martedì 15 agosto 2023

Murgia santa subito? Non è proprio il caso


Pur con tutto il rispetto dovuto per la morte, l'esaltazione di Michela Murgia appare fuori luogo. Definita scrittrice "controcorrente", in realtà è stata sempre dalla parte del potere, quello vero. E per paradosso anche la Chiesa istituzionale la celebra come "grande cattolica".

Michela Murgia «ricorda Sant’Agostino: l‘esperienza personale diventa simbolo universale» declama, spericolatamente, Dacia Maraini su Huffington Post. Una fra le tante uscite ispirate dalla morte della scrittrice. La celebrazione pressoché unanime della Murgia da parte del mondo della cultura, della politica e dello spettacolo, ci fa comprendere che era investita di un ruolo importante nel comunicare la mentalità contemporanea di cui i principali media si fanno megafono.

Di fronte alla morte di una persona ancora giovane – spirata il 10 agosto, a 51 anni, pochi mesi dopo aver annunciato un tumore –, che ha mostrato coraggio e dignità di fronte alla propria morte, è difficile scrivere, soprattutto quando si va in direzione contraria al coro di lodi unanimi. Si teme di apparire inopportuni, stonati. Tuttavia, la Murgia era un personaggio pubblico e se viene celebrata come una grande intellettuale, addirittura «indispensabile», una «lottatrice» per i diritti degli ultimi, «attivista», «teologa», «filosofa», «innovatrice», «grande scrittrice» o «grande cattolica» allora è giusto esprimersi e ricordare gli elementi della sua vicenda che risultano critici a chi abbia una visione differente da quella propagandata dalla scrittrice sarda.

Su Repubblica Giulia Santerini definisce la Murgia una scrittrice «cattolica». Se si può scrivere tanto è perché l’identità cattolica è in crisi, attaccata anche dall’interno della Chiesa. Nessuno può dare patenti di cattolicità perché è la dottrina che definisce e lei non può essere definita, per le dottrine che propagandava, cattolica, se ha ancora un senso la parola. Il Sole 24 Ore la ricorda come scrittrice «antagonista contro il patriarcato», dimenticando che non siamo negli anni Sessanta e il patriarcato è smantellato da tempo e la Murgia ne combatteva il fantasma eliminando le vocali finali delle parole.

Diceva di essere scomoda ma l’11 agosto Rai 3 ha presentato in prima serata una programmazione a lei dedicata, un onore mai concesso agli scrittori scomodi. I palinsesti di ogni media si sono riempiti di sue riapparizioni, celebrazioni, letture, lodi senza contraddittorio. Persino Giorgia Meloni, con tutto il governo schierato, ha fatto il suo dovere istituzionale delle condoglianze che si presentano alle grandi personalità.

Michela Murgia, in fondo, aveva scelto di stare dalla parte del potere anche se lo negava con sdegno; quel potere che, attraverso le lotte che lei appoggiava, sta rimodellando le nostre vite abolendo confini fra sessi, nazioni, proprietà. Quel potere che, attraverso istituzioni comunitarie, favorisce il traffico di uomini attraverso le Ong e i loro complici scafisti. Quel potere che favorisce la denatalità a favore di una fertilità tecnica e mercenaria, l’aborto sempre più facile, l’omogenitorialità, l’eutanasia, la maternità surrogata, tutti punti difesi tenacemente dalla donna che puntellava queste scelte con la volontà o espediente di essere vicina a “Dio Madre”.

La scrittrice sarda esprimeva un pensiero fazioso e violento, irridente e blasfemo, persino feroce. Però era chiara: definiva amici e nemici con chiarezza. Dunque, riabilitarla, portarla dalla propria parte anche da quella “destra” – vera o sedicente – che lei individuava nei cattolici lontani dalle innovazioni creative degli ultimi anni o in mentalità politiche da lei vituperate, o lontane dalla sinistra neoliberista prodotto del marxismo culturale, non ne rispetta la volontà. Le va dato atto di non essere stata ipocrita: ha sempre attaccato, morto o vivo che fosse, chiunque andasse contro le sue idee. Non avrebbe gradito riabilitazioni da chi disprezzava.

Sino alla fine ha “combattuto” con segni e rituali forti, come il matrimonio “queer” della famiglia allargata. Ma se i segni hanno un valore, allora il fatto che il suo vestito da cerimonia sia stato impreziosito dalla scritta ricamata God Save the Queer della stilista di Dior, Maria Grazia Chiuri, avrà un significato. Il marchio del lusso Dior, come tutti i marchi importanti, appoggia le idee che sono maggioritarie come la grande finanza, le multinazionali dei media, le grandi istituzioni appoggiano le medesime lotte care alla Murgia. Quello del 15 luglio fu «matrimonio» fatto «pur non credendo nel matrimonio», aveva chiarito. Le teorie radical-femministe, “intersezionali”, della Murgia sono una vecchia conoscenza della cultura europea che demolisce il bello e il passato; ma lei era riuscita, partecipando a trasmissioni televisive e usando il suo talento comunicativo, a farle tornare novità. Il suo odio per un fascismo più immaginario che reale e contro una Chiesa “vecchia” era implacabile.

La teologa Marinella Perroni sull’Osservatore Romano ne loda l’amicizia e l’umanità: «Non avrebbe certo potuto scrivere in God Save the Queer le pagine davvero magiche di teologia trinitaria, se non avesse fatto questa esperienza di Dio e degli umani». Su Avvenire – che ha dedicato molti articoli alla Murgia in poche ore – Roberto Carnero insiste soprattutto sull’«inclusività» della sua teologia delle «periferie», perché il cattolicesimo è religione dell’«et-et», non dell’«aut-aut». Vero, ma ci sono dei limiti: in un’intervista su Repubblica definiva la Trinità «due uomini e un uccello», «patriarcato tossico» e meglio sarebbe una Trinità di «tre donne». Sono concetti «illuminanti» di teologia trinitaria? È l’applicazione dell’et-et? Lo lasciamo giudicare al lettore.

Quanto al catechismo femminista della Murgia, ne scriveva già 100 anni fa l’occultista Valentine de Saint Point e in termini molto simili parlando già di un Dio-Madre, con tutto quanto conseguiva.

La scrittrice sarda verrà ricordata soprattutto per i suoi pamphlet polemici Stai zitta, Morgana Ave Mary, testi brevi, rapsodici, taglienti che ritagliava fra le sue collaborazioni giornalistiche, le rubriche sulle riviste femminili. Come diventare fascisti polemizzava contro un fascismo parodistico, felliniano. Della sua opera letteraria si può ricordare Accabadora (2009) che ha grazia di scrittura, il romanzo breve L’incontro (2014) e Tre ciotole (2023), racconti ispirati alla malattia. Probabilmente, Michela Murgia più che scrittrice era donna di spettacolo, attivista moderna, spesso in televisione, spessissimo alla radio e nei teatri.

 

(Fonte: Mario Iannacone, LNBQ, 14 agosto 2023)
https://lanuovabq.it/it/murgia-santa-subito-non-e-proprio-il-caso

 

 

IL CASO AVVENIRE: Con la Chiesa o con gli usurpatori: ognuno decida


L'aperta legittimazione dell'omosessualità da parte del quotidiano dei vescovi italiani, che nega così un Magistero consolidato, deve far prendere coscienza della vera sfida che riguarda tutti i fedeli e, in primis, ogni singolo vescovo.

Che Avvenire sia da tempo impegnato nella promozione dell’agenda Lgbt nella Chiesa non è certo una novità e noi lo abbiamo più volte denunciato. Ma forse non si era mai arrivati a una tale chiarezza sulla legittimazione dell’omosessualità e transessualità come varianti naturali della sessualità. In pratica a una piena accettazione dell’ideologia gender. La risposta data da Luciano Moia a una lettrice sull’edizione del 10 agosto è eloquente. Lo spiega bene Tommaso Scandroglio nell’articolo di primo piano, in cui documenta anche le falsità dottrinali e magisteriali di cui fa sfoggio Moia per poter sostenere la sua tesi.

Non ci ripeteremo qui, piuttosto vorremmo allargare il discorso cogliendo le implicazioni e le conseguenze di tale situazione. Ora, è vero che quanto pubblicato da Avvenire – pur se in forma autorevole, come è l’articolo di Moia – non può essere attribuito automaticamente alla Conferenza Episcopale Italiana (CEI), proprietaria del quotidiano. E però non si può essere così ingenui da pensare che certi articoli e soprattutto la linea tenuta su un argomento così delicato non sia ispirata dall’alto o goda comunque dell’approvazione dei vertici della CEI. Come detto, infatti, non si tratta di un episodio isolato ma di una campagna vera e propria che dura da anni e punta a convertire tutta la Chiesa italiana al verbo omosessualista, compresa una pressione piuttosto esplicita su movimenti e diocesi perché si occupino di pastorale Lgbt. Né possiamo far finta che questa non sia la strada imboccata anche da Roma: certe manifestazioni alla recente GMG di Lisbona e la preparazione del Sinodo di ottobre sono decisamente eloquenti.

Semplicemente ad Avvenire si fa dire quello che i vescovi non possono (ancora) dire apertamente, anche se già agiscono così: vedi il caso della benedizione della coppia gay a Bologna, diocesi retta dal presidente della CEI, cardinale Matteo Zuppi (vedi qui e qui).

E a questo proposito è chiaro che – se non ci saranno interventi “correttivi” – la strada imboccata è proprio quella della piena legittimazione delle unioni gay. Se infatti «esistono diversi approcci alla sessualità» e non ci sono «gerarchie di rispetto e di dignità», non solo non c’è alcun motivo per impedire le benedizioni delle coppie gay, ma non si potrà neanche discriminare in fatto di matrimonio. È una questione di pura logica. Tutti i distinguo clericali, i giri di parole, il permettere delle cose facendo finta di non saperne nulla, sono soltanto tattiche per abituare il popolo di Dio alle nuove idee.

Quindi torniamo al punto: alla presidenza e segreteria della CEI sono tutti d’accordo sulla promozione dell’ideologia gender e della legittimazione dell’omosessualità e di tutte le altre varianti possibili (la “beatificazione” in corso di Michela Murgia ha anche digerito il “matrimonio queer”)? E, uscendo dal Palazzo, in Italia tutti i vescovi concordano con i concetti espressi da Avvenire o li trovano “normali”? Non pretendiamo grosse manifestazioni pubbliche di dissenso – non sia mai – ma ci sono comunque molti modi “istituzionali” per manifestare preoccupazione o porre domande adeguate alla gravità della situazione.

Perché non ci si può prendere in giro: o sbaglia la Parola di Dio e il modo con cui la Chiesa l’ha sempre interpretata, oppure sbaglia – e di grosso – Avvenire con tutti i vescovi che spingono in quella direzione. Non è un caso che Moia, a sostegno delle sue tesi, non possa citare nulla della Tradizione della Chiesa e deve addirittura forzare anche Amoris Laetitia: siamo al cospetto di una “nuova Chiesa” che sta prendendo il possesso della Chiesa di Cristo. Come del resto aveva “visto” Paolo VI, in quella riflessione raccolta dal filosofo francese Jean Guitton l’8 settembre 1977: «Ciò che mi colpisce, quando considero il mondo cattolico, è che all’interno del cattolicesimo sembra talvolta predominare un pensiero di tipo non cattolico, e può avvenire che questo pensiero non cattolico all’interno del cattolicesimo diventi domani il più forte. Ma esso non rappresenterà mai il pensiero della Chiesa».

Ecco, in questi frangenti crediamo sia doveroso da parte di tutti - vescovi, preti, laici – decidere se seguire e difendere apertamente «il pensiero della Chiesa» o lavorare per i suoi nemici usurpatori. Può essere che il «pensiero non cattolico» si presenti come vincitore assoluto, appaia inutile opporvisi e sia quindi più conveniente adeguarsi, ma non dimentichiamo mai che la Chiesa è di Dio ed è al Signore che alla fine dovremo rispondere.

 

(Fonte: Riccardo Cascioli, LNBQ, 14 agosto 2023)
https://lanuovabq.it/it/con-la-chiesa-o-con-gli-usurpatori-ognuno-decida?fbclid=IwAR3x89Up9Rtld_r95hvslKr4Mp3maUphX2tFSZs19GJgrjvBCfSOsCDyndM

 

  

“Veritatis splendor”: i 30 anni di un'enciclica dimenticata


I media vaticani hanno ignorato i 30 anni di "Veritatis Splendor", l'enciclica di San Giovanni Paolo II che denunciava i travisamenti della morale cattolica su questioni fondamentali. Ora quei travisamenti sono diventati la regola nella Chiesa per cui commemorare l’enciclica diventa compromettente.

Il 6 agosto di 30 anni fa Giovanni Paolo II pubblicava l’enciclica Veritatis splendor “su alcune questioni fondamentali dell’insegnamento morale della Chiesa”. L’Osservatore Romano non ha ricordato l’anniversario. Vatican News non he ha parlato. Avvenire nemmeno. È vero che di solito si ricordano i 25 e i 50 anni di avvenimenti di questo tipo, come avviene con i matrimoni, come è vero che la GMG ha monopolizzato la comunicazione ecclesiale in questi giorni, ma una così generale dimenticanza lascia attoniti. Questo atteggiamento esprime bene il disprezzo che la Chiesa ufficiale dedica all’enciclica sulla morale di un grande Pontefice.

La Veritatis splendor non contiene tutta la dottrina morale cattolica, suo scopo era denunciare e correggere alcuni travisamenti della morale cattolica su questioni fondamentali. Ora quei travisamenti sono diventati la regola nella Chiesa per cui commemorare l’enciclica diventa compromettente. Meglio non parlarne, abbandonarla nel gorgo dell’oblio, come se non fosse mai stata scritta. Come sarebbe possibile, senza arrossire, ricordare in questi giorni quell’enciclica senza notare che essa fa a pugni con Amoris laetitia e in generale con lo status della teologia morale sotto Francesco? Come sarebbe possibile spacciare per continuità una differenza così evidente e sostanziale? Infatti, per trovare delle commemorazioni di questo trentennale bisogna rifarsi a centri di pensiero più o meno critici verso l’abbandono di quella prospettiva di teologia morale, come per esempio Catholic Thing oppure Crisis Magazine.

La condanna della Veritatis splendor e la damnatio memoriae ordinata a suo riguardo non avvengono in modo espresso, ma nel grigio dell’ombra. Nell’attuale pontificato non c’è stato alcun documento di revisione di quanto insegnato da Giovanni Paolo II. In altre parole: perché la Veritatis splendor debba esse lasciata alla deriva non è mai stato spiegato. Cosa ci fosse di sbagliato o di inadeguato in essa non è mai stato detto. Si è solo deciso di andare oltre, di voltare pagina. Tanto il tempo passa, la gente si dimentica, e coloro che continueranno a tenerla presente e a far notare le contraddizioni con i nuovi insegnamenti prima o dopo si stancheranno e tutto finirà così nel nulla.

Ma la Chiesa che volta pagina è come un esercito che lascia i propri soldati in territorio nemico, abbandonandoli. La Veritatis splendor, e lo stesso si può dire per la Humanae vitae, non sono solo dei testi da mettere in archivio: su di essi molti cristiani hanno costruito la battaglia della loro vita. Dimenticare quei documenti senza dire perché significa abbandonare quei compagni di viaggio a se stessi.

Di questo voltare pagina in silenzio, di questo fingere che il convitato di pietra non esista, di questo procedere come se tutto fosse iniziato dopo la Veritatis splendor due aspetti colpiscono in modo particolare. Uno riguarda il metodo e l’altro il contenuto.

L’imposizione dall’alto del nuovo corso della teologia morale cattolica antitetico alla Veritatis splendor è avvenuto non solo senza spiegare i perché, ma anche tramite colpi di mano e manovre politiche, tramite sotterfugi e sgambetti, ossia in modo poco decoroso. La vicenda dell’Istituto Giovanni Paolo II testimonia il disprezzo per le persone, le macchinazioni politiche, una nuova collocazione giuridica inventata ad hoc e funzionale alla trasformazione sostanziale delle finalità dell’Istituto. Potevano essere scelti modi meno lesivi della memoria di Giovanni Paolo II e meno irriguardosi per quanti si erano validamente impegnati in quella istituzione.

Le nomine di discussi membri delle Pontificie accademie, le dichiarazioni provocanti su temi di etica teologica del Presidente della Pontificia accademia per la vita, gli slogan creativi detti da Francesco in svariate interviste, la promozione nella Chiesa di personaggi schierati sulle nuove prospettive di etica cattolica, la provocazione e la gestione di processi rivoluzionari come nei sinodi sulla famiglia, le note a piè pagina di Amoris laetitia … in queste modalità poco ortodosse e poco rispettose è stata scavata la tomba della Veritatis splendor.

Per quanto riguarda l’aspetto contenutistico, bisogna notare che la damnatio memoriae è stata totale, nessun suo aspetto si è salvato, nessuna pietà per i vinti. Non si è salvato l’impianto di teologia fondamentale di riferimento dell’enciclica, la visione antropologica che vi sottendeva, i problemi di conoscenza della norma naturale e rivelata, i rapporti tra le due, il rapporto tra la norma e la coscienza, l’esistenza di azioni sempre erronee e da non compiersi mai e in nessuna occasione, la valutazione del ruolo delle circostanze, l’aspetto oggettivo e pubblico del peccato, la visione stessa del peccato ora visto come inadeguatezza rispetto ad un ideale, la possibilità di riconoscere giuridicamente le azioni contro la legge naturale e la stessa concezione della legge morale naturale.

Niente si è salvato della Veritatis splendor. 
L’enciclica non esiste. Perché commemorarla?

 

(Fonte: Stefano Fontana, LNBQ, 8 agosto 2023) 
https://lanuovabq.it/it/veritatis-splendor-i-30-anni-di-unenciclica-dimenticata