martedì 17 novembre 2020

Gene blasfemo in Duomo, ma per il vescovo è solo gossip

Sketch triviali in Duomo al convegno sul beato Focherini. Ecco cosa ha detto Gene Gnocchi a Carpi nella performance di cui parla tutt'Italia: «Cerco lavoro, sono la controfigura di Rocco Siffredi, dopo che è rimasto amputato col ciak. Per stare svegli servono le palle del toro... e del torero. Paola Ferrari? Per Brosio è la Madonna di Medjugorje». A più di un mese dall'esibizione blasfema in Cattedrale, il vescovo di Carpi, Castellucci, presente e sorridente all'evento, non ha ancora chiesto scusa ai fedeli per le allusioni sessuali pronunciate dal comico sul presbiterio mentre la diocesi derubrica l'episodio a gossip. Il dramma di una Chiesa ossessionata dallo stare al passo coi tempi che svilisce il sacro e si fa caricatura di se stessa. 

 Nella grottesca vicenda di Gene Gnocchi in cattedrale a Carpi colpisce il fatto che il solo a farne le spese sia stato il prete che ha denunciato la “performance” mentre i vertici della Chiesa locale, con in testa il vescovo, ridevano per le blasfeme battute del comico, che non facevano neanche ridere.

I fatti sono usciti in questi giorni, ma risalgono al 10 ottobre. Per celebrare i 75 anni del martirio in campo di concentramento del beato Focherini, la diocesi di Carpi aveva promosso, attraverso un comitato apposito presieduto dal vicario diocesano don Ermenegildo Manicardi, una serie di iniziative tra cui un convegno storico sulla figura del martire carpigiano.

Al termine delle relazioni storico-teologiche, per alleggerire la mattinata, sul presbiterio della Cattedrale è salito in scena il comico con uno spettacolo chiamato Pandemia. Che c’entra con il tema di Focherini? Niente, ed è anche questa una delle tante stranezze che la diocesi avrebbe dovuto spiegare e invece non ha fatto.

Comunque, i giornali hanno riferito dell'accenno di Gnocchi su Rocco Siffredi perché un sacerdote che era in diocesi fino a un anno fa, don Ermanno Caccia (ora è a Chioggia), ha scritto sul suo profilo Fb che la battuta volgare di Gnocchi sul re del porno aveva dissacrato l’evento.

L’Adnkronos ha rilanciato la notizia e la cronaca di giro ha fatto il resto. Il Resto del Carlino ha pensato bene anche di intervistare il comico che si è limitato a dire che in realtà il vescovo e tutti gli altri ridevano di gusto e che era stato chiamato proprio dal vicario, il quale al termine dell’esibizione si è anche lanciato in un peana di ringraziamento al comico.

E ha ragione, in fondo ha fatto il suo mestiere di giullare. Il grande colpevole in questa squallida storia invece è proprio la Chiesa carpigiana, rappresentata dal vicario don Manicardi e dal vescovo di Modena Erio Castellucci, che ha preso la responsabilità pastorale della Chiesa di Carpi e Mirandola dopo le dimissioni improvvise di monsignor Francesco Cavina. Anche ieri dall’ufficio stampa della diocesi ci si è limitati a derubricare la cosa come un semplice gossip.

Invece quello che viene chiamato gossip in realtà, è stata una profanazione della Cattedrale, faticosamente restaurata dopo il sisma del 2012 e visitata da Papa Francesco nel 2017, che è stata teatro della performance di Gnocchi, il quale in 15 minuti di show ha fatto almeno tre battute impronunciabili in una chiesa. 15 minuti regolarmente fatturati, ma il cui importo la diocesi non ha voluto svelare.

Ma che cosa ha detto di preciso il comico? I giornali non lo hanno detto, anche perché il video dello “show” non  è mai stato pubblicato sul sito diocesano.

La Bussola oggi è in grado di ricostruire le parole del suo intervento e i passaggi più sconci, scoprendo, tra l’altro, che le battute irriverenti, del luogo e del contesto, erano almeno tre.

La prima è quella incriminata: Gene Gnocchi ad un certo punto si chiede: “Perchè mi trovo qui?”. Fa un monologo sul lavoro e sugli annunci di lavoro e poi informa il pubblico: “Non so se sapete che io sono la controfigura ufficiale di Rocco Siffredi”. Risate del pubblico. Poi prosegue: “Sì, perché una volta Siffredi è andato troppo vicino al ciack e… (lascia intendere che il ciack gli ha mozzato gli attributi ndr.) così hanno chiamato me”. Risate del pubblico, il vescovo Castellucci, probabilmente ignaro di quanto sarebbe stato elevato il valore spirituale della performance, si limita a ridere a denti stretti.

Ma non è niente di originale: si tratta di una battuta di un vecchio schetch del comico sul cercare lavoro disperatamente, scritto molto prima della pandemia, comunque. (Eccolo al minuto 3)

Prima però, Gnocchi, per aiutare il pubblico a rimanere sveglio al convegno, aveva apparecchiato il tavolo dei relatori, in presbiterio, dove ogni giorno si celebra la Messa, con acqua, bottiglie di lambrusco, un panino al prosciutto, una polvere che chiama “coca” e una Redbull. E così è partito: “Sapete come si fa la Redbull in casa?”. Il pubblico attende. “Ve lo dico io: prendete le palle del toro (la bevanda energizzante ha come simbolo proprio un toro ndr) e se non le avete, prendete le palle del torero”. Il pubblico ride, qualcuno si rende conto che l’intervento da osteria è irriverente del luogo, il vescovo Castellucci continua a fare buon viso a cattivo gioco. Ma anche questo è uno schetch già visto, per lo meno su youtube dove non sembra aver riscosso particolare successo. 

Infine, la performance, ormai un supplizio perché non c’è niente di più triste di un comico che non fa ridere, figurarsi se si esibisce in una chiesa, vira sull’avanspettacolo con battute che neanche al Bagaglino avrebbero partorito: “Quando lavoravo alla Domenica Sportiva, per illuminare Paola Ferrari (la conduttrice ndr.) lo studio rimaneva al buio, una volta entrò Paolo Brosio e urlò: Oddio, la Madonna di Medjugorie!”.

Nei giorni seguenti, la Diocesi ha diffuso tutti gli interventi tranne quello di Gene Gnocchi, evidentemente subodorando eventuali reazioni contrariate dei fedeli. Ma la voce dell'esibizione triviale di Gnocchi ha iniziato a circolare lo stesso sotto il portico di Piazza Martiri e volando veloce di bocca in bocca, è volata come una freccia scoccata dall'arco anche da don Caccia, come a tanti altri preti della diocesi. E qui il prete, che è stato l’ex direttore del settimanale diocesano prima che una polemica politica (un apprezzamento al leader leghista Salvini) lo azzoppasse, ha fatto il suo j’accuse.

Ieri mattina la Bussola ha cercato gli uffici della diocesi per un chiarimento. Ma nessuno è voluto intervenire, limitandosi a derubricare l’episodio a gossip e stupendosi del fatto che un giornale come il nostro potesse occuparsi di una notizia del genere.

Forse perché, a differenza di altri, abbiamo capito la notizia: in quei pochi minuti sono state commesse diverse profanazioni di cui qualcuno, magari lo stesso vescovo, dovrebbe chiedere scusa: al beato martire Focherini, il cui ricordo è stato lordato da uno spettacolo di bassissima qualità artistica, avulso dal contesto e già visto, e alla Cattedrale di Carpi, che dopo la ferita del sisma è assurta agli onori della cronaca non per esigenze di culto, ma per l’egocentrismo di un comico in crisi di ascolti e di una Chiesa in crisi di idee.

Una Chiesa che è ormai ossessionata dallo stare al passo coi tempi, in spasmodica ansia di parlare il linguaggio del mondo, ma che si trova fuori tempo massimo ad abbracciare anche le storture di quel mondo del quale non si accorge di andare al guinzaglio, specchiandosi nella caricatura di se stessa e svilendo quel sacro di cui dovrebbe essere custode. 

Il sesso: da tabù a pornografia. Qualcosa di cui finalmente si può ridere. C'è qualcosa che esprime un disagio e un'incompiutezza di fondo. Sorridere si può, ma senza dissacrare e senza prendere in giro i fedeli con i quali si è fatto finta di nulla quando ci si è accorti che lo spettacolo aveva travalicato i confini della decenza. Sconcertante che i primi a non rendersene conto siano proprio alcuni pastori.

 

(Fonte: Andrea Zambrano, LNBQ, 17 novembre 2020)

https://lanuovabq.it/it/gene-blasfemo-in-duomo-ma-per-il-vescovo-e-solo-gossip

 

lunedì 16 novembre 2020

McCarrick e omosessualità, c'è un problema dottrinale

La vicenda dell'ex cardinale americano e l'impostazione del Rapporto ratificano un cambiamento dottrinale nella valutazione morale e religiosa della pratica omosessuale. La cosa più preoccupante, frutto di Amoris Laetitia, è che l'obiettivo non è più difendere la fede, ma le persone coinvolte.

Il Rapporto McCarrick della Segreteria di Stato è stato finora analizzato dal punto di vista della ricostruzione dei fatti. La cosa è perfettamente comprensibile dato che si tratta di precisare le responsabilità personali dei diversi attori della vicenda. Non andrebbe però trascurata un’altra dimensione, più ampia anche se giornalisticamente meno attraente, che fa da contesto dentro cui collocare anche la ricerca delle responsabilità e la comprensione di quanto è avvenuto.

Mi riferisco alla dimensione dottrinale circa la valutazione morale e religiosa della pratica omosessuale. È infatti plausibile pensare che se nella Chiesa cambia la valutazione degli atti omosessuali e se si indebolisce la loro condanna dal punto di vista dottrinale, allora anche la tolleranza pratica può trovare maggiori giustificazioni. Questo indebolimento del rigore risulta in modo molto evidente dal Rapporto, nonostante le sue parzialità e lacune.

Questo passaggio dall’esame della questione in base a criteri di politica ecclesiastica al piano dottrinale va quindi fatto, perché, tra l’altro, anche qui ci sono senz’altro delle responsabilità. Ci si chiede se sia più censurabile un rettore di seminario che tace su certi avvenimenti immorali interni al seminario stesso o un docente/teologo di quello stesso seminario che nelle sue lezioni sostiene ammissibile e lecita la pratica omosessuale. Un vescovo è da considerarsi responsabile di omissione solo quando non interviene su un sacerdote della sua diocesi o anche quando conserva nel loro posto teologi che dalla cattedra negano e sconvolgono la dottrina morale della Chiesa su questi argomenti?

Benedetto XVI aveva attirato l’attenzione proprio su questa dimensione quando, l’11 aprile 2019, aveva reso note le sue osservazioni sulla Chiesa e gli abusi sessuali. Dal 21 al 24 febbraio precedente si era tenuto l’incontro dei presidenti di tutte le Conferenze episcopali del mondo, un evento più di propaganda che di sostanza che aveva distolto l’attenzione dai veri problemi. Benedetto XVI, invece, centrò il problema, parlando del “collasso della teologia morale cattolica” avvenuta nel ventennio 1960-1980, un “processo inaudito, di un ordine di grandezza che nella storia è quasi senza precedenti” a seguito del quale “i criteri validi in tema di sessualità sono venuti meno completamente”. A ciò fece progressivamente seguito un altro collasso, quello della “forma vigente fino quel momento” della preparazione nei seminari.

Questa trasformazione della teologia morale cattolica e della morale sessuale è ancora in atto anche oggi e, dopo Amoris laetitia, ha ricevuto una nuova spinta dall’alto. Se la situazione dei divorziati risposati, come dice l’Esortazione di papa Francesco, non si presta ad una valutazione morale in sé come azione intrinsecamente cattiva ma va valutata “caso per caso” mediante il metodo del “discernimento”, non si capisce perché questi criteri non possano essere applicati anche alla situazione di un sacerdote, di un vescovo o di un cardinale che si siano abbandonati a pratiche omosessuali. Se la pastorale del discernimento sostituisce quella della dottrina perché poi lamentare queste ondate di immoralità nel clero?

La trasformazione della teologia morale in atto da decenni, trattenuta con grande fatica dalla Veritatis splendor di Giovanni Paolo II e ora ripresa e confermata autoritativamente dall’alto, ritiene che la norma morale sia rigida e astratta se non viene fatta propria dalla coscienza, la quale avrà quindi un valore “creativo” della stessa norma.
Ritiene che il discernimento non si debba applicare solo alle azioni buone, ma anche a quelle intrinsecamente cattive – come sono l’adulterio o l’attività omosessuale – anzi elimina la nozione stessa di azioni intrinsecamente cattive. Pensa che le circostanze che delineano la situazione in cui si agisce non siano solo accidentali, ma che concorrano a determinare la bontà o meno dell’azione, da cui deriva il metodo del “caso per caso”, ossia l’impossibilità di definire l’adulterio o l’esercizio dell’omosessualità come azioni cattive in sé e quindi sempre riprovevoli e condannabili.

Ma c’è qualcosa anche di più preoccupante. Se si legge Amoris laetitia si vede che la prima preoccupazione non è di proteggere i sacramenti nella fede della Chiesa, ma di proteggere le persone coinvolte nelle vicende esistenziali. Allora, analogamente, anche nei casi di immoralità sessuale accertata di sacerdoti si può procedere non nel proposito di difendere prima di tutto la fede, ma le persone coinvolte. Questa distorsione nel modo di vedere le cose rende molto difficile applicare il codice di diritto canonico, come si è verificato nei casi di omosessualità, che non sono più visti come delitti contro la fede ma situazioni da valutare caso per caso nella garanzia dei soggetti coinvolti.
Se la norma morale è fatta anche dalla coscienza e costruita nella ricerca, non sarà più possibile intenderla come oggettiva, assoluta e – per la morale cattolica – fondata sulle due rocce della legge naturale e della rivelazione.

Quando cerchiamo di valutare i fatti relativi alla vicenda Mc Carrick, anche a seguito del recente Rapporto del Vaticano, non dimentichiamo che in essi si vive una contesa non solo di tipo personalistico, con ecclesiastici che tentano di proteggersi, ma dottrinale. Allora potremmo anche capire meglio i singoli fatti.


(Fonte: Stefano Fontana, LNBQ, 16 novembre 2020)

https://lanuovabq.it/it/mccarrick-e-omosessualita-ce-un-problema-dottrinale

 

  

lunedì 9 novembre 2020

Come Francesco prepara il conclave, con i cardinali suoi favoriti

Non è più un’ipotesi ma una certezza. Ora sappiamo che papa Francesco “per primo” tiene ben fisso il pensiero “a quel che sarà dopo di me”, cioè al futuro conclave, vicino o lontano che sia. L’ha detto lui stesso in un’intervista di pochi giorni fa all’agenzia ADN Kronos. Nella quale ha anche applicato a sé il memorabile “Siamo in missione per conto di Dio” dei Blues Brothers, con queste testuali parole::

“Non temo nulla, agisco in nome e per conto di nostro Signore. Sono un incosciente? Difetto di un po’ di prudenza? Non saprei cosa dire, mi guida l’istinto e lo Spirito Santo”.

In effetti le ultime sue promozioni – e destituzioni – di cardinali vecchi e nuovi sembrano mirate proprio ad allestire un conclave di suo gradimento.

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Per cominciare, Francesco ha messo brutalmente fuori gioco – degradandolo da un minuto all’altro il 24 settembre – un cardinale come Giovanni Angelo Becciu, che in un conclave, se non un candidato alla successione, sarebbe stato sicuramente un grande elettore capace di giocare in proprio, forte dei suoi otto anni da “sostituto” della segreteria di Stato, a contatto quotidiano col papa e con in pugno il governo della Chiesa mondiale.

Spogliato dei suoi “diritti” di cardinale, Becciu non potrà infatti neppure entrare in un conclave, nonostante uno storico della Chiesa come Alberto Melloni sostenga il contrario.

Il movente della sua caduta in disgrazia sarebbe il suo cattivo uso dei soldi della segreteria di Stato e dell’Obolo di San Pietro. Ma Becciu sa anche che né il papa né il proprio diretto superiore, il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, possono dirsi estranei alle colpe che gli vengono caricate addosso. Sono già di dominio pubblico, infatti, sia un documento della magistratura vaticana nel quale risulterebbe che Becciu agiva informando il papa delle sue mosse, anche le più arrischiate, ricevendone ogni volta l’approvazione, sia un recentissimo scambio di e-mail di lavoro tra il cardinale Parolin e la sedicente esperta di servizi segreti Cecilia Marogna, reclutata anni prima da Becciu tra i “pubblici ufficiali” della segreteria di Stato e ora imputata di peculato e di appropriazione indebita dei denari vaticani a lei incautamente devoluti.

A riprova dello stretto legame fiduciario che fino a pochissimo tempo fa legava il papa a Becciu va anche notato che Francesco l’aveva nominato suo “delegato speciale” presso l’ordine dei Cavalieri di Malta. E chi il papa ha ora nominato al posto di Becciu? Un altro dei suoi favoriti, il neocardinale Silvano Tomasi, già rappresentante vaticano presso le Nazioni Unite, ma soprattutto parte in causa nello scontro fratricida interno all’ordine che nel gennaio del 2017 portò l’innocente gran maestro Fra’ Matthew Festing alle forzate dimissioni, impostegli dal papa in persona.

Tomasi, molto vicino al cardinale Parolin, è appunto uno dei tredici nuovi cardinali che Francesco rivestirà della porpora il prossimo 28 novembre.

Una lista nella quale è istruttivo vedere non solo chi c’è dentro, ma anche chi ne è fuori.

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Ne sono fuori, ad esempio, due arcivescovi di prima grandezza: quello di Los Angeles José Horacio Gómez, che è anche presidente della conferenza episcopale degli Stati Uniti, e quello di Parigi Michel Aupetit.

L’uno e l’altro hanno qualità non comuni e godono di ampia stima, ma hanno lo svantaggio – agli occhi di Francesco – di apparire troppo lontani dalle linee direttrici dell’attuale pontificato. Aupetit ha anche esperienza come medico e bioeticista, al pari dell’arcivescovo e cardinale olandese Willem Jacobus Eijk. E non è un mistero che sia Gómez che Aupetit, se fatti cardinali – ma non accadrà –, entrerebbero, in un conclave, nella rosa dei candidati di solido profilo alternativi a Francesco, rosa di cui già fanno parte Eijk e il cardinale ungherese Péter Erdô, ben conosciuto per aver guidato con saggezza e fermezza, nel doppio sinodo sulla famiglia di cui era relatore generale, la resistenza ai fautori del divorzio e della nuova morale omosessuale.

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Tra i cardinali elettori di fresca nomina, tutti debitori a Jorge Mario Bergoglio delle rispettive carriere, sono almeno tre quelli che fanno spicco.

Negli Stati Uniti ha fatto rumore la promozione alla porpora di Wilton Gregory, arcivescovo di Washington, primo cardinale afroamericano della storia ma anche avversario acerrimo di Donald Trump.

Dall’isola di Malta proviene l’altro neocardinale Mario Grech, acceso fautore della sinodalità come forma di governo della Chiesa e recentemente promosso da Francesco a segretario generale del sinodo dei vescovi. Fresco di nomina, Grech si è subito prodotto in un’intervista a “La Civiltà Cattolica” nella quale ha tacciato di “analfabetismo spirituale” e “clericalismo” quei cristiani che soffrono per la mancanza della celebrazione eucaristica durante i “lockdown” e non capiscono che dei sacramenti si può fare a meno perché ci sono “altri modi per agganciarsi al mistero”.

Ma ancor più strategica, per papa Francesco, è la promozione di Marcello Semeraro, il neocardinale che egli ha collocato nel posto lasciato vuoto dal defenestrato Becciu, quello di prefetto della congregazione per le cause dei santi.

Semeraro è un personaggio chiave della corte di Bergoglio, fin dalla sua elezione a papa. È stato fino a poche settimane fa il segretario della squadra degli 8, poi 9, poi 6 e ora 7 cardinali che coadiuvano Francesco nella riforma della curia e nel governo della Chiesa universale.

Pugliese, 73 anni, Semeraro è stato professore di ecclesiologia alla Pontificia Università Lateranense e poi vescovo, prima di Oria e poi di Albano. Ma la svolta decisiva è stata per lui la partecipazione al sinodo del 2001 come segretario. Fu lì che si legò all’allora cardinale Bergoglio, improvvisamente incaricato di tenere la relazione introduttiva di quell’assise al posto del cardinale Edward M. Egan di New York, costretto a rimanere in patria per l’attentato alle Torri Gemelle.

Il legame tra i due si fece presto saldissimo e ogni volta che Bergoglio veniva a Roma non mancava di fare una puntata nella vicina Albano. Finché arrivò il conclave del 2013 e i due – ama ricordare Semeraro – si incontrarono per un paio d’ore il giorno prima delle votazioni, con Bergoglio “stranamente silenzioso”. Il primo vescovo che il nuovo papa ricevette in udienza dopo la sua elezione fu proprio Semeraro, presto nominato segretario della neonata squadra dei cardinali consiglieri. Quando nel dicembre del 2017 Semeraro compì 70 anni Francesco gli fece la sorpresa di comparire ad Albano all’ora di pranzo e far festa con lui (vedi foto).

Ma c’è dell’altro. Sia Gregory, sia Grech, sia ancor più Semeraro sono da anni attivi sostenitori di un cambiamento della dottrina e della prassi della Chiesa cattolica in materia di omosessualità. Nella diocesi di Albano, Semeraro ha ospitato ogni anno il Forum dei cristiani LGBT italiani. Ed è sua la prefazione al recente saggio “L’amore possibile. Persone omosessuali e morale cristiana”, di don Aristide Fumagalli, docente alla facoltà teologica di Milano ed emulo in Italia del gesuita americano James Martin, ancor più celebre banditore della nuova morale omosex, al quale anche papa Francesco non ha mancato di manifestare il suo apprezzamento.

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Vanno inoltre registrate le mosse che Francesco ha compiuto in queste ultime settimane a vantaggio di altri cardinali a lui cari.

La più singolare è stata il 5 ottobre la nomina del cardinale Kevin Farrell a presidente di un nuovo organismo vaticano con competenza sulle “materie riservate”, cioè estranee alle norme ordinarie e coperte dal più rigoroso segreto.

Farrell, 73 anni, nato a Dublino e poi vescovo negli Stati Uniti, in gioventù membro dei Legionari di Cristo, è dal 2016 prefetto del dicastero vaticano per i laici, la famiglia e la vita, e dal febbraio 2019 anche “camerlengo” del collegio dei cardinali, cioè deputato a reggere il governo della Chiesa nel periodo tra la morte di un papa e l’elezione del successore.

È chiaro che con queste promozioni in serie papa Francesco ha attribuito a Farrell, evidentemente suo beniamino, un cumulo inusitato di poteri.

E questo è avvenuto nonostante la biografia di questo cardinale abbia dei lati oscuri, tuttora non chiariti.

I suoi anni più nebulosi sono quelli in cui, come vescovo ausiliare e vicario generale di Washington, fu il più vicino collaboratore e fiduciario dell’allora titolare dell’arcidiocesi, il cardinale Theodore McCarrick, con il quale tra il 2002 e il 2006 condivise anche l’abitazione.

In quegli stessi anni le due diocesi di Metuchen e Newark delle quali McCarrick era stato precedentemente vescovo pagarono decine di migliaia di dollari per chiudere le vertenze con ex preti che lo avevano denunciato d’avere abusato sessualmente di loro. E già circolavano contro McCarrick accuse molto più estese di abusi, quelle accuse che successivamente accresciutesi e accertate avrebbero portato nel 2018 alla definitiva sua condanna e riduzione allo stato laicale.

Ma nonostante quella sua forte prossimità a McCarrick, Farrell ha sempre sostenuto di non aver mai avuto, in quegli anni, “alcuna ragione di sospettare” alcunché di illecito nei comportamenti del cardinale che era suo capo, mentore e amico.

Nell’ottobre del 2018 papa Francesco ha promesso la pubblicazione di un rapporto che dovrebbe gettare luce sulle coperture e complicità di cui McCarrick avrebbe goduto in campo ecclesiastico fino ai più alti gradi.

Ma la nomina di Farrell a custode delle materie più riservate non assicura che quel rapporto – la cui pubblicazione è annunciata per domani, 10 novembre – farà piena chiarezza.

Come prefetto del dicastero per la famiglia, Farrell si è anche distinto nel chiamare come relatore all’incontro mondiale delle famiglie tenuto a Dublino nel 2018 il gesuita Martin, del cui libro pro LGBT “Building a bridge” aveva scritto la prefazione.

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Un’altra mossa di Francesco ha riguardato la cosiddetta “banca” vaticana, lo IOR, Istituto per le Opere di Religione.

A sovrintendere allo IOR c’è una commissione cardinalizia, nella quale il papa ha compiuto il 21 settembre alcuni ricambi.

Tra i nuovi membri ha immesso due suoi pupilli: il cardinale polacco Konrad Krajewski, suo “elemosiniere” attivissimo nelle opere di carità, e il cardinale filippino – un po’ cinese per parte di madre – Luis Antonio  Gokim Tagle, prefetto di “Propaganda Fide” e universalmente ritenuto l’uomo che Francesco più vorrebbe come suo successore.

Tra i membri rimossi c’è invece un nome di spicco, quello del cardinale Pietro Parolin. Il che ha fatto pensare a un declassamento sia suo che della segreteria di Stato.

In realtà la fuoruscita dalla commissione dello IOR è per Parolin un vantaggio. Il cardinale sta facendo di tutto per accreditarsi come estraneo ai malaffari finiti sotto processo nella segreteria di Stato, e quindi ha interesse a tenersi lontano anche da una tempesta che potrebbe presto investire lo IOR, accusato da due fondi di investimento di Malta di aver procurato ad essi un danno di decine di milioni di euro, in conseguenza della rottura di un accordo per l’acquisto e il restauro dell’ex Palazzo della Borsa di Budapest.

Intanto, però, Parolin ha subito un altro rovescio, e molto più pesante: l’ingiunzione del papa alla segreteria di Stato di spogliarsi dei suoi cospicui beni mobili e immobili, da dare tutti in custodia alla banca centrale vaticana, l’APSA, e da sottoporre al controllo della segreteria per l’economia, cioè proprio di quell’organismo presieduto in origine dal cardinale George Pell al quale né Parolin né il suo sostituto Becciu vollero mai sottomettersi.

Parolin era da tempo classificato tra i “papabili”, dai quali ora può ritenersi depennato. Ma era almeno da due anni che i consensi a una sua candidatura erano in netto declino. Come uomo di governo, i malaffari dei suoi subalterni in segreteria di Stato gli hanno giocato pesantemente contro. Come diplomatico, non c’è scacchiere su cui abbia registrato un minimo successo, né in Medio Oriente, né in Venezuela, né tanto meno in Cina. E anche le sue decantate capacità di arginare ed equilibrare lo stato di confusione indotto nella Chiesa dal pontificato di Francesco sono risultate alla prova dei fatti troppo modeste, se non inesistenti.

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In effetti, come uomo di comando, papa Bergoglio mostra di preferire a Parolin un altro cardinale, l’honduregno Óscar Andrés Rodríguez Maradiaga, che ha riconfermato a metà ottobre nella carica di coordinatore del “C7”, la squadra dei sette cardinali suoi consiglieri.

Ma come Francesco possa continuare a fidarsi di Maradiaga resta un mistero. Oltre che fatto segno da tempo di pesanti accuse di malversazioni finanziarie già indagate da una visita apostolica nella sua diocesi, Maradiaga ha avuto per anni come suo vescovo ausiliare e pupillo Juan José Pineda Fasquelle,  destituito nell’estate del 2018 a motivo di continuate pratiche omosessuali con suoi seminaristi.

Non solo. In quella stessa estate del 2018 Francesco ha nominato nel ruolo chiave di sostituto della segreteria di Stato – al posto di Becciu promosso cardinale – l'arcivescovo venezuelano Edgar Peña Parra, già consigliere di nunziatura in Honduras tra il 2002 e il 2005 e legatissimo a Maradiaga e Pineda, di cui propiziò la nomina a vescovo ausiliare di Tegucigalpa, oltre che lui stesso fatto segno di accuse di cattiva condotta mai fatte oggetto in Vaticano di una imparziale verifica.

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Resta dunque Tagle il vero successore che Francesco ha “in pectore” e che tutte le mosse descritte sembrano ancor più favorire?

Che il cardinale sino-filippino sia il “papabile” più caro a Bergoglio è fuor di dubbio. Ma che un futuro conclave lo elegga papa è tutt’altro che scontato. Proprio perché troppo replicante di Francesco, è facile prevedere che Tagle finirà triturato dalle molteplici insofferenze per l’attuale pontificato che inesorabilmente verrano allo scoperto.

Quindi non è escluso che Bergoglio abbia in mente anche un altro successore di suo gradimento, forse più capace di essere eletto. E costui potrebbe essere il camaleontico cardinale di Bologna Matteo Zuppi, già per contro suo con varie frecce al proprio arco, il mese scorso persino vincitore di un premio come filosofo, ma la cui forza elettorale è data soprattutto dalla Comunità di Sant’Egidio, di cui è cofondatore e che è indiscutibilmente la più potente, influente e onnipresente lobby cattolica degli ultimi decenni, a livello mondiale, molto introdotta nelle alte gerarchie della Chiesa.

Con Bergoglio papa, la Comunità di Sant’Egidio ha toccato il suo apogeo anche in Vaticano, con Vincenzo Paglia alla testa degli istituti per la vita e la famiglia, con Matteo Bruni a capo della sala stampa, col capo supremo della comunità Andrea Riccardi alla regia dello scenografico summit interreligioso per la pace presieduto dal papa lo scorso 20 ottobre, e soprattutto con Zuppi fatto cardinale un anno fa. “Cardinale di strada”, come ama essere definito, oltre che autore di quell’infallibile biglietto d’ingresso nella corte di Francesco che è la prefazione all’edizione italiana del libro pro LGBT del gesuita Martin.

 

(Fonte: Sandro Magister, Settimo cielo, 9 novembre 2020)

http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2020/11/09/come-francesco-prepara-il-conclave-con-i-cardinali-suoi-favoriti/