L’ideologia
del liberalismo e dell’illuminismo ci ha abituati ormai da tre secoli ad un
falso quanto ostinato stereotipo dell’eretico, inteso come genio incompreso,
profeta di progresso, uomo disinteressato e martire del libero pensiero, dalla
vita austera ed esemplare, perseguitato o represso dall’oscurantistico, arcigno
e retrivo strapotere della Chiesa Romana.
Meno
male – così alcuni pensano – che col Concilio Ecumenico Vaticano II la Chiesa
non ha più lo sguardo torvo e schifiltoso, ha smesso di parlare di “eresie”, di
mitragliare a tutto campo; si è aggiornata e si é fiduciosamente, gioiosamente
ed amorevolmente aperta al mondo moderno in un dialogo dalla ricchezza
inesauribile.
In
realtà l’eretico, almeno nella concezione cattolica, è un battezzato che
rinnega volontariamente, per superbia, uno o più dogmi della fede cattolica,
ossia le interpretazioni della divina rivelazione proposte a credere ai fedeli
da parte della Chiesa, e si adopera astutamente a far valere la sua idea, senza
badare all’onestà dei mezzi e dei fini, con grave danno per le anime.
L’eresia
non è un innocuo “delitto di opinione”, come credono i soloni del liberalismo,
ma un delitto contro la verità e la coscienza di fede, che non sono affatto
un’opinione, ma sono verità sacra, oggettiva, universale, immutabile,
assolutamente certa e vincolante in coscienza, almeno per il credente, in
quanto fondata non su di un’autorità umana o su contingenti circostanze
storiche, ma sulla stessa autorità divina di Cristo, che si è rivelato alla sua
Chiesa incaricandola di trasmettere a tutto il mondo tale verità al fine di
garantirgli il cammino della salvezza. La Chiesa, infallibile soltanto
nell’annuncio del Vangelo, ha sempre poi lasciato la massima libertà di
opinione, anche in teologia, in quel campo che non mettesse in pericolo i valori
della fede e della morale.
L’eresia
concerne evidentemente l’esercizio dell’intelligenza, poiché è questione di
verità ed è l’intelletto che ha per oggetto la verità. Tuttavia nella vita
umana la volontà, la prassi e quindi gli interessi economici interagiscono con
gli interessi intellettuali e conoscitivi secondo una reciproca influenza che
può recar beneficio ma anche danno sia alle idee che al comportamento. Il modo
e i contenuti del pensiero certamente influiscono sull’azione, ma anche le
inclinazioni, gli affetti, i bisogni e gli interessi pratici e materiali
influiscono sulle dottrine, sulle credenze e sul sapere.
E come
la virtù intellettuale facilmente va d’accordo con la virtù morale, così il
vizio del pensiero facilmente si sposa col vizio morale. Per questo, ponendosi
eresia ed avarizia sul piano del vizio – vizio del pensiero e vizio dell’azione
– è facile trovare un nesso, anche se non sempre in tutti i casi, tra l’eretico
e lo schiavo di Mammona.
L’eresia,
come ho detto, è causata direttamente e propriamente dalla superbia, per
la quale il soggetto si ritiene in grado o in dovere di notare di falso la
dottrina della Chiesa, quasi che, grazie ad un contatto diretto con Dio, sia a
conoscenza della divina rivelazione meglio della Chiesa stessa o sappia meglio
interpretare Bibbia e Tradizione, e in forza di questa superiore conoscenza, si
ritenga capace di correggere la Chiesa rifiutando il suo insegnamento.
Ma la
superbia a sua volta è strettamente legata ad uno smodato bisogno di potenza,
di dominio, di godimento e di possesso, ad un idolatrico attaccamento al mondo,
ad un’esagerata cura dei propri interessi e della propria immagine, alla
tendenza a sfruttare gli altri a proprio vantaggio, ad una puntigliosa,
stizzosa e vendicativa difesa del proprio io, ad una profonda inquietudine
polemica, ad un bisogno narcisistico ed insaziabile di emergere, di
esibizionismo e affermazione dell’io, il quale esplicitamente o implicitamente,
ritenendosi l’unica ed l’assoluta “autocoscienza”, rifiuta di sottomettersi a
Dio o identificandosi con Dio (panteismo) o sostituendosi a Lui (ateismo).
L’eretico,
quindi, in vista di assicurare al suo io il primato sull’essere, facilmente è
soggetto al vizio dell’avarizia, ossia a quella ricerca di potere e di possesso
economico o per conto proprio o per mezzo di altri, che gli consente di
esercitare concretamente e materialmente sugli altri quel dominio e quella
sopraffazione che sono l’effetto immediato della superbia nel campo dei
rapporti col prossimo.
I
contenuti stessi dell’eresia, al di là di progetti falsamente spiritualistici o
materialistici in modo aperto ed esplicito, propongono una visione della vita
umana chiusa in prospettive meramente terrene per non dire economiche ed
esaltano il possesso e il godimento delle ricchezze come ideale supremo della
vita umana, incuranti del bene comune e delle esigenze della giustizia e della
solidarietà sociali. Sotto questo profilo l’eretico o trae dalle sue idee un
profitto economico personale o agisce a servizio di forze economiche o si serve
di queste forze che si muovono nel senso delle sue idee ereticali.
L’eresia
è una menzogna nel campo della fede ed è il segno di un’impostazione di vita
alla quale non interessa la verità, ma il successo, il piacere e il potere e
facilmente l’interesse si volge al potere economico, dunque l’avarizia. Per
questo l’eresia facilmente attecchisce in quelle classi di governo o ambienti
politici ai quali non interessa la verità circa il bene comune, i diritti umani
o i bisogni della gente, ma la conservazione di una posizione di prestigio e
l’esercizio dello sfruttamento economico.
Laddove
un governo o una politica sono attenti alla verità sull’uomo, facilmente
troviamo l’armonia con la dottrina della fede e la comunione ecclesiale; dove
invece essi mirano ad arraffare, alla prepotenza o alla dittatura,
troviamo lo spregio simultaneo delle esigenze della giustizia e della verità di
fede. L’ingiustizia e l’eresia vanno sempre di pari passo.
La
preoccupazione per la giustizia e la pace senza una corrispettiva adeguata
attenzione al pericolo che viene dall’eresia, è un difetto diffuso nella
pastorale di oggi, ed è una cattiva interpretazione della pastorale promossa
dal Concilio. Tale atteggiamento dimostra impreparazione teologica, infedeltà
al Magistero, inescusabile dabbenaggine e forse anche in certi casi insincerità
e nascoste connivenze con la stessa eresia.
Così
si deve dire che l’avarizia, che intacca l’onestà, la temperanza e la sobrietà
nella vita fisica, cammina parallelamente alla disonestà o slealtà della
menzogna sul senso trascendente o teologico della vita, che caratterizza
l’eresia. Nella Bibbia troviamo sempre assieme la duplice detestazione della
brama delle ricchezze come dell’orgoglio ereticale, in quanto sorgenti radicali
di tutti i mali, del corpo e dell’anima. “Non di solo pane vive l’uomo, ma di
ogni parola che esca dalla bocca di Dio”.
Dal
punto di vista economico sembrerebbe di trovare una condanna dell’avarizia
simile a quella che Marx fa dell’ingiustizia sociale come principio
dell’alienazione dell’umanità, se non fosse che nel materialismo marxiano,
amante dei sofismi dialettici, manca la doverosa condanna della disonestà
intellettuale, tipica dell’eresia, come principio altrettanto grave
dell’infelicità, della schiavitù e della perdizione dell’uomo.
Un
certa corrente filomarxista della teologia della liberazione condannata a suo
tempo dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, nel momento in cui
accentua l’esigenza della giustizia in una prospettiva meramente terrena, chiusa
al futuro ultraterreno e soprannaturale, si oppone all’avarizia solo
apparentemente, ma in realtà finisce per bloccare il vero processo della
liberazione evangelica dell’uomo, cedendo quindi ad una visione ereticale.
Su
questa linea è il famoso teologo ex-francescano Leonardo Boff, i cui scritti
furono a suo tempo condannati, il quale si è di recente rifatto vivo nella
speranza di accaparrarsi il Papa con mossa perfida contrapposto da lui a
Benedetto XVI che lo ha condannato.
E così
parimenti certe visioni apparentemente personalistiche e spiritualistiche come
il rahnerismo, che sembrerebbero del tutto aliene dal favoreggiare l’avarizia,
in realtà col loro immanentismo finiscono per esaltare un umanesimo chiuso al
trascendente e quindi tutto orientato al possesso e al dominio dei beni
terreni, il che è eretico e nello stesso tempo favoreggia l’avarizia.
L’avarizia
è occasione ed incentivo all’eresia. L’avarizia infatti, immergendo la mente
negli interessi terreni, le impedisce di elevare lo sguardo, di avere quella
limpidezza e quella libertà con la quali potrebbe attingere alle superiori
verità della fede, gustarle e metterle in pratica. In tal modo l’avarizia,
mantenendo la mente raso terra, riproduce sé stessa e si chiude alla verità
della fede. Ecco dunque l’eresia.
La
pratica intensiva, organizzata ed abile dell’avarizia, dal canto suo, quello
che alcuni chiamano “senso degli affari”, è spesso sorgente di lauti ed
illeciti proventi per l’eretico e per i suoi seguaci e sponsorizzatori. Infatti
esiste un vasto pubblico che preferisce la dolce menzogna alla dura verità, per
cui esso volentieri acquista i prodotti degli eretici.
Quale
responsabilità hanno qui le case editrici cattoliche! Il vizio promuove la
falsità e la falsità è causa del vizio. E tutti sappiamo quanto il danaro sia
legato al vizio, benché col danaro si possano compiere meravigliose ed
utilissime opere religiose e sociali, come dimostra la vita dei santi e degli
onesti imprenditori e dirigenti d’azienda nel campo dell’industria e dello sviluppo
economico. Il capitalismo, come spiega la recente dottrina della Chiesa, non è
un male in sé, se viene impiegato a servizio del bene comune.
I mali
tuttavia in generale si incrementano a vicenda sul piano del pensiero e
dell’azione, anche se poi avviene che ciò si verifica, grazie a Dio, anche per
i beni. Come avarizia ed eresia si richiamano a vicenda, altrettanto sono
sorelle la fede ortodossa e la giustizia sociale.
Quanto
all’avarizia, la gravità di questo vizio è ben nota e denunciata già dai saggi
pagani. Ricordiamo la famosa detestazione della auri sacra fames di virgiliana memoria. Per capire l’odiosità di
questo vizio non occorrono infatti speciali rivelazioni celesti o acume
speculativo, ma è sufficiente una minima dose di buon cuore e di senso di
umanità, che però purtroppo non albergano sempre di fatto in tutti.
La
figura commovente e nobile del buon samaritano sta sempre ad insegnarci che il
senso naturale ed onesto della solidarietà umana, anche in soggetti in buona
fede non istruiti dal punto di vista della dottrina, può averla vinta su di una
cultura religiosa raffinata ed ipocrita che finisce però in realtà, a causa
dell’egoismo e della durezza di cuore, per celare la vergogna dell’eresia.
Accade
così che il comando divino dell’amore del prossimo (“amatevi come Io vi ho
amato”), fondamentale verità di fede del cristianesimo, elevando la naturale
solidarietà umana alla dignità soprannaturale di fratellanza in Cristo, abbia
per contrapposto che l’avarizia si presenti non solo come ingiustizia sul piano
delle virtù morali e del diritto naturale, ma anche e soprattutto come vera e
propria eresia, peccato contro la fede e contro il Vangelo.
Gesù,
nella sua polemica contro i farisei, li accusa simultaneamente di ipocrisia per
la loro incredulità e falsa fede in Jahvè, nonché di avarizia per il loro
sfruttare un’apparente professione di vita religiosa per bassi fini egoistici o
di potere economico. Viceversa il Vangelo è annunciato ai poveri sia nel senso
dei bisognosi economicamente che nel senso dei bisognosi di verità, umilmente
aperti alla Parola del Vangelo.
Quanto
ancor oggi purtroppo la polemica di Gesù resta attuale per tutti quegli
ambienti religiosi e clericali nei quali la professione di fede vien falsata
per essere considerata non come il vertice degli interessi - fons et culmen - ma come fonte di loschi
affari e guadagni illeciti!
Quanto
spesso nei discorsi, nei capitoli e nelle riunioni di ecclesiastici o di
religiosi che dovrebbero essere luce della Chiesa ed esempio di vita sobria, le
questioni trattate con maggior serietà, calore e sottigliezza di argomenti
degni di miglior causa, non sono quelle dottrinali o pastorali, ma quelle
relative a vendite, acquisti, affari, guadagni, intrallazzi, profitti e cose
del genere!
In tal
modo capita che la Chiesa, che di per sé è una comunione spirituale, avendo
essa anche un aspetto terreno ed essendo composta di uomini fallibili e
peccatori, scada a volte nello stile di una qualunque società umana con i suoi
egoismi e discutibili interessi per non dir di peggio, per cui è sempre
bisognosa di essere corretta, riformata e riportata sulle vie del Vangelo.
Tutti
i Concili ecumenici della storia hanno sempre avuto questa funzione di richiamo
alla verità contro gli eretici e simultaneamente di restaurazione della
giustizia contro reati amministrativi - pensiamo al “giubileo” ebraico - o
contro i falsi pastori che invece di nutrire il gregge ingrassano sé stessi o
scappano davanti al lupo.
Anche
Papa Francesco si accinge ad una riforma della Curia Romana a cinquant’anni dal
riforma promossa da Paolo VI alla luce del Concilio Vaticano II. Che cosa è
successo? Forse la riforma promossa dal Concilio era difettosa? O forse non è
stata applicata bene? Difficile dirlo.
Questa
riforma de fide et morbus dovrà muoversi su due binari, come sempre:
eliminazione dell’eresia e delle ingiustizie nell’amministrazione dei beni
della S. Sede. L’immaginario collettivo è particolarmente colpito dalla vicenda
dello IOR, mentre i modernisti cercano di distogliere l’attenzione dalla Congregazione
per la Dottrina della Fede, dato che sono parte in causa, ma non dimentichiamo
il problema più grave che è quello della crisi di fede, della quale parlava
Papa Benedetto XVI nella sua dichiarazione di dimissioni.
Anche
la Congregazione per la Dottrina della Fede ha bisogno di uomini dalla fede
purissima ed integerrima, considerando il loro ruolo delicatissimo di aiutanti
del Papa nella tutela della retta fede, così come del resto anche lo IOR
necessita di persone totalmente disinteressate, di eccellente competenza e di
specchiata onestà. Ma lo IOR e la CDF devono procedere in piena reciprocità
sotto la guida del Papa, così come anima e corpo devono procedere in armonia
sotto la guida della stessa anima.
Le
Opere di Religione non possono essere ben condotte ed amministrate se non alla
luce della fede, non per altri interessi che non siano quelli della fede e
della diffusione del Vangelo. Ed ecco dunque riaffacciarsi il problema
dell’eresia, che non è necessariamente negazione di un dogma speculativo, ma
anche di quel dogma fondamentale che è la pratica della giustizia evangelica.
Preghiamo
per il Santo Padre perché lo Spirito Santo e l’intercessione di Maria SS.ma gli
diano la forza di compiere questa impresa gigantesca e rischiosa, circondato da
fidati e capaci collaboratori. Ed in ogni caso la Chiesa andrà avanti di
vittoria in vittoria, giacché, secondo la promessa del divin Fondatore, portae inferi non praevalebunt.
(Fonte:
P. Giovanni Cavalcoli, o.p., Riscossa Cristiana, 27 luglio 2013)