mercoledì 22 giugno 2016

L’inganno del matrimonio gay

“L’imponente diffusione dell’ideologia gay fa parte di un programma filosofico [il neo-illuminismo nichilistico e incolto, che mira ad instaurare il Regno dell’Uomo] che ha veramente gettato alle ortiche ogni senso comune e ogni senso morale, ogni tradizione autenticamente religiosa e anche la conoscenza della vera psicologia.”  [Johan Huizinga (1872-1945)].

Il naufragio della filosofia illuministica nelle acque di quel delirio americano/onusiano, che giustifica e approva gli atti dell’immondo vizio contro natura, è l’oggetto di una puntuale, convincente introduzione dell’autorevole Paolo Pasqualucci al saggio “La scienza dice No. L’inganno del matrimonio gay. Il testo in questione è stato scritto da un influente psicoterapeuta olandese, Gerard J. M. Van Den Aardweg e magistralmente commentato da Paolo Pasqualucci, al fine di confutare l’opinione pseudo scientifica ma squisitamente democratica e progressista, che nell’omosessualità contempla e quasi venera un orientamento sessuale naturale e innato e non una deviazione libertina, trattabile e riducibile con le terapie suggerite dalla scienza medica (purtroppo minoritaria e silenziata) che non è asservita alla rumoreggiante utopia postmoderna.
La benda americana, posata sugli occhi dell’umanità democratica, impedisce di vedere il delirio sodomitico in corsa rovinosa e squillante nei cortei, che esibiscono le vittime di una patologia non soccorsa ma approvata e incentivata  dalla medicina e dalla politica d’ispirazione progressista.
Il testo pubblicato da Marco Solfanelli, irriducibile editore in Chieti, affronta risolutamente la mitologia diffusa dalla rumorosa/fantasiosa subcultura gay ossia la surreale tesi sulla naturalità e normalità del vizio contro natura.
Il riconoscimento della normalità e quindi l’attribuzione del perfetto decoro al sesso contro natura hanno origine da un’opinione senza serio fondamento, una favola che ha purtroppo ottenuto il consenso del giornalismo filosofante, della teologia conformistica/postconciliare e la condivisione invincibile del vasto pubblico appartenente alla disarmata/manipolata/asservita folla delle persone di mezza cultura.
E’ doveroso rammentare che la popolarità della sodomia – oltre che da ipotesi pseudo scientifiche  sulla dipendenza della struttura sessuale da una libera scelta – è nutrita dalla memoria della persecuzione messa in atto dai nazisti contro gli omosessuali.
La giustificata indignazione suscitata dalla discesa del moralismo nazista nell’odioso sadismo concentrazionario, ha turbato e alterato il pensiero dell’Occidente, ispirando un sillogismo irresistibile e fulminante: i malvagi perseguitavano gli omosessuali, dunque gli omosessuali sono buoni e meritano la incondizionata approvazione degli umanisti e dei sinceri democratici.
Dalla rotazione della morale democratica intorno al convincimento secondo cui il nemico del mio nemico sarebbe un vero amico ha origine l’identificazione (a tempo debito proposta da Gian Carlo Zonghi Spontini) di sodomia e rivolta contro lo spregevole fascismo.
L’identificazione del persecutore strutturalmente malvagio ha motivato una surrettizia assoluzione e una fulminante approvazione della minoranza dedita alla sessualità contro natura.
I mitografi, in attività scapestrata sulle piste mass-mediatiche del progressismo, nascondono e censurano le statistiche intorno alla passione suicidaria, in corsa sfrenata oltre il radioso orizzonte sodomitico. La buona stampa, ad esempio, occulta la statistica sui suicidi giovanili nella progredita ed esemplarmente malinconica Svezia, dove la percentuale dei suicidi commessi da omosessuali è superiore di venti volte a quella dei loro coetanei non transessuali.
Opportunamente Pasqualucci rammenta che causa della diffusione dell’ideologia omosessualista “è la generale corruzione dei costumi ovvero l’influenza del modo sempre più depravato di vivere che caratterizza le nostre società, giusto il quale si è smarrito il senso del peccato e si mette tutto sullo stesso piano”.
I frutti tossici dell’omosessualità giustificano la diffusa richiesta “di ristabilire la verità a proposito dell’omosessualità, controbattere le distorsioni e le bugie della propaganda gay; poter aiutare con le opportune psicoterapie orientate al cambiamento gli omosessuali che vogliano guarire; ristabilire la libertà d’insegnamento e di pensiero sul tema dei disordini sessuali: abolire l’attuale educazione sessuale neopagana nelle scuole, denunciare la sua immoralità, cancellare le leggi e norme pro gay esistenti a cominciare dal matrimonio gay e favorire il matrimonio e la famiglia, come stabiliti secondo natura”.
Quasi a commento delle tesi esposte nel magnifico saggio in questione sembra doveroso affermare la necessità di un drastico aggiornamento della cultura politica della destra, cioè l’obbligo di una svolta intesa ad aderire a quelle correnti della filosofia sociale, che sono attive nella difesa dei princìpi essenziali al vivere civile.
Una tale scelta contempla il riscatto e l’emancipazione della buona destra dall’ipoteca liberale (e libertina) che, allo stato dell’opera, costituisce, disgraziatamente, il certificato di minorità della vita italiana.
L’incombere di un’immigrazione aliena quando non ostile obbliga la restaurazione di quell’ordine sociale che è stato alterato dall’infelice e disastroso incontro della nuova teologia con il decrepito progressismo.  

(Fonte: Piero Vassallo, Riscossa Cristiana, 21 giugno 2016)



La strage di Orlando fa comodo a chi lotta per la dissoluzione

Si alza sempre più in questi giorni il coro di voci proveniente dal mondo dello spettacolo, che nell’intento ufficiale di rendere omaggio alle vittime della discoteca Pulse di Orlando, strumentalizza a più non posso quanto accaduto.

Primo fra tutti pare proprio essere stato l’ormai ottuagenario Paul McCartney al concerto di Berlino, tenutosi il 14 giugno scorso, dove l’ex Beatles ha omaggiato le vittime presentandosi sul palco con una bandiera arcobaleno avvolta addosso, e postando il tutto sul profilo Facebook con il classico slogan “We stand together with Orlando“.
Ha seguito quasi in concomitanza la voce grossa del massimo esponente gay del mondo musicale, che compra “figli” tramite utero in affitto, pagando profumati quattrini. Si sta ovviamente parlando di Elton John, il quale nel concerto all’ Echo Arena di Liverpool dello scorso martedì, al termine di una canzone, ha voluto esprimere e condividere il proprio dolore con i fans:
“Quando si manifesta un orrore come questo massacro a Orlando, una grande sofferenza investe il mondo come uno tsunami. E un grande lutto. Siamo shockati, arrabbiati e ci sentiamo devastati nel profondo per le vittime e per i loro cari che li piangono.
Ciò che trovo straordinario, e che mi dà davvero forza e speranza, è che immediatamente dietro quell’onda ne è arrivata un’altra, diversa. Un’onda arcobaleno di amore, da Istanbul a Tel Aviv, dalla Opera House di Sydney alla Torre Eiffel, passando per l’Empire State Building e la Casa Bianca… Così, stasera, allo stesso modo in cui vorrei onorare e piangere la perdita della comunità LGBT a Orlando e di tutti coloro che sono stati vittime di odio e stigmatizzati dalla società, vorrei dire che stiamo avendo la meglio sul pregiudizio. L’arcobaleno che si vede in tutto il mondo mi dice che possiamo vincere contro queste persone e lo faremo.”
Durante questo prolungato discorso Elton John ha voluto ricordare anche Lady Gaga – icona gender-fluid delle correnti Lgbt – facendo riferimento al lungo pronunciamento da lei fatto nei giorni scorsi a Los Angeles, durante una veglia in ricordo delle vittime dell’efferata strage. In particolare Elton John ha voluto accennare a  “Love Bravery“,  un progetto sostenuto con lei e che consiste in una collezione di abiti per Macy’s, realizzata per raccogliere fondi per la “Born This Way Foundation” e la “Elton John AIDS Foundation” – progetti dichiaratamente limitati e costruiti su misura per il mondo omosessuale.
Non è mancata all’appello nemmeno la mascotte gender Adele, la cantante pop che veste il figlioletto- maschio di tre anni da principessa, e che fa baciare le coppie gay durante i suoi concerti, inscenando fastidiose richieste di “nozze” tra persone dello stesso sesso.
La cantautrice britannica, che ha dedicato i suoi ultimi concerti alle vittime di Orlando, in quello di Antwerp, in Belgio, ha così parlato al suo pubblico dell’accaduto, scoppiando poi in un pianto inesauribile:
“Dedico l’intero spettacolo di stasera a tutti quelli che erano nel locale gay di Orlando la scorsa notte. La comunità LGBTQ è come se fosse la mia anima gemella da quando ero molto giovane, quindi sono molto toccata da quello che è accaduto. Non so perché sto piangendo! La maggior parte delle persone questa sera è già abbastanza infelice perché le mie canzoni sono fottutamente tristi. Avrò un paio di canzoni che sembrano felici, ma non lo sono!”
Ultima, solo per ordine di elencazione, è stata la cantante Christina Aguilera, già resasi famosa per questi tematiche in tempi non sospetti, quando compose la canzone “Beautiful“, che mostrava la “bellezza” della cosiddetta diversità: nel video si vedevano infatti omosessuali intenti a baciarsi e transessuali in procinto di truccassi, messi lì, in mezzo a tutti i presunti emarginati della società.
Dopo essere sparita di scena per almeno 3 anni, Christina Aguilera se ne esce con l’inedito “Change“, dedicato alle vittime del locale gay:
“Mando amore e preghiere alle vittime e alle loro famiglie” – dice la Aguilera – “io voglio essere parte del cambiamento che deve avvenire in questo mondo per farlo diventare un posto bellissimo dove l’umanità può manifestare il suo amore con passione e libertà”.
In un particolare punto del brano viene detto inoltre:
Waiting on a change to set us free/ Waiting for the day that you can be you and I can be me” (“Aspettando in un cambiamento che ci renda liberi, aspettando per il giorno in cui tu potrai essere tu e io potrò essere me”).
I proventi ricavati dalla vendita del disco verranno devoluti al “National Compassion Fund“, che raccoglie fondi per le vittime e le famiglie della sparatoria al Pulse.
Siamo davanti ad un buffo spettacolo, che farebbe persino ridere, se solo non ci fosse da piangere. Non vi è bisogno di far notare che tutte queste voci “compassionevoli” sono le stesse che – strage o non strage – assecondano, si battono e finanziano le cause LGBT. Sono sempre i medesimi che approfittano perlopiù di queste vicende per urlare ancora più forte, dai bassifondi della loro presunzione, i “diritti” per tutti. Per inventarsi che esiste l’ “omofobia”, che servono leggi di maggior tutela in tutti gli stati, quando poi da oltreoceano si viene a sapere che il fanatico e pazzo killer non si sa per quale preciso movente abbia agito, visto che forse – e lo dice l’ex moglie e chi lo ha conosciuto su ambigue chat-line – era pure omosessuale, o perlomeno con qualche tendenza.
Non si può tacere che, davanti a queste palle al balzo, i fautori della dissoluzione gioiscano quasi, ottengano ciò che vogliono, per poi chiedere ancor più di quanto non abbiano già ottenuto pervertendo il mondo e imbestialendo il genere umano.

(Fonte: Cristiano Lugli, Riscossa cristiana, 21 giugno 2016)


giovedì 16 giugno 2016

L’espressione rituale del dono della pace nella Messa

Papa Francesco approva una lettera circolare per eliminare gli abusi durante lo scambio della pace. Abolito il canto per la pace (inesistente nel Rito romano); vietato lo spostamento dei fedeli dal loro posto per scambiarsi la pace; il sacerdote non può allontanarsi dall’altare (neppure a matrimoni e funerali); in alcuni casi lo scambio della pace deve essere omesso.

1. La pace, dono del Risorto alla sua Chiesa
«Vi lascio la pace, vi do la mia pace», sono le parole con le quali Gesù promette ai suoi discepoli riuniti nel cenacolo, prima di affrontare la passione, il dono della pace, per infondere in loro la gioiosa certezza della sua permanente presenza. Dopo la sua risurrezione, il Signore attua la sua promessa presentandosi in mezzo a loro nel luogo dove si trovavano per timore dei Giudei, dicendo: «Pace a voi!». Frutto della redenzione che Cristo ha portato nel mondo con la sua morte e risurrezione, la pace è il dono che il Risorto continua ancora oggi ad offrire alla sua Chiesa riunita per la celebrazione dell’Eucaristia per testimoniarla nella vita di tutti i giorni.

2. Lo scambio della pace prima della comunione
Nella tradizione liturgica romana lo scambio della pace è collocato prima della Comunione con un suo specifico significato teologico. Esso trova il suo punto di riferimento nella contemplazione eucaristica del mistero pasquale – diversamente da come fanno altre famiglie liturgiche che si ispirano al brano evangelico di Matteo (cfr. Mt 5,23) – presentandosi così come il “bacio pasquale” di Cristo risorto presente sull’altare. I riti che preparano alla comunione costituiscono un insieme ben articolato entro il quale ogni elemento ha la sua propria valenza e contribuisce al senso globale della sequenza rituale che converge verso la partecipazione sacramentale al mistero celebrato. Lo scambio della pace, dunque, trova il suo posto tra il Pater noster – al quale si unisce mediante l’embolismo che prepara al gesto della pace – e la frazione del pane – durante la quale si implora l’Agnello di Dio perché ci doni la sua pace -. Con questo gesto, che «ha la funzione di manifestare pace, comunione e carità», la Chiesa «implora la pace e l’unità per se stessa e per l’intera famiglia umana, e i fedeli esprimono la comunione ecclesiale e l’amore vicendevole, prima di comunicare al Sacramento», cioè al Corpo di Cristo Signore.
3. Necessità di moderare questo gesto
Nell’Esortazione Apostolica post-sinodale Sacramentum caritatis il Papa Benedetto XVI aveva affidato a questa Congregazione il compito di considerare la problematica concernente lo scambio della pace, affinché fosse salvaguardato il senso sacro della celebrazione eucaristica e il senso del mistero nel momento della Comunione sacramentale: «L’Eucaristia è per sua natura Sacramento della pace. Questa dimensione del Mistero eucaristico trova nella Celebrazione liturgica specifica espressione nel rito dello scambio della pace. Si tratta indubbiamente di un segno di grande valore (cfr. Gv 14,27). Nel nostro tempo, così spaventosamente carico di conflitti, questo gesto acquista, anche dal punto di vista della sensibilità comune, un particolare rilievo in quanto la Chiesa avverte sempre più come compito proprio quello di implorare dal Signore il dono della pace e dell’unità per se stessa e per l’intera famiglia umana. […] Da tutto ciò si comprende l’intensità con cui spesso il rito della pace è sentito nella Celebrazione liturgica. A questo proposito, tuttavia, durante il Sinodo dei Vescovi è stata rilevata l’opportunità di moderare questo gesto, che può assumere espressioni eccessive, suscitando qualche confusione nell’assemblea proprio prima della Comunione. E’ bene ricordare come non tolga nulla all’alto valore del gesto la sobrietà necessaria a mantenere un clima adatto alla celebrazione, per esempio facendo in modo di limitare lo scambio della pace a chi sta più vicino».

4. Senso religioso e sobrietà
Il Papa Benedetto XVI, oltre a mettere in luce il vero senso del rito e dello scambio della pace, ne evidenziava il grande valore come contributo dei cristiani, con la loro preghiera e testimonianza a colmare le angosce più profonde e inquietanti dell’umanità contemporanea. Dinanzi a tutto ciò egli rinnovava il suo invito a prendersi cura di questo rito e a compiere questo gesto liturgico con senso religioso e sobrietà.

5. Possibili soluzioni per evitare gli abusi
Il Dicastero, su disposizione del Papa Benedetto XVI, ha già interpellato le Conferenze dei Vescovi nel maggio del 2008 chiedendo un parere se mantenere lo scambio della pace prima della Comunione, dove si trova adesso, o se trasferirlo in un altro momento, al fine di migliorare la comprensione e lo svolgimento di tale gesto. Dopo approfondita riflessione, si è ritenuto conveniente conservare nella liturgia romana il rito della pace nel suo posto tradizionale e non introdurre cambiamenti strutturali nel Messale Romano. Si offrono di seguito alcune disposizioni pratiche per meglio esprimere il contenuto dello scambio della pace e per moderare le sue espressioni eccessive che suscitano confusione nell’assemblea liturgica proprio prima della Comunione.

6. Disposizioni pratiche
Il tema trattato è importante. Se i fedeli non comprendono e non dimostrano di vivere, con i loro gesti rituali, il significato corretto del rito della pace, si indebolisce il concetto cristiano della pace e si pregiudica la loro fruttuosa partecipazione all’Eucaristia. Pertanto, accanto alle precedenti riflessioni che possono costituire il nucleo per una opportuna catechesi al riguardo, per la quale si forniranno alcune linee orientative, si offre alla saggia considerazione delle Conferenze dei Vescovi qualche suggerimento pratico:
A) IL RITO DELLA PACE SI PUÒ OMETTERE E TALORA DEVE ESSERE OMESSO
Va definitivamente chiarito che il rito della pace possiede già il suo profondo significato di preghiera e offerta della pace nel contesto dell’Eucaristia. Uno scambio della pace correttamente compiuto tra i partecipanti alla Messa arricchisce di significato e conferisce espressività al rito stesso. Pertanto, è del tutto legittimo asserire che non si tratta di invitare “meccanicamente” a scambiarsi il segno della pace. Se si prevede che esso non si svolgerà adeguatamente a motivo delle concrete circostanze o si ritiene pedagogicamente sensato non realizzarlo in determinate occasioni, si può omettere e talora deve essere omesso.
Si ricorda che la rubrica del Messale recita: “Deinde, pro opportunitate, diaconus, vel sacerdos, subiungit: Offerte vobis pacem”.
B) SOSTITUIRE CON GESTI PIU’ SPECIFICI
Sulla base delle presenti riflessioni, può essere consigliabile che, in occasione ad esempio della pubblicazione della traduzione della terza edizione tipica del Messale Romano nel proprio Paese o in futuro quando vi saranno nuove edizioni del medesimo Messale, le Conferenze dei Vescovi considerino se non sia il caso di cambiare il modo di darsi la pace stabilito a suo tempo.
Per esempio, in quei luoghi dove si optò per gesti familiari e profani del saluto, dopo l’esperienza di questi anni, essi potrebbero essere sostituiti con altri gesti più specifici.
C) EVITARE GLI ABUSI
Ad ogni modo, sarà necessario che nel momento dello scambio della pace si evitino definitivamente alcuni abusi come:
– L’introduzione di un “canto per la pace”, inesistente nel Rito romano.
– Lo spostamento dei fedeli dal loro posto per scambiarsi il segno della pace tra loro.
– L’allontanamento del sacerdote dall’altare per dare la pace a qualche fedele.
– Che in alcune circostanze, come la solennità di Pasqua e di Natale, o durante le celebrazioni rituali, come il Battesimo, la Prima Comunione, la Confermazione, il Matrimonio, le sacre Ordinazioni, le Professioni religiose e le Esequie, lo scambio della pace sia occasione per esprimere congratulazioni, auguri o condoglianze tra i presenti.
D) CATECHESI LITURGICHE SUL SIGNIFICATO DEL RITO DELLA PACE
Si invitano ugualmente tutte le Conferenze dei Vescovi a preparare delle catechesi liturgiche sul significato del rito della pace nella liturgia romana e sul suo corretto svolgimento nella celebrazione della Santa Messa. A tal riguardo la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti allega alla presente Lettera circolare alcuni spunti orientativi.

7. Beati gli operatori di pace
La relazione intima tra la lex orandi e la lex credendi deve ovviamente estendersi alla lex vivendi. Raggiungere oggi un serio impegno dei cattolici nella costruzione di un mondo più giusto e più pacifico s’accompagna ad una comprensione più profonda del significato cristiano della pace e questo dipende in gran parte dalla serietà con la quale le nostre Chiese particolari accolgono e invocano il dono della pace e lo esprimono nella celebrazione liturgica. Si insiste e si invita a fare passi efficaci su tale questione perché da ciò dipende la qualità della nostra partecipazione eucaristica e l’efficacia del nostro inserimento, così come espresso nelle beatitudini, tra coloro che sono operatori e costruttori di pace.

8. Opportuna catechesi ai fedeli
Al termine di queste considerazioni, si esortano, pertanto, i Vescovi e, sotto la loro guida, i sacerdoti a voler considerare e approfondire il significato spirituale del rito della pace nella celebrazione della Santa Messa, nella propria formazione liturgica e spirituale e nell’opportuna catechesi ai fedeli. Cristo è la nostra pace, quella pace divina, annunziata dai profeti e dagli angeli, e che Lui ha portato nel mondo con il suo mistero pasquale. Questa pace del Signore Risorto è invocata, annunziata e diffusa nella celebrazione, anche attraverso un gesto umano elevato all’ambito del sacro.

L’APPROVAZIONE DI PAPA FRANCESCO
Il Santo Padre Francesco, il 7 giugno 2014, ha approvato e confermato quanto è contenuto in questa Lettera circolare, preparata dalla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, e ne ha disposto la pubblicazione. (I titoli dei paragrafi sono redazionali).
  
(Fonte: Antonio Canizares, Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, 8 giugno 2014).



giovedì 9 giugno 2016

Al vaticanista Valli non piace la Chiesa che sposa la logica del mondo

In occasione del discorso tenuto nel 2014 da papa Francesco al Parlamento ed al Consiglio d’Europa, il vaticanista Aldo Maria Valli disse del Pontefice che aveva saputo portare «una ventata di coraggio» e sottolineò i «tantissimi applausi» e la «standing ovation» riservatigli. Per il Sinodo straordinario sulla Famiglia scrisse con entusiasmo: «Francesco ha già vinto», tessendo l’elogio di un’assise «non ingessata».
Quando il Papa incontrò il fondatore della teologia della liberazione, Gustavo Gutierrez, affermò che il Pontefice non aveva esitato «a recuperare quanto, dal suo punto di vista», ci potesse «essere di buono e di valido» in essa. Non ci sono dubbi dunque sulla collocazione in area “progressista” di Valli, 58 anni, vaticanista prima del Tg 3 e adesso del Tg1, con un curriculum che va dalle collaborazioni a testate come Europa (quotidiano in orbita Margherita prima e Pd dopo), a libri dal titolo inequivocabile quali Difendere il Concilio (scritto a quattro mani con mons. Luigi Bettazzi) e Storia di un uomo, ritratto di Carlo Maria Martini (testo che, si legge sul sito della stessa casa editrice, sarebbe stato seguito «con la consueta discrezione» dal Cardinale «senza nascondere simpatia e affetto per l’autore e la sua ricerca»).
Per questo hanno suscitato stupore e polemiche alcuni interventi sul suo blog decisamente critici nei confronti dell’Esortazione apostolica Amoris Laetitia di papa Francesco. Critiche ancor più rilevanti, perché non provenienti da ambienti legati alla Tradizione, eppure mirate, precise, tecnicamente ineccepibili. Contestano, ad esempio, la «logica del caso per caso, a sua volta figlia dell’etica della situazione» rintracciata nel testo pontificio a proposito della S. Comunione ai divorziati risposati ed ai luterani od a proposito del dialogo interreligioso; contestano la compresenza di due Papi («abbiamo un papa, ma anche due»); contestano persino il “mantra” del «chi sono io per giudicare?» fautore di una sorta di riedizione del dubbio metodico: «Non c’è forse anche lì il germe del relativismo?»; contestano la «logica del “ma anche”» come «pretesa di tenere uniti gli opposti», fonte di confusione, di banalizzazioni, di ambiguità, di compromessi a spese della Dottrina. Però «chi cerca la Verità con la V maiuscola non vuole scorciatoie e parole ambivalenti. Ha desiderio di indicazioni di senso», commenta Valli. Giustissimo.
E prosegue, esemplarmente: «Quando Francesco, prendendo parte a un video interreligioso (nel quale appaiono un musulmano, una buddista, un ebreo e un prete cattolico) ha detto che le persone «trovano Dio in modi diversi» e «in questa moltitudine c’è una sola certezza per noi: siamo tutti figli di Dio», chi eventualmente volesse avere un’altra certezza di un certo spessore (qual è la vera fede?) potrebbe arrivare alla conclusione che è la nostra, ma anche quella degli altri». Non fa una grinza.
Paradigmatica, anzi da manuale la ragione addotta da Valli per spiegare i suoi rilievi: «Ecco che cosa c’è di male: che la Chiesa del “ma anche” sposa esattamente la logica del mondo, non quella del Vangelo di Gesù. E infatti riceve gli applausi del mondo. Ma noi sappiamo che questo non è un buon segno. Il cristiano, quando è coerente, è perseguitato dal mondo, non applaudito». È vero, Gesù del resto aveva ammonito: «Guai quando tutti gli uomini diranno bene di voi» (Lc 6, 26)…
Valli giunge così a chiamar per nome la fonte di tutti i guai: il «soggettivismo», detto anche «relativismo», che, «come il lupo della favola, si traveste e indossa l’abito della coscienza morale e, per giustificarsi, dice con voce suadente “ma io, in coscienza…”», quella coscienza che non è – come dovrebbe invece essere – «capacità di verità», ma è piuttosto quella bollata da Benedetto XVI. «Nel pensiero moderno – disse nel 2010 – la parola “coscienza” significa che, in materia di morale e di religione, la dimensione soggettiva, l’individuo, costituisce l’ultima istanza della decisione». Il che non va bene. Proprio non va bene. Infatti, spiega Valli, «il primato della coscienza non può essere confuso con l’impossibilità o l’incapacità di giudicare. A rischio è l’autorevolezza stessa del papa, ma soprattutto il destino eterno delle anime».
Ed ancora: «In questa strategia vedo uno squilibrio. L’attenzione posta alla misericordia ed alla tenerezza di Dio, non accompagnata da un impegno altrettanto assiduo nel sottolineare la questione della verità, del vero bene e del modo di attingerlo, espone al rischio dell’indeterminatezza e del sentimentalismo». Anche perché «una pastorale senza dottrina o costruita su una dottrina vaga e ambigua può andare contro la verità evangelica». Il dubbio è più che legittimo e la domanda conseguente: «La Chiesa non dovrebbe forse portare alla luce la condotta di vita improntata al peccato? E non sta forse proprio in questo esercizio la più alta forma di misericordia?»
Insomma tutto appare ormai chiaro a chi voglia interrogarsi, sinceramente e semplicemente da cattolico, sulla rotta impressa alla Barca di Pietro dagli ultimi sviluppi vaticani. Che non riguardano solo il Pontefice, perché, come nota giustamente Valli, «lo scivolamento dalla logica dell’et et a quella del non solum, sed etiam avviene ogni giorno, in modo magari impercettibile, ma inesorabile. E coinvolge persone degnissime e buonissime, convinte in cuor loro di essere al servizio del Vangelo». Non v’è davvero altro da aggiungere.
  
(Fonte: Mauro Faverzani, Corrispondenza Roana, 8 giugno 2016)