mercoledì 21 luglio 2021

Una bufera scuote la Chiesa: cosa svela l'ordine del Papa


Tra tradizionalisti e progressisti, la Chiesa si trova di fronte a un'altra grande prova dopo la decisione del Papa sulla Messa in rito antico

 

Il ridimensionamento della Messa in latino è un caso e la bufera era prevedibile. La contesa non è solo liturgica: la Chiesa cattolica vive un momento in cui alcune distanze siderali, peralto preesistenti, si manifestano continuamente e in maniera sempre più dura. Due visioni contrapposte, con tutte le loro sfumature, che possono essere notate anche solo a livello comunicativo.

In realtà, i progressisti non stanno esultando più di tanto. Dopo la mossa del Papa, prevale il silenzio nella "sinistra ecclesiastica". Nessuno spumante stappato, insomma, ma un'esultanza strozzata che può avere comunque un suo particolare significato. Perché il sommerso attorno al rito antico, al netto degli atteggiamenti pubblici, è già tutto sulla scena e si è depositato in anni di polemiche ecclesiologiche.

Traditionis Custodes - questo il nome del "Motu proprio" di Francesco - è per i tradizionalisti la più classica delle gocce capaci di far traboccare un vaso considerato ricolmo da tempo. Interpretare la reazione della "destra ecclesiastica" è più semplice. Per i conservatori è in atto ciò che le avvisaglie avevano raccontato con anticipo: più o meno da quando papa Francesco è stato eletto sul soglio di Pietro. Il tam-tam sulla imminente crisi del Messale romano ha origini pluriennali: questo - dicevano certi ambienti tradizionalisti - sarà il pontificato che depennerà la cosiddetta "Messa tridentina". O comunque la sconvolgerà - insistevano - per come la conosciamo. Da destra, sempre per semplificazione, erano anche certi che questi sarebbero stati gli anni della "Messa ecumenica", dell'ordinazione dei laici, delle diaconesse e così via.

Forse la verità risiede nel mezzo. Il Papa non ha dato seguito alla rivoluzione in cui la sinistra ecclesiastica continua a sperare. Su questa storia del vetus ordo, tra chi legge la scelta del Pontefice come una legittima e necessaria limitazione e chi invece ne fa un dramma, ce ne passa. Ma la polarizzazione interessa tutta la Chiesa cattolica ed è risalente nel tempo.

Le reazioni

Il Summorum Pontificum di Benedetto XVI - Motu proprio diventato forse anche più rappresentativo delle sue iniziali intenzioni - era definito "sotto attacco" prima ancora che Jorge Mario Bergoglio ragionasse sulla normativa. Tanto che durante questo pontificato sono nate iniziative, blog ed eventi a vario titolo che sembravano mettere le mani avanti su un'imminente smobilitazione normativa.

La fase odierna è quella in cui la "destra ecclesiastica" rivendica la ragione. Nel contempo, se i progressisti sorridono, lo fanno tacendo. Chissà perché. Poi si rincorrono le voce come quella rilanciata dal blog Campari e De Maistre secondo cui il Motu proprio di Bergoglio sarebbe opera di ambienti precisi: viene chiamata in causa l'ipotesi dell'Ateneo di Sant'Anselmo. I retroscena troveranno ulteriore spazio.

Cattolici, i tradizionalisti non conoscono crisi vocazionale

La querelle sul rito antico non è certo finita. Il mantra tradizionalista è che il Motu proprio dell'Emerito deve essere difeso. E anche se l'ondata dei contrari alla mossa del Papa non è ancora stata organizzata, non possono essere escluse iniziative plateali. C'è chi pensa anche a una maggiore partecipazione, con qualche forma di protesta, al pellegrinaggio annuale del Summorum Pontificum che ha caratura internazionale. Nel comunicato del coordinamento nazionale si legge la parola "resistenza".

Ce ne sono tanti altri, ma quel termine può raccontare un obiettivo, che poi è quello di non riporre nel dimenticatoio il rito antico. Di fare in modo, insomma, che la mossa del Papa non significhi "cancellazione", come tanti critici scrivono in queste ore.

I perché della mossa di Francesco

Molti si interrogano su cosa abbia spinto Sua Santità a muoversi in questo modo. C'è chi pensa che Francesco abbia fatto bene. E che dunque sarebbe giusta la riforma della possibilità di celebrare secondo il Messale romanoestendendo le facoltà decisionali dei vescovi ed introducendo l'obbligo di costituire parrocchie ad hoc.

È il caso del religioso Rosario Vitale, che sostiene che Bergoglio abbia agito con giudizio per almeno due ragioni:"La prima perché ritengo sia giusto che la Chiesa abbia un rito unitario, che faccia risaltare, per citare le parole del Santo Padre, 'la comunione anche nell'unità di un solo Rito'". Dopodiché - annota Vitale - è la ratio stessa del Summorum Pontificum del papa emerito che sarebbe ormai passata in secondo piano: "Non sussiste più la ragione per cui Giovanni Paolo II con il documento Ecclesia Dei e Benedetto XVI con il Summorum Pontificum avevano permesso il ritorno al vetus ordo, che come sappiamo era quello di arginare lo scisma messo in atto da monsignor Lefebvre all'indomani del Concilio. Per cui - conclude il religioso - la decisione del Santo Padre mi trova pienamente d'accordo".

Quella scure di papa Francesco Chiuso l'istituto tradizionalista

Insomma, la questione dei lefebvriani - cui Francesco era sembrato persino vicino durante alcune fasi di questo pontificato - non sarebbe più di attualità secondo alcuni sostenitori della mossa del Papa. Dunque ben venga il nuovo Motu Proprio, tenendo conto dell'ubbidienza che chi è consacrato deve sempre perseguire nei confronti del Santo Padre.

Le "distorsioni" su cui è intervenuto papa Francesco

Francesco, nel normare il vetus ordo, ha anche citato alcune "distorsioni" liturgiche. Chi e come ha distorto le indicazioni sulla Messa antica dettate dal pontefice polacco e da quello tedesco? Perché Bergoglio nel presentare Traditionis Custodes cita quelle "distorsioni"? Vitale sul punto è lapidario: "Non possiamo parlare di errori liturgici perché l’uso del messale edito nel 1962 è stato permesso dai documenti che prima ho citato - premette - , tuttavia c’è da dire che la facoltà che nacque con lo scopo di ricucire uno scisma venne ben presto interpretata da molti come possibilità per tornare a rispolverare il vetus ordo. Vi fu certamente un errore di valutazione, e anche sotto questo punto di vista un abuso".

San Giovanni Paolo II e Benedetto XVI avrebbero dunque assecondato l'utilizzo del Messale romano con il fine esclusivo di evitare eccessive fughe verso la Fraternità San Pio X. Non solo: il terzultimo ed il penultimo pontefice avrebbero, con l'Ecclesia Dei e con il Summorum Pontificum, tentato di costruire un "ponte" con i lefebvriani. Quasi come se la Messa antica costituisse un segno imperituro di dialogo verso chi aveva deciso di percorrere strade alternative dopo il Concilio Vaticano II.

Un membro Cei attacca la Messa di Ratzinger

L'ex pontefice non è intervenuto sul punto. E sarebbe stato clamoroso il contrario. Hanno tuttavia detto la loro due cardinali considerati "conservatori", ossia il cardinal Raymond Leo Burke e l'ex prefetto della Dottrina della Fede, Gherard Ludwig Mueller. Il porporato americano, come si legge sul blog di Aldo Maria Valli, ha parlato di "durezza" in relazione al Motu proprio di Francesco. Il "principe della Chiesa" teutonico, come si apprende da Katolisch.de, sarebbe parso invece critico nei confronti della riforma del Papa gesuita. È la dimostrazione di come la preoccupazione di quei fedeli che si sbracciano dopo l'annuncio della rivoluzione sia condivisa anche da alcuni alti-ecclesiastici.

Quelle "ferite riaperte" dal Motu proprio di Francesco

Padre Federico Pozza dell'Istituto Cristo Re di Firenze premette di aver letto il Motu proprio soltanto due volte. Questo però consente comunque al monsignore di notare come Traditiones custodes intervenga "per disciplinare la celebrazione della Santa Messa secondo il Messale del 1962 da parte dei sacerdoti diocesani che hanno scoperto l'uso più antico del Rito Romano dopo il Motu proprio Summorum Pontificum di papa Benedetto XVI". La riforma sanerebbe dunque una sorta di gap normativo. "L'intervento del 2007 - spiega però don Pozza - poneva fine ad un'inutile guerra liturgica in seno alla Chiesa, e questo nuovo provvedimento potrebbe riaprire ferite che si stavano risolvendo". Le ferite che, secondo alcuni, Joseph Ratzinger aveva risanato proprio attraverso il suo di Motu sulla cosiddetta tridentina.

Perché oggi tutti riscoprono la grandezza di Ratzinger

Ma oggi Benedetto XVI non è più il vertice della Chiesa cattolica. E Traditionis Custodes ha suscitato i commenti più disparati. Tra questi, appunto quello del cardinal Burke, che ha parlato di "durezza". Cosa ne pensa monsignor Federico Pozza? "Dal tenore del Motu proprio e dalla lettera che lo accompagna - afferma l'ecclesiastico- , effettivamente il nuovo testo normativo parte da una visione molto pessimistica dei cattolici legati a questa legittima e mai abrogata espressione liturgica".

Il dato secondo cui la riforma di Bergoglio intervenga con estrema decisione è dunque condiviso. Poi la speranza, almeno tra coloro che vorrebbero continuare a celebrare secondo il vetus ordo: "L'esperienza, in generale, di questi ultimi 14 anni è stata ricca di bei frutti spirituali e pastorali. Certamente - chiosa Pozza - è auspicabile che le Congregazioni romane tengano conto di questi frutti e che non mortifichino i fedeli che con spirito di reale comunione ecclesiale hanno scoperto i tesori spirituali dei libri liturgici anteriori alla riforma del 1970". La sensazione è che in tanti, pur tenendo conto delle indicazioni del Santo Padre, continueranno a celebrare il rito antico.

 

(Fonte: Francesco Boezi, Il Giornale.it, 21 luglio 2021

Una bufera scuote la Chiesa: cosa svela l'ordine del Papa - ilGiornale.it

 

 

sabato 17 luglio 2021

Non solo la Messa antica, viene cancellato Benedetto XVI


Con il Motu proprio che fa fuori il vetus ordo, papa Francesco cancella lo sforzo di Benedetto XVI di costruire lo sviluppo della Chiesa nella continuità con la Tradizione, di evitare che il Concilio Vaticano II venisse inteso come una rottura.

 

Il cardinale Sarah aveva appena detto pochi giorni fa che il motu proprio Summorum pontificum con cui Benedetto XVI aveva nuovamente permesso la celebrazione secondo il messale di Giovanni XXIII del 1962 (il vetus ordo missae risalente a San Pio V) era il capolavoro del suo pontificato. Ieri, però, questo capolavoro è stato cancellato dal nuovo motu proprio Traditionis custodes di Francesco. È logico pensare che con esso sia stato cancellato anche Benedetto XVI, il quale però non rappresentava e non rappresenta solo se stesso. Ad essere stato cancellato, quindi, è molto di più anche di Benedetto XVI.

A leggere le spiegazioni che papa Francesco comunica ai vescovi di tutto il mondo nella Lettera personale che accompagna il motu proprio, si coglie subito che i motivi profondi che avevano indotto papa Ratzinger a ripristinare la messa antica, considerandola forma straordinaria dell’unica lex orandi della Chiesa romana, non vengono nemmeno ricordati. Può essere che non siano stati compresi, come può essere che si siano voluti nascondere per imporre l’idea della “continuità” tra questo motu proprio e il Summorum pontificum.
Francesco, infatti, propone ai vescovi la tesi secondo cui le stesse preoccupazioni che avevano animato Giovanni Paolo II e Benedetto XVI nelle loro disposizioni che liberalizzavano il rito antico sono anche quelle che ora animano lui nell’eliminarle. Questa spiegazione ha del rocambolesco, evidentemente, e le presunte deviazioni che secondo Francesco si sarebbero realizzate in questi anni dalle stesse attese dei due santi pontefici e che lo avrebbero indotto ad abolire le loro disposizioni in continuità con le loro motivazioni lasciano molto perplessi.

Secondo Francesco le motivazioni con le quali (soprattutto) Benedetto XVI aveva ripristinato il rito antico erano solo pastorali e volevano evitare una frattura nella Chiesa, accontentando una piccola frangia di fedeli appassionati al rito antico. Ma una simile spiegazione del Summorum pontificum è gravemente insufficiente e, possiamo dire, molto superficiale. Si sarebbe trattato di dare un “contentino”, di gettare un osso al cane. Nelle intenzioni di Benedetto XVI sul ripristino del vetus ordo c’era molto di più, in particolare c’era la grande questione della Tradizione.

Come è possibile che oggi sia illegale quanto era obbligatorio ieri? Qualsiasi istituzione che faccia questo – diceva e scriveva Benedetto XVI -  ridicolizza se stessa e si condanna all’insignificanza. Ciò che vale oggi, infatti, potrà non valere domani. Siccome la lex orandi coincide con la lex credendi, ripristinare col Summorum pontificum il rito di Pio V aggiornato da Giovanni XXIII significava ridare aria alla Tradizione e ribadire che la Chiesa non ri-comincia mai da zero. Non era la questione – come ritiene invece Francesco – di un residuo gruppo di fedeli nostalgici, esteticamente legati a certe formule, fuori della storia e che bisognasse accontentare perché non facessero troppo chiasso. In ballo c’era molto di più. Francesco cancella Benedetto XVI, prima ancora che con il nuovo motu proprio Traditionis custodes, con questa ridicola sottovalutazione di quanto stava dietro a quel suo “capolavoro”, come disse il cardinale Sarah.

Le aperture al vetus ordo di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI erano sì per l’unità della Chiesa, ma non perché intendessero racimolare qualche sparuto passatista per ricondurlo all’ovile, ma perché riproponevano l’enorme impegno di costruire l’unità della Chiesa sulla Tradizione, ossia su cosa la Chiesa è, è sempre stata e sempre sarà. Cosa impossibile da fare con le rotture col passato e con i “nuovi paradigmi”. Specialmente con le rotture liturgiche che sono sempre rotture dogmatiche, altro che pastorali.  

Papa Francesco cancella Benedetto XVI perché cancella il suo sforzo di costruire lo sviluppo della Chiesa nella continuità con la Tradizione. Questa era la lettura che egli dava del Vaticano II, il quale doveva essere letto nella tradizione della Chiesa e non come un nuovo dogma o un nuovo inizio. Questa era la lettura che egli dava dello sviluppo della teologia morale, che, aprendosi a nuove istanze, non poteva rinunciare al giusnaturalismo cattolico, ossia all’esistenza di un diritto naturale e di una legge morale naturale. Questa era la lettura che egli dava del dialogo interreligioso che non poteva fare a meno dell’annuncio di Cristo unico Salvatore. Questa era la lettura che egli dava perfino della Dottrina sociale della Chiesa, che non doveva essere divisa con un muro tra forma preconciliare e postconciliare. Si può dire che Benedetto XVI non sia riuscito in tutto e che vari aspetti di questo suo lavoro siano rimasti incompiuti, ma il lavoro non può essere negato.

Il nuovo motu proprio non si limita ad abrogare il Summorum pontificum, ma si propone anche di eliminare per morte lenta il fenomeno della messa antica. Il divieto di nuovi gruppi e l’impossibilità che i futuri sacerdoti ne apprendano la celebrazione, indicano una diagnosi eutanasica. Poiché però, come si è detto, questa non era solo una questione strettamente liturgica, si condanna a morte tutto quanto il suo ripristino aveva comportato. Cancellare il Summorum pontificum significa cancellare Benedetto XVI e questo vuol dire cancellare tutto il suo lavoro. Significa ricominciare da zero, peraltro sostenendo di farlo in custodia della tradizione.

 

(Fonte: Stefano Fontana, LNBQ, 17 luglio 2021)

https://lanuovabq.it/it/non-solo-la-messa-antica-viene-cancellato-benedetto-xvi

  

venerdì 9 luglio 2021

Concita, l'Orbanofobia e il giornalismo cialtrone


Le agenzie riportano la notizia della lussuosissima villa estiva fattasi costruire dal leader turco Erdogan, ma la celebratissima giornalista di Repubblica, Concita De Gregorio, presa da furore anti-sovranista legge Orbàn e scrive un articolo durissimo contro il presidente ungherese e i suoi amici sovranisti europei. E quando corregge, fa anche di peggio.... Psicopatologia del giornalismo di regime.


Un errore può capitare a tutti, ci mancherebbe. Soprattutto in questo mestiere: la fretta, la difficoltà di risalire alla fonte originaria della notizia, il correttore automatico maligno, omonimie che ingannano, e così via, il rischio di una scivolata è sempre dietro l’angolo. Ma ci sono errori ed errori: a volte strappano un sorriso, a volte dimostrano come la superficialità sia purtroppo una malattia professionale dei giornalisti, a volte rivelano l’ignoranza del singolo giornalista. Ma ci sono anche errori molto più preoccupanti perché sono l’indice di un furore ideologico che ha reso il giornalismo – parafrasando von Clausewitz – la continuazione della guerra con altri mezzi. Oggi è evidente che il giornalismo italiano è dominato da questi “baroni” della notizia per cui la realtà è un optional: finché serve per dare in testa al nemico da eliminare, o per sostenere il regime, bene; altrimenti i fatti si inventano, si distorcono, si insinuano e tanto peggio per la realtà. Fino a rendersi ridicoli.

Come è accaduto ieri alla celebratissima editorialista di Repubblica Concita De Gregorio che, nel suo curriculum vitae, vanta anche la direzione dell’Unità, trasmissioni Rai (ovviamente sul Tre) e tanti libri. Nel suo blog su Repubblica “Invece Concita” (che è anche rubrica cartacea del quotidiano romano) ha deciso di commentare una notizia che apparentemente le dava la possibilità di colpire duramente, tanto per cambiare, i vari politici sovranisti europei. «Guardo le immagini aeree della nuova residenza estiva del leader ungherese Viktor Orbàn….».

Una spesa di 62 milioni di euro, 300 stanze, un palazzo lussuosissimo: quale ghiotta occasione per sparare sul sovranista e fare la morale a questi «miliardari che fanno politica» e sbattono la loro ricchezza in faccia a quei poveracci del loro popolo che dicono di difendere. E come foto per l’articolo non poteva mancare Salvini che stringe la mano a Orbàn, che oltretutto odia l’Italia (secondo Concita). E infatti perché non ricordare, tanto per dare l’idea della cattiveria e perversione del leader ungherese, che Orbàn pose anche il veto alla Ue sul Recovery Fund, quei soldi di cui l’Italia ha tanto bisogno?

In realtà quel veto non riguardava il finanziamento all’Italia ma era una difesa contro i tentativi della Ue di condizionare i fondi europei con l’ingerenza nella politica nazionale ungherese. Ma lasciamo stare, e la pensi Concita come vuole su Orbàn. 

Ma il problema è che la notizia cui fa riferimento Concita non riguardava affatto Orbàn, ma il leader turco Recep Tayyip Erdogan, che si è fatto costruire questa villa nella località di Marmaris, sulla costa egea meridionale della Turchia.

Un granchio clamoroso quello di Concita: era scritto Erdogan, ha letto Orbàn, nomi che faranno pure rima ma non si somigliano neanche un po'. Solo con il furore ideologico e una patologia ossessivo-compulsiva si può spiegare l’errore. Concita vede il diavolo Orbàn dappertutto e sente il bisogno irrefrenabile di attaccarlo a mezzo stampa. Un caso evidente di Orbanofobia, forse uno specialista potrebbe esserle d’aiuto. 

Ma non c’è solo un problema psicopatologico. Dopo diverse ore e – immaginiamo – numerose segnalazioni di lettori meno sprovveduti dei giornalisti (a proposito: grazie al lettore Giorgio Stambazzi che ci ha segnalato il caso), Concita invece di cancellare l’articolo e chiedere scusa per un episodio professionalmente gravissimo, ha cercato di mettere una toppa che è anche peggiore del buco.

Intanto ha provato a far finta che nella versione originale per puro caso (chissà come) ci fosse scritto Orbàn invece di Erdogan, ma l’articolo fosse chiaramente riferito a Erdogan: «In una prima versione di questo articolo – scrive Concita in calce - il nome di Orbàn ha preso il posto di quello di Erdogan erroneamente. Me ne scuso con i lettori e gli interessati».

Una menzogna pietosa e vergognosa. In realtà si trattava di un articolo congegnato per dare in testa a Orbàn e ai suoi amici europei, che in fretta e furia ha cercato di riadattare a Erdogan, tanto la critica ai vizi dei miliardari in politica può andare bene per chiunque. Curiosamente Concita mantiene scandalizzata anche la parte in cui nota che «mentre la signora Erdogan invita la popolazione a ridurre le porzioni nei piatti per non sprecare cibo e risparmiare il marito spende 62 milioni di euro…». Frase identica a quella della prima versione in cui però era la moglie di Orbàn a predicare il pauperismo alimentare. Possibile che entrambe, per coincidenza, dicano le stesse cose?

No, infatti. Invece proprio pochi giorni fa è stata effettivamente la signora Emine Erdogan a fare un discorso pubblico suggerendo alcuni modi per evitare lo spreco di cibo, suscitando peraltro molte critiche. Ma si trattava di un evento inserito nella campagna “Preserve your food, protect your table” (Conserva il tuo cibo, proteggi la tua tavola) lanciata dalla FAO, l’agenzia Onu per il cibo e l’agricoltura. Ma Concita di questo non si era accorta: aveva letto Orbàn e via come una furia, avrebbe accusato la moglie anche se il presidente ungherese fosse stato single. Così, per puro caso, nella nuova versione la frase regge, anche se decontestualizzata.

Ma il meglio arriva alla fine. Perché volendo mantenere che lo scambio Orbàn-Erdogan era una sorta di refuso (ma allora la foto dell’articolo?), Concita ha mantenuto intatto il pezzo originario. Solo che proprio questo svela la cialtronata. Infatti, dopo aver censurato Erdogan e lo sfoggio di «regge di non reali», troviamo le frasi finali che non c’entrano assolutamente nulla con Erdogan e la sua villa: «Nel manifesto dei sovranisti europei firmato da Meloni e Salvini figurano anche la francese Le Pen, lo spagnolo Abascal, il polacco Kaczynski e Orbàn», con quel che ne segue riguardo Orbàn e il Recovery Fund.

Non credo servano molti altri commenti. Eduardo de Filippo sarebbe stato molto sintetico al proposito. Però ricordiamoci sempre che questi signori sono gli stessi che pretendono di dare lezioni di giornalismo e di etica a tutto il popolo.


(Fonte: Riccardo Cascioli, LNBQ, 9 luglio 2021)

Concita, l'Orbanofobia e il giornalismo cialtrone - La Nuova Bussola Quotidiana (lanuovabq.it)