venerdì 30 agosto 2013

I Francescani dell’Immacolata e l’autoreferenzialità degli inquisitori

Che sia in atto una autentica macchinazione volta a demolire l’Ordine dei Francescani dell’Immacolata credo sia ormai un fatto acclarato. Cinque frati contestatori o poco più hanno fatto di tutto per sovvertire l’Ordine, per contestare il padre fondatore, per ribellarsi contro ogni logica ed ogni legittima aspirazione propria di un religioso che dovrebbe essere animato al contrario da prudenza, obbedienza e mansuetudine.
Nonostante la vecchiaia di p. Stefano Manelli, nonostante gli acciacchi, questi balordi hanno voluto infliggere un duro colpo al loro fondatore, scalzandolo dalla guida dell’Ordine. E chiamando – un po’ come dei viziati scolaretti – la maestra (ossia la Congregazione guidata dal focolarino Braz de Aviz) ad intervenire perché loro, i disobbedienti, non volevano più esser guidati da padre Stefano. E per portare dalla loro parte la maestra hanno estratto dal cappello la messa in latino. Naturalmente il solo evocare la “messa in latino” in certi ambienti equivale a mettere dinanzi a Superman un po’ di criptonite. Si fa presto a fare l’equazione: messa in latino = critica al Concilio = tradizionalismo = pelagianesimo = punizione necessaria!
Lo si intuisce pienamente leggendo il questionario bolscevico o polpotiano scritto da Mons. Todisco e recentemente venuto alla luce. Un questionario scandaloso per varie ragioni. Anzitutto per ragioni di carattere psicologico. Da un lato il Visitatore si rivolge ai frati dandogli del “tu”, ricorre ad una colloquialità confidenziale, si mostra amico, pronto a raccogliere documenti, mails etc. Dall’altro pone domande che allettano l’individualismo del frate, minando il suo spirito di obbedienza, la sua visione oggettiva della spiritualità (che non può mai essere un gusto personale altrimenti scade nella mondanità spirituale), la sua lettura delle decisioni dei Superiori, addirittura la sua interpretazione del Summorum Pontificum.
Biechi esperimenti inquisitori, privi della benché minima traccia di carità o di amore per Cristo e la Sua Chiesa. Cristo scompare e appare “la spiritualità dell’uomo contemporaneo”, “la tua spiritualità”, o “la nuova evangelizzazione”. Tutto si commisura all’io individuale e al tempo in cui viviamo. Dunque l’oggettività della Santa Messa e l’universalità propria del messaggio cristiano trascolorano in un gioco relativista e disordinato, in un malizioso solletico delle corde più profonde dell’individuo che è rinato in Cristo, che ha annullato la sua volontà e persino il suo intelletto nella pedissequa sequela di Nostro Signore.
Paradossalmente però – mentre il mondo cattolico altrimenti iperattivo, effervescente, emozionato per le innumerevoli telefonate a pinco o a pallo di Papa Francesco, tace imbambolato dinanzi all’ingiustizia ideologica che colpisce i FFI – oggi si aggiunge un nuovo tassello al quadro già drammatico o meglio kafkiano del commissariamento. Lo aggiunge il Commissario che, dopo aver preso possesso del sito internet dei FFI, vi ha fatto pubblicare una sua meditazione dove leggiamo in mezzo ad una fosca jungla retorica queste chiare parole: “Una delle problematiche centrali a mio avviso, viene proprio dalla minaccia di una certa autoreferenzialità, cioè nel desiderio di sottolineare a tutti i costi la propria peculiarità caratterizzante. Ritengo invece prova certa di maturità cercare di superare tale atteggiamento, riconoscendo con spirito umile e francescano l’edificazione della Chiesa come referente ultimo della propria esperienza carismatica.” 
Comodo, vero, caro p. Fidenzio Volpi, citare Papa Francesco? Parlare di “autoreferenzialità” ma a sproposito? Perché da un lato la Congregazione per gli Istituti di Vita Religiosa sta alimentando l’individualismo disgregatore nell’Ordine, dall’altro ora vorrebbe ricondurlo ad un collettivismo ideologico…
Non è stato proprio Papa Francesco ad affermare di recente: “Lo Spirito Santo, apparentemente, sembra creare disordine nella Chiesa, perché porta la diversità dei carismi, dei doni; ma tutto questo invece, sotto la sua azione, è una grande ricchezza, perché lo Spirito Santo è lo Spirito di unità, che non significa uniformità, ma ricondurre il tutto all’armonia.”?
Quanto è dunque sconveniente per non dire vergognoso entrare in casa d’altri e raddrizzare quel quadro perché ci sembra storto, togliere quel soprammobile perché ci sembra superfluo, mettere il nonno in cantina e la zia in soffitta perché ci sembrano di troppo.
Qui non stiamo parlando di questioni morali, di problemi di gestione economica o di altri scandali dei quali è piena la nostra Chiesa, qui stiamo parlando di una lotta ideologica. Lotta ideologica ammantata di autorità, di autorevolezza e di legalità. Ciò non toglie che sempre di lotta ideologica si tratti. La fede, la spiritualità, il sentire cum ecclesia sono meri accessori.
Parole piegate all’ideologia il cui scopo ultimo è “aggiornare” i FFI, renderli più simili ai Cappuccini o ai Francescani, che danzano e ballano senza essere commissariati da nessuno.
Che sprecano milioni (vedi San Giovanni Rotondo) senza ricevere visite apostoliche. Che organizzano happenings mondani senza il benché minimo intervento della Santa Sede…
Io questo vorrei gridarlo sui tetti! E’ un’ingiustizia! È uno scandalo! So che nessuno mi ascolterà ma nondimeno voglio gridarlo ancora: perché distruggete ciò che è sano? Perché esercitate questo abuso di potere? Tornate sui vostri passi, ravvedetevi, se ancora credete in Nostro Signore più che nelle vostre ideologie.
 

(Fonte: Francesco Colafemmina, Fides et Forma, 28 agosto 2013)

 

Karl Rahner, un “teologo” ancora intoccabile?

Karl Rahner fu condannato dal Sant'Uffizio e poi ripescato dal fango ed elevato a consulente del Concilio Vaticano II. La sua tecnica, unita a quella dei sui sodali nell'aula conciliare, di scardinare la dottrina cattolica col linguaggio dell'ambiguità proprio del Modernismo condannato da san Pio X fu certamente vittoriosa. La verbosità e l'ambiguità dei testi apre alle più peregrine e devianti interpretazioni che hanno dato frutti mortiferi da allora ad oggi. Tuttora questo defunto sacerdote gesuita che intrattenne un rapporto amoroso con una donna divorziata dal 1982 sino alla fine della vita è il nume teologico di gran parte dei seminari, e gli effetti sui sacerdoti si vedono, eccome! Il mito di questo accanito contestatore del celibato sacerdotale e della morale sessuale cattolica non si è frantumato nemmeno quando la sua amante adulterina ha pubblicato le proprie lettere appassionate e carnali dal titolo Camminare sul filo del rasoio: lettere d’amicizia a Karl Rahner. L’autrice del libro è la scrittrice Luise Rinser, arci-nemica della Chiesa cattolica, già moglie del musicista Karl Orff.
I Gesuiti fanno le spallucce e tengono occultate le lettere di Rahner stesso all'amante, e davanti a queste evidenze di immoralità continuano a difendere e diffondere la teologia del loro beniamino. Scrivere per confutare le eresie e i conseguenti peccati di Rahner vale a perdere la fiducia e la stima dell'establishment ecclesiastico. Tanto è capitato all'Autore del libro "Karl Rahner", P. Giovanni Cavalcoli OP, che si è visto negare due volte l'autorizzazione a pubblicare il volume e che ha visto addirittura il segretario della Congregazione per la Fede - il gesuita Luis Francisco Ladaria - dare il veto alla pubblicazione della recensione del libro sull'Agenzia Zenit. Una volta ottenuta l'autorizzazione alla pubblicazione del libro il volume è stato un successo di vendite, ma la vendetta dei rahneriani non si è fatta attendere: Padre Cavalcoli quest'anno è stato inopinatamente e senza rispettare il Diritto Canonico destituito dall'incarico di vice-postulatore della causa di beatificazione di Padre Tomas Tyn, il domenicano cecoslovacco che confutò sia Rahner (Saggio sull'etica esistenziale formale di Karl Rahner) che le derive di matrice ereticale del post-concilio, rimanendo fedele alla Tradizione teologica tomista e a quella liturgica gregoriana.
Oggi il testo - che è tuttora il più completo studio sulla dottrina di Rahner esistente - è disponibile per tutti e in tutto il mondo. Ora finalmente chi si forma in seminario ha a disposizione uno strumento e un antidoto per conservare pura la fede nonostante la docenza di certi "formatori" e professori. Ora si può riconoscere Rahner per quello che fu e che è nelle aule teologiche, cioè un untore. E con questo lo stesso si può ormai dire di tutti coloro che lo propagano.
 

(Fonte: Giovanni Zenone, Riscossa cristiana, 28 agosto 2013)
 

Caffarra: «Siamo giunti a un tale oscuramento della ragione...»

Carlo Caffarra, cardinale e arcivescovo di Bologna, è intervenuto con una nota dopo che il sindaco della città Virginio Merola, al Gay Pride, ha auspicato il riconoscimento dei matrimoni e delle adozioni per le coppie gay. Lo riproduciamo di seguito:
«Le affermazioni fatte dal Sindaco di Bologna riguardanti il matrimonio e diritto all’adozione per le coppie gay sono di tale gravità, che meritano qualche riflessione.
Quanto da lui profetato come ineluttabile destino del Paese a diventare definitivamente civile riconoscendo alle coppie omosessuali il diritto alle nozze e all’adozione è una battuta a braccio che costa poco: tanto non dipende dal Sindaco. Ma ciò non toglie la gravità di tale pubblica presa di posizione da parte di chi rappresenta l’intera città. E dove mettere il cittadino che non per fobia ma con motivate ragioni ritiene matrimonio ciò che è stato definito tale fin dagli albori della civiltà o ritiene non si possa parlare di un diritto ad adottare ma del diritto di ogni bambino ad avere un padre e una madre?
Davvero questo cittadino, con la sua cultura e le sue ragioni, è da giudicare incivile e fuori dalla storia, condannato a sentirsi estraneo in casa sua, perché non riesce a stare al passo del sedicente progresso?
Naturalmente ci sarà chi, riempiendosi la bocca di laicità dello Stato (che è cosa ben più seria!), ci accuserà di voler imporre una dottrina religiosa. Ma qui non c’entra religione o partito, omofobia o discriminazione: sono i fondamentali di una civiltà estesa quanto il mondo e antica quanto la storia ad essere minati; e forse non ci si accorge dell’enormità della posta in gioco.
Affermare che omo ed etero sono coppie equivalenti, che per la società e per i figli non fa differenza, è negare un’evidenza che a doverla spiegare vien da piangere. Siamo giunti a un tale oscuramento della ragione, da pensare che siano le leggi a stabilire la verità delle cose. Ad un tale oscuramento del bene comune da confondere i desideri degli individui coi diritti fondamentali della persona».

 

(Fonte: Tempi, luglio 2013)
 

giovedì 22 agosto 2013

E don Ariel disse a Gad: “Pezzo di ignorante presuntuoso!”

Sapete tutti di quella mocciosa calabro-egiziaca che Dio solo sa come è arrivata in Vaticano: dicono “chiamata come esperta da papa Francesco”. “Esperta” di puttanate. Le solite cose alla vaticana maniera: un girone infernale… una catena di santantonio di amici degli amici laico-clericali con tanto di cardinali arcipreti della patriarcale basilica che raccomandano e propiziano… per cui infallibilmente il peggiore e il più indegno arriva sempre al vertice di qualcosa: quasi sempre al vertice della cosa sbagliata… la persona sbagliata.
Sotto questo pontificato, in un tempo record, si è superato il livello di guardia quanto a nomine scandalose, ributtanti persino. Questa pischella con marito in Vaticano così è arrivata dove non doveva, e solo dopo si è scoperto che, stante il suo “grande amore per papa Francesco”, al pari di tanti altri “aficionados” in quelle curiali stanze, era una chiacchierona (Magister dixit) e praticamente una spia che a lungo ha giocato a sputtanare la Santa Sede su Dagospia, coi vari Vatilieaks e i Nuzzi. Per tacere delle porcate che scriveva, persino contro i cardinali, sul suo famigerato tweet.
Nell’attesa che la sbattano fuori a pedate dalla Santa Sede, come tutti noi cattolici esigiamo (e a breve daremo il via, se non si risolve al più presto la questione, a una raccolta di firme per farla cacciare con disonore), vediamo grazie a questa qui quali sciacalli rachitici, con termini demenziali e fuori luogo, si sono avventati sul papa e sulla Chiesa.
L’ennesimo è stato quel radical-chic al “cholent” [stufato ebraico, n.d.r.] di Gad Lerner. Il quale ha dato sfoggio nel suo blog di tutto il suo analfabetismo teologico, cattolico ed ebraico insieme, in questi termini:
«Se occorreva un’altra prova di quanto inopportuno sia il dogma dell’infallibilità papale promulgato da Pio IX nel Concilio Ecumenico Vaticano I, ce la fornisce la recente nomina di Francesca Immacolata Chaouqui nella commissione preposta a vigilare sulle finanze vaticane. La giovane consulente della Ernst & Young Italia molto aveva twittato e rilasciato interviste per dichiararsi meritevole dell’incarico. Ora emerge la sua partecipazione attiva alle lotte intestine del Vatileaks, con tweet ostili al cardinale Bertone, uno solo dei quali la dottoressa in giurisprudenza rinnega: quello in cui si occupava della (presunta) omosessualità di Giulio Tremonti. Non ho mai avuto il piacere di conoscere la dottoressa in questione. Ma so che la capitale d’Italia pullula di simili gentili signore, più o meno ben maritate. Come peraltro numerosi colleghi di sesso maschile, fanno il mestiere di consulenti. Appunto. La Chiesa e la consulente: sono sicuro che Francesco si libererà di un sottobosco dai connotati antichi ma pur sempre stupefacenti».
Premesso che Lerner non ha alcun titolo per dare lezioni di morale a nessuno – senza contare che viene dall’ambiente più baronale e “dinastico” del panorama lavorativo: il giornalismo, che ormai viene ereditato come un bene immobile solo da padre in figlio, a nipote) –; premesso che, eccettuata la ciucceria sul dogma dell’infallibilità,  per la questione Francesca Immacolata Chaouqui, ha ragione da vendere: il papa la deve cacciare e mandare in qualche isola dei “famigerati”, premesso tutto questo Lerner resta una un somaro in questioni cattolico. E infatti vedi cosa gli ha risposto, proprio nel blog del celebre giornalista ex comunista, don Ariel Levi di Gualdo (che ci onoriamo di avere come nostro amichevole collaboratore), che prima ancora di intendersi assai di teologia cattolica, molto di più si intende di teologia e cultura ebraica.
Ve lo riporto:
«Noto con piacere che l’ex manganellatore di Lotta Continua Gad Lerner, convertitosi appresso al giornale padronale di Casa Agnelli, per poi diventare alto borghese della sinistra radical chic, si è cimentato anche nelle dotte lezioni di teologia dogmatica, come possiamo vedere.
Mi propongo di scrivere di rimando e per contro, un elenco delle assurdità dogmatiche del suo mondo ebraico, nel quale non vige solo la proibizione dogmatica di mangiare carne di maiale, ma persino di mangiare carne con coltelli e forchette che sono state usate per mangiare latticini, se non dopo averle kasherizzate, cioè bollite a 100 gradi centigradi. E non parliamo delle norme dogmatiche di purità: una donna che si trova nel ciclo mestruale, nel mondo dell’ortodossia ebraica è trattata quasi come una appestata, non può guardare manco in faccia il marito.
Perlomeno, mio caro Gad Lerner, nel dogma di fede della risurrezione del nostro Cristo, c’è una poetica sublime che tu per primo devi riconoscere. Nel dogma dei ricchi ebrei ultra ortodossi, che costruiscono due piscine, una per i maschi e una per le femmine affette da impurità mestruale, mi spieghi quale sublime poetica c’è?
Consiglio da amico: pensa agli affari di casa tua, prima di venire a fare l’esegeta del dogma in casa nostra. E… detta con simpatica amicizia concludo: pezzo di ignorante presuntuoso!»
Don Ariel: certe volte sei tutti noi!
 

(Fonte: La cuccia del Mastino, 17 agosto 2013)
 

È “immorale” abbandonare gli animali

Ma l’avete visto in TV lo spot contro l’abbandono degli animali? C’è quel capellone in moto che per poco non prende sotto un cane e poi un tizio che a un certo punto dice qualcosa del genere: “E’ contro la morale abbandonare un cane”. Fermi tutti! Abbiamo una morale? Mi sono distratto un attimo: chi è che ha dato questo nobile comandamento? Se “è contro la morale abbandonare un cane”, vuol dire che sappiamo cos’è la verità, perché i comandamenti morali sono sempre andati al passo con la verità. Quale verità, di grazia?
Uno dei teoremi preferiti dall’uomo moderno è che verità e comandamenti morali provocano ingiustizie e crimini contro l’umanità. Però, evidentemente, ai comandamenti morali non si può rinunciare, se per molti è vero il contenuto di quello spot. Strana società la nostra, che vorrebbe essere autonoma, liquida, non sottoposta a leggi e che allo stesso tempo va a produrre leggi, divieti, comandamenti, morali. L’autorità non è più Dio e la sua legge, ma un’autorità resta e detta legge. Sarebbe interessante capire qual è questa autorità e cosa la legittima.
Anche perché questa nuova morale, se c’impone di non abbandonare i cani, non ci comanda però di non abortire un cucciolo umano. Ve l’immaginate uno spot in cui un tizio dica: “E’ contro la morale abortire un bambino”? Impossibile, no? E infatti magari non abbandoniamo cani, ma di aborti ne facciamo a milioni, e tutti zitti. Ve l’immaginate uno spot in cui un tizio dica: “E’ immorale abbandonare i propri figli e il proprio partner”? Andiamo, siamo seri! La nostra nuova morale non contempla roba di questo genere. E infatti non abbandoniamo i cani, ma i figli sì, e provochiamo loro traumi incalcolabili (che poi si riversano sull’intera società). I cagnolini non vanno separati dalle loro mammine e paparini, ma quando si parla di uomini, bè, è tutta un’altra questione. La separazione si può fare tranquillamente, senza rimorsi di tipo morale. Provocare lesioni a un cane è immorale. Sperimentare sull’embrione umano e congelarlo no.
Quando andiamo a criticare le epoche antiche perché in nome della verità e della loro morale compivano crimini, dovremmo pensarci due, tre, miliardi di volte, perché non abbiamo nessun titolo per prendere le distanze da quella gente, noi che abbiamo inventato una nuova morale che s’impietosisce del cagnolino e intanto stermina gli esseri umani (silenziosamente e nell’indifferenza generale) in quantità mai viste nella storia.
Che oggi non ci sia una morale e una verità è solo una bufala colossale. Ci sono nuove verità accettate da tutti e una nuova morale che si sta costruendo a livello planetario. E’ una morale contraddittoria e inquietante, spesso radicalmente opposta ai comandamenti divini. E non ci è dato di far finta di niente, di essere indifferenti o addirittura neutrali: oggi come ieri dobbiamo scegliere. O stare con la mentalità di questo mondo o stare con Dio. C’è una differenza fondamentale, mi sembra: la morale del mondo è più facile, perché esalta le nostre pulsioni ed è fatta secondo la nostra misura. Quella divina ha un’altra misura, più grande e misteriosa, e quindi ci sbatte sempre davanti al nostro limite e, per questo, ci urtica di più. Ma preferisco essere “urticato” piuttosto che essere un sereno e incosciente distruttore.

P.S.: pare che Hitler fosse vegetariano e amasse un mondo i suoi cani.
 

(Fonte: Gianluca Zappa, Facebook, 17 agosto 2013)
 

giovedì 15 agosto 2013

Quando il suicidio di un adolescente diventa un pretesto ideologico

L’11 agosto tutti i quotidiani hanno riportato la triste notizia del suicidio avvenuto a Roma la notte tra il 7 e l’8 agosto nel popolare quartiere di San Basilio di un giovane ragazzo gay di 14 anni vittima del bullismo dei propri compagni.
Come riporta, infatti,  il “Corriere della Sera” dell’11 agosto «sembra che il ragazzo fosse stato recentemente emarginato dalla comitiva di giovani che frequentava» e avrebbe lasciato scritto un biglietto con su scritto: «Tutti mi prendono in giro, nessuno mi capisce. Non ce la faccio più». Il tragico fatto di cronaca ha immediatamente riaperto il dibattito, ancora caldo dopo le discussioni delle ultime settimane, sul tema dell’omofobia.
La presidente della Camera Laura Boldrini esprimendo il suo cordoglio ai familiari del giovane suicida ha affermato al  “Corriere della Sera”: «Ho fiducia che la Camera saprà trovare alla ripresa il modo per dare risposta alle attese e varare con la più larga maggioranza una legge (sull’omofobia, ndr) che ci allinei agli altri Paesi dell’Unione Europea». Sulla stessa linea il consigliere comunale di Roma Imma Battaglia (Sel) si augura «che a settembre il dibattito nazionale sulla legge contro l’omofobia sia condotto con senso di responsabilità verso i ragazzi e le loro famiglie, affinché si abbassino i toni delle parole per elevare il livello dei diritti civili, perché nessuno si senta escluso o emarginato». Infine il Gay Village di Roma ha lanciato una campagna contro le discriminazioni dal titolo «No Homophobia».
Sul blog “la27esimaora”, il 12 agosto, commentando la notizia Elena Tebono scrive che «di certo i ragazzini in età scolare sono più esposti degli adulti all’omofobia. L’adolescenza è fondamentale per la messa a punto dell’identità. E la sessualità è uno dei cardini per il riconoscimento e l’affermazione di sé. Che risente dell’approvazione degli altri. Il ragazzo di Roma con il suo gesto ha detto che tutto questo gli è mancato». Tuttavia l’adolescenza, da sempre, è una fase per molti difficile a causa di fragilità caratteriali o problemi fisici più o meno gravi. Pensiamo ai bambini che vengono derisi per il loro aspetto fisico, il famoso “ciccio” del gruppo o a quelli che devono portare degli occhialoni più grandi di loro…i  noti “quattrocchi”.  Anche questi adolescenti  soffrono e sono vittime della risa e degli sberleffi dei propri compagni. È necessaria una legge anche per loro? una legge che protegga contro le discriminazioni verso i bambini sovrappeso e i bambini occhialuti ? Dispiace, ma non stupisce oramai, che un tragico fatto di cronaca diventi subito il pretesto per invocare il legislatore a fare presto ad approvare un decreto legge sull’omofobia nonostante  il nostro codice penale, come da più parti ricordato, preveda già l’aggravante «per aver agito per motivi abietti o futili» (ex art. 61 n. 1 c.p).
In questa prospettiva la legge sull’omofobia appare essere una legge ideologica, un grimaldello giuridico per scardinare il sistema e compiere una rivoluzione antropologica. L’apripista per ottenere in una seconda fase ravvicinata il matrimonio tra persone dello stesso sesso, le adozioni gay e l’affermazione dell’ideologia gender con la conseguente distruzione della famiglia naturale come l’esperienze degli altri paesi europei ci insegnano.
 

(Fonte: Lupo Glori, Corrispondenza romana, 14 agosto 2013)
 

I soliti cattolici adulti…

C'è qualcosa di inquietante nel modo in cui ventisei deputati cattolici del Partito democratico e di Scelta civica hanno ribadito la loro disponibilità a votare una legge sull'omofobia purché venga introdotta una clausola di garanzia per sacerdoti e catechisti quando questi volessero spiegare che cosa è scritto nella Bibbia (oltre che nel Catechismo della Chiesa Cattolica) a proposito di omosessualità come disordine oggettivo. Inquieta intanto la mancanza di riferimento al Magistero della Chiesa. Usare l'appartenenza cattolica senza riferimenti al Magistero produce inquietudine nel fedele che legge.
I ventisei hanno esternato questa loro posizione su Avvenire di venerdì 9 agosto, ricordando il lavoro sotterraneo da loro svolto per migliorare la legge sull'omofobia e annunciando appunto altri emendamenti in aula, in settembre, che dovrebbero portare a un definitivo miglioramento della legge e garantire appunto la libertà di espressione a proposito di omosessualità. Ora, a parte il modo rinunciatario di tentare un compromesso con l'avversario, che lascia ben poco sperare sull'esito finale, quello che sconcerta in un simile atteggiamento è il non voler vedere le reali intenzioni che stanno alla base della legge sull'omofobia. L'atteggiamento non è nuovo, ma risale al modo di porsi di fronte ai fatti storici da parte del cattolicesimo democratico fin dal tempo dell'invasione napoleonica dell'Italia, cioè dal triennio giacobino cominciato nel 1796. Da allora fino a oggi il movimento cattolico conobbe la persistente tentazione di giudicare positivamente l'azione e le richieste delle forze rivoluzionarie, al massimo bisognose di stemperare il loro ateismo o laicismo. Quando i cattolici democratici prevalsero all'interno del movimento cattolico, si determinarono situazioni di forte confusione dottrinale e di ambiguità, non tanto per i compromessi in quanto tali, a volte necessari, ma perché il compromesso venne confuso con l'ideale. Oggi sta avvenendo la stessa cosa con omofobia e unioni omosessuali. I cattolici democratici ritengono positive le istanze originarie dei promotori delle leggi, che invece hanno intenzione di indebolire il modello di famiglia fondato sul matrimonio eterosessuale. Per questo ormai da anni si parla e si scrive di "famiglie" e non di "famiglia", dando per scontato che possano esistere diversi modelli di famiglia. Qualcuno mi potrebbe dire che nella realtà sta proprio avvenendo così. Verissimo, e bisogna tenerne conto, soprattutto nelle relazioni umane che devono essere attente a non ferire chi è vittima di questo disordine. Ma tenerne conto non significa dare per persa la battaglia culturale, smettere di credere e di annunciare al mondo tutta la verità. Pio XII diceva che si può perdere nella storia, ma bisogna salvaguardare i principi e aspettare tempi migliori. A settembre riprenderà la discussione, prima alla Camera, poi al Senato. Preghiamo e facciamo pregare, perché la confusione penetri nelle fila dello schieramento a favore della legge. Speriamo in un atteggiamento di maggiore forza e coraggio da parte dei pastori della Chiesa. Speriamo che gli uomini politici comprendano il significato liberticida di questa legge e così aumenti il numero di coloro che si oppongono alla legge. Nel frattempo non cessiamo di gridare contro l'ingiustizia, ma prepariamoci a un tempo di grandi sofferenze per il nostro Paese. Dobbiamo attraversare questo tempo storico, conservando la fede e i valori, quel patrimonio culturale che servirà per costruire un mondo migliore, se e quando Dio ci concederà questa possibilità.


(Fonte: Marco Invernizzi, Alleanza Cattolica, 10 agosto 2013)
 

venerdì 9 agosto 2013

Caro D’Agostino, lei tradisce il diritto

Non sono d’accordo praticamente su nulla di quanto scritto il 6 agosto da Francesco D’Agostino sulle pagine di Avvenire, a proposito della legge sull’omofobia.
Mi spiace dirlo, perché D’Agostino è un filosofo del diritto come me, ha molti meriti scientifici e una fama assai prestigiosa, lo conosco da anni e ho con lui un rapporto schietto e cordiale. Ma, per dirla con Aristotele, amicus Platus sed magis amica veritas.
Che cosa ha scritto in sostanza il professor D’Agostino? La cosa migliore è che il lettore vada a guardarsi la fonte. Noi qui offriamo una sintesi molto stringata, provando a riassumere per punti:
a) Il progetto di legge Scalfarotto potrebbe limitare la libertà di opinione, e bisogna evitare questa stortura.
b) Non bisogna però opporsi a una legge sull’omofobia, che rappresenta la tutela contro ogni “odioso incitamento alla discriminazione e alla violenza”.  Una legge sull’omofobia in se stessa è più che accettabile, se non addirittura auspicabile.
c) Magari questa legge è una scelta inopportuna, ma “ha ben poco senso discettare se sia giusta o no”. “Ritengo che sia possibile accettare in linea di principio una legislazione contro l’omofobia” scrive D’Agostino.
d) Chi si oppone frontalmente alla legge commette un errore, perché rischia di passare per omofobo e di esacerbare il dibattito.
Provo a confutare punto su punto questa sorta di agenda programmatica che i vescovi italiani hanno deciso di adottare, in perfetta singolare sintonia con il partito di Mario Monti, Scelta civica:
a) Non è che il progetto Scalfarotto “potrebbe limitare la libertà di opinione”. Quella legge limita e limiterà sicuramente e gravemente la libertà di opinione, e la sta già limitando. Gli episodi di repressione culturale e mediatica contro chi considera contro natura l’omosessualità sono già oggi numerosi, e la legge ancora non c’è. Quando sarà entrata in vigore, fioccheranno le querele e le procedure avviate dai magistrati democratici, e per chi dice la verità sull’omosessualità non ci sarà, giuridicamente parlando, scampo.
b) Un giurista serio, viepiù se cattolico, non dovrebbe accettare nemmeno in linea teorica il concetto di “omofobia”: esso rappresenta la madre di tutti i deliri e di tutte le peggiori aberrazioni giuridiche promosse dalla lobby gay. E’ un’invenzione concettuale che serve solo a rendere normale – giuridicamente e socialmente – ciò che normale non è. Prendo atto –  e mi pare fatto gravissimo – che la Conferenza Episcopale, il suo quotidiano, e il presidente dell’Unione Giuristi cattolici, considerano legittimo e – appunto – normale – che si accetti toto orbe l’idea di omofobia. La quale presuppone il riconoscimento della categoria degli omosessuali come “etnia” o gruppo identitario meritevole di una tutela specifica da parte dell’ordinamento giuridico. Facendo finta di ignorare che oggi, se uno dileggia, offende o aggredisce una persona che sia omosessuale viene comunque punito dall’ordinamento. Una volta digerito questo rospo, tutto diventa possibile e anzi inevitabile: dai matrimoni gay, all’adozione da parte di due uomini o di due donne, all’accesso alla fecondazione in vitro da parte di lesbiche, uomini omosessuali che trovino uteri in affitto.
c) Per me, filosofo del diritto, questo è il punto più drammatico: si dichiara apertamente che ormai non si intende più giudicare le leggi come giuste o ingiuste, ma che si preferisce misurarle con il parametro dell’opportunità. Ora, se la filosofia del diritto non serve a distinguere leggi giuste da leggi ingiuste, ha esaurito il suo compito fondamentale. Che una legge sia “opportuna” è criterio che può garbare a Macchiavelli e a Guicciardini, a Stalin e a Hitler, o – si parva licet –  a Barack Obama e a Laura Boldrini. Ma che il presidente dell’Unione Giuristi Cattolici Italiani dichiari coram populo che le leggi vanno pesate con la bilancia dell’opportunità, e non della diade giusto-ingiusto, beh, è un fatto che lascia di sale. Tommaso d’Aquino e i radiomessaggi natalizi di Pio XII, l’ininterrotto magistero della Chiesa, l’Evangelium Vitae di Giovanni Paolo II, insegnano una dottrina ben diversa. Del resto, sono ormai anni che Avvenire ha scelto di utilizzare strani criteri “elastici” di fronte alle leggi gravemente ingiuste (leggi che per San Tommaso e il Magistero “cessano di esser leggi”): i lettori avranno notato che, se ad esempio una nazione legalizza l’aborto, il quotidiano della Cei titola: “Strappo dell’Irlanda”. Trasformando l’argomento da materia di dottrina in una questione di cuciture e candeggio sbagliato.
d) Quest’ultimo punto è il colpo di grazia riservato a quei pericolosi testoni integralisti che, invece di venire a miti consigli con gli Scalfarotto, persistono nel contestare frontalmente la legge sull’omofobia. Ad esempio La Nuova Bussola Quotidiana e quei Giuristi per la vita che in poche settimane, senza mezzi economici e senza spazi significativi sui media clericali, hanno sollevato il caso e lo hanno fatto diventare una notizia mediatica e politica. Come sarebbe più bello il mondo – sembra lasciar intendere l’editoriale di Avvenire – senza gente così poco flessibile, così rigida, così ossessionata dai principi non negoziabili, così ancorata all’idea che esistano leggi giuste e leggi ingiuste. Gente che complica i rapporti con il Quirinale, che rende la vita difficile al prezioso governo Letta, e che magari, a furia di dare questa immagine battagliera del cattolicesimo, finisce col far mettere in discussione l’8 per mille.
Concludo con una domanda. Preso atto che Avvenire e il Presidente dell’Unione Giuristi cattolici italiani si dichiarano in linea di principio favorevoli a una legge sull’omofobia, mi chiedo: quanto influisce su questa posizione la presenza di un gruppo di pressione omosessuale all’interno della Chiesa cattolica?
 

(Fonte: Mario Palmaro, La nuova bussola quotidiana, 6 agosto 2013)

 

giovedì 8 agosto 2013

Boff, lascia stare il papa…

Il famoso teologo ex-francescano Leonardo Boff, del quale ho avuto modo di occuparmi di recente su questo sito, si è rifatto vivo nei giorni scorsi con un’intervista su La Stampa e su Il Secolo XIX, ripetendo il tentativo del quale ho già parlato, di accaparrare il Sommo Pontefice a quella  “teologia della liberazione” che fu condannata nel 1985 da un documento della Congregazione per la Dottrina della Fede allora capeggiata dal Card. Ratzinger.
E’ da notare, quindi, la perfidia di questa mossa, nello stile tradizionale dei modernisti che tentano di contrapporre un Papa all’altro in materia di fede. Per la verità l’allora Card. Ratzinger, con spirito magnanimo e saggio discernimento fece pubblicare accanto a un documento di condanna ampiamente motivato, anche un altro nel quale si rilevano gli aspetti postivi della teologia della liberazione, aspetti che evidentemente non si trovano negli scritti del Boff, che invece fu condannato. Per esempio un pastore che seppe assumere questi aspetti positivi con molta autorevolezza, fu il famoso Cardinale argentino Eduardo Pironio.
Questo prudente intervento di Roma, se da una parte metteva in luce la falsità dell’interesse per i poveri di una teologia che trasforma la Chiesa in un movimento di rivendicazione politica, dall’altra si separava nettamente dall’ipocrisia e dalla mala fede delle dittature latinoamericane che, sotto scorza di falso cattolicesimo, accusavano di “sovversione comunista” il grido dei poveri e degli oppressi.
Non dubitiamo che il Papa, per la sua apertura umana che lo contraddistingue e la sua sensibilità di pastore universale, non mancherà di trovare del positivo anche nel gesto di Boff, ma questi non si illuda che il Vicario di Cristo si lasci menare per il naso dal suo entusiasmo ipocrita ed interessato.
A Boff, del resto, che mostra assai poco quell’umiltà francescana che costituì un tempo il suo ideale di vita, brucia ancora la condanna subìta ed ora coglie l’occasione per sputare veleno contro Papa Ratzinger nell’odioso quanto vano tentativo di contrapporlo a Papa Francesco, il quale se certamente accoglie gli aspetti positivi della teologia della liberazione, in passato, come so da fonte sicura, ebbe da soffrire da parte dei suoi stessi Superiori per essersi opposto agli errori della teologia della liberazione.
Boff tenta di giocare la carta della solidarietà con i poveri nella quale Papa Bergoglio ci è di splendido esempio, per presentarci un Pontefice che non corrisponde assolutamente alla realtà. Il fatto che il Papa abbia compiuto molti significativi e sorprendenti gesti di semplicità di vita, di umiltà, di partecipazione alla vita della gente comune, di attenzione alle sofferenze delle grandi masse dell’umanità odierna, facendosi carico come Cristo delle ingiustizie patite da tanta gente povera ed indifesa, non va assolutamente interpretato come espressione dalla falsa ecclesiologia populista ed antigerarchica, dello spirito antidogmatico e della liturgia secolaresca da comizio politico di Boff e compagni, i quali, sotto pretesto dell’urgenza di un impegno della Chiesa a favore dei poveri, degli oppressi e dei sofferenti, vorrebbero costruire un cristianesimo i cui contenuti dottrinali si limiterebbero alla protesta politico-sociale rivoluzionaria, in una visione priva di prospettive ascetiche, ultraterrene ed escatologiche, interpretando il ministero ecclesiale non come dono di grazia che scende dall’alto del Padre, ma dal basso di un “popolo di Dio”(Iglesia popular)  che si ritiene investito in forza dello Spirito Santo di ogni potere di guida e di autoguida della Chiesa nella conquista della giustizia e della pace, mentre la sacramentaria è vista non come segno efficace della grazia perdonante ed elevante, ma come simbolo della lotta del popolo per la sua liberazione.
Per questo Boff non pare per nulla qualificato a dar lezioni al Papa di etica sociale ed evangelica, né rende per nulla credibile il suo smaccato attestato di stima per il Papa, attestato che appare chiaramente interessato, perché falsamente interpreta la  condotta di Francesco come tacito assenso nei confronti di quegli errori per i quali, come ho ricordato, Boff fu condannato dal Card. Ratzinger.
Al contrario, Papa Bergoglio, anche se su questo punto non ha finora preso esplicitamente posizione, non potrà, come Papa, non confermare l’operato di Ratzinger, anche se mostra una maggiore sensibilità per i temi accettabili della teologia della liberazione. Ma la diversità di sensibilità o di attitudini pastorali tra due Pontefici nulla ha a che vedere con la loro capacità infallibile di custodire fedelmente, come Successori di Pietro e Maestri nella fede, l’immutabile dato dalla Parola di Dio e delle esigenze della sana ragione.
La tesi dei liberazionisti che Roma, influenzata dal capitalismo internazionale, non avrebbe capito la situazione latinoamericana, da cui il suo errore di giudizio, è semplicemente ridicola, vergognosa ed insincera. Si tratta di una tesi stolta o quanto meno speciosa, ma è incredibile quanta presa essa ha fatto sugli ingenui e sugli interessati.
Parimenti sarebbe ridicolo accusare di incompetenza la diagnosi di una malattia fatta in un centro scientifico per il solo fatto che gli analisti non si sono presi il morbo nei territori dove esso è diffuso. In fin dei conti Boff farebbe meglio a tacere e a far penitenza delle sue eresie. Con qual impudenza infatti afferma di essere ancora francescano, dopo che con le sue idee ha mostrato di avere tradito quell’Ordine al quale ha appartenuto?
 

(Fonte: P. Giovanni Cavalcoli, OP, Riscossa Cristiana, 6 agosto 2013)
 

venerdì 2 agosto 2013

Per cortesia, non strumentalizziamo il caso dei Francescani dell’Immacolata!

Resto sorpreso e dispiaciuto per il commissariamento voluto dal Papa nei confronti dei Francescani dell'Immacolata, mentre sono edificato per il comunicato dell'istituto col quale si professa piena obbedienza al Santo Padre.
Sono certo che questo problema si risolverà presto e bene, data la notoria obbedienza al Papa dei Francescani dell'Immacolata.
La questione della Messa novus ordo o vetus ordo non è una questione dogmatica, dove nulla può mutare, ma disciplinare o pastorale, dove i Papi possono decidere a loro discrezione secondo le circostanze e le opportunità, mutare o mantenere. "Chi bolla sbolla", dice il proverbio popolare. Non facciamo dei drammi eccessivi.
Stiamo attenti a non farne questioni di principio che vengono a creare delle divisioni artificiali e proprio a proposito della Messa dove dobbiamo essere tutti uniti in fedeltà al Vicario di Cristo. I Francescani dell'Immacolata, benché nella sofferenza, stanno dando un esempio di ciò.
Colgo tuttavia l'occasione per ricordare che nella Chiesa ci sono questioni ben più gravi e serie che devono attirare l'attenzione del Papa al fine di porre ad esse rimedio e purtroppo fino ad ora il Papa non ha dato nessun significativo segnale, se non vaghi accenni, riguardo ad esse.
Ma speriamo che ciò avvenga presto, data la loro estrema urgenza e visto che il Papa pare seriamente intenzionato alla riforma della Curia e a togliere i mali della Chiesa. Ma finché si troverà dei modernisti tra i piedi non riuscirà a far molto.
I gravi problemi da risolvere infatti - problemi che sono causati dagli stessi modernisti - non sono affatto la celebrazione o non celebrazione della Messa Tridentina, la quale anzi è testimonianza di alta devozione a Dio e fonte di copiosi frutti spirituali, ma sono innanzitutto la diffusione del modernismo in posti di comando della Chiesa, la tuttora mancata condanna degli errori di Rahner, le divisioni all'interno del collegio cardinalizio, la disobbedienza alle direttive della Chiesa da parte dei vescovi, dei teologi, dei moralisti, dei religiosi, dei seminari, degli istituti educativi della Chiesa ad ogni livello, la falsa interpretazione del Concilio Vaticano II, la necessità di una riforma della Congregazione per la Dottrina della fede, che assicuri la presenza di funzionari di specchiatissima ed integerrima fede cattolica, il reperimento di collaboratori del Papa veramente fedeli ed affidabili.
E' qui che attendiamo Papa Francesco ancor più che in interventi quale quello concernente i Francescani dell'Immacolata, che in fin dei conti sono tra i suoi più fedeli, ferventi, sicuri, sapienti, zelanti, esemplari e sinceri collaboratori.
 

(Fonte: P. Giovanni Cavalcoli, o.p., Riscossa cristiana, 1 agosto 2013)

 

giovedì 1 agosto 2013

Omosessualità, omofobia e papa Francesco. La premessa fondamentale a tutto il discorso

In questi giorni, soprattutto nella rete informatica, si dibatte e si discute sulla prossima legge contro l’omofobia. Quello che colpisce è l’assoluta contraddittorietà della posizione di molti cattolici: condividono la premessa fondamentale dell’attivismo gay, ma non vogliono accettarne le conseguenze.
Qual è questa premessa fondamentale? Quando si parla di omosessualità la questione è una sola; da questa discendono tutte le altre.
La domanda è: l’omosessualità è una natura, una essenza, si nasce così, Dio ha voluto che alcune persone avessero questa “cosa”?
Oppure è un disordine oggettivo, è accidente e non sostanza, non appartiene alla natura umana?
Questa è la domanda fondamentale alla quale si aggrappa ogni altro discorso.
Perché se l’omosessualità è naturale, se si nasce così, se alcune persone “sono” nella propria natura omosessuali, allora hanno ragione i gay. Non ha senso imporre a queste persone una croce per una tendenza assolutamente naturale; non ha senso tentare di cambiare la loro natura; non ha senso ostacolare le loro unioni, anche se la società (o il moralismo) dovesse pagare un prezzo. Non ha senso impedire loro di adottare e concepire figli. Se così è, se l’omosessualità è una essenza, allora la Bibbia sbaglia a considerare gli atti omosessuali una grave depravazione; allora è sbagliato anche il Magistero, e la Chiesa deve chiedere perdono e vergognarsi per le gravi sofferenze che inutilmente ed erroneamente ha imposto a queste persone. Ma se la Bibbia si è sbagliata, se il Magistero si è sbagliato, allora il cattolicesimo non è la religione voluta da Dio, è solo una morale, una filosofia, una credenza sbagliata, e ciò che è sbagliato merita di scomparire dalla faccia della terra.
Se l’omosessualità è una natura, una essenza, allora è giusto militare per i diritti di queste persone. Ed è giusta anche la legge contro l’omofobia: bisogna vietare che un’idea sbagliata, e dolorosa, continui a circolare.
Se invece l’omosessualità è un disordine oggettivo, se non si nasce così, se non fa parte del progetto di Dio per gli uomini, allora tutto cambia. Da un disordine non possono discendere dei diritti; non è giusto far tacere chi denuncia l’errore con apposite leggi; è giusto che chi desidera uscire da questo disordine abbia la possibilità di farlo.
È bene ricordarlo: il matrimonio gay, l’omogenitorialità, la legge contro l’omofobia, non sono obiettivi del movimento gay. Sono strumenti, mezzi. L’obiettivo è quello di ottenere un cambiamento nella mentalità comune. Ciò che i gay vogliono è che le persone siano convinte che l’omosessualità sia una natura, una essenza, e non un disordine oggettivo.
I militanti omosessualisti lo affermano esplicitamente.
Ricordiamo ad esempio quanto scrive lo storico del movimento gay in Italia, Gianni Rossi Barilli (Il movimento gay in Italia, Feltrinelli, Milano 1999, p. 212):
«Si apre un pubblico dibattito sulle unioni civili, che sempre più diventano la questione prioritaria nell’agenda dell’Arcigay. E questo non accade perché migliaia di coppie omo scalmanate diano l’assedio al quartier generale per poter coronare il loro sogno d’amore. Anzi, il numero delle coppie disposte a impegnarsi per avere il riconoscimento legale è addirittura trascurabile [...].

Ma il punto vero è che le unioni civili sono un obiettivo simbolico formidabile. Rappresentano infatti la legittimazione dell’identità gay e lesbica attraverso una battaglia di libertà come quelle sul divorzio o sull’aborto, che dispone di argomenti semplici e convincenti: primo fra tutti la proclamazione di un modello normativo di omosessualità risolto e rassicurante. Con la torta nel forno e le tendine alle finestre, come l’ha definito una voce maligna. Il messaggio è più o meno il seguente: i gay non sono individui soli, meschini e nevrotici, ma persone splendide, affidabili ed equilibrate, tanto responsabili da desiderare di mettere su famiglia. Con questo look “affettivo” non esente da rischi di perbenismo si fa appello ai sentimenti più profondi della nazione e si vede a portata di mano il traguardo della normalità».
Lo spiega, in modo esplicito e sintetico, Franco Grillini, presidente onorario dell’Arcigay, parlando addirittura di «matrimonio» gay (Cfr. C. Sabelli Fioretti intervista F. Grillini, Gay. Molti modi per dire ti amo, Aliberti, Reggio Emilia 2007, pp. 11-12):
Claudio Sabelli Fioretti:Ma perché volete sposarvi?”
Franco Grillini:Intanto è una questione di principio. I cittadini omosessuali devono essere considerati alla stregua di qualunque altro cittadino e quindi devono avere gli stessi diritti. Gli eterosessuali hanno il diritto di sposarsi. Perché gli omosessuali no?”
“La questione di principio l’ho capita. Ma mi chiedo perché abbiate questo desiderio. Un desiderio che negli eterosessuali va scemando…”
“L’esistenza di una legge che consenta alle persone omosessuali di accedere all’istituto del matrimonio o agli istituti equivalenti non implica l’obbligo di usarla. Basta che ci sia. Se poi uno vuole la usa, se non vuole non la usa. L’esistenza di un diritto non obbliga di avvalersi di questo diritto”.
“Come l’aborto”.
“Bravissimo! È esattamente come l’aborto. Nessuno è obbligato ad abortire. Però deve esserci la libertà di farlo. Una legge ha solo il compito di garantire un diritto ma è anche un fatto educativo. Se esiste una legge che consente agli omosessuali di sposarsi o di accedere a un istituto simile è ovvio che diventa un fatto culturale perché si riconosce nei fatti l’esistenza delle persone omosessuali e si garantisce dignità alle persone omosessuali, anche a quelle che non si sposano, anche a quelle che non utilizzano i Pacs o i Dico. Insomma, la battaglia è rilevante prima di tutto sul piano simbolico, dell’uguaglianza, dell’equità.”
È insensato, stupido e temerario opporsi alla legge contro l’omofobia, ai matrimoni omosessuali, all’omogenitorialità se si condivide la premessa fondamentale dell’attivismo omosessualista.
Ora il Papa, tornando dal Brasile, in una risposta a un giornalista ha ricordato il dovere dei cristiani di accogliere gli omosessuali e di non giudicarli, come spiega anche il Catechismo della Chiesa Cattolica.
Molti hanno esultato, forse dimenticando che da anni il Catechismo impone questa accoglienza. Infatti chi accoglie gli omosessuali senza sfruttarli sono proprio coloro che non li giudicano per la loro diversità, ma chiamano per nome il loro dolore, la loro “croce”, e li aiutano a portarla indicando loro la possibilità di uscire dal loro disagio.
Ma la medaglia dell’accoglienza ha anche un’altra faccia: il riconoscimento che questa croce è la conseguenza di una tendenza disordinata. Perché delle due l’una: o il disagio è reale e si può portare come una “croce”, chiedendo a Dio la Grazia per sopportarlo, oppure è una tendenza normale e allora hanno ragione i movimenti gay. Per questo il Catechismo della Chiesa Cattolica, nello stesso paragrafo, il 2358, afferma che l’omosessualità è una «inclinazione, oggettivamente disordinata». Perché se così non fosse allora non ci sarebbe neppure bisogno di un’accoglienza particolare. E, d’altra parte, se ci fosse solo il giudizio senza l’accoglienza, il cristianesimo sarebbe ridotto a una dottrina che giudica, ma non sa e non prova neppure a guarire la persona bisognosa.
Papa Francesco ha fatto benissimo a non cadere nella trappola dei giornali laicisti che vorrebbero inchiodare i cattolici come cattivi perché nemici dei gay, ricordando che, proprio a norma di Catechismo, i cattolici sono tenuti ad accoglierli come persone che subiscono una tendenza disordinata, e di fatto li aiutano come nessuno fa. Sarebbe auspicabile che noi cattolici ci ricordassimo di rileggere tutto il paragrafo del Catechismo: “Un numero non trascurabile di uomini e di donne presenta tendenze omosessuali profondamente radicate. Questa inclinazione, oggettivamente disordinata, costituisce per la maggior parte di loro una prova. Perciò devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione. Tali persone sono chiamate a realizzare la volontà di Dio nella loro vita, e, se sono cristiane, a unire al sacrificio della croce del Signore le difficoltà che possono incontrare in conseguenza della loro condizione”.
 

(Fonte: Marco Invernizzi - Roberto Marchesini, Tempi, 31 luglio 2013)

 

Eresia e avarizia: alcune precisazioni

L’ideologia del liberalismo e dell’illuminismo ci ha abituati ormai da tre secoli ad un falso quanto ostinato stereotipo dell’eretico, inteso come genio incompreso, profeta di progresso, uomo disinteressato e martire del libero pensiero, dalla vita austera ed esemplare, perseguitato o represso dall’oscurantistico, arcigno e retrivo strapotere della Chiesa Romana.
Meno male – così alcuni pensano – che col Concilio Ecumenico Vaticano II la Chiesa non ha più lo sguardo torvo e schifiltoso, ha smesso di parlare di “eresie”, di mitragliare a tutto campo; si è aggiornata e si é fiduciosamente, gioiosamente ed amorevolmente aperta al mondo moderno in un dialogo dalla ricchezza inesauribile.
In realtà l’eretico, almeno nella concezione cattolica, è un battezzato che rinnega volontariamente, per superbia, uno o più dogmi della fede cattolica, ossia le interpretazioni della divina rivelazione proposte a credere ai fedeli da parte della Chiesa, e si adopera astutamente a far valere la sua idea, senza badare all’onestà dei mezzi e dei fini, con grave danno per le anime.
L’eresia non è un innocuo “delitto di opinione”, come credono i soloni del liberalismo, ma un delitto contro la verità e la coscienza di fede, che non sono affatto un’opinione, ma sono verità sacra, oggettiva, universale, immutabile, assolutamente certa e vincolante in coscienza, almeno per il credente, in quanto fondata non su di un’autorità umana o su contingenti circostanze storiche, ma sulla stessa autorità divina di Cristo, che si è rivelato alla sua Chiesa incaricandola di trasmettere a tutto il mondo tale verità al fine di garantirgli il cammino della salvezza. La Chiesa, infallibile soltanto nell’annuncio del Vangelo, ha sempre poi lasciato la massima libertà di opinione, anche in teologia, in quel campo che non mettesse in pericolo i valori della fede e della morale.
L’eresia concerne evidentemente l’esercizio dell’intelligenza, poiché è questione di verità ed è l’intelletto che ha per oggetto la verità. Tuttavia nella vita umana la volontà, la prassi e quindi gli interessi economici interagiscono con gli interessi intellettuali e conoscitivi secondo una reciproca influenza che può recar beneficio ma anche danno sia alle idee che al comportamento. Il modo e i contenuti del pensiero certamente influiscono sull’azione, ma anche le inclinazioni, gli affetti, i bisogni e gli interessi pratici e materiali influiscono sulle dottrine, sulle credenze e sul sapere.
E come la virtù intellettuale facilmente va d’accordo con la virtù morale, così il vizio del pensiero facilmente si sposa col vizio morale. Per questo, ponendosi eresia ed avarizia sul piano del vizio – vizio del pensiero e vizio dell’azione – è facile trovare un nesso, anche se non sempre in tutti i casi, tra l’eretico e lo schiavo di Mammona.
L’eresia, come ho detto, è causata direttamente e propriamente  dalla superbia, per la quale il soggetto si ritiene in grado o in dovere di notare di falso la dottrina della Chiesa, quasi che, grazie ad un contatto diretto con Dio, sia a conoscenza della divina rivelazione meglio della Chiesa stessa o sappia meglio interpretare Bibbia e Tradizione, e in forza di questa superiore conoscenza, si ritenga capace di correggere la Chiesa rifiutando il suo insegnamento.
Ma la superbia a sua volta è strettamente legata ad uno smodato bisogno di potenza, di dominio, di godimento e di possesso, ad un idolatrico attaccamento al mondo, ad un’esagerata cura dei propri interessi e della propria immagine, alla tendenza a sfruttare gli altri a proprio vantaggio, ad una puntigliosa, stizzosa e vendicativa difesa del proprio io, ad una profonda inquietudine polemica, ad un bisogno narcisistico ed insaziabile di emergere, di esibizionismo e affermazione dell’io, il quale esplicitamente o implicitamente, ritenendosi l’unica ed l’assoluta “autocoscienza”, rifiuta di sottomettersi a Dio o identificandosi con Dio (panteismo) o sostituendosi a Lui (ateismo).
L’eretico, quindi, in vista di assicurare al suo io il primato sull’essere, facilmente è soggetto al vizio dell’avarizia, ossia a quella ricerca di potere e di possesso economico o per conto proprio o per mezzo di altri, che gli consente di esercitare concretamente e materialmente sugli altri quel dominio e quella sopraffazione che sono l’effetto immediato della superbia nel campo dei rapporti col prossimo.
I contenuti stessi dell’eresia, al di là di progetti falsamente spiritualistici o materialistici in modo aperto ed esplicito, propongono una visione della vita umana chiusa in prospettive meramente terrene per non dire economiche ed esaltano il possesso e il godimento delle ricchezze come ideale supremo della vita umana, incuranti del bene comune e delle esigenze della giustizia e della solidarietà sociali. Sotto questo profilo l’eretico o trae dalle sue idee un profitto economico personale o agisce a servizio di forze economiche o si serve di queste forze che si muovono nel senso delle sue idee ereticali.
L’eresia è una menzogna nel campo della fede ed è il segno di un’impostazione di vita alla quale non interessa la verità, ma il successo, il piacere e il potere e facilmente l’interesse si volge al potere economico, dunque l’avarizia. Per questo l’eresia facilmente attecchisce in quelle classi di governo o ambienti politici ai quali non interessa la verità circa il bene comune, i diritti umani o i bisogni della gente, ma la conservazione di una posizione di prestigio e l’esercizio dello sfruttamento economico.
Laddove un governo o una politica sono attenti alla verità sull’uomo, facilmente troviamo l’armonia con la dottrina della fede e la comunione ecclesiale; dove invece essi mirano ad arraffare,  alla prepotenza o alla dittatura, troviamo lo spregio simultaneo delle esigenze della giustizia e della verità di  fede. L’ingiustizia e l’eresia vanno sempre di pari passo.
La preoccupazione per la giustizia e la pace senza una corrispettiva adeguata attenzione al pericolo che viene dall’eresia, è un difetto diffuso nella pastorale di oggi, ed è una cattiva interpretazione della pastorale promossa dal Concilio. Tale atteggiamento dimostra impreparazione teologica, infedeltà al Magistero, inescusabile dabbenaggine e forse anche in certi casi insincerità e nascoste connivenze con la stessa eresia.
Così si deve dire che l’avarizia, che intacca l’onestà, la temperanza e la sobrietà nella vita fisica, cammina parallelamente alla disonestà o slealtà della menzogna sul senso trascendente o teologico della vita, che caratterizza l’eresia. Nella Bibbia troviamo sempre assieme la duplice detestazione della brama delle ricchezze come dell’orgoglio ereticale, in quanto sorgenti radicali di tutti i mali, del corpo e dell’anima. “Non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esca dalla bocca di Dio”.
Dal punto di vista economico sembrerebbe di trovare una condanna dell’avarizia simile a quella che Marx fa dell’ingiustizia sociale come principio dell’alienazione dell’umanità, se non fosse che nel materialismo marxiano, amante dei sofismi dialettici, manca la doverosa condanna della disonestà intellettuale, tipica dell’eresia, come principio altrettanto grave dell’infelicità, della schiavitù e della perdizione dell’uomo.
Un certa corrente filomarxista della teologia della liberazione condannata a suo tempo dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, nel momento in cui accentua l’esigenza della giustizia in una prospettiva meramente terrena, chiusa al futuro ultraterreno e soprannaturale, si oppone all’avarizia solo apparentemente, ma in realtà finisce per bloccare il vero processo della liberazione evangelica dell’uomo, cedendo quindi ad una visione ereticale.
Su questa linea è il famoso teologo ex-francescano Leonardo Boff, i cui scritti furono a suo tempo condannati, il quale si è di recente rifatto vivo nella speranza di accaparrarsi il Papa con mossa perfida contrapposto da lui a Benedetto XVI che lo ha condannato.
E così parimenti certe visioni apparentemente personalistiche e spiritualistiche come il rahnerismo, che sembrerebbero del tutto aliene dal favoreggiare l’avarizia, in realtà col loro immanentismo finiscono per esaltare un umanesimo chiuso al trascendente e quindi tutto orientato al possesso e al dominio dei beni terreni, il che è eretico e nello stesso tempo favoreggia l’avarizia.
L’avarizia è occasione ed incentivo all’eresia. L’avarizia infatti, immergendo la mente negli interessi terreni, le impedisce di elevare lo sguardo, di avere quella limpidezza e quella libertà con la quali potrebbe attingere alle superiori verità della fede, gustarle e metterle in pratica. In tal modo l’avarizia, mantenendo la mente raso terra, riproduce sé stessa e si chiude alla verità della fede. Ecco dunque l’eresia.
La pratica intensiva, organizzata ed abile dell’avarizia, dal canto suo, quello che alcuni chiamano “senso degli affari”, è spesso sorgente di lauti ed illeciti proventi per l’eretico e per i suoi seguaci e sponsorizzatori. Infatti esiste un vasto pubblico che preferisce la dolce menzogna alla dura verità, per cui esso volentieri acquista i prodotti degli eretici.
Quale responsabilità hanno qui le case editrici cattoliche! Il vizio promuove la falsità e la falsità è causa del vizio. E tutti sappiamo quanto il danaro sia legato al vizio, benché col danaro si possano compiere meravigliose ed utilissime opere religiose e sociali, come dimostra la vita dei santi e degli onesti imprenditori e dirigenti d’azienda nel campo dell’industria e dello sviluppo economico. Il capitalismo, come spiega la recente dottrina della Chiesa, non è un male in sé, se viene impiegato a servizio del bene comune.
I mali tuttavia in generale si incrementano a vicenda sul piano del pensiero e dell’azione, anche se poi avviene che ciò si verifica, grazie a Dio, anche per i beni. Come avarizia ed eresia si richiamano a vicenda, altrettanto sono sorelle la fede ortodossa e la giustizia sociale.
Quanto all’avarizia, la gravità di questo vizio è ben nota e denunciata già dai saggi pagani. Ricordiamo la famosa detestazione della auri sacra fames di virgiliana memoria. Per capire l’odiosità di questo vizio non occorrono infatti speciali rivelazioni celesti o acume speculativo, ma è sufficiente una minima dose di buon cuore e di senso di umanità, che però purtroppo non albergano sempre di fatto in tutti.
La figura commovente e nobile del buon samaritano sta sempre ad insegnarci che il senso naturale ed onesto della solidarietà umana, anche in soggetti in buona fede non istruiti dal punto di vista della dottrina, può averla vinta su di una cultura religiosa raffinata ed ipocrita che finisce però in realtà, a causa dell’egoismo e della durezza di cuore, per celare la vergogna dell’eresia.
Accade così che il comando divino dell’amore del prossimo (“amatevi come Io vi ho amato”), fondamentale verità di fede del cristianesimo, elevando la naturale solidarietà umana alla dignità soprannaturale di fratellanza in Cristo, abbia per contrapposto che l’avarizia si presenti non solo come ingiustizia sul piano delle virtù morali e del diritto naturale, ma anche e soprattutto come vera e propria eresia, peccato contro la fede e contro il Vangelo.
Gesù, nella sua polemica contro i farisei, li accusa simultaneamente di ipocrisia per la loro incredulità e falsa fede in Jahvè, nonché di avarizia per il loro sfruttare un’apparente professione di vita religiosa per bassi fini egoistici o di potere economico. Viceversa il Vangelo è annunciato ai poveri sia nel senso dei bisognosi economicamente che nel senso dei bisognosi di verità, umilmente aperti alla Parola del Vangelo.
Quanto ancor oggi purtroppo la polemica di Gesù resta attuale per tutti quegli ambienti religiosi e clericali nei quali la professione di fede vien falsata per essere considerata non come il vertice degli interessi - fons et culmen - ma come fonte di loschi affari e guadagni illeciti!
Quanto spesso nei discorsi, nei capitoli e nelle riunioni di ecclesiastici o di religiosi che dovrebbero essere luce della Chiesa ed esempio di vita sobria, le questioni trattate con maggior serietà, calore e sottigliezza di argomenti degni di miglior causa, non sono quelle dottrinali o pastorali, ma quelle relative a vendite, acquisti, affari, guadagni, intrallazzi, profitti e cose del genere!
In tal modo capita che la Chiesa, che di per sé è una comunione spirituale, avendo essa anche un aspetto terreno ed essendo composta di uomini fallibili e peccatori, scada a volte nello stile di una qualunque società umana con i suoi egoismi e discutibili interessi per non dir di peggio, per cui è sempre bisognosa di essere corretta, riformata e riportata sulle vie del Vangelo.
Tutti i Concili ecumenici della storia hanno sempre avuto questa funzione di richiamo alla verità contro gli eretici e simultaneamente di restaurazione della giustizia contro reati amministrativi - pensiamo al “giubileo” ebraico - o contro i falsi pastori che invece di nutrire il gregge ingrassano sé stessi o scappano davanti al lupo.
Anche Papa Francesco si accinge ad una riforma della Curia Romana a cinquant’anni dal riforma promossa da Paolo VI alla luce del Concilio Vaticano II. Che cosa è successo? Forse la riforma promossa dal Concilio era difettosa? O forse non è stata applicata bene? Difficile dirlo.
Questa riforma de fide et morbus dovrà muoversi su due binari, come sempre: eliminazione dell’eresia e delle ingiustizie nell’amministrazione dei beni della S. Sede. L’immaginario collettivo è particolarmente colpito dalla vicenda dello IOR, mentre i modernisti cercano di distogliere l’attenzione dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, dato che sono parte in causa, ma non dimentichiamo il problema più grave che è quello della crisi di fede, della quale parlava Papa Benedetto XVI nella sua dichiarazione di dimissioni.
Anche la Congregazione per la Dottrina della Fede ha bisogno di uomini dalla fede purissima ed integerrima, considerando il loro ruolo delicatissimo di aiutanti del Papa nella tutela della retta fede, così come del resto anche lo IOR necessita di persone totalmente disinteressate, di eccellente competenza e di specchiata onestà. Ma lo IOR e la CDF devono procedere in piena reciprocità sotto la guida del Papa, così come anima e corpo devono procedere in armonia sotto la guida della stessa anima.
Le Opere di Religione non possono essere ben condotte ed amministrate se non alla luce della fede, non per altri interessi che non siano quelli della fede e della diffusione del Vangelo. Ed ecco dunque riaffacciarsi il problema dell’eresia, che non è necessariamente negazione di un dogma speculativo, ma anche di quel dogma fondamentale che è la pratica della giustizia evangelica.
Preghiamo per il Santo Padre perché lo Spirito Santo e l’intercessione di Maria SS.ma gli diano la forza di compiere questa impresa gigantesca e rischiosa, circondato da fidati e capaci collaboratori. Ed in ogni caso la Chiesa andrà avanti di vittoria in vittoria, giacché, secondo la promessa del divin Fondatore, portae inferi non praevalebunt.
 

(Fonte: P. Giovanni Cavalcoli, o.p., Riscossa Cristiana, 27 luglio 2013)