giovedì 30 maggio 2013

Il card. Bagnasco al funerale di don Gallo. Tutto secondo copione

I cattolici più avveduti, ormai ridotti a una riserva indiana fatta in larga parte di semplici fedeli, avevano cominciato a tremare quando l’arcivescovo di Genova, il cardinale Angelo Bagnasco, manifestò il desiderio di celebrare i funerali di don Andrea Gallo. Con un po’ di sensus fidei e un po’ di conoscenza del mondo, i poveri semplici fedeli avevano intuito come sarebbe andata a finire.
Tutto secondo un copione scritto dal mondo, in un sapiente climax culminato nella comunione data dal cardinale al signor Vladimiro Guadagno, meglio conosciuto come il “transgender” Vladimir Luxuria, una persona con un evidente problema morale noto a tutti, una persona che non solo sbaglia, come tutti i peccatori di questa terra, ma che teorizza e ostenta pubblicamente da anni la legittimità morale del suo errore oggettivo.
Il silenzio imbarazzato di molti non riesce a nascondere lo scandalo che questa vicenda sta suscitando tra i fedeli. E la stampa cattolica ufficiale, così poco libera da non poter criticare nemmeno se capisse che c’è da criticare, con la sua versione rassicurante non riesce a diradare le nuvole nere prodotte dal malcontento che serpeggia tra i credenti.
È difficile essere rassicuranti davanti a quanto accaduto durante la cerimonia funebre del prete genovese. E il cardinale Bagnasco è persona troppo intelligente per non aver calcolato quali sarebbero state le conseguenze implicite nella sua decisione. Celebrare i funerali di don Gallo ha voluto dire, innanzitutto, accettare preventivamente uno scenario liturgico abborracciato, più simile a una manifestazione politico-rivoluzionaria che non al sacrificio di Cristo. E, puntualmente, sono arrivate le contestazioni verbali rivolte al presule da parte di non pochi presenti: un principe della chiesa trascinato dentro un’indegna ed evitabilissima gazzarra.
Ma c’è ben altro. L’arcivescovo che celebra quel funerale dice esplicitamente all’opinione pubblica che, per la Chiesa cattolica, don Gallo ha rappresentato una legittima interpretazione del sacerdozio. Il Curato d’Ars e don Gallo sarebbero così le facce di un’identica medaglia: il primo un vecchio modello superato, il secondo una nuovissima e attuale versione, più aperta e meno rigida.
Su questa china, l’omelia del cardinale ha confermato il clima da sdoganamento del prete di strada, trasformandosi nella celebrazione post mortem di una figura che, a onor del vero, ha vissuto predicando agli antipodi della dottrina cattolica sulle più importanti questioni che riguardano la morale e il bene comune, il diritto e la regalità sociale di Cristo. Del resto, se si tiene tanto in conto il mondo, si può andare a un funerale di un personaggio così ingombrante tenendo un’omelia dal sapore censorio nei confronti del defunto?
Don Gallo era diventato da tempo un fenomeno mediatico e, dunque, se si accetta la logica dei media, incriticabile. Inoltre, in quanto fenomeno mediatico, attirava intorno a sé la solita corte di personaggi dello spettacolo che non poteva mancare di manifestarsi in massa ai suoi funerali. Anche questo era noto e, dunque, era altrettanto prevedibile che ci sarebbero stati i soliti, imbarazzanti “incidenti” in merito al legittimo accesso alla Comunione da parte di alcuni vip. In tal senso, la foto di Vladimir Luxuria che riceve il Santissimo dal Cardinale Bagnasco è l’icona, il simbolo potentissimo del “rito” cui il presidente della Conferenza episcopale ha deciso di partecipare. Nelle parrocchie, centinaia di preti di buona volontà si sgolano ogni domenica per spiegare ai fedeli divorziati risposati che la Comunione non possono riceverla. E l’arcivescovo di Genova cosa fa? Se la logica non è un opinione, fa il contrario.
Per spiegare tutto questo, si potrebbe fare appello alla legge fondamentale della Chiesa, a quella “salus animarum” dimenticata dalla teologia ufficiale degli ultimi cinquant’anni. In altri termini: un sacerdote, e quindi anche un cardinale, se sa che c’è anche una sola anima da salvare, non si ferma di fronte a nulla, prende e va anche in capo al mondo. Se c’è da confessare, da visitare un infermo, da dare cristiana sepoltura a un morto, da inseguire un’anima ribelle e lontana, il prete deve fare la sua parte, andando anche a casa di Matteo il pubblicano. Ma questo ammirevole apostolato il sacerdote non lo svolge sotto l’occhio osceno e volgare del Grande Fratello, sotto lo sguardo perverso e manipolatorio dei mezzi di comunicazione di massa.
Nei confronti di don Andrea Gallo si dovevano compiere tutti gli atti di pietà possibili e immaginabili, ma a patto di sottrarsi al palcoscenico mondano e deturpante del sistema mediatico. Si poteva celebrare un funerale in forma riservata e privatissima ed evitare parole di encomio che suonano francamente come oltraggiose nei confronti di tutti quei cattolici che ogni giorno si battono contro il relativismo e il nichilismo anticattolico montante nella società. Si doveva difendere il Corpus Domini dalla profanazione che, ragionevolmente, si compie accettando di comunicare chi non ha notoriamente la condizione soggettiva per farlo, compiendo così un atto d’amore nei confronti dello stesso peccatore, che evita di aggiungere colpa a colpa. Senza dimenticare che nelle chiese cattoliche di questa tragica modernità, alcuni sacerdoti negano la comunione a un fedele che osi, semplicemente, inginocchiarsi per riceverla.
Accettare di diventare protagonisti dello spettacolo allestito dai mass media per i funerali del personaggio pubblico don Gallo: questa è la colpa grave del cardinale. Cosa ben diversa dal compiere, discretamente, l’azione salvifica del sacerdote. Accettare la logica del mondo propagata dai suoi media porta a situazioni grottesche nella loro essenza ma anche nel dettaglio. Come si fa, per esempio, ad andare al funerale di un prete che sul sagrato viene pubblicamente elogiato dall’ebreo Moni Ovadia e, nello stesso tempo chiedere, ai bolognesi di non votare per l’abolizione del contributo comunale alle scuole cattoliche in un referendum nel quale Moni Ovadia stesso era uno dei testimonial della fazione anticattolica? Un cattolico, per fare un altro esempio, non può accettare di essere ridotto alla condizione di schizofrenico, che da un lato si batte contro l’aborto, e poi è costretto a vedere “beatificato” il prete che non faceva mistero di accompagnare le prostitute in ospedale ad abortire.
Ma, a conti fatti, sorge il sospetto che ai funerali di don Gallo il cardinale sia andato non malgrado i mass media, ma proprio per la loro presenza. Anche lui vittima di quel patetico complesso di inferiorità che spinge presuli di varia indole e grado gerarchico a inseguire il consenso e l’attenzione del mondo. Vescovi e cardinali scrivono discorsi e compiono gesti nella speranza di poter “passare” nelle notizie e nelle immagini del Tg delle 20. “Eminenza, siamo sul Tg3″ saltellano garruli per le curie i segretari dei pastori che hanno bucato lo schermo, credendo, così, di rendere un gran servizio alla Chiesa. Del resto, basta onestamente rispondere alla seguente domanda: se don Gallo fosse stato lo stesso identico tipo di prete, ma sconosciuto, ignoto a giornali e tv, senza Albe Parietti e Vladimiri Luxuria pronti a piangerlo al suo funerale, se fosse stato un prete rivoluzionario, ma inesorabilmente anonimo, il Presidente della Cei si sarebbe scomodato andando ai suoi funerali?
 

(Fonte: Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro, Corrispondenza Romana, 29 maggio 2013)
 

sabato 25 maggio 2013

Don Gallo, il prete mediatico che negava il Papa e combatteva la Chiesa

Oggi si è svolto a Genova il funerale di don Andrea Gallo. Benché, da quanto riportano i giornali, più che un funerale sia stato una “gazzarra”, ci uniamo comunque al cordoglio dei suoi cari e delle persone che si sono sentite da lui volute bene.
Non possiamo tuttavia evitare di tratteggiare quello che ha rappresentato pubblicamente questo sacerdote dal nostro punto di vista. Non ne emerge un profilo positivo e siamo consapevoli di non essere in linea con la fiera dei media e dei vip che in queste ore sta sprecando elogi, ma ci interessa ovviamente molto poco. Don Gallo ha certamente aiutato tante persone come ogni giorno fanno tantissimi sacerdoti nell’ombra e nel nascondimento. Ma lo ha fatto davanti alle telecamere costruendosi un personaggio, mediatico, mentre il ruolo del sacerdote è quello di portare a Cristo e alla Chiesa, e non a sé.
Ancor meno positiva è la sua costante denigrazione della Chiesa, condanna pronunciata dall’alto della sua celebrata e riconosciuta attenzione ai poveri. Un ricatto emotivo che ha condizionato molti, purtroppo. Anche Giuda, nei Vangeli, sgridava chi lavava i piedi di Gesù con un olio costoso, invitando ad usare quei soldi per aiutare i poveri. Papa Francesco ha commentato: «Questo è il primo riferimento che ho trovato io, nel Vangelo, della povertà come ideologia». Esaltato dal “Fatto Quotidiano” e dalla cultura anticattolica di cui è portavoce il quotidiano di Padellaro, è stato da loro miseramente sfruttato (e lo è anche in queste ore) per chiari interessi antipapisti e anticlericali. Purtroppo ha voluto lasciarsi usare, questa è la differenza tra lui e don Lorenzo Milani, che invece rispondeva così al laicismo che lo portava in trionfo: «Ma che dei vostri! Io sono un prete e basta! In che cosa la penso come voi? Questa Chiesa è quella che possiede i sacramenti. L’assoluzione dei peccati non me la dà mica “L’Espresso”. E la comunione e la Messa me la danno loro? Devono rendersi conto che loro non sono nella condizione di poter giudicare e criticare queste cose. Non sono qualificati per dare giudizi. Devono snobbarmi, dire che sono ingenuo e demagogo, non onorarmi come uno di loro. Perché di loro non sono». Don Gallo ha invece sempre cercato l’applauso del mondo, mai prendendo le distanze da chi lo usava come clava contro Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.
Favorevole a tutto ciò a cui papa Francesco è contrario, dall’aborto all’eutanasia. Favorevole al Papa gay e alla farfallina di Belen, perché «il Paese vuole vedere le gambe e il sedere», favorevole al matrimonio omosessuale salvo poi legare l’omosessualità alla pedofilia: «Il prete omosessuale deve poter essere libero di esprimere la sua identità e la sua sessualità, altrimenti si reprime e arriva alla pedofilia». Una frase omofoba e violenta, questa sì, che però non ha provocato alcun scandalo, nessuna protesta da parte omosessuale, nessun anatema sui media. Si provi a pensare cosa sarebbe successo se a pronunciarla fosse stato un qualsiasi altro sacerdote.
Orgoglioso comunista e partigiano, la società secolarizzata lo ha incredibilmente sempre sostenuto nella sua continua violazione della laicità: da sempre immanicato con il potere politico genovese e non solo, sosteneva platealmente la rappresentanza che più si avvicinava alla sua ideologia politica tanto da essere definito dai quotidiani della destra il «king maker del centrosinistra». Benediceva l’assalto violento alla Mondadori del 2010, cantava “Bella ciao” al termine della S. Messa, sprecava consigli politici ai politici («avevo incontrato Marta Vincenzi in dicembre e le avevo consigliato di non candidarsi alle primarie», diceva), ma mai nessun giornalista del “Fatto”, nessun Marco Politi ebbe mai nulla da ridire per questa pesante e continua ingerenza, mentre gli ipocriti si stracciano le vesti se il card. Bagnasco consiglia semplicemente di votare tenendo presente «i valori che saranno a fondamento della vita». La laicità evidentemente possono violarla soltanto i sacerdoti antipapisti.
Fanatico di Che Guevara più che di Gesù Cristo, il suo motto è racchiuso in questa frase: «La Chiesa si dovrebbe invece convincere che viviamo in un villaggio post cristiano. Spero che abbia il coraggio di cambiare qualcosa», ovvero la Chiesa deve abbandonare le sue posizioni e farsi dettare l’agenda dagli uomini, come se Gesù avesse detto: “Ah, la maggioranza degli ebrei non mi riconosce come Messia? Allora cambio e dico qualcosa di diverso». Ma questa è una posizione atea che non riconosce nella Chiesa un’autorità al di sopra del contingente scorrere del tempo, significa negare l’autorità del Pontefice, del tutto legittimo ma non per un prete cattolico. Per questo sono nel giusto coloro che lo accusano così: i suoi contenuti “non sono religiosi ma politici, non cristiani ma comunisti”.
Questo è il nostro giudizio sul personaggio pubblico don Andrea Gallo, In ogni caso rimane comunque ben presente un riconoscimento di stima per tutte le persone che ha cristianamente aiutato. Arrivederci don Andrea!


(Fonte: UCCR, 23 maggio 2013)

giovedì 23 maggio 2013

Bergoglio, rivoluzionario a modo suo

In perdurante luna di miele con la pubblica opinione, papa Francesco s'è guadagnato anche l'elogio del più barricadiero dei teologi francescani, il brasiliano Leonardo Boff: “Francesco darà una lezione alla Chiesa. Usciamo da un inverno rigido e tenebroso. Con lui viene la primavera”.
Veramente, Boff ha lasciato da tempo il saio, si è sposato, e all'amore per Marx ha sostituito quello ecologista per madre terra e fratello sole. Ma è pur sempre il più famoso e citato dei teologi della liberazione.
Quando, appena tre giorni dopo la sua elezione a papa, Jorge Mario Bergoglio ha invocato “una Chiesa povera e per i poveri”, la sua annessione nelle file dei rivoluzionari sembrava cosa fatta.
In realtà c'è un abisso tra la visione dei teologi latinoamericani della liberazione e la visione di questo papa argentino.
Bergoglio non è un prolifico autore di libri, ma quel che ha lasciato di scritto basta e avanza per capire che cosa ha in mente con quel suo insistito mescolarsi col “popolo”.
La teologia della liberazione la conosce bene, la vide nascere e crescere anche tra i suoi confratelli gesuiti, ma con essa marcò sempre il suo disaccordo anche a costo di ritrovarsi isolato.
Suoi teologi di riferimento non erano Boff, né Gutierrez, né Sobrino, ma l'argentino Juan Carlos Scannone, anche lui gesuita inviso ai più, che era stato suo professore di greco e che aveva elaborato una teologia non della liberazione ma “del popolo”, centrata sulla cultura e la religiosità della gente comune, dei poveri in primo luogo, con la loro spiritualità tradizionale e la loro sensibilità per la giustizia.
Oggi Scannone, 81 anni, è ritenuto il massimo teologo argentino vivente, mentre su quel che resta della teologia della liberazione già nel 2005 Bergoglio chiuse il discorso così: “Dopo il crollo del 'socialismo reale' queste correnti di pensiero sono sprofondate nello sconcerto. Incapaci sia di una riformulazione radicale che di una nuova creatività, sono sopravvissute per inerzia, anche se non manca ancora oggi chi le voglia anacronisticamente riproporre”.
Questa sentenza liquidatoria contro la teologia della liberazione Bergoglio l'ha infilata in uno dei suoi scritti più rivelatori: la prefazione a un libro sul futuro dell'America Latina che ha per autore il suo amico più stretto nella curia vaticana, l'uruguaiano Guzmán Carriquiry Lecour, segretario generale della pontificia commissione per l'America Latina, sposato con figli e nipoti, il laico di più alto grado in curia.
A giudizio di Bergoglio, il continente latinoamericano ha già conquistato un posto di “classe media” nell'ordine mondiale ed è destinato ad imporsi ancor più nei futuri scenari, ma è insidiato in ciò che ha di più proprio, la fede e la “saggezza cattolica” del suo popolo.
L'insidia più temibile egli la vede in ciò che chiama “progressismo adolescenziale”, un entusiasmo per il progresso che in realtà si ritorce – dice – contro i popoli e le nazioni, contro la loro identità cattolica, “in stretto rapporto con una concezione dello Stato che è in larga misura un laicismo militante”.
Domenica scorsa ha spezzato una lancia per la protezione giuridica dell'embrione, in Europa. A Buenos Aires non si dimentica la sua tenace opposizione contro le leggi per l'aborto libero e i matrimoni “gay”. Nel dilagare in tutto il mondo di simili leggi egli vede l'offensiva di “una concezione imperialista della globalizzazione”, che “costituisce il totalitarismo più pericoloso della postmodernità”.
È un'offensiva che per Bergoglio porta il segno dell'Anticristo, come in un romanzo che egli ama citare: “Il signore del mondo” di Robert H. Benson, arcivescovo anglicano di Canterbury convertito al cattolicesimo un secolo fa.
Nelle sue omelie da papa, il frequentissimo rimando al diavolo non è un artificio retorico. Per papa Francesco il diavolo è più reale che mai, è “il principe di questo mondo” che Gesù ha sconfitto per sempre ma che ancora è libero di fare del male.
Ha ammonito in un'omelia di qualche giorno fa: “Il dialogo è necessario tra noi, per la pace. Ma con il principe di questo mondo non si può dialogare. Mai”.

(Fonte: Sandro Magister, www.chiesa, 16 maggio 2013)
 

La deriva anti-umana dell’Europa

Per le massime cariche istituzionali italiane, l’omofobia sarebbe un’emergenza tale da richiedere «vicinanza a quanti sono stati vittime di intollerabili aggressioni ha dichiarato il Presidente della Repubblica in occasione della Giornata contro l’omofobia dello scorso 17 maggio e a quanti subiscono episodi di discriminazione che hanno per oggetto il loro orientamento sessuale. Un pensiero particolare va a quei giovani che per questo hanno subìto odiosi atti di bullismo che, oltre ad aggravare le manifestazioni di discriminazione, alimentano pregiudizi e dannosi stereotipi». Dal canto suo, il Presidente del Senato si è detto «veramente e umanamente preoccupato per gli omofobi. In questa battaglia, fondamentale è l’informazione, la sensibilizzazione, l’educazione, rivolta in particolare ai più giovani, agli adolescenti: è, questa, una autentica priorità nel contrasto alle discriminazioni per motivi sessuali».
Insomma, sembra che in Italia si sia scatenata una guerra e che tutti diano la caccia all’omosessuale, che non può andare a scuola, non può lavorare, non può camminare per strada, non può andare al bar o in altro posto pubblico e via dicendo. È una mattanza, un vero e proprio genocidio. Mai un film che parli di omosessualità o una trasmissione televisiva o una notizia del telegiornale che s’intrattenga sul tema. Proibite anche le feste colorate di lesbiche, gay, bisessuali, transgender, queer, intersessuali, che andavano sotto il nome di gay-pride. Eliminati nei Comuni gli uffici LGBTQI, come quello recentemente istituito a Bari dal Sindaco Emiliano, definito «dolcissimo omaggio alla famiglia tradizionale». Sono state richieste perfino le dimissioni di tutti i parlamentari e dei membri dei consigli di amministrazione di aziende pubbliche e private omosessuali.
È tutta una burla, naturalmente. La cultura omosessualista domina tutti i gangli della società italiana e propone l’esatto capovolgimento del diritto naturale, evitando accuratamente che s’insinui il dubbio che il disordine sessuale e l’alterazione dell’identità meritino le cure mediche. Le potentissime lobby omosessuali, che hanno i loro aderenti e simpatizzanti all’interno di mondi impensabili, condizionano pesantemente l’azione di Governi e Parlamenti europei ed extra-europei. Il fine non è quello di riconoscere diritti che per le coppie dello stesso sesso già ci sono – come in Italia – ma è quello, subdolo, di scardinare l’istituto familiare formato da un uomo e una donna che intendano procreare. Si allinea a questa prospettiva la terza carica dello Stato, il presidente della Camera, Laura Boldrini: «Le persone omosessuali – ha dichiarato qualche giorno fa devono veder riconosciute giuridicamente le loro unioni anche in Italia, come avviene già in diciotto e, a breve, in diciannove Paesi dell’Unione europea. L’Europa ce lo chiede. L’Europa non ci chiede solo il pareggio di bilancio, ci chiede anche di riconoscere diritti».
L’Europa alla quale fa riferimento l’onorevole Boldrini è la stessa Europa nella quale si consuma un aborto ogni 25 secondi; dove i matrimoni tra persone dello stesso sesso sono diminuiti del 30% negli ultimi vent’anni; dove la natalità e il tasso di crescita della popolazione sono garantiti solo dagli immigrati. È l’Europa che ha evitato di scrivere nella sua Costituzione i fondamenti cristiani della sua genesi; che incoraggia la distruzione degli embrioni umani al fine della sperimentazione scientifica. È un continente che ha perduto la sua anima cristiana, che vive di edonismo e di desiderio di libertà e che è il principale attore di quella deriva anti-umana che prelude alla sua fine, sul piano storico e politico. (
 
(Fonte: Danilo Quinto, Corrispondenza Romana, 22 maggio 2013)

 

giovedì 16 maggio 2013

Marcia per la Vita: la “primavera latina” e i problemi dell’ora presente

Tra la fine del 2010 e l’inizio del 2011, la grancassa mediatica mondiale annunciò l’arrivo della «primavera araba», ovvero di una nuova era di democrazia, di libertà e di sviluppo economico sociale in Medio Oriente e nel Nord Africa. Qualcuno, come il ministro Andrea Riccardi, arrivò a dichiarare che «il Mediterraneo è divenuto un mare tutto democratico», fingendo di ignorare che dalla Libia alla Siria, dall’Egitto alla Tunisia, le rivoluzioni arabe hanno prodotto la crisi economica, l’instabilità politica, l’ascesa dei movimenti islamisti e una violenta repressione anticristiana. Non si è trattato di primavera ma di un duro inverno per quelle sfortunate regioni.
Se la primavera araba, accuratamente organizzata dai centri di potere occidentali e dai Fratelli musulmani è miseramente fallita, una ben diversa primavera si sta sviluppando nei primi mesi del 2013 in Europa: è quella che potremmo definire un “primavera latina”.
A Roma, la Terza Marcia Nazionale per la Vita ha raccolto il 12 maggio quarantamila persone, che hanno sfilato dal Colosseo a San Pietro, dove li ha accolti la benedizione di Papa Francesco. Nessuno dei grandi movimenti “ecclesiali”, da Comunione e Liberazione ai Neocatecumenali, dai Carismatici ai Focolarini, ha partecipato alla Marcia, che si è affermata dunque come un “movimento” diverso da tutti gli altri, non riconducibile al mondo cattolico ufficiale.
La Marcia per la Vita italiana ha ben scritto Mario Palmaro «non ha carattere ecclesiale, non è una processione, non è un incontro di preghiera: ad essa partecipano cattolici e altri cristiani, esponenti di altre religioni, credenti e non credenti. Molti tacciono, molti altri pregano, in un clima di grande libertà. In questo modo, la Marcia documenta la ragionevolezza delle ragioni della vita. La Marcia è autonoma e indipendente, e si garantisce una libertà che la sottrae a condizionamenti, compromessi, tattiche, censure interne, pavidità travestite da prudenza».
In Francia, dopo la legalizzazione del cosiddetto «matrimonio omosessuale», il 23 aprile scorso, le Manifs pour tous (”manifestazioni per tutti”) uniscono a loro volta centinaia di migliaia di persone, che continuano a protestare contro il governo, con un’inventiva, ha scritto Patrice de Plunckett sull’“Osservatore Romano” dell’8 maggio, che stupisce i media: mobilitazione via twitter, raduni spontanei per le strade, accampamenti di fronte all’Assemblea Nazionale, operazioni “risveglio mattutino” davanti alle abitazioni dei ministri, affissione di striscioni sui ponti delle autostrade.
E c’è pure la rete dei veilleurs (coloro che vegliano) e delle mères veilleuses – “madri che vegliano”, ma anche, con un gioco di parole, “meravigliose”, che esprimono in piccoli gruppi la loro protesta e la loro indignazione. Nell’uno e nell’altro caso, si tratta di un movimento spontaneo che parte soprattutto dalla base del mondo cattolico. Ciò che accade è qualcosa di più di una manifestazione è la ricostruzione di un tessuto sociale: è un germe di salute e di vita che si sviluppa in un organismo malato, come avverte Rémi Fontaine in un bel libro dedicato a questo fenomeno (Les enjeux du printemps français, Editions de Paris, Versailles 2013).
Se la cultura relativista produce la decomposizione di una società, la cultura pro-life e antiomosessualista rivitalizza il corpo sociale. I potentati internazionali che controllano, o condizionano, le scelte politiche dei governi nazionali, seguono con preoccupazione questo inatteso risveglio. Il loro timore è che affiorino nuove forme di presenza politica e sociale e nuove classi dirigenti, in grado di provocare insorgenze popolari contro il sistema di cultura e di potere stabilito in Europa dall’epoca della Rivoluzione francese. Il tentativo a cui assisteremo sarà quello di cercare di “riconvertire” e “normalizzare” il movimento di opposizione all’establishment. Ma se è possibile ingannare gli uomini, è impossibile “comprare” la Grazia divina, che, quando si manifesta, innesca un processo irreversibile.
Dietro la primavera latina, oltre all’azione invincibile della Grazia, c’è una concezione del mondo che affonda le sue radici nelle radici latine della cultura occidentale. In Grecia nasce il concetto di humanitas, l’idea che esiste una natura umana, caratterizzata da leggi costanti e universali che la filosofia ha il compito di riconoscere.
L’uomo, infatti, non è solo un animale sociale, ma è innanzitutto un animale razionale. L’ humanitas, non è l’Io soggettivo dell’umanesimo moderno, ma la consapevolezza di queste leggi universali della natura umana. Questo quadro di leggi e di principi assoluti e universali, è la legge naturale del Decalogo che, dopo la filosofia greca, troviamo riconosciuta dal Diritto romano. Il nuovo Catechismo della Chiesa cattolica ricorda le parole di Cicerone, secondo cui «certamente esiste una vera legge: è la retta ragione; essa è conforme alla natura, la si trova in tutti gli uomini; è immutabile ed eterna; i suoi precetti chiamano al dovere, i suoi divieti trattengono dall’errore» (Marco Tullio Cicerone, La Repubblica, 3,22,33, cit. in Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1956). San Tommaso d’Aquino ci ricorda a sua volta che la legge stabilita dai parlamenti, e da ogni altra istanza legislativa umana, non può essere in contraddizione con l’eterna Legge di Dio. La legge naturale, infatti, «altro non è che la luce dell’intelligenza infusa in noi da Dio. Grazie ad essa conosciamo ciò che si deve compiere e ciò che si deve evitare. Questa luce o questa legge Dio l’ha donata alla creazione» (San Tommaso d’Aquino, In duo praecepta caritatis et in decem Legis praecepta expositio, c. 1).
Giovanni Paolo II, nel suo ultimo libro Memoria e identità, ha bollato a fuoco «lo sterminio legale degli esseri umani concepiti e non ancora nati (…) uno sterminio deciso addirittura da Parlamenti eletti democraticamente, nei quali ci si appella al progresso civile delle società e dell’intera umanità. Né – aggiunge – mancano altre gravi forme di violazione della Legge di Dio. Penso, ad esempio, alle forti pressioni del Parlamento europeo perché le unioni di omosessuali siano riconosciute come una forma alternativa di famiglia, a cui competerebbe anche il diritto di adozione. È lecito e anzi doveroso porsi la domanda se qui non operi ancora una nuova ideologia del male, forse più subdola e celata, che tenta di sfruttare contro l’uomo e contro la famiglia, perfino i diritti dell’uomo. Perché accade tutto questo? Qual è la radice di tali ideologie post-illuministe? La risposta, in definitiva, è semplice: questo avviene perché è stato respinto Dio quale Creatore, e perciò quale fonte della determinazione di ciò che è bene e di ciò che è male. (…) Se vogliamo parlare in modo sensato del bene e del male, dobbiamo tornare a san Tommaso d’Aquino, cioè alla filosofia dell’essere» (Memoria e identità, Rizzoli, Milano 2005, pp. 22, 23).
La Marcia per la Vita italiana e le Manifs pour tous francesi si fondano su quella “filosofia dell’essere” a cui il mondo moderno ha voltato le spalle, con i disastrosi risultati che sono sotto i nostri occhi. Dietro la primavera latina c’è la ferma convinzione che la legge divina e naturale non possa rimanere confinata all’ambito privato, ma debba proiettarsi nella sfera pubblica e costituire la base dell’ordine sociale cristiano, che è l’unica possibile soluzione dei drammatici problemi dell’ora presente.


(Fonte: Roberto de Mattei, Corrispondenza Romana, 15 maggio 2013)
 

giovedì 9 maggio 2013

Il “caso” Biancofiore: incredibile, ma attenzione…

Aveva troppe cose da farsi “perdonare” dall’imperante dittatura laicista: tra le meno note, benché più significative, l’esser stata prima firmataria di una proposta di legge per la modifica dell’art. 7 della Costituzione, chiedendo esplicitamente il riconoscimento delle radici culturali giudaico-cristiane dell’Italia. Per questo, prima o poi, all’on. Michaela Biancofiore qualcuno avrebbe presentato il conto. Infatti è regolarmente avvenuto.
Paradossalmente, le sue affermazioni più contestate sono anche quelle maggiormente dettate dal buon senso. Ritenere affetti da «seri problemi» i frequentatori di trans o dire che i gay «si ghettizzano da soli» come ha fatto da ormai ex-Sottosegretario alle Pari Opportunità – appare assolutamente naturale ed ovvio. A stupire, piuttosto, è che qualcuno possa ragionevolmente sostenere il contrario e pretendere anzi che per questo le venga ritirata la delega. Nell’indifferenza collettiva.
L’on. Biancofiore ha mantenuto l’incarico neanche il tempo di riceverlo ufficialmente, da record. Poi le pressioni delle varie lobby omosessiste ne han reclamato la testa ed il primo ministro, Enrico Letta, non ha minimamente esitato a consegnarla loro. Lo stesso primo ministro, dimostratosi viceversa sordo alle grida dei Cattolici contrari all’incarico agli Esteri assegnato ad una radicale “doc” quale Emma Bonino, con un curriculum politico scritto a partire dal sangue degli aborti da lei personalmente procurati illegalmente negli Anni Settanta e forte dell’insignificanza elettorale pari allo 0,19% racimolato alle urne. Oggi ci troviamo di fronte ad una presenza, quella cattolica, inascoltata benché rappresentativa e, di contro, ad un’irrilevanza, quella radicale, che detta legge, benché bocciata dal voto degli Italiani.
L’on. Biancofiore doveva dunque immaginare come, dicendo certe cose e sostenendo troppo esplicitamente Berlusconi nella Patria dell’antilingua, prima o poi qualcuno volesse farla saltare in aria. Politicamente, s’intende. E questo è regolarmente avvenuto. Qui non si è nel campo delle opinioni o delle convinzioni fideistiche. Lo stesso Catechismo della Chiesa Cattolica (che non risulta esser ancora stato definito “omofobo”, benché questo resti un obiettivo privilegiato…) al n. 2357 non definisce le relazioni omosessuali «gravi depravazioni» ed atti «intrinsecamente disordinati» (figuriamoci il giudizio sui trans…) in virtù di chissà quali dogmi di fede, bensì a partire da considerazioni di natura assolutamente biologica ovvero in quanto «contrari alla legge naturale» e tali da precludere «il dono della vita», oltre alla «complementarietà affettiva e sessuale», ciò che è evidente in sé e che quindi Tradizione e Sacra Scrittura hanno recepito e fatto proprio.
Quanto al resto, il clima da riserva indiana proprio della associazioni gay ed il disgustoso spettacolo offerto dai vari “Gay Pride” sono l’esemplificazione di una chiara tendenza all’auto-emarginazione. Ma queste son cose che non si possono dire. Perché in Italia si può essere clandestini (come sostenuto dal ministro Kyenge, rimasto in carica), gay o trans e tutto va bene. Ciò che non viene assolutamente accettato, anzi tollerato è che una carica istituzionale possa dirsi o, peggio ancora, essere cattolica… Non lo può neppure un Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio come l’on. Biancofiore, di fatti subito trasferita d’ufficio al ministero per la Pubblica Amministrazione e Semplificazione. Dove, forse, può nuocere meno.
Ora però la linea difensiva dovrebbe basarsi sulla forza dei Valori, non sull’equivoco piagnisteo dell’incomprensione presunta e preventiva. Limitarsi a dire «non mi hanno capito» non rende un buon servizio alla Verità. Messa in castigo e bersagliata dai media, l’on. Biancofiore non ha reagito da leone, tutt’altro. Si è anzi immediatamente prodigata in concessioni “spinte”, affermando d’esser sì, «da cattolica, contraria alle nozze gay», ma dicendosi anche possibilista circa «le posizioni istituzionali», che andranno concordate «col ministro», in una sorta di schizofrenia amministrativa. Non solo. Si è subito detta pronta a valutare anche l’assunzione eventuale di collaboratori gay, un incontro con le sigle omosessiste e – perché no? finanche una propria partecipazione straordinaria al prossimo “Gay Pride”, ma solo «se invitata».
Questo non va bene. Chi afferma un Ideale, dev’esservi poi anche coerente e comportarsi di conseguenza. Delle due, l’una: o si crede in ciò che si dice o si dica in cosa realmente si creda. Senza millantare convinzioni, che si è poi pronti a calpestare e sacrificare immediatamente sull’altare del “politicamente corretto”.
 

(Fonte: Mauro Faverzani, Corrispondenza Romana, 8 maggio 2013)
 

Concertone del 1 maggio a Roma: l’atto blasfemo merita la denuncia

C’è modo e modo di affrontare tematiche particolarmente delicate come, ad esempio, quella relativa alla contraccezione. C’è un modo civile, rispettoso delle regole, attento alla sensibilità dei contraddittori, e c’è il modo utilizzato all’ultimo concerto del Primo Maggio da tale Luca Romagnoli, leader della band musicale “Management del Dolore Post Operatorio”, attraverso una performance blasfema ed irriverente, che davvero non ha fatto onore all’intelligenza di chi l’ha messa in scena.
Quello che più stupisce di questa tristissima vicenda – al netto delle solite encomiabili eccezioni – è il silenzio assordante che ne è seguito da parte di politici, intellettuali, opinion maker, artisti, star dello spettacolo, giornali e tv. Un blackout mediatico impressionante. Per comprendere la singolarità di questo silenzio, è sufficiente chiedersi cosa sarebbe successo se, ad esempio, il tema della omosessualità fosse stato affrontato da chi è critico nei confronti di quell’orientamento sessuale, con la stessa volgarità, grossolanità, oscenità, villania e indecenza usata contro i cattolici al cosiddetto “Concertone”.
Facile intuire l’inferno che si sarebbe scatenato tra le urla scandalizzate delle attente Vestali del politically correct e le vesti stracciate dei relativi sacerdoti. Nulla di tutto ciò è accaduto per il semplice fatto che coloro che professano e praticano la fede cattolica non sono ricompresi nelle categorie protette di questa nuova religione laica, che appare sempre più dogmatica ed intollerante. Il solito ingiusto e fazioso sistema dei due pesi e delle due misure, quell’odioso “double standard”, che sembra essere diventato la cifra della nuova e strisciante dittatura imposta dalla politically correctness.
Ora, si dà il caso che quanto accaduto nella kermesse organizzata da CGIL, CISL e UIL oltre a superare i limiti del decoro e della decenza, ha pure invaso la sfera del diritto penale. Non è ancora stato abrogato, ad esempio, nel nostro ordinamento il reato di «offese a una confessione religiosa mediante vilipendio delle persone», previsto e punito dall’art. 403 del codice penale, il reato di «offese a una confessione religiosa mediante vilipendio o danneggiamento di cose», previsto e punito dall’art 404 del codice penale, o il reato di «atti osceni», previsto e punito dall’art. 527 dello stesso codice penale.
Poiché appare profondamente ingiusto lasciare impuniti gli autori di atti tanto offensivi quanto gratuiti – commessi, peraltro, a pochi passi da un luogo simbolico della cattolicità qual è la Basilica Laterana – l’associazione Giuristi per la Vita ha deciso di presentare formale denuncia presso la Procura della Repubblica di Roma, affinché vengano perseguiti i reati integrati da tali atti.
Non si può derubricare quanto accaduto alla manifestazione del Primo Maggio ad una semplice bravata. Non è giusto nei confronti di tutte le persone che si sono sentite profondamente offese in un ambito intimo a loro particolarmente caro e giuridicamente tutelato dal codice penale. Non si può neppure invocare la libertà di opinione sancita dall’art.21 della Costituzione, perché quello stesso articolo, all’ultimo comma, pone i limiti della decenza e del rispetto della legge penale. E al di là di ogni considerazione giuridica, non si può, comunque, accettare che il confronto anche aspro su tematiche legate alla vita – tra cui la contraccezione – possa scadere ad un livello di tale bassezza, da far prevalere il solo linguaggio triviale del turpiloquio, dell’oscenità, dell’ingiuria e dell’offesa.
Ciò che amareggia di più, oltre all’indifferenza pressoché generale, è il fatto che gli autori degli illeciti commessi non abbiano avuto neppure la decenza di chiedere scusa. E’ un segno dell’imbarbarimento dei tempi.

(Fonte: Gianfranco Amato, La nuova Bussola Quotidiana, 8 maggio 2013)
 
 
 

giovedì 2 maggio 2013

Ci dite per favore quali diritti sono negati?

Matrimonio no, ma sì al riconoscimento di alcuni diritti civili. Ormai questa formuletta – riferita alle unioni gay - è diventata un mantra ripetuto a ogni pié sospinto da ecclesiastici di ogni tipo. Alcuni giorni fa abbiamo già evidenziato l’errore di fondo di questa posizione che ha tra i suoi sostenitori monsignor Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, monsignor Piero Marini, delegato pontificio per i Congressi eucaristici, nonché il quotidiano della Conferenza Episcopale Italiana, Avvenire.
Ora al “partito” si è aggiunto anche il portavoce della Sala Stampa Vaticana, padre Federico Lombardi, che tre giorni fa, in un dialogo con la stampa estera, ha ripetuto che si deve «chiaramente evidenziare che il matrimonio tra un uomo e una donna è un’istituzione specifica e fondamentale nella storia dell’umanità. Ciò non toglie che si possano riconoscere in qualche modo altre forme di unione tra due persone».
Visto che non passerà molto tempo prima che il nostro Parlamento se ne occupi e non certo nella direzione che vorremmo noi, è bene allora uscire fuori dal generico e dall’astratto. Vale a dire che certi signori, pardon monsignori, oltre a ripetere il ritornello che ben sappiamo, dovrebbero spiegare cosa intendono concretamente. Cioè quali sarebbero questi diritti civili finora negati e che richiedono un intervento dello Stato addirittura “urgente”, come scriveva Avvenire? E per quale motivo, e in che modo, si dovrebbero riconoscere «altre forme di unione tra due persone»?
Con una formula sintetica sempre Avvenire titolava efficacemente “sì ai diritti patrimoniali, no a quelli matrimoniali”. Ma l’ottimo articolo di Gianfranco Amato dimostra chiaramente che in effetti non c’è un solo diritto patrimoniale che non sia già riconosciuto a coppie conviventi. Quindi di quali diritti parlano Avvenire e monsignori vari, così importanti da necessitare un intervento legislativo? Cosa in concreto costituisce oggi una forma di discriminazione “patrimoniale” per chi convive e non può essere risolto con gli strumenti del diritto privato?
È una domanda che richiede una risposta precisa se davvero ci si vuole confrontare sulla realtà. Diteci esattamente quale diritto sarebbe oggi negato, che non sia tutelabile con i normali strumenti del diritto privato.
Temiamo però che dietro queste uscite ci sia nel migliore dei casi soltanto ignoranza della materia e desiderio di apparire moderni e dialoganti. Così da una parte si mantiene la rigidità della dottrina – coloro che occupano certe posizioni, del resto, non possono fare altro anche se per alcuni si capisce che vorrebbero - e dall’altra si dà l’impressione di venire a patti con il mondo, di essere aperti. Non rendendosi conto che questo, invece, è il modo migliore per farsi irridere dal mondo.
Ma questo è ancora il migliore dei casi, perché – come sappiamo – c’è invece una corrente teologica e pastorale che è apertamente connivente con l’ideologia omosessualista: nei seminari, nelle facoltà di teologia, nei corsi di aggiornamento per insegnanti di religione è ormai ricorrente ascoltare lezioni che spiegano l’equivalenza tra eterosessualità e omosessualità, e la necessità quindi di superare il Magistero della Chiesa (del resto, non lo ha scritto il cardinale Martini nel suo testamento spirituale che la Chiesa è indietro di 200 anni?). Una qualsiasi forma di intervento legislativo che riconosca le convivenze omosessuali sarebbe allora solo un paravento per legittimare uno stile di vita che, del resto, diversi ecclesiastici condividono.
A parziale scusante di alcuni prelati, c’è il fatto che sull’argomento vengono continuamente provocati dai giornalisti, pronti a estorcere una qualsiasi apertura che poi possa regalare un bel titolo, e allora non si trova niente di meglio che dire qualcosa che salvi capra e cavoli. Visto che però questo assalto dei giornalisti non è più una sorpresa, coloro che sono bene intenzionati potrebbero tranquillamente cogliere l’occasione per dire la verità. E cioè che non solo non c’è alcuna discriminazione per le coppie omosessuali, ma ad essere discriminata è la famiglia naturale, dal punto di vista culturale e dal punto di vista economico; che più si hanno figli e più si è penalizzati; che non si fa nulla per sostenere la cellula fondamentale della società; che è qui che si dovrebbe intervenire d’urgenza con delle leggi, altro che le coppie conviventi.
Insomma, dite qualcosa di cattolico.
 
(Fonte: Riccardo Cascioli, La nuova bussola quotidiana,30 aprile 2013)