Pur con tutto il rispetto dovuto per la morte, l'esaltazione di Michela Murgia appare fuori luogo. Definita scrittrice "controcorrente", in realtà è stata sempre dalla parte del potere, quello vero. E per paradosso anche la Chiesa istituzionale la celebra come "grande cattolica".
Michela Murgia «ricorda Sant’Agostino: l‘esperienza personale diventa simbolo universale» declama, spericolatamente, Dacia Maraini su Huffington Post. Una fra le tante uscite ispirate dalla morte della scrittrice. La celebrazione pressoché unanime della Murgia da parte del mondo della cultura, della politica e dello spettacolo, ci fa comprendere che era investita di un ruolo importante nel comunicare la mentalità contemporanea di cui i principali media si fanno megafono.
Di
fronte alla morte di una persona ancora giovane – spirata il 10
agosto, a 51 anni, pochi mesi dopo aver annunciato un tumore –, che ha mostrato
coraggio e dignità di fronte alla propria morte, è difficile scrivere,
soprattutto quando si va in direzione contraria al coro di lodi unanimi. Si
teme di apparire inopportuni, stonati. Tuttavia, la Murgia era un personaggio
pubblico e se viene celebrata come una grande intellettuale, addirittura
«indispensabile», una «lottatrice» per i diritti degli ultimi, «attivista»,
«teologa», «filosofa», «innovatrice», «grande scrittrice» o «grande cattolica»
allora è giusto esprimersi e ricordare gli elementi della sua vicenda che
risultano critici a chi abbia una visione differente da quella propagandata
dalla scrittrice sarda.
Su Repubblica Giulia
Santerini definisce la Murgia una scrittrice «cattolica». Se si può
scrivere tanto è perché l’identità cattolica è in crisi, attaccata anche
dall’interno della Chiesa. Nessuno può dare patenti di cattolicità perché è la
dottrina che definisce e lei non può essere definita, per le dottrine che
propagandava, cattolica, se ha ancora un senso la parola. Il Sole 24
Ore la ricorda come scrittrice «antagonista contro il patriarcato»,
dimenticando che non siamo negli anni Sessanta e il patriarcato è smantellato
da tempo e la Murgia ne combatteva il fantasma eliminando le vocali finali
delle parole.
Diceva
di essere scomoda ma l’11 agosto Rai 3 ha presentato in prima serata una
programmazione a lei dedicata, un onore mai concesso agli scrittori scomodi. I
palinsesti di ogni media si sono riempiti di sue riapparizioni, celebrazioni,
letture, lodi senza contraddittorio. Persino Giorgia Meloni, con tutto il
governo schierato, ha fatto il suo dovere istituzionale delle condoglianze che
si presentano alle grandi personalità.
Michela
Murgia, in fondo, aveva scelto di stare dalla parte del potere anche se lo negava con
sdegno; quel potere che, attraverso le lotte che lei appoggiava, sta
rimodellando le nostre vite abolendo confini fra sessi, nazioni, proprietà.
Quel potere che, attraverso istituzioni comunitarie, favorisce il traffico di
uomini attraverso le Ong e i loro complici scafisti. Quel potere che favorisce
la denatalità a favore di una fertilità tecnica e mercenaria, l’aborto sempre
più facile, l’omogenitorialità, l’eutanasia, la maternità surrogata, tutti
punti difesi tenacemente dalla donna che puntellava queste scelte con la
volontà o espediente di essere vicina a “Dio Madre”.
La
scrittrice sarda esprimeva un pensiero fazioso e violento, irridente e blasfemo,
persino feroce. Però era chiara: definiva amici e nemici con chiarezza. Dunque,
riabilitarla, portarla dalla propria parte anche da quella “destra” – vera o
sedicente – che lei individuava nei cattolici lontani dalle innovazioni
creative degli ultimi anni o in mentalità politiche da lei vituperate, o
lontane dalla sinistra neoliberista prodotto del marxismo culturale, non ne
rispetta la volontà. Le va dato atto di non essere stata ipocrita: ha sempre
attaccato, morto o vivo che fosse, chiunque andasse contro le sue idee. Non
avrebbe gradito riabilitazioni da chi disprezzava.
Sino
alla fine ha “combattuto” con segni e rituali forti, come il matrimonio “queer” della famiglia
allargata. Ma se i segni hanno un valore, allora il fatto che il suo vestito da
cerimonia sia stato impreziosito dalla scritta ricamata God Save the
Queer della stilista di Dior, Maria Grazia Chiuri, avrà un
significato. Il marchio del lusso Dior, come tutti i marchi importanti,
appoggia le idee che sono maggioritarie come la grande finanza, le
multinazionali dei media, le grandi istituzioni appoggiano le medesime lotte
care alla Murgia. Quello del 15 luglio fu «matrimonio» fatto «pur non credendo
nel matrimonio», aveva chiarito. Le teorie radical-femministe,
“intersezionali”, della Murgia sono una vecchia conoscenza della cultura
europea che demolisce il bello e il passato; ma lei era riuscita, partecipando
a trasmissioni televisive e usando il suo talento comunicativo, a farle tornare
novità. Il suo odio per un fascismo più immaginario che reale e contro una
Chiesa “vecchia” era implacabile.
La
teologa Marinella Perroni sull’Osservatore Romano ne loda
l’amicizia e l’umanità: «Non avrebbe certo potuto scrivere in God Save
the Queer le pagine davvero magiche di teologia trinitaria, se non
avesse fatto questa esperienza di Dio e degli umani». Su Avvenire –
che ha dedicato molti articoli alla Murgia in poche ore – Roberto Carnero
insiste soprattutto sull’«inclusività» della sua teologia delle «periferie»,
perché il cattolicesimo è religione dell’«et-et», non dell’«aut-aut». Vero, ma
ci sono dei limiti: in un’intervista su Repubblica definiva la
Trinità «due uomini e un uccello», «patriarcato tossico» e meglio sarebbe una
Trinità di «tre donne». Sono concetti «illuminanti» di teologia trinitaria? È
l’applicazione dell’et-et? Lo lasciamo giudicare al lettore.
Quanto
al catechismo femminista della Murgia, ne scriveva già 100 anni fa l’occultista
Valentine de Saint Point e in termini molto simili parlando già di un
Dio-Madre, con tutto quanto conseguiva.
La
scrittrice sarda verrà ricordata soprattutto per i suoi pamphlet polemici Stai
zitta, Morgana o Ave Mary, testi brevi,
rapsodici, taglienti che ritagliava fra le sue collaborazioni giornalistiche,
le rubriche sulle riviste femminili. Come diventare fascisti polemizzava
contro un fascismo parodistico, felliniano. Della sua opera letteraria si può
ricordare Accabadora (2009) che ha grazia di scrittura, il
romanzo breve L’incontro (2014) e Tre ciotole (2023),
racconti ispirati alla malattia. Probabilmente, Michela Murgia più che
scrittrice era donna di spettacolo, attivista moderna, spesso in televisione,
spessissimo alla radio e nei teatri.
(Fonte:
Mario Iannacone, LNBQ, 14 agosto 2023)
https://lanuovabq.it/it/murgia-santa-subito-non-e-proprio-il-caso