Fino a
poche settimane fa non sapevo neppure dell’esistenza del Card. Bergoglio, finché
me ne parlò un mio amico carissimo, scrittore de La Civiltà Cattolica,
come di un cosiddetto “papabile”. Data allora la stima che nutro per questo
dotto e valoroso Gesuita, cominciai anch’io ad auspicarne l’elezione. Invece vi
confesso che i nomi proposti dai grandi mass-media
mi hanno lasciato piuttosto indifferente se non sospettoso, perché, a parte
che si sa che - è divenuto anche un proverbio - “chi entra Papa esce
cardinale”, non mi pare segno di discrezione e rispetto per la libertà dei
Cardinali elettori pubblicizzare con tanta insistenza, sicumera e dispiego di
mezzi certi nomi, anche se rispettabili, non si sa in base a quale criterio,
quasi a voler fare pressione sul Collegio cardinalizio, come se i Cardinali non
sapessero molto meglio dei giornalisti o degli opinionisti che scelta devono fare.
Per
questo io trovo in questo comportamento dei mass-media,
particolarmente rumoroso nella presente circostanza, una specie di petulanza
che sconfina nell’arroganza e che mi fa sospettare che questi nomi, almeno in
parte, esprimano le solite forze moderniste spasimanti per il loro beniamino,
come se le elezione pontificie potessero essere assimilate in tutto e per tutto
alle elezioni alla Casa Bianca o al Quirinale. È giusto pertanto che questi
interventi indiscreti non trovino rispondenza tra i Cardinali, la cui saggezza
è certamente superiore alle voci di corridoio o alle indiscrezioni raccolte dai
giornalisti, benché forse nello stesso Collegio cardinalizio vi possa esser stato
qualcuno che ha fatto l’occhiolino al modernisti e la cui vanità abbia favorito
il diffondersi delle scommesse come si fa alla corsa dei cavalli.Ma con l’inattesa elezione del card. Bergoglio, ecco l’esplodere l’irrefrenabile ovazione di un’infinità di persone entusiaste, e la rinnovata speranza in tutti alla percezione dell’evidente messaggio che, nel momento stesso della sua elezione, ci ha lanciato Papa Francesco: tutti i poveri del mondo si sono immediatamente sentiti in sintonia con lui, ossia le masse sterminate che in tutti gli angoli della terra soffrono nei più diversi modi il peso della sventura: la mancanza del pane quotidiano, la vicinanza sfrontata del ricco epulone, l’incertezza angosciosa dei disoccupati, lo smarrimento della solitudine e dell’emarginazione, l’amarezza e l’umiliazione per i torti e lo sfruttamento ricevuti, la tentazione alla disperazione, la sensazione di non poterne più, i bambini traumatizzati da violenze subìte, il tragico avvicinarsi della morte nello spavento di una malattia inguaribile, il baratro della depressione psichica, i mille disagi di un’anzianità priva di sufficienti cure e soprattutto di affetto e molte altre cose simili dove l’immaginazione stenta ad arrivare e dove non vorrebbe mai arrivare.
Come infatti non leggere in quel nome “Francesco” un forte e commovente messaggio profetico di speranza, di conforto, di consolazione? Il nome di quel Santo così giustamente popolare che da otto secoli nei suoi figli e figlie benedetti affascina il cuore dell’uomo assetato di pane, di verità, di Dio, di giustizia, di semplicità, di onestà, di rettitudine, di dignità per sé e per tutti gli uomini? Quell’uomo d’oggi che, illuso, deluso e roso dalla prometeica e falsa grandezza propinata dalla presunzione e dall’empietà - quella che i Greci chiamano hybris -, dall’invidia e dalla superbia, o immerso nell’ingordigia dei vizi carnali, nella sete del denaro o del potere, non sa trovare la vera grandezza, la fraternità, la libertà e la pace nell’umiltà, nell’apertura di cuore, nella pietas, nel senso del sacro, nella mitezza e nella preghiera?
Eppure questo Papa che così si chiama è un Gesuita, uno degli Ordini più intellettuali e raffinati della Chiesa, più ricco di capacità umane e di cultura, prudenza, savoir faire, coraggio, fantasia creatrice, slancio e dinamismo missionario. Papa Francesco ha saputo superare una tradizionale benché troppo facile contrapposizione tra Francescani e Gesuiti a causa delle grandi differenze che li distinguono e quindi costituisce anche in questo campo un grande appello all’unità e alla concordia, oggi che come non mai la Chiesa, tutti i fedeli, tutti gli uomini di buona volontà hanno bisogno sia del pane materiale sia di quel pane spirituale, panis angelicus, che è la verità, quella Parola che “esce dalla bocca di Dio” in aggiunta e complemento supremo del pane materiale: pane materiale che diventa pane eucaristico.
Inoltre, chi non s‘accorge di quanto l’America Latina - certo non solo lei - ci ricorda la grande, immensa, sempre attuale questione della miseria, della povertà, della giustizia sociale, della liberazione degli oppressi? Certo il pensiero va alla cosiddetta “teologia della liberazione”, nella quale indubbiamente sono presenti, insieme ad aspetti positivi, elementi incompatibili con la vera liberazione e la vera giustizia, trascurando la sete più profonda e sublime che l’uomo sente per i valori più alti dello spirito, della religione, della vita morale, della santità, a cominciare dal valore della verità e quindi della purezza dottrinale della fede.
L’operazione disonesta e furbesca, condotta in grande stile, che adesso temo, è quella dei modernisti, i quali andranno subito a rispolverare imprudentemente la teologia della liberazione mostrando una sperticata quanto ipocrita compassione per i poveri, ma con l’atteggiamento di Giuda, narrato dal Vangelo, in occasione dell’omaggio fatto a Cristo dalla peccatrice pentita: non una sincera attenzione ai poveri, ma la dissimulazione della loro avarizia consistente negli sporchi guadagni ottenuti dalla diffusione delle loro eresie con le quali rubano le anime a Dio e le consegnano a Satana.
Ma sono convinto che questo Papa non si lascerà sedurre o imbrogliare da queste manovre ed avrà il dono di conciliare questa fame di pane e fame di verità che purtroppo non sempre sappiamo realizzare e ciò è dannosissimo sia per l’una che per l’altra fame. Quando parliamo di “poveri”, rischiamo infatti di dimenticare quella miseria ben più profonda, tragica e pericolosa, anticamera dell’eterna dannazione e fattore dei più terribili conflitti umani, che è la mancanza o la privazione di verità, innanzitutto nel campo della fede, l’ignoranza, soprattutto quella colpevole, e l’essere vittima dell’inganno e della menzogna circa i valori più fondamentali ed importanti della vita, implicanti l’orientamento della nostra esistenza a Dio e a Cristo.
Ma d’altra parte, una maniera intellettualistica, assolutistica ed astratta di parlare della verità, una superbia ed un’arroganza nel ritenersene gli unici e sommi detentori nel disprezzo verso gli altri o verso lo stesso Magistero della Chiesa o al contrario uno scetticismo irresponsabile, inconcludente e dissolvitore che si maschera con finta bonomia sotto le apparenze della modestia, del dialogo e della tolleranza, chiudendosi soggettivisticamente ed idealisticamente all’oggettività del reale esterno soprattutto se umano e sociale, dove troviamo le miserie fisiche, i bisogni materiali e i drammi economici e politici degli altri, è proprio la maniera per gettare il discredito nei confronti degli interessi della speculazione o della teoresi filosofica e teologica, con l’annesso imprescindibile compito della confutazione degli errori e delle eresie. In queste condizioni anche la religione, la professione di fede o la vita ecclesiale diventano ipocrisia e falsità e vengono comprensibilmente bestemmiate dai poveri beffati e delusi.
Occorre pertanto che siamo più consapevoli delle conseguenze pratiche delle idee che professiamo, sì che il fatto che esse siano giuste o sbagliate - si tratti di argomenti di ragione o di fede - non è cosa per nulla indifferente ai fini di una corretta vita morale e decente convivenza umana. E’ vero che si può conoscere la verità e non praticarla, ma è altrettanto vero e certo che chi professa idee sbagliate in fatto di religione o di morale, nella misura in cui le mette in pratica, non ha alcuna possibilità di camminare sulla via giusta e di salvarsi, se non sul piano dell’apparenza. Può bensì verificarsi il caso di chi si comporta bene pur con idee sbagliate, ma state pur certi che se si comporta bene, ciò non dipenderà dalla messa in pratica di quelle idee, ma dal fatto che nonostante tutto, anche se non se ne rende conto, parte da princìpi giusti.
Il rischio che si può profilare quindi con questo nuovo pontificato, rischio certo non legato alla condotta del Papa in sè stessa, ma dipendente dai nostri soliti pregiudizi e furbizie, è quello che col pretesto dei grandi problemi della povertà, l’attenzione possa in qualche modo esser distolta dai gravissimi problemi dottrinali che ci affliggono - non dimentichiamoci che siamo nell’Anno della Fede - per avviare ad arte un’enfiagione patologica della tematica della povertà, della giustizia e della solidarietà umane in una rinnovata forma retorica e falsa che possa frenare od oscurare l’interesse e lo studio per i temi più profondi e delicati, di carattere intellettuale e spirituale, del pensiero morale e teologico, e quindi per tutto il vasto campo della cultura e della comunicazione umana intra ed extraecclesiale, nel quale persiste l’ignoranza o si diffonde la menzogna e l’impostura.
Non esistono infatti solo le frodi alimentari o la mancanza di cibo. Esistono anche le frodi nel campo dell’intelligenza e della dottrina, nonché la mancanza di verità, beni, questi, sommi, più importanti in se stessi del cibo materiale, così come la morte dell’anima è più grave dell’indigenza fisica e della carenza di beni materiali. Il che naturalmente non toglie che in molti casi sia più urgente l’intervento materiale od umanitario che non quello culturale o evangelizzatore.
Occorre comunque ridare a tanti spiriti la consapevolezza della gravità della mancanza di verità e avviare un nuovo impegno di tutta la Chiesa per sfamare la sete della Parola di Dio e, più a monte o più in radice, delle esigenze stesse della sana ragione - ecco l’evangelizzazione, nonché il vero dialogo interreligioso e tra credenti e non credenti -, senza la quale è impossibile accedere alla vera fede cattolica e si giunge semmai al fideismo o al fondamentalismo.
C’è tuttora troppa leggerezza in molti, teologi e pastori compresi, nella considerazione dei problemi dottrinali, presi come sono da false posizioni, indifferentiste, relativiste, soggettiviste e falsamente ireniste. Ma certo sarebbe una nuova ipocrisia quella di sollevare i problemi dottrinali trascurando di sovvenire ai bisogni della povera gente e i drammatici problemi di un’umanità offesa nella sua più fondamentale dignità.
L’augurio quindi che dobbiamo farci e la preghiera che dobbiamo innalzare a Dio è che tutti, sotto la guida di Papa Francesco e l’intercessione della Madonna, della quale egli è tanto devoto, possiamo raggiungere un sano equilibrio ed una saggia sintesi fra gli interessi del corpo e quelli dello spirito, e sono certo che il nuovo Papa ci aiuterà potentemente nel riacquisto di questa saggezza che è la via del vero umanesimo e della nostra felicità.
(Fonte:
P. Giovanni Cavalcoli, Riscossa cristiana, 23 marzo 2013)