparato bene la strategia mercantile la quale insegna che devi chiedere 100 per avere 10. Ecco quindi che pretende il “matrimonio” omosex, la possibilità di adottare ed avere figli propri con l’utero in affitto, rappresentanze in parlamento con quote arcobaleno, etc. Richieste massimaliste ad una società nichilista.
  • Lo scardinatore. L’attivista gay è il precipitato perfetto del rivoluzionario per antonomasia. Mandati in soffitta Dio e la Chiesa, l’attuale rivoluzione è quella che riguarda la legge naturale inscritta nel cuore di ogni uomo. Il militante gay allora è lo scardinatore antropologico più efficace che c’è sulla piazza postmoderna di oggi perché capace di portarsi a casa risultati importanti su più fronti. Infatti in un colpo solo sta demolendo la sessualità, la famiglia, l’ordine naturale-biologico (vedi utero in affitto e fecondazione eterologa) e sta adagiando i bambini in una culla imbottita di disagi e sofferenze facendoli crescere in un ambiente non adatto alle loro esigenze.
  • Portatore di una nuova Weltanschauung. Il militante gay, come abbiamo detto, sbarca in un mondo che non è suo, perché ogni cosa di questo mondo richiama la differenza sessuale e l’attrazione reciproca uomo-donna. È un mondo quindi che deve essere rifatto da capo a piedi secondo le linee di indirizzo omo: libri, film, abbigliamento, locali e pubblicità gay; leggi ad hoc; identità anagrafiche gender; lezioni scolastiche contro la discriminazione; giocattoli sessualmente neutri; toilette per i transgender; acquisizione alle causa di attori, sportivi e politici, etc.Un lavoro mastodontico di ripittura fin nei minimi dettagli di una realtà colorata di azzurra e rosa. Questo comporta un sistema filosofico non improvvisato, bensì una costruzione di una visione del mondo unitaria, cosa in sé, non contraddittoria, articolata e ben organizzata. Quasi fosse un organismo vivente, appunto una Weltanschauung, cioè un’idea strutturata di un mondo nuovo che sta per nascere. Dopo ovviamente che avrà ucciso quello vecchio.


(Fonte: Tommaso Scandroglio, Corrispondenza Romana, 24 febbraio 2016))


giovedì 25 febbraio 2016

La carriera politica della pornografia

La politica costruisce la “nuova moralità”. Per snellire la macchina della giustizia il governo, con decreto legislativo, ha depenalizzato una serie di reati considerati “minori”. Tra questi, anche gli atti osceni e le pubblicazioni e spettacoli osceni. Il caso della pornoscuola in piazza a Treviso.

Come è noto il criterio base adottato dal governo per risolvere il problema della edilizia carceraria è stato quello della depenalizzazione dei  reati. Siccome poi i reati vengono trasformati  in illeciti amministrativi  che comportano  cospicue sanzioni pecuniarie per i trasgressori, i nostri oculati governanti dimostrano anche una  notevole sensibilità economica. Infatti  mentre si risparmiano  da una lato  costosi interventi edilizi,  vengono incassati  dall’altro  gli introiti delle  sanzioni:  sono  presi così i famosi due piccioni con una fava,  e guadagnata   la doverosa  riconoscenza del  contribuente che vede con quanta cura  il proprio denaro venga amministrato.
Ovviamente  non sempre il gioco del rapporto costi benefici può valere la candela.  Infatti se per ipotesi ai nostri fantasiosi governanti venisse in mente di depenalizzare il furto, lo stesso contribuente che è già depredato  normalmente dallo Stato,  si troverebbe a dovere fare i conti con l’improvviso proliferare dei ladri privati  che vedrebbero incentivata dallo Stato la propria professione,  e di questo non avrebbe motivo di rallegrarsi.  Ora se  per il momento  sembra che non si parli ancora di depenalizzare il  furto e la rapina,   di recente ci è stata data la possibilità di verificare con quanta oculatezza, economica e no, siamo governati.
Il 15 gennaio scorso è stato approvato il d.lgs. n.8  di depenalizzazione di una  congerie di reati il cui accertamento, si è detto, ingolfava la macchina giudiziaria, con molti inutili costi e senza beneficio morale per la collettività. Questa  almeno la ragione portata trionfalmente  a sostegno del  parto normativo  realizzato  dal governo su legge di delegazione parlamentare.
Il diritto penale, come è riconosciuto da sempre, non coincide con la morale ma la presuppone.   Infatti vengono perseguiti penalmente quei comportamenti che contraddicono un’etica consolidata nella società. E che comunque vanno prevenuti attraverso la minaccia di una sanzione “forte” come quella propria della legge penale,  perché se lasciati liberi di proliferare impunemente,  minerebbero un ordinato svolgimento della convivenza comune.  La legge penale ha dunque anche finalità di prevenzione generale dei comportamenti offensivi del vivere comune oltreché dello interesse particolare delle  vittime.
Una  categoria di reati si distingue da un’altra in base al valore etico ovvero all’interesse, di valore collettivo, che lo Stato sente il dovere di proteggere  attraverso la sanzione rafforzata della legge penale, e che è il “bene giuridico” tutelato dalla singola norma. La gravità di un reato, il suo peso negativo sulla società viene espressa  dalla entità della pena inflitta. Con le pene più gravi, ergastolo o reclusione temporanea sola o congiunta con la pena pecuniaria  vengono puniti i reati ritenuti dal legislatore più gravi per la importanza sociale del bene violato, con la sola pena pecuniaria i reati sentiti come meno minacciosi per la convivenza comune. (Resta il fatto che la sanzione penale di qualunque natura od entità costituisce da sola un notevole deterrente,  per il fatto di essere inflitta dalla autorità giurisdizionale, e quindi  attraverso un procedimento che viene sentito di per sé come mortificante dal soggetto che lo subisce).
 È dunque evidente che se la gravità della pena inflitta misura la gravità del reato, quest’ultima è legata  a sua volta alla valutazione che il legislatore dà di quel certo comportamento umano. Una valutazione che dovrebbe essere guidata dal comune sentire ed essere orientata dalla costante finalità del bene comune, ma che può di fatto essere distorta da ideologie di potere e da interessi che non collimano con l’interesse generale. Il potere politico può produrre e produce infatti anche leggi che andando contro  l’interesse o il sentire della società finiscono poi per condizionare proprio   la stessa sensibilità sociale. Non c’è qui lo spazio per approfondire il rapporto tra la società e le leggi che la governano, ma dovrebbe essere chiaro a tutti, ad esempio, come la pressoché totale depenalizzazione dell’aborto abbia prodotto i sei milioni di aborti accertati dalla entrata in vigore della legge 194, come l’introduzione del divorzio abbia creato la dissoluzione dell’istituto famigliare, e come una qualunque legalizzazione della convivenza su base erotico sessuale tra persone dello stesso sesso sarebbe, e sarà, la definitiva distruzione etica di una intera società attraverso la corruzione  di intere nuove generazioni.
L’articolo 1 del decreto, diventato legge vigente  il 6 febbraio scorso,  pone come criterio guida del provvedimento la trasformazione in illeciti amministrativi  di tutti i reati puniti  con la sola pena pecuniaria. Quindi il criterio di base prescelto appare subito chiaro:  meglio sottrarre alla costosa macchina processuale i reati meno gravi,  che quindi  non turbano troppo la pace sociale e la coscienza comune, e affidarne la prevenzione alla sanzione pecuniaria eventualmente inflitta dalla autorità amministrativa di turno.
Sennonché questo principio, che in tempi di vacche magre e di ingolfamento cronico della macchina giudiziaria potrebbe avere la propria ragion d’essere e incontrare il plauso della gente, viene poi subito  contraddetto  dalla stessa  legge che dichiara meritevoli di essere depenalizzati anche singoli reati, puniti   almeno formalmente con la reclusione, in ragione del loro intrinseco disvalore sociale.
Segno che  vi sono valori sociali che i governanti ritengono non più meritevoli di protezione  perché superati o da superare, sicché questi stessi governanti si arrogano il diritto di disegnare  attraverso la legge una nuova etica collettiva.
Così è stato segnata la fine del disvalore sociale del reato di ingiuria che rubricato da sempre tra i reati contro l’onore, è diventato di  fresco  banale infrazione  amministrativa.  Una cosa da praticare con parsimonia solo per motivi pratici, come la sosta vietata. Segno evidente   che il concetto di onore deve essere diventato del tutto  incomprensibile per chi guida la macchina del potere politico verso la società incivile.
Tuttavia di questa nuova  funzione rieducatrice assunta del potere politico troviamo un esempio ancora più significativo nella depenalizzazione degli articoli 527 (atti osceni) e 528 (pubblicazioni e spettacoli osceni) del codice penale  che puniva con la reclusione pubblicazione e spettacoli osceni. Certo in tempi in cui di pornografia si nutrono tutti i mezzi di comunicazione, quella pena deve essere risultata  eccessiva,  ma non è di questo che qui vale la pena di discutere,  quanto  invece del trasferimento di  comportamenti  scandalosi  come quelli previsti dall’articolo 528 c.p tra gli illeciti amministrativi.  E l’occasione  ci è offerta da una recente iniziativa patrocinata dal comune di Treviso. E’ stato allestito nello spazio pubblico, appunto col permesso compiacente della amministrazione comunale che veglia sul progresso morale e culturale della popolazione, una  sorta di scuola peripatetica aperta a tutti, minori compresi, volta a svelare i sublimi misteri di attività sessuale di ogni tipo, in tutte le  sue  forme, e declinazioni possibili. Per saperne di più [cliccate qui].
Rimettiamo il giudizio ai lettori. Della sporcizia mentale di quanti hanno realizzato l’evento e di quanti l’hanno autorizzato non vale parlare, perché tutto si descrive da sé.
E bene sapere però che chi fosse trasportato  da sacrosanto  sdegno per questo scempio ordito ai danni di tutti, e soprattutto dei più giovani, non potrà rivolgersi più alla autorità giudiziaria perché giustizia sia fatta. Tutt’al più potrà chiedere l’applicazione ai responsabili di una sanzione pecuniaria, alla stessa autorità che ha consentito l’evento.
La coincidenza  tra l’entrata in vigore il 6 febbraio scorso della nuova legge di  depenalizzazione , e la pornokermesse  del 14 febbraio, certamente non è casuale. Gli organizzatori sapevano già di poter godere della novella impunità.
Ma conviene ritornare per questo sugli intenti del legislatore. La depenalizzazione degli articoli 527 e 528 infatti sta a significare una sola cosa: che un valore difeso tenacemente e severamente dal vecchio legislatore, ora lo si vuole cancellare definitivamente in via legislativa anche dalla mente del cittadino comune.
Le norme in questione tutelavano ancora l’onore sessuale e il sentimento del pudore, concetti evidentemente incomprensibili per il legislatore attuale e per il campionario umano che alberga nelle stanze della politica e nei dintorni.
 La sessualità è lo spazio privilegiato in cui l’uomo può dimostrare tutta la propria capacità di sottrarsi al dominio degli istinti e sollevarsi sopra di essi attraverso la loro sublimazione morale e razionale. Non per nulla nella  sublimazione dell’eros si è manifestata tutta la miracolosa capacità  creativa dell’arte.  L’uomo vi ha dispiegato la profondità delle sue  scelte morali, l’attitudine a leggere il limite posto da una realtà avvolta dal sacro. Il luogo dell’incontro tra anima e corpo  deve  essere quello in cui viene realizzata  una armonia  superiore, e non l’abisso di un abbrutimento che mira a travolgere altri simili fino ai più piccoli e indifesi.
Ora il sacrario della divina sintesi superiore, che è propria  dell’homo sapiens, deve essere invaso e devastato, violato come l’altare di Notre Dame dalle meretrici del nuovo potere.
Questa opera di demolizione non è cominciata certo oggi.  E cominciata più di mezzo secolo ed è proseguita instancabile attraverso tappe ben precise. Tra le altre, quella della riforma del 1996 che ha trasferito la violenza sessuale fra i reati contro la libertà della persona, al pari di quelli, che coinvolgendo dei minori, vengono puniti anch’essi come offese alla libertà. Della devastazione morale che essi comportano, il legislatore nulla sa. Insomma, mentre per gli estensori del codice l’onore sessuale e il sentimento del pudore erano beni giuridici da tutelare per il loro alto contenuto morale, per l’etica nuova tutto viene assorbito nella tutela del valore “civico” della libertà personale intesa in senso meramente materiale. Della libertà morale l’etica del terzo millennio può bellamente fare a meno.
 In un tempo in cui la società ha perduto le proprie coordinate etiche e religiose ed è soggiogata dal  belluino potere mediatico, in tempo di devastanti ideologie di potere, la legge crea l’etica consustanziale a questo potere  stringendo  sempre più al collo della gente comune il proprio capestro.
Piero Buscaroli, che ci ha lasciato da pochi giorni dopo avere donato al mondo il patrimonio di una immensa ricchezza di pensiero, di una intelligenza e di una  cultura senza pari, di una straordinaria sensibilità politica, di un’etica superiore, ha titolato parecchi anni fa una propria raccolta di saggi sulla storia nazionale “Una nazione in coma”.
A distanza di pochi decenni possiamo dire tranquillamente che l’Italia della ideologia e della politica, senza più storia né religione, senza dignità nazionale e senza più cultura, l’Italia delle Ravera e delle Parietti, dei Gad Lerner e degli Ovadia, dei Colombi e delle Cirinnà,  dei Renzi e delle Fedeli, e delle periferie esistenziali di Treviso, questa Italia è solo un corpo in avanzato stato di decomposizione.

(Fonte: Patrizia Fermani, Riscossa Cristiana, 23 febbraio 2016)


giovedì 18 febbraio 2016

Sdoganamento della sodomia e papocchi sul ddl Cirinnà. Lettera aperta a Maurizio Lupi

Caro Lupi, ieri sera, erano circa le 20, ho sentito l’intervista che hai rilasciato al programma “Zapping” di Rai1. Inevitabilmente, il discorso verteva sul tema del giorno, le unioni civili e il ddl Cirinnà.
Ho scaricato la tua intervista dal sito di Rai1. Si può ascoltare cliccando qui. Più o meno al minuto 1 e 34 secondi tu affermi che è venuto il momento in cui il Parlamento deve riconoscere i “diritti e doveri di coloro che, pur appartenendo allo stesso sesso, vogliono vivere liberamente la propria affettività”. E affermi che questa “assunzione di coscienza” è una conquista di civiltà. Non sto facendo manipolazioni o interpretazioni. Basta ascoltare le tue parole.
Caro Lupi, un’affermazione di questo tipo comporta un riconoscimento della sodomia come “normalità” e, anzi, come “normalità” meritevole di specifica tutela giuridica. Se ne deduce che la sodomia ha quella rilevanza di interesse pubblico per cui la legge deve darne una precisa regolamentazione.
Scusa, caro Lupi, ma tu non sei, o almeno eri,cattolico? Non costituisce per te alcun ostacolo il fatto che il peccato contro natura sia uno dei quattro peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio?
Ti prego, non rispondermi dicendo che la sodomia esiste, che le coppe di pervertiti sono sempre esistite. Potrei obiettarti che sono sempre esistite le rapine e i rapinatori (e tu, da buon cattolico, sai bene che una rapina è molto meno grave di un atto di sodomia), ma nessuno si è mai sognato, almeno per ora, di proporre una legge che regolamenti diritti e doveri dei rapinatori, o degli assassini, o dei ladri, e compagnia bella. Ma se vogliamo uscire dal campo criminale, conosco un gruppo di ottime persone che ogni sabato, alle 17, in un bar vicino a casa mia, si ritrovano per giocare a biliardo. Ti assicuro che alcuni di loro sono dei veri campioni. A quando una legge che regolamenti diritti e doveri dei giocatori di biliardo? Già, perché se basta che un fenomeno “esista” per essere degno di tutela giuridica, entriamo in un discorso infinito. Possiamo invocare la tutela dei salumieri,degli appassionati di uncinetto, dei collezionisti di figurine, dei dog-sitter, eccetera, eccetera, eccetera.
Ma non scherziamo, questi sono argomenti tragicamente seri.
È inutile, caro Lupi, che nel seguito della tua intervista tu ti affanni a dire che però tu e il tuo gruppo parlamentare affermate con forza che le “unioni civili” sono cosa diversa dal matrimonio e che non accetterete mai la “stepchild adoption”. Non sei un ragazzino e sai benissimo che il ddl Cirinnà è solo l’anticamera per far digerire con garbo e vaselina i passi successivi, grazie anche all’ausilio di una magistratura che, Corte Costituzionale in testa, ha un’onorevole tradizione di conformismo da difendere.
Dunque per te è cosa ovvia, anzi, è una conquista di civiltà che la “legge” – e sai benissimo che nella mentalità comune, ciò che è “legale” diviene poi anche “giusto” – dia un riconoscimento all’omosessualità.
In occasione del Family Day, presente al Circo Massimo, avevi affermato quanto segue su Twitter: “Al circo Massimo con due milioni di amici per dire che la famiglia è una sola: padre, madre e figli”. E: “Familyday 2016 contro le ideologie non contro le persone: per un bambino avere un papà e una mamma è un diritto”.

Bene. “La famiglia è una sola”. E allora il pasticciaccio brutto della Cirinnà cosa va a creare, se non una simil-famiglia? Se tu eri al Circo Massimo, non eri tra quelli che manifestavano per dire “No” al progetto devastante della Cirinnà? Mi sembra che ci sia un tantino di confusione.
E torno all’unica domanda che davvero mi interessa: ma tu non sei, o eri, cattolico?
Vado al tuo sito internet e leggo una lettera che tu hai scritto al direttore del settimanale Tempi (clicca qui). Mi limito a riprendere, anche qui, alcune frasi dette da te:
Io faccio politica con due criteri: lavorare per costruire il bene comune in base all’ideale di bene che ho incontrato e che continuo a vivere in un’esperienza di popolo. E, secondo, rispondendo responsabilmente alla realtà, alle condizioni che la realtà oggi mi pone”.
L’ideale, non lo nomini. Poi, scusa, forse sono tonto, non riesco davvero a capire cosa mai voglia dire che questo “ideale”, che pudicamente non nomini, lo vivi in una “esperienza di popolo”. Boh.
E poi:
Per essere chiari: ci sta veramente a cuore una buona legge sulle unioni civili (che dobbiamo fare in ossequio a una sentenza della Corte costituzionale) che non assimili il nuovo istituto al matrimonio e che non permetta l’adozione alle coppie omosessuali. O in realtà ci interessa solo – e le unioni civili sono il pretesto – la caduta del governo?
Mi fermo qui con le citazioni, tanto basta leggere per intero la lettera linkata sopra, in cui non manca la spiegazione sul perché tu e i tuoi continuate a dare l’appoggio a questo governo.
Da questa lettera io credo di poter dedurre che, oltre che considerare la sodomia degna di tutela giuridica, tu in ogni caso ti senti “obbligato” ad agire in un determinato modo in obbedienza alla Corte Costituzionale.
E insomma, con molta franchezza voglio dirti una cosa. Dato che è una cosa spiacevole, permettimi di fare una piccola premessa:
·         Mi sento di parlarti in modo spiacevole perché entrambi proveniamo dalla stessa esperienza, ossia dall’educazione ricevuta da un vero cattolico, un uomo di una Fede indiscutibile, don Giussani.
·         E mi sento di parlarti in modo spiacevole perché lo scorso anno, quando i tuoi amici di quel governo che ti ostini a sostenere ti estromisero con una vera manovra mafiosa, io fui uno dei pochi ad alzare la voce in tua difesa (clicca qui).
Non cambio una virgola di quanto scrissi a suo tempo in tua difesa. Ma ora posso solo constatare che anche tu ti sei gettato a capofitto in quel gioco del massacro che è la perenne illusione di poter fare chissà quali astutissime manovre per “limitare i danni”, magari per arrivare all’inevitabile “male minore”, salvo poi presentare il pasticcio come una vittoria.
Che tristezza, caro Lupi! Sei andato in piazza contro il ddl Cirinnà ma comunque tu non volevi bloccare ad ogni costo la proposta sciagurata. Basta leggere la tua lettera al direttore di Tempi. Quindi, scusami il parlar chiaro, non ti pare di aver preso in giro le tante persone del Circo Massimo?
Che tristezza! Il tuo “bacino di voti” è Comunione e Liberazione che è, o meglio dovrebbe essere, un “movimento ecclesiale”. D’accordo che l’attuale Comunione e Liberazione non hai più nulla a che vedere con l’insegnamento di Don Giussani, ma è davvero deprimente che tu non abbia nemmeno il coraggio di nominare la Fede cattolica e ti rifugi in un gioco di parole del tipo “’ideale di bene che ho incontrato e che continuo a vivere in un’esperienza di popolo”. Ma che mai vuol dire?
A giustificazione del tuo agire tu parli della Corte Costituzionale. Stupendo. E cos’è la Corte Costituzionale? È un consesso di signori che non detengono la verità, lo sai meglio di me.
Ma se la Corte Costituzionale emette una sentenza contraria alla legge di Dio, tu per chi scegli? Per la legge di Dio o per l’ossequio alla Corte Costituzionale?
La risposta è nei fatti, caro Lupi, ed è una risposta molto triste.
Vorrei aggiungere un’ultima considerazione. Tu non sei un parlamentare “qualsiasi”. Sai benissimo che tante persone, perlopiù tanti ciellini, ti vedono come l’esempio del “far politica” di un cattolico. Hai una responsabilità enorme, perché sei un personaggio pubblico.
E quale esempio tu hai dato? Un cattolico che non ha il coraggio di dire in Parlamento: “Cari signori, qui si sta legiferando in totale spregio della Fede cattolica, dei diritti di Dio, quindi si può andare solo alla rovina. Quindi mi ritiro, perché non voglio condividere le tragiche responsabilità che vi state assumendo”.
Non credo che tu sia così ingenuo da credere ancora di poter fare chissà quali astutissime manovre per sistemare tutto. Sai perfettamente che la strada del disastro è già tracciata e decisa. Scusami, ma dov’è finita, per te,la regalità di Cristo? Non dovrai anche tu, come tutti noi, rendere conto a Cristo giudice?
Ritorno all’inizio dell’articolo per chiederti: come può un cattolico “sdoganare” tranquillamente la sodomia, uno dei quattro peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio?
Ti sei assunto delle responsabilità pesanti, caro Lupi. Inoltre hai gettato ulteriore confusione nel “popolo” ciellino, e davvero non ce n’era bisogno. Ci pensa già Don Julian Carron, che come creatore di confusione non teme concorrenti.
E per chiudere mi rifaccio alla tua lettera al direttore di Tempi: pensi davvero che per conseguire il bene comune si possa andare contro la legge di Dio?

(Fonte: Paolo Deotto, Riscossa Cristiana, 16 febbraio 2016)


giovedì 4 febbraio 2016

Preti sposati? Alla Gregoriana votano contro

Nel pomeriggio di oggi si apre alla Pontificia Università Gregoriana un convegno per molti versi sorprendente.
La sorpresa è data anzitutto dal tema: "Il celibato sacerdotale, un cammino di libertà". Un tema in netta controtendenza rispetto ai sempre più frequenti segnali di un prossimo allentamento della disciplina del celibato del clero cattolico latino, per volontà di papa Francesco:


Ma inusuale è anche l'alto livello delle personalità che prenderanno la parola nel convegno.
Relatore iniziale sarà il cardinale Marc Ouellet, prefetto della congregazione per i vescovi, che parlerà di "Celibato e legame nuziale di Cristo alla Chiesa". Ouellet appartiene alla Compagnia dei sacerdoti di san Sulpizio, da sempre finalizzata alla formazione dei candidati al sacerdozio e alla cura spirituale del clero.
Mentre relatore finale, nella mattina di sabato 6 febbraio, sarà il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, che parlerà di "Il prete ordinato 'in persona Christi'".
E subito prima di Parolin interverrà l'arcivescovo Joël Mercier, segretario della congregazione vaticana per il clero, che illustrerà l'enciclica di Paolo VI "Sacerdotalis caelibatus" del 1967 come "del tutto valida anche nel nostro tempo".
Il programma completo del convegno, curato da monsignor Tony Anatrella, psichiatra, sacerdote della diocesi di Parigi e docente al Collège des Bernardins, è nel sito della Gregoriana, la più prestigiosa delle università pontificie romane, affidata alla Compagnia di Gesù e attualmente retta da padre François-Javier Dumortier, già relatore nel sinodo dello scorso ottobre del "Circulus gallicus B" presieduto dal cardinale Robert Sarah, certamente non un innovatore:
L'ultimo segnale della volontà di papa Francesco di procedere all'ordinazione al sacerdozio di uomini sposati è venuto pochi giorni fa dalla Germania, come già era capitato per altri precedenti segnali:

Questa volta, a farsi interprete del pensiero di papa Jorge Mario Bergoglio è stato il vescovo ausiliare di Amburgo Hans-Jochen Jaschke, nel corso del talk show televisivo "Nachtcafe".
Jaschke, nel raccontare dell'incontro tra i vescovi tedeschi e il papa dello scorso 20 novembre, al termine della loro visita "ad limina", ha detto che quando il discorso cadde sull'ipotesi di ricorrere a preti sposati per celebrare la messa in regioni sperdute e con scarsità di clero, specie nel'America latina, Francesco "non ha fatto segno di no".
Certo, ha aggiunto Jaschke nel corso della trasmissione, il papa "non è un dittatore" e farà in modo di rendere simili innovazioni "accettabili globalmente" dall'insieme della Chiesa. Ma che egli voglia procedere in questa direzione sembrerebbe ormai assodato.
Queste dichiarazioni del vescovo ausiliare di Amburgo – assieme ad altre a favore di "un approccio rilassato al tema dell’omosessualità" – sono state riportate il 1 febbraio su Katholisch.de, il portale della conferenza episcopale tedesca:

Tra i vescovi della Germania circola inoltre la voce che nel viaggio in Messico di metà febbraio Francesco avrebbe in animo di ordinare sacerdoti alcuni diaconi sposati della diocesi di San Cristóbal de Las Casas, nel Chiapas.
Ma questa voce è stata prima contraddetta dal vescovo di quella diocesi, Felipe Arzmendi Esquivel:

E poi dal maestro delle celebrazioni liturgiche pontificie Guido Marini, che ha assicurato a questo sito che durante il viaggio in Messico "in nessuna messa il papa farà delle ordinazioni".

In ogni caso, l'incontro del 20 novembre tra i vescovi tedeschi e il papa ha lasciato uno strascico piuttosto animato, anche a prescindere dalla questione dei preti sposati.
Come quasi sempre fa al termine delle visite "ad limina", anche quella volta Francesco non lesse il discorso preparato per l'occasione, ma semplicemente ne distribuì il testo, preferendo occupare il tempo a disposizione con un colloquio informale.
Solo che quando i vescovi tedeschi lessero quel testo a loro rivolto, lo trovarono tremendamente punitivo.
Ed è verissimo. Nel testo scritto c'era una requisitoria implacabile contro tutti i disastri prodotti in questi anni dai pastori della Chiesa di Germania, culminanti in una vera e propria "erosione della fede cattolica":

E infatti il cardinale Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco e presidente dei vescovi tedeschi, oltre che membro del consiglio dei nove cardinali che assistono il papa, va raccontando di aver chiesto ragione di quel discorso a Francesco, e di averne ricevuto l'assicurazione che lui di quel testo non sapeva nulla, e nemmeno l'aveva letto.
In effetti, non c'era neanche l'ombra dello stile di Bergoglio, né della sua simpatia per l'episcopato tedesco, in quel testo che sembrava piuttosto uscito dalla "officina" di un Benedetto XVI, quasi un seguito del memorabile rimprovero da questi rivolto il 25 settembre 2011 a Friburgo a una Chiesa di Germania troppo "soddisfatta di se stessa e accomodata ai criteri del mondo", invece che "alla sua chiamata ad essere aperta verso Dio e ad aprire il mondo verso il prossimo":

Tornando al discorso disconosciuto da papa Francesco, a voler proprio assegnargli un estensore, l'immaginazione va dritta al cardinale Gerhard Müller, prefetto della congregazione per la dottrina della fede, connazionale e antagonista da lunga data del riformista Marx, oltre che poco ascoltato custode, oggi, del dogma e della disciplina della Chiesa.

(Fonte: Sandro Magister, www.chiesa.it, 4 febbraio 2016)