giovedì 28 dicembre 2023

Seewald: Francesco ha voluto cancellare l’eredità di Benedetto XVI


Coppie gay, Messa in latino, lotta agli abusi sessuali, epurazione degli uomini più legati a Benedetto, nomina di Fernández: papa Francesco ha fatto di tutto per distruggere quanto costruito dal suo predecessore. A un anno dalla morte di Benedetto XVI parla il suo biografo e amico Peter Seewald.

Quella di Joseph Aloisius Ratzinger sarebbe stata una figura da ricordare nella storia della Chiesa anche se non fosse stato eletto al soglio pontificio. Nel 2005, però, la chiamata del Signore grazie alla quale uno dei più grandi teologi viventi, l'uomo a cui san Giovanni Paolo II affidò la custodia dell'ortodossia cattolica per 23 anni, è divenuto Papa. Il pontificato di Benedetto XVI è terminato, traumaticamente, più di un decennio fa mentre la sua vita terrena si è conclusa un anno fa, privando il recinto di san Pietro di quel «servizio della preghiera» promesso nell'ultima udienza generale del 27 febbraio 2013. Anche alla luce della nuova stagione all'insegna di una rivendicata discontinuità al dicastero per la dottrina della fede, che fine ha fatto l'eredità di Ratzinger nell'attuale pontificato? La Nuova Bussola Quotidiana lo ha chiesto in quest'intervista a Peter Seewald, giornalista tedesco, amico e biografo di Benedetto XVI con il quale ha scritto quattro libri-intervista.

È giusto dire che il rapporto tra Benedetto XVI e Francesco era «molto stretto», come Francesco ha recentemente dichiarato?
Bella domanda. Tutti ricordiamo le calde parole che il cardinale Ratzinger pronunciò al requiem per Giovanni Paolo II. Parole che toccavano il cuore, che parlavano di amore cristiano, di rispetto. Ma nessuno ricorda le parole di Bergoglio al requiem per Benedetto XVI. Erano fredde come tutta la cerimonia, che non poteva che essere piuttosto breve per non rendere troppo onore al suo predecessore. Almeno questa è stata la mia impressione.

Un giudizio duro, il suo..
Insomma, come si manifesta l'amicizia? Con una mera dichiarazione a parole o vivendola? Le differenze tra Benedetto XVI e il suo successore sono state grandi fin dall'inizio. Nel temperamento, nella cultura, nell'intelletto e soprattutto nella direzione dei pontificati. All'inizio Benedetto non sapeva molto di Bergoglio, se non che da vescovo in Argentina era noto per la sua leadership autoritaria. Ha promesso al suo successore obbedienza. Francesco l'ha ovviamente considerata una sorta di assegno in bianco. Anche il suo predecessore è rimasto in silenzio per non dare la minima impressione di voler interferire nel governo del suo successore. Benedetto si fidava di Francesco. Ma è rimasto amaramente deluso più volte.

Che cosa intende dire?
Bergoglio ha continuato a scrivere belle lettere al Papa emerito dopo la sua elezione. Sapeva di non poter reggere il confronto con questo grande e nobile spirito. Ha anche parlato ripetutamente delle doti del suo predecessore, definendolo un "grande Papa" la cui eredità diventerà più evidente di generazione in generazione. Ma se si parla davvero di un "grande Papa" per convinzione, non si dovrebbe fare tutto il possibile per coltivare la sua eredità? Proprio come ha fatto Benedetto XVI nei confronti di Giovanni Paolo II? Come possiamo vedere oggi, Papa Francesco ha fatto ben poco per rimanere in continuità con i suoi predecessori, anzi.

Che cosa significa in termini concreti?
Bergoglio non è un europeo. Ha una scarsa conoscenza della cultura del nostro continente. Soprattutto, sembra avere un'avversione per le tradizioni occidentalizzate della Chiesa cattolica. In quanto sudamericano e gesuita, ha cancellato molto di ciò che era prezioso e caro a Ratzinger. Le decisioni sono state prese per lo più in modo autocratico da una ristretta cerchia di seguaci. Basti ricordare il divieto della Messa tridentina. Benedetto aveva costruito un piccolo ponte verso un'isola del tesoro in gran parte dimenticata, che fino ad allora era stata accessibile solo attraverso un terreno difficile. Era una questione che stava a cuore al Papa tedesco e non c'era in realtà alcun motivo per abbattere di nuovo questo ponte. Era ovviamente una dimostrazione del nuovo potere. La successiva epurazione del personale completa il quadro. Molte persone che sostenevano il corso di Ratzinger e la dottrina cattolica sono state "ghigliottinate".

Sta parlando dell'ex prefetto della congregazione per la dottrina fede, il cardinale Gerhard Ludwig Müller e del caso di monsignor Georg Gänswein?
È stato un evento senza precedenti nella storia della Chiesa che l'arcivescovo Gänswein, il più stretto collaboratore di un Papa altamente meritevole, il più grande teologo mai seduto sulla Sede di Pietro, sia stato cacciato dal Vaticano in disgrazia. Non gli è stata data nemmeno una parola di ringraziamento pro forma per il suo lavoro. Naturalmente, l'epurazione ha riguardato in primo luogo l'uomo di cui Gänswein rappresenta il lignaggio, Benedetto XVI. Più di recente, è stato il vescovo statunitense Strickland, amico di Benedetto e critico nei confronti di Bergoglio, a essere rimosso dall'incarico con il pretesto di una cattiva condotta finanziaria; una ragione ovviamente inverosimile. E quando un sostenitore di Ratzinger come il 75enne cardinale Burke viene privato da un giorno all'altro della sua casa e del suo stipendio senza alcuna spiegazione, è difficile riconoscere la fraternità cristiana in tutto questo.

Accennava alla mancanza di continuità: pensa che un documento come Fiducia supplicans sarebbe stato pubblicato se Benedetto XVI fosse stato ancora vivo?
Nel suo piccolo monastero al centro del Vaticano, l'anziano Papa emerito si comportava come la luce sulla montagna. Anche il filosofo italiano Giorgio Agamben lo vede come un katechon, un trattenimento, basandosi sulla seconda lettera dell'apostolo Paolo ai Tessalonicesi. Il termine katechon è interpretato anche come "ostacolo". Per qualcosa o qualcuno che ostacola la fine dei tempi. Secondo Agamben, Ratzinger, da giovane teologo, in un'interpretazione di sant'Agostino distingueva una Chiesa dei malvagi e una Chiesa dei giusti. Fin dall'inizio, la Chiesa era inestricabilmente mista. È allo stesso tempo la Chiesa di Cristo e la Chiesa dell'Anticristo. Da questo punto di vista, le dimissioni di Benedetto hanno portato inevitabilmente alla separazione della Chiesa "bella" da quella "nera", alla separazione del grano dalla pula.
Tuttavia, il cardinale Joseph Zen di Hong Kong ha recentemente sottolineato che lo stesso Benedetto aveva ripetutamente avvertito del «pericolo di uno smottamento della dottrina». Quando ho chiesto a Papa Benedetto perché non poteva morire, mi ha risposto che doveva rimanere. Come una sorta di memoriale dell'autentico messaggio di Cristo.
Quali sono gli aspetti più critici di Fiducia supplicans?
Nei suoi discorsi, Papa Francesco dice molte cose giuste. Ma un pastore, come ha recentemente chiarito il Patriarca latino di Gerusalemme, il cardinale Pierbattista Pizzaballa (presumibilmente un candidato genuino per il prossimo conclave), dovrebbe da un lato «ascoltare il gregge», ma dall'altro «anche guidare, offrire una guida e dire dove devono andare». Pizzaballa ha detto: «Non bisogna rendersi dipendenti dalle aspettative degli altri». Il problema di Francesco in passato è stato che non ha mantenuto molte delle sue promesse, dicendo a volte "bianco" e a volte "nero", facendo dichiarazioni ambigue, contraddicendosi ripetutamente e causando così una notevole confusione. Nel caso di un documento come Fiducia supplicans, che può essere interpretato in tanti modi diversi, c'è anche il fatto che ciò che è stato appena considerato corretto viene improvvisamente dichiarato sbagliato senza un grande processo di maturazione della decisione. Per non parlare dell'effetto divisivo che questo ha sulla Chiesa e del tempismo assolutamente disastroso della sua pubblicazione. Il grande tema prima di Natale non era la commemorazione della nascita di Cristo, ma la benedizione, apparentemente molto più importante, delle coppie omosessuali da parte della Chiesa. I media lontani dalla Chiesa ne sono stati entusiasti e nessuno ha pensato al fatto che un documento così importante non sia stato – come era consuetudine sotto Benedetto XVI – discusso e approvato dall' Assemblea Plenaria della Congregazione per la Dottrina della Fede, ma sia stato semplicemente decretato in modo autocratico.

Secondo Lei il cardinale Víctor Manuel Fernández, autore della Dichiarazione, sarebbe stato nominato a capo del Dicastero per la Dottrina della Fede anche se Benedetto XVI fosse rimasto in vita?Difficile. Francesco e la sua cerchia potevano presumere che, sebbene l'Emerito fosse fedele alla sua promessa di obbedienza, non sarebbe più rimasto in silenzio se il livello di distruzione della Chiesa, che Dio apparentemente permetteva, fosse diventato insopportabile. Subito dopo la sua morte, le considerazioni che erano ancora valide durante la sua vita sono state abbandonate. È diventato giusto che un uomo come Víctor Manuel Fernández, a cui è stato dato rapidamente un cappello cardinalizio, venisse nominato alla carica di prefetto per la dottrina della fede. L'argentino non ha le qualifiche per questo importante compito, tranne che per una cosa: è il pupillo di un Papa argentino. Finora l'attitudine era il criterio principale per queste nomine, ma sotto Bergoglio sembra che conti la fedeltà alla linea. Già prima di entrare in carica, Fernández aveva annunciato una sorta di autodemonizzazione della Chiesa cattolica. Voleva cambiare il catechismo, relativizzare le affermazioni della Bibbia e mettere in discussione il celibato. Sapeva che non gli sarebbe rimasto molto tempo. Si rendeva conto che non sarebbe stato in grado di rimanere con nessun altro papa successivo. Aveva fretta. Così ha sollevato immediatamente l'atteggiamento del suo capo nei confronti della nuova dottrina. Si parla allora di una comprensione ampliata delle cose. Questa è la porta per poter legittimare interpretazioni della fede cattolica prima sconosciute.
In futuro, il Dicastero per la Dottrina della Fede non sarà più necessario come ufficio di vigilanza sulla vera fede cattolica, ha spiegato Francesco, ma come promotore del carisma dei teologi. Nessuno sa cosa significhi in realtà. La realtà è sempre più importante dell'idea, ha aggiunto. In parole povere: ciò che è importante non è ciò che il Concilio, ad esempio, ha affermato sulla fede, ma ciò che viene chiesto. Allo stesso tempo, Francesco ha ammorbidito l'articolo di Giovanni Paolo II sull'organizzazione del dicastero, che riguardava la tutela della «verità della fede e dell'integrità dei costumi».
Soprattutto, Fernández dovrebbe «tenere conto del magistero più recente» nelle sue interpretazioni, cioè quello del suo mentore argentino. È sembrato una sorta di contropartita il fatto che il Papa abbia esentato il nuovo prefetto per la dottrina della fede dal doversi occupare degli abusi sessuali nella Chiesa. Ratzinger, il suo predecessore nella carica, aveva comunque portato questo settore sotto la sua autorità perché vedeva che altrove i reati venivano nascosti sotto il tappeto e le vittime lasciate sole. Tuttavia, Fernández non è nuovo a questo argomento. Il quotidiano argentino La Izquierda Diario ha riportato che, come arcivescovo di La Plata, avrebbe coperto almeno undici casi di abusi sessuali da parte di sacerdoti «in varie forme».

Un altra prova di discontinuità è stata l'abrogazione della liberalizzazione sulle celebrazioni in forma straordinaria del rito romano. Nella lettera ai vescovi che accompagna la pubblicazione di Traditionis Custodes, Francesco ha detto che l'intenzione di Summorum Pontificum è stata «spesso gravemente disattesa». Benedetto XVI ha davvero fallito così tanto con la cosiddetta Messa in latino?
Al contrario. Ratzinger voleva pacificare la Chiesa senza mettere in discussione la validità della Messa secondo il Messale Romano del 1969. «Il modo in cui trattiamo la liturgia», ha spiegato, «determina il destino della fede e della Chiesa». Francesco, invece, ha descritto le forme tradizionali come una «malattia nostalgica». Se l'intenzione fosse stata davvero «gravemente disattesa», sarebbe stato opportuno in primo luogo ottenere un parere da parte di Benedetto XVI e in secondo luogo motivare questa accusa. Ma non c'è alcuna indagine in merito, né tantomeno una documentazione dei presunti casi. E l'affermazione che la maggioranza dei vescovi ha votato a favore dell'abrogazione del Summorum Pontificum di Benedetto in un sondaggio mondiale non è vera, secondo le mie informazioni. Ciò che trovo particolarmente vergognoso è che il Papa emerito non sia stato nemmeno informato di questo atto, ma abbia dovuto apprenderlo dalla stampa. Gli è stata inferta una pugnalata al cuore.

Prima ha parlato di abusi. Lei, che ha ricostruito i fatti sul caso di padre Peter H. nella biografia Benedetto XVI - Una vita, può spiegare perché mons. Bätzing ha sbagliato quando ha chiesto a Ratzinger di scusarsi per la sua gestione degli abusi come arcivescovo di Monaco?
Il presidente della Conferenza episcopale tedesca sa che nessun altro nella Chiesa cattolica ha compiuto passi così decisivi nella lotta contro gli abusi sessuali come l'ex prefetto della fede e papa. Il giornalista italiano Gianluigi Nuzzi ha dichiarato che Benedetto ha «tolto la cappa di silenzio e ha costretto la sua Chiesa a concentrarsi sulle vittime». Ha fatto molto di più di Papa Francesco contro questo male scandaloso.
L'affermazione del vescovo Bätzing secondo cui il Papa emerito non si sarebbe scusato per «ciò che è stato fatto alle vittime con il trasferimento di un abusatore» è pura disinformazione. Una cosa è certa: nella sua dichiarazione del 6 febbraio 2022, a seguito della discussione sul tanto discusso rapporto di Monaco, il Papa emerito ha chiarito che poteva «solo esprimere ancora una volta la mia profonda vergogna, il mio grande dolore e la mia sincera richiesta di scuse a tutte le vittime di abusi sessuali». Egli si è «assunto una grande responsabilità nella Chiesa cattolica. Il mio dolore è ancora più grande per i reati e gli errori che sono accaduti durante il mio mandato e nei luoghi interessati [...] Le vittime di abusi sessuali hanno la mia più profonda solidarietà e mi rammarico per ogni singolo caso».
Per quanto riguarda il caso del sacerdote Peter H. di Essen, risalente al periodo in cui Ratzinger era vescovo di Monaco, il team di consulenti legali del Papa emerito è giunto alla conclusione che l'ex vescovo di Monaco, come lui stesso ha dichiarato, non era a conoscenza né del fatto che il sacerdote «fosse un autore di abusi né che fosse utilizzato nella cura pastorale». Gli avvocati hanno riassunto che la perizia «non contiene alcuna prova di un'accusa di cattiva condotta o di assistenza in un insabbiamento». I documenti sostengono senza riserve le dichiarazioni di Benedetto XVI.

Lei lo ha incontrato spesso anche dopo la rinuncia: è vero che Benedetto XVI si è molto preoccupato negli ultimi anni della situazione della Chiesa tedesca e in particolare delle conseguenze del cosiddetto cammino sinodale?
Ratzinger ha ripetutamente espresso questa preoccupazione anche come prefetto per la dottrina della fede. In realtà, si era già sentito offeso dopo il Concilio Vaticano II, quando ne aveva criticato l'annacquamento e la reinterpretazione. Egli ha accusato l'establishment cattolico del suo Paese di mostrare soprattutto indaffaramento, autopromozione e noiosi dibattiti su questioni strutturali «che mancano completamente la missione della Chiesa cattolica» invece di una «dinamica della fede». Ha detto che è un errore enorme pensare che basti indossare un mantello diverso per essere di nuovo amati e riconosciuti dagli altri. Il cristianesimo può essere un vero partner nelle difficili questioni della civiltà moderna solo attraverso la sua etica risolutamente presentata.
Per Ratzinger, il rinnovamento consiste nel riscoprire le competenze fondamentali della Chiesa. Riforma, sottolineava, significa conservare nel rinnovamento, rinnovare nella conservazione, per portare la testimonianza della fede con nuova chiarezza nell'oscurità del mondo. La ricerca di ciò che è contemporaneo non deve mai portare all'abbandono di ciò che è vero e valido e all'adattamento a ciò che è attuale. A questo proposito, era scettico nei confronti del "cammino sinodale" elitario, i cui operatori non sono affatto legittimati dal popolo della Chiesa. Inoltre, con l'avanzare dell'età, questo sviluppo lo ha molto rattristato. Durante uno dei nostri incontri, ha dovuto chiedersi quante diocesi del suo Paese potessero ancora essere definite cattoliche in termini di leadership.
Non si è rassegnato a questo. Vedeva anche le molte iniziative di giovani che stanno riscoprendo il cattolicesimo e quindi attraggono sempre più persone, mentre al contrario quelle che si dichiarano particolarmente contemporanee non solo vivono una crescente aridità spirituale, ma anche un impoverimento del personale, per non parlare della perdita di membri. Ma anche se la situazione attuale della Chiesa e del mondo non dava motivo di rallegrarsi, il Papa emerito aggiungeva sempre nelle nostre conversazioni ciò di cui era profondamente convinto: «Alla fine, Cristo prevarrà!».

(Fonte: Nico Spuntoni, LNBQ, 27 dicembre 2023) 
https://lanuovabq.it/it/seewald-francesco-ha-voluto-cancellare-leredita-di-benedetto-xvi

  

Dietro “Fiducia supplicans” c'è il nuovo paradigma di Francesco


La "guerra civile" provocata dalla dichiarazione sulle benedizioni alle coppie irregolari e omosessuali è frutto di un decennio segnato da due visioni della fede irriducibili tra loro (e irriducibili alla sola "gestione Fernández").

La “guerra civile ecclesiale” provocata dalla dichiarazione Fiducia supplicans può essere compresa nelle sue dinamiche interne tornando al concetto di “nuovo paradigma” applicato al pontificato di Francesco. Non si contano gli articoli e i libri che adoperano l’espressione. Che si trattasse di un nuovo paradigma era evidente sin dai primi passi del pontificato. Già nelle aggiunte al testo incompiuto della Lumen Fidei o nell’intervista a La Civiltà Cattolica tutti avevamo notato un nuovo paradigma in embrione, che si è poi ampiamente dispiegato in questo decennio e ora, con la Fiducia supplicans, ha definitivamente mostrato il suo volto rivoluzionario, dividendo la Chiesa. Bisogna evitare di attribuire il disastroso effetto alla sola ultima dichiarazione del cardinale Fernández. Essa è stata preparata lungo tutto un decennio ed è da collegarsi direttamente con il capitolo 8 di Amoris laetitia, ma non solo. Ecco perché conviene riprendere in esame la nozione di “nuovo paradigma”.

Questa espressione proviene dalla filosofia della scienza e in particolare dalla scuola popperiana. Thomas Kuhn interpretava lo sviluppo della scienza come un susseguirsi di rivoluzioni sulla base di nuovi paradigmi da intendersi come programmi di ricerca. Il nuovo paradigma doveva essere in grado di spiegare sia quanto spiegato dal precedente sia quanto questo non riusciva a spiegare. La questione ebbe una evoluzione interessante quando Imre Lakatos sostenne che un nuovo paradigma non nasce dopo che si è scoperto un fatto anomalo che falsifica il precedente, ma prima si elabora il nuovo paradigma e poi si possono vedere e spiegare i fatti anomali rispetto al precedente, che altrimenti rimarrebbero al buio o verrebbero adattati a forza dentro il vecchio schema. Il fatto nuovo può essere quindi visto come nuovo solo se prima è già nato il nuovo modo di vedere le cose, e non dopo. Prima si passa ai nuovi criteri e solo poi si affrontano i fatti nuovi, resi ora visibili dalla luce del nuovo paradigma. Un fatto non è nuovo in quanto nuovo, ma perché nuovo è il modo di vederlo.

Questo spunto può aiutarci a capire la nuova situazione nel campo della teologia e della pastorale, per non rimanere intrappolati in questa logica. Secondo la dottrina della successione dei paradigmi, la benedizione delle coppie di fatto eterosessuali e omosessuali è un fatto nuovo che gli “indietristi” non riescono a capire perché sono rimasti dentro il precedente paradigma, ma risulta pienamente chiaro e condivisibile da chi ha acquisito il nuovo. La novità non sta nelle coppie omosessuali, ma nell’inedito colpo d’occhio che ora il nuovo paradigma getta su di esse. La benedizione di queste ultime è una creazione del nuovo paradigma, il quale ha posto la nuova questione dopo aver creato il nuovo modo di affrontarla. Si pone il problema perché si ha già in mente il modo di risolverlo.

Questo spiega due altri aspetti della nuova situazione ecclesiale che stiamo vivendo. Il nuovo paradigma spiega cose nuove, ma anche intende confermare le spiegazioni fornite dal precedente paradigma, altrimenti non c’è nessun passo in avanti. Infatti, Fernández dice che la precedente dottrina esposta da ultimo nel Responsum del 2021 non viene negata ma ampliata da un nuovo paradigma. Le nuove affermazioni risultano così incontestabili: non possono essere criticate alla luce del nuovo paradigma, perché proprio esso le ha prodotte, e non possono nemmeno esserlo alla luce del vecchio, perché era inadeguato e infatti è stato sostituito dal nuovo, il quale, però, non cessa di spiegare quanto spiegava il vecchio. In questo modo il modello del nuovo paradigma pretende di garantire la continuità della tradizione.

Questa visione è debitrice dell’impostazione non realistica ma idealistica del pensiero moderno, che parte dal soggetto e non dall’oggetto. Così tutta la nostra visione del mondo è un “grande paradigma”, a partire dal quale costruiamo la realtà.
Questa appena esposta è l’invenzione, la realtà è diversa. Lo schema ora visto ha un primo enorme difetto: intende la tradizione solo come un “precedente paradigma”, a cui fa riferimento Francesco quando parla di “ripetizione di schemi che generano immobilità”, o come una successione di paradigmi. La tradizione viene così chiamata “viva”, ma in realtà è morta perché un paradigma non è conoscenza del reale, dato che egli stesso lo pone. Al massimo è interpretativo, il che è troppo poco e deforma la definizione di tradizione della Chiesa. Inoltre, non è vero che il nuovo paradigma permetta di spiegare, alla propria luce, quanto spiegava il precedente. Questo perché il porre nuove realtà dopo aver inventato un nuovo paradigma getta a ritroso una luce diversa anche sulle verità precedenti, legate ad una interpretazione ormai superata. Questo è il punto delicato in cui vengono inseriti stratagemmi ingannevoli: in realtà Fiducia supplicans abolisce il Responsum perché i nuovi supposti motivi pastorali non sono solo pastorali ma pienamente teologici. Infatti, appartiene al nuovo paradigma sostenere che la pastorale non è applicativa ma creativa di dottrina.

Nella Chiesa di oggi ci sono due visioni della fede e due codici di pensiero irriducibili tra loro. Il Dicastero per la Dottrina della Fede porta avanti la visione della successione dei paradigmi, mentre i cardinali, i vescovi e i laici che vi si oppongono si attengono alla tradizione, che non è un paradigma destinato ad essere superato da un altro.

Fonte: Stefano Fontana, LNBQ, 28 dicembre 2023 
https://lanuovabq.it/it/dietro-fiducia-supplicans-ce-il-nuovo-paradigma-di-francesco

  

“Fiducia supplicans” e il prossimo Conclave


La promulgazione della Dichiarazione della Dottrina per la Fede Fiducia supplicans, del 18 dicembre 2023 () e le reazioni che ad essa sono seguite ci offrono una possibile chiave di lettura del prossimo conclave.

L’autore della Dichiarazione è lo stretto collaboratore e ghost writer di papa Francesco, Victor Manuel Fernández, nominato il 1° luglio 2023 prefetto del nuovo Dicastero per la Dottrina della Fede e creato cardinale il successivo 30 settembre. Il documento è sottoscritto ex audientia da papa Francesco, in maniera da renderlo inappellabile. Normalmente il documento dovrebbe essere espressione del Magistero ordinario della Chiesa, ma non lo è, proprio perché, allontanandosi dall’insegnamento della Chiesa, perde ogni carattere di “magisterialità”.

Fiducia supplicans costituisce però un vero e proprio “manifesto bergogliano”, per una specifica caratteristica, che già fu del modernismo: afferma la fedeltà al Magistero della Chiesa, mentre con una spregiudicata acrobazia intellettuale lo capovolge. In particolare, Fiducia supplicans nega che una relazione omosessuale possa essere mai equiparata al matrimonio, ma autorizzando la possibilità di benedire quella relazione, la approva, contraddicendo su questo punto il Magistero, che ha sempre condannato il peccato contro natura. Afferma, con tono rassicurante, che la benedizione è extra-liturgica, ma poiché si può benedire (bene dicere) solo ciò che è in sé buono, ammette con ciò l’intrinseca bontà della relazione omosessuale. Nega di benedire la relazione omosessuale in quanto tale, ma dal momento che ciò che viene benedetto non è una singola persona, ma la pretesa “coppia”, alla quale non viene chiesto di porre fine alla relazione illecita, benedice il legame che unisce in maniera peccaminosa i due “partner”.

Come meravigliarsi se il cardinale Gerhard L. Müller, prefetto emerito della Congregazione per la Dottrina della Fede, ha definito questa benedizione un atto sacrilego e blasfemo (qui)?

Il pronunciamento del cardinale Müller è stato forte e articolato, ma non è l’unico apparso nelle scorse settimane. Il fatto nuovo, che ci offre una chiave di lettura del prossimo Conclave, è la discesa in campo di vescovi e cardinali che mai avevano espresso pubblicamente perplessità o critiche verso papa Francesco. Fino ad oggi infatti le reazioni più  significative alla deriva del pontificato bergogliano erano state la Supplica filiale, sottoscritta nel 2015 da centinaia di migliaia di  firmatari in tutto il mondo, la  Correctio filialis, presentata nel 2017 da un gruppo di teologi e intellettuali cattolici e i Dubia presentati da alcuni eminenti porporati, tra i quali i cardinali Raymond Leo Burke e Walter Brandmüller nel 2016 (qui) e nel 2023 (qui). 

Questa volta è diverso. Una dopo l’altra si sono succedute, con tonalità diverse, le voci dissonanti dei vescovi del Ghana, dello Zambia, del Malawi, del Togo, del Benin, del Camerun, del Kenya, della Nigeria, del Congo, del Ruanda, di Angola e São Tomé (cfr. https://caminante-wanderer.blogspot.com/2023/12/las-reacciones-fiducia-supplicans.html), praticamente tutti i vescovi africani, mentre la conferenza episcopale panafricana ha lanciato un appello per un’azione concertata, firmato dal cardinale Fridolin Ambongo, arcivescovo metropolita di Kinshasa, che ha ricevuto la porpora il 5 ottobre 2019 da papa Francesco.

A queste voci critiche si sono aggiunte quelle dei vescovi polacchi, dei vescovi dei due riti, latino e greco-cattolico, dell’Ucraina, dell’arcidiocesi di Astana in Kazakistan e di molte altre singole diocesi sparse nel mondo, come quella di Montevideo. Il cardinale Daniel Fernando Sturla, arcivescovo di Montevideo, è stato anch’egli creato cardinale da papa Francesco il 14 febbraio 2015 e, come il cardinale Ambongo, è uno degli elettori del prossimo Conclave.

Si potrà dire che si tratta di una minoranza, e infatti lo è. D’altra parte sono una minoranza ancora più ristretta i vescovi che hanno esplicitamente aderito alla Dichiarazione del Dicastero della Dottrina della Fede. Ma è interessante notare che la critica più forte di Fiducia supplicans è stata espressa proprio da quelle “periferie” che tanto spesso papa Francesco ha invocato come portatrici di autentici valori religiosi ed umani, mentre la filosofia del documento è stata fatta propria da alcune conferenze episcopali, come quelle del Belgio, della Germania e della Svizzera, che rappresentano gli episcopati più mondanizzati e lontani dai problemi esistenziali delle “periferie”.La larga maggioranza dei vescovi e dei cardinali o non si è manifestata o, quando l’ha fatto, ha suggerito di interpretare Fiducia supplicans su una linea di coerenza, e non di discontinuità, con il Catechismo della Chiesa cattolicae con il precedente Responsum del 15 marzo 2021 della Congregazione per la Dottrina della Fede sulla possibilità di benedire le unioni di persone dello stesso sesso. Posizione impervia, quella di questi cardinali e vescovi, sia sul piano dottrinale che su quello pastorale. Le ragioni dell’ambiguità vanno probabilmente ricercate nel timore di non entrare in aperto conflitto con papa Francesco e con i poteri mediatici che lo sostengono. Questo centro magmatico e confuso non è tuttavia “bergogliano” e, nella sua espressione cardinalizia, costituisce l’oscillante “Terzo Partito” tra le due minoranze che si affronteranno nel prossimo conclave: da una parte il polo fedele all’insegnamento della Chiesa, dall’altra il polo fedele al “nuovo paradigma”.  Lo scontro si svolgerà in una situazione di “sede vacante”, quando papa Francesco sarà già uscito di scena, i media taceranno ed ogni elettore si troverà solo di fronte a Dio e alla propria coscienza. Quanto basta per far pensare che il prossimo conclave sarà contrastato, non breve e forse non privo di colpi di scena.

Fonte: Roberto de Mattei, Corrispondenza Romana, 27 Dicembre 2023 
https://www.corrispondenzaromana.it/fiducia-supplicans-e-il-prossimo-conclave/

 

Quousque tandem? Il dicastero per la Dottrina della Fede “benedice” il peccato contro natura


La Dichiarazione Fiducia supplicans sul senso pastorale delle benedizioni emanata il 18 dicembre 2023 dal Dicastero per la Dottrina della Fede, segna uno dei punti più bassi del pontificato di papa Francesco. Questo documento, infatti, contraddicendo la dottrina della Chiesa, approva e di fatto promuove la “benedizione” di “coppie” che vivono in una situazione intrinsecamente immorale, con una particolare attenzione a quelle omosessuali.

Per comprendere le origini di quanto è accaduto bisogna risalire ai primi anni Settanta del Novecento, quando, sull’onda della Rivoluzione del Sessantotto, ma anche della “nuova morale” postconciliare, iniziarono a diffondersi nella Chiesa forme di “apertura” alle relazioni omosessuali. Secondo la dottrina tradizionale, l’atto sessuale è in sé stesso, per sua natura, ordinato alla procreazione ed è buono solo se avviene all’interno del matrimonio, senza essere distolto dal suo fine. Invece, per i nuovi teologi, l’atto sessuale è sempre buono, perché costituisce il momento più intimo ed intenso dell’amore umano, indipendentemente dal fatto che sia ordinato o no alla procreazione, che si svolga o no all’interno del matrimonio e che coinvolga uomini e donne di differente o dello stesso sesso.

Contro questi errori la Congregazione per la Dottrina della Fede pubblicò il 29 dicembre 1975 la dichiarazione Persona humanafirmata dal Prefetto, cardinale Seper, che affermava, tra l’altro: «Secondo l’ordine morale oggettivo, le relazioni omosessuali sono atti privi della loro regola essenziale e indispensabile. Esse sono condannate nella sacra Scrittura come gravi depravazioni e presentate, anzi, come la funesta conseguenza di un rifiuto di Dio. Questo giudizio della Scrittura non permette di concludere che tutti coloro, i quali soffrono di questa anomalia, ne siano personalmente responsabili, ma esso attesta che gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati e che, in nessun caso, possono ricevere una qualche approvazione».

Il Catechismo della Chiesa cattolica, pubblicato nel 1992, affermava a sua volta, al n. 2357: «Appoggiandosi sulla Sacra Scrittura, che presenta le relazioni omosessuali come gravi depravazioni, la Tradizione ha sempre dichiarato che “gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati”. Sono contrari alla legge naturale. Precludono all’atto sessuale il dono della vita. Non sono il frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale. In nessun caso possono essere approvati».

Dello pseudo “matrimonio omosessuale”, si cominciò a parlare solo a partire dagli anni Novanta del Novecento, soprattutto dopo che il Parlamento europeo, con una sua risoluzione dell’8 febbraio 1994, invitò gli Stati membri dell’Unione «ad aprire alle coppie omosessuali tutti gli istituti giuridici a disposizione di quelli eterosessuali». Nell’Angelus del 20 febbraio 1994, Giovanni Paolo II condannò esplicitamente la risoluzione europea, affermando che «non è moralmente ammissibile l’approvazione giuridica della pratica omosessuale. Essere comprensivi verso chi pecca, verso chi non è in grado di liberarsi da questa tendenza, non equivale, infatti, a sminuire le esigenze della norma morale (cfr. Giovanni Paolo II, Veritatis Splendor, 95)» (Angelus del 20 febbraio 1994).

Questa posizione è rimasta sostanzialmente immutata ma, soprattutto a partire dal Sinodo dei vescovi tedeschi apertosi nel 2020, sono cominciate a diffondersi le richieste di “benedizione” di “coppie” omosessuali. Il 15 marzo 2021, l’allora Congregazione (oggi Dicastero) per la Dottrina della Fede, presieduta dal cardinale Luis F. Ladaria ha pubblicato un Responsum nel quale rispondeva al dubbio se la Chiesa disponesse del potere di impartire la benedizione alle unioni di persone dello stesso sesso. Il Dicastero vaticano rispondeva negativamente, spiegando che, essendo le benedizioni dei sacramentali, esse richiedono che «ciò che viene benedetto sia oggettivamente e positivamente ordinato a ricevere e ad esprimere la grazia, in funzione dei disegni di Dio iscritti nella Creazione e pienamente rivelati da Cristo Signore. Sono quindi compatibili con l’essenza della benedizione impartita dalla Chiesa solo quelle realtà che sono di per sé ordinate a servire quei disegni».

Fin dalle origini la Chiesa, facendo eco alla maledizione delle Sacre Scritture (Gen. 18, 20; 19, 12-13, 24-28; Lev. 12, 22 e 29; Is. 3, 9; 1 Tim. 1, 9-10; 1 Cor. 6, 9-10) ha condannato il peccato contro natura per bocca dei Padri e Dottori della Chiesa, dei santi, dei Papi, dei Concili e del Diritto canonico. La dichiarazione Fiducia supplicans del Dicastero della Dottrina della Fede,stravolge questo Magistero.Il documento si apre con una presentazione del Prefetto Fernandez, il quale spiega che la dichiarazione intende «offrire un contributo specifico e innovativo al significato pastorale delle benedizioni» permettendo «di ampliarne e arricchirne la comprensione classica»attraverso una riflessione teologica«basata sulla visione pastorale di Papa Francesco». I riferimenti del testo che segue sono sempre e solo all’insegnamento di papa Francesco, ignorando tutti precedenti pronunciamenti della Santa Sede, come se l’insegnamento della Chiesa cominciasse ex novo con lui.

Dopo i primi paragrafi (1-3), la dichiarazione dichiara «inammissibili riti e preghiere che possano creare confusione tra ciò che è costitutivo del matrimonio» e «ciò che lo contraddice», per evitare di riconoscere in qualunque modo «come matrimonio qualcosa che non lo è. La dottrina della Chiesa su questo punto resta ferma» (nn. 4-6).  Ma è proprio in questa precisazione che sta l’inganno e l’ipocrisiadel documento, firmato dal cardinale Victor Manuel Fernández, e controfirmato ex audientia, da papa Francesco.

Il primo punto fuorviante è quello di affermare che le relazioni omosessuali non sono equiparate al matrimonio cristiano, evitando però di definirle atti intrinsecamente disordinati; il secondo punto è l’insistenza sulla distinzione tra benedizioni liturgiche ed extra-liturgiche, come se una benedizione extra-liturgica, fatta da un sacerdote, potesse rendere lecito ciò che è illecito benedire. Nel secondo capitolo del documento (nn. 7-30) si afferma che quando con un apposito rito liturgico «si invoca una benedizione su alcune relazioni umane», occorre che «ciò che viene benedetto sia in grado di corrispondere ai disegni di Dio iscritti nella Creazione» (11), ma se ci si muove «al di fuori di un quadro liturgico», la richiesta di benedizione va accolta e valorizzata, perché ci si trova «in un ambito di maggiore spontaneità e libertà» (n. 23). Ancora una volta si dà ad intendere che queste “relazioni umane” non siano in contraddizione con la legge naturale e divina. 

Il terzo capitolo della dichiarazione (nn. 31-41) ammette dunque la «possibilità di benedizioni di coppie in situazioni irregolari e di coppie dello stesso sesso»(n. 31).Le rassicurazioni, puramente retoriche, secondo cui «non si devené promuovere né prevedere un rituale per le benedizioni di coppie in una situazione irregolare» (n.38) e che «questa benedizione mai verrà svolta contestualmente ai riti civili di unione e nemmeno in relazione a essi» (n. 39), continuano ad aggirare con deliberata ambiguità il punto di fondo dell’intrinseca immoralità delle relazioni omosessuali. Va sottolineato che il documento autorizza la benedizione non di un singolo fedele, che voglia liberarsi da una situazione irregolare, ma quella di una “coppia”, che nella condizione di peccato vive stabilmente, senza alcuna intenzione di liberarsene. Coppia, oltretutto, che tale non può essere definita, non trattandosi dell’unione naturale di un uomo e di una donna. Questa relazione peccaminosa viene oggettivamente benedetta.

Molto scandalo suscitò la frase di papa Francesco «Chi sono io per giudicare un gay?», pronunciata il 29 luglio 2013, sul volo di ritorno a Roma da Rio de Janeiro. Quella frase, pur rappresentando un chiaro messaggio mediatico, poteva essere minimizzata come una infelice boutade estemporanea. La Dichiarazione Fiducia supplicans è enormemente più grave, perché è una “dichiarazione” ufficiale, di cui il portale dell’informazione della Santa Sede Vatican News sottolinea la rilevanza, scrivendo che «era dall’agosto di 23 anni fa che l’ex Sant’Uffizio non pubblicava una dichiarazione (l’ultima fu nel 2000 Dominus Jesus), documento dall’alto valore dottrinale». Spetterà ai teologi e ai canonisti offrire una accurata valutazione di questo atto del Dicastero della Dottrina per la Fede. Per ora il semplice sensus fidei ci fa affermare che non è possibile avallare in alcun modo, e meno che mai con una “benedizione”, una relazione viziosa e immorale. Il sacerdote che impartisse tali benedizioni, o un vescovo che le approvasse, commetterebbe un peccato pubblico grave. E, duole dire, che un gravissimo peccato è stato commesso da chi ha promulgato e firmato questa scandalosa dichiarazione.

Fonte: Roberto De Mattei, Corrispondenza Romana, 20 Dicembre 2023. 
https://www.corrispondenzaromana.it/quo-usque-tandem-il-dicastero-per-la-dottrina-della-fedebenedice-il-peccato-contro-natura/

 

lunedì 16 ottobre 2023

Il cardinale Joseph Zen denuncia il regime sinodale


Sinodo significa "camminare insieme", ma a quanto pare solo in una direzione opportunamente prestabilita, anche grazie a procedure raffinate nel corso del pontificato. L'anziano porporato di Hong Kong invita a vigilare di fronte alle chiare derive in atto.

Nel pomeriggio di mercoledì, ACI Stampa ha lanciato la notizia della lettera che il cardinale Joseph Zen Ze-Kiun ha inviato ad una trentina di cardinali e vescovi, il 26 settembre scorso, riportandone alcuni stralci. Si tratta di un appello alla vigilanza ed anche all’opposizione di fronte alle chiare derive di questo Sinodo.

Nella lettera si trova una decisa denuncia dell’agenda che i quadri di questo Sinodo stanno portando avanti, nonostante le false rassicurazioni al riguardo, che, secondo il cardinale Zen, sono «veramente un’offesa alla nostra intelligenza». Ma il cardinale cinese non si sofferma tanto sulla disamina dei contenuti, quanto su quella procedura architettata ad hoc per permettere a questo sinodo di provocare una vera rivoluzione nella Chiesa. Zen, in altre parole, ha fiutato nelle procedure sinodali quella tipica copertura democratica che ogni regime oligarchico sa abilmente manovrare per esercitare la più spietata tirannia.

Dietro ai proclami dell’ascolto dello Spirito Santo, della valorizzazione del sensus fidelium, della partecipazione del popolo di Dio, della parresia e della trasparenza, si trova un vero e proprio «piano di manipolazione», che al cardinale Zen, che di regimi ne sa qualcosa, risulta evidente e che riassume in questo modo: «Cominciano col dire che bisogna ascoltare tutti. Adagio adagio fanno capire che tra questi “tutti” ci sono specialmente quelli da noi “esclusi”. Finalmente, si capisce che si tratta di gente che opta per una morale sessuale diversa da quella della tradizione cattolica». Quindi l’invito ad una inclusività a tutto tondo, senza giudicare nessuno, che è presentato come la divisa ufficiale del Sinodo in corso, è funzionale allo sdoganamento dei comportamenti delle persone “accolte”.

A spingere in questa direzione è il continuo richiamo, da parte degli organizzatori del Sinodo, alla “conversazione nello Spirito”. Questo Sinodo sarà caratterizzato appunto da interventi che dovranno essere in linea con la “conversazione spirituale”. Nella pletora di documenti, sussidi e parole che caratterizzano questo Sinodo (ma non bisognava tacere per ascoltare lo Spirito?), troviamo che la “conversazione spirituale” sembra una seduta psicoterapeutica, nella quale il contenuto delle parole ascoltate e pronunciate praticamente non ha alcun valore di per sé. Si raccomanda infatti di «ascoltare gli altri senza giudizio», prestando attenzione «non solo alle parole, ma anche al tono e ai sentimenti di chi sta parlando»; poi il suggerimento di «evitare la tentazione di usare il tempo per preparare ciò che si dirà invece di ascoltare» e la raccomandazione di controllare «le possibili tendenze ad essere egocentrico» quando si parla. Si tratta in sostanza di una castrazione preventiva di qualsiasi intervento che si volesse situare nella linea della difesa della dottrina della Chiesa e persino della semplice discussione. Questa fissazione sulla modalità della conversazione piuttosto che sui contenuti indica già abbastanza chiaramente che questi ultimi sono già stati decisi in altre stanze.

Giustamente, il cardinale Zen manifesta più che un sospetto di fronte alla regola sinodale del «conversare, ma non discutere»: «Ma allora il consenso e l’unanimità avvengono miracolosamente? (…) Evitare discussioni è evitare la verità». E, con singolare perspicacia, consiglia ai confratelli: «Non dovete obbedire a loro quando dicono di andare a pregare, interrompendo i lavori. Rispondete che è ridicolo pensare che lo Spirito Santo stia aspettando le vostre preghiere dell’ultimo momento».

Altre anomalie procedurali fanno nascere più di un sospetto, come l’inversione dell'abituale procedura dei sinodi, che faceva precedere il dibattito nell’Assemblea generale al lavoro nei più ristretti gruppi linguistici. Ed ancor più la decisione del Papa di aggiungere 70 membri non vescovi, inclusi i laici, con diritto di voto «senza nessuna consultazione, nella immediata vicinanza del Sinodo». «Se io fossi uno dei membri incalza Zen , farei una forte protesta, perché questo cambia sostanzialmente il Sinodo dei vescovi». È quanto ha messo in luce padre Gerald Murray al Convegno del 3 ottobre scorso (vedi qui). Zen fa notare che, sotto questo punto di vista, il Sinodo in corso è decisamente più radicale di quello tedesco, perché in quest’ultimo almeno «i voti dei Vescovi e quelli dei laici» sono stati «separatamente contati».

Un altro cambiamento a gara iniziata è stata l’aggiunta della sessione sinodale del 2024: «Il mio malizioso sospetto spiega il Cardinale è che gli organizzatori, non sicuri di raggiungere in questa sessione ciò a cui mirano, sperano di aver tempo di preparare altre manovre».

In effetti, è più che una sensazione che nei sinodi celebrati sotto questo pontificato ci sia stato un progressivo aggiustamento di procedure mirate a ridurre al minimo fattori disturbanti. Il Sinodo sulla Famiglia aveva messo sufficientemente in luce che la normale procedura presentava troppi rischi: c’erano ancora abbastanza vescovi che avevano coraggio e preparazione sufficienti per mettere i bastoni tra le ruote e rallentare l’onda della rivoluzione, esercitando anche una non trascurabile influenza verso molti confratelli. Non si deve dimenticare che il Papa dovette decidere il colpo di mano di reinserire nella Relatio Synodi finale anche quei tre paragrafi che non avevano raggiunto i due terzi dei voti favorevoli, e che dunque non avrebbero dovuto comparire nel documento finale.

Era già chiaro allora che Francesco non aveva alcuna remora a cambiare in corsa regole e procedure pro domo sua. Quest’ultimo sinodo è stato, da questo punto di vista, il capolavoro di un tale atteggiamento e il cardinale Zen lo mette lucidamente in evidenza. L’apparente procedimento più democratico è il paravento e lo strumento di cui si serve una ben precisa oligarchia per raggiungere i propri scopi, mentre tutti salutano meravigliati la nuova grande chiesa democratica. Zen acutamente domanda: «ma sono sicuri che questi laici invitati siano fideles? che almeno vadano in chiesa? Si noti che questi laici non sono stati eletti dal popolo cristiano praticante».

Quando apparve il Documento di lavoro, avevamo già fatto notare come le sintesi riportate dimostravano, nel loro frasario ideologico e del tutto estraneo al linguaggio della fede dei semplici, che ad essere rappresentato non era affatto il popolo dei fedeli, ma quella porzione opportunamente ideologizzata, con un duplice processo di falsificazione, che andava dagli oligarchi ai fedeli “scelti” e poi da quest’ultimi nuovamente all’oligarchia. Al sensus fidei si è così sovrapposta una «consultatio fidelium, ideologicamente condotta e riportata». Il Papa ha oltretutto sfruttato la sua facoltà di scegliere personalmente una porzione di membri del Sinodo per includere quegli “esclusi” che nessuno aveva voluto, come Mons. Paglia e il cardinale McElroy, accomunati dalla promozione dell’agenda rivoluzionaria.

È la normale tecnica di regime: si è democratici, fino a quando il demos, opportunamente catechizzato, va nella linea imposta; quando questo non avviene, l’oligarchia sceglie altre strade. In ogni caso, è sempre l’oligarchia che comanda.


(Fonte: Luisella Scrosati, LNBQ, 6 ottobre 2023)
Il cardinale Joseph Zen denuncia il regime sinodale - La Nuova Bussola Quotidiana (lanuovabq.it)



martedì 15 agosto 2023

Murgia santa subito? Non è proprio il caso


Pur con tutto il rispetto dovuto per la morte, l'esaltazione di Michela Murgia appare fuori luogo. Definita scrittrice "controcorrente", in realtà è stata sempre dalla parte del potere, quello vero. E per paradosso anche la Chiesa istituzionale la celebra come "grande cattolica".

Michela Murgia «ricorda Sant’Agostino: l‘esperienza personale diventa simbolo universale» declama, spericolatamente, Dacia Maraini su Huffington Post. Una fra le tante uscite ispirate dalla morte della scrittrice. La celebrazione pressoché unanime della Murgia da parte del mondo della cultura, della politica e dello spettacolo, ci fa comprendere che era investita di un ruolo importante nel comunicare la mentalità contemporanea di cui i principali media si fanno megafono.

Di fronte alla morte di una persona ancora giovane – spirata il 10 agosto, a 51 anni, pochi mesi dopo aver annunciato un tumore –, che ha mostrato coraggio e dignità di fronte alla propria morte, è difficile scrivere, soprattutto quando si va in direzione contraria al coro di lodi unanimi. Si teme di apparire inopportuni, stonati. Tuttavia, la Murgia era un personaggio pubblico e se viene celebrata come una grande intellettuale, addirittura «indispensabile», una «lottatrice» per i diritti degli ultimi, «attivista», «teologa», «filosofa», «innovatrice», «grande scrittrice» o «grande cattolica» allora è giusto esprimersi e ricordare gli elementi della sua vicenda che risultano critici a chi abbia una visione differente da quella propagandata dalla scrittrice sarda.

Su Repubblica Giulia Santerini definisce la Murgia una scrittrice «cattolica». Se si può scrivere tanto è perché l’identità cattolica è in crisi, attaccata anche dall’interno della Chiesa. Nessuno può dare patenti di cattolicità perché è la dottrina che definisce e lei non può essere definita, per le dottrine che propagandava, cattolica, se ha ancora un senso la parola. Il Sole 24 Ore la ricorda come scrittrice «antagonista contro il patriarcato», dimenticando che non siamo negli anni Sessanta e il patriarcato è smantellato da tempo e la Murgia ne combatteva il fantasma eliminando le vocali finali delle parole.

Diceva di essere scomoda ma l’11 agosto Rai 3 ha presentato in prima serata una programmazione a lei dedicata, un onore mai concesso agli scrittori scomodi. I palinsesti di ogni media si sono riempiti di sue riapparizioni, celebrazioni, letture, lodi senza contraddittorio. Persino Giorgia Meloni, con tutto il governo schierato, ha fatto il suo dovere istituzionale delle condoglianze che si presentano alle grandi personalità.

Michela Murgia, in fondo, aveva scelto di stare dalla parte del potere anche se lo negava con sdegno; quel potere che, attraverso le lotte che lei appoggiava, sta rimodellando le nostre vite abolendo confini fra sessi, nazioni, proprietà. Quel potere che, attraverso istituzioni comunitarie, favorisce il traffico di uomini attraverso le Ong e i loro complici scafisti. Quel potere che favorisce la denatalità a favore di una fertilità tecnica e mercenaria, l’aborto sempre più facile, l’omogenitorialità, l’eutanasia, la maternità surrogata, tutti punti difesi tenacemente dalla donna che puntellava queste scelte con la volontà o espediente di essere vicina a “Dio Madre”.

La scrittrice sarda esprimeva un pensiero fazioso e violento, irridente e blasfemo, persino feroce. Però era chiara: definiva amici e nemici con chiarezza. Dunque, riabilitarla, portarla dalla propria parte anche da quella “destra” – vera o sedicente – che lei individuava nei cattolici lontani dalle innovazioni creative degli ultimi anni o in mentalità politiche da lei vituperate, o lontane dalla sinistra neoliberista prodotto del marxismo culturale, non ne rispetta la volontà. Le va dato atto di non essere stata ipocrita: ha sempre attaccato, morto o vivo che fosse, chiunque andasse contro le sue idee. Non avrebbe gradito riabilitazioni da chi disprezzava.

Sino alla fine ha “combattuto” con segni e rituali forti, come il matrimonio “queer” della famiglia allargata. Ma se i segni hanno un valore, allora il fatto che il suo vestito da cerimonia sia stato impreziosito dalla scritta ricamata God Save the Queer della stilista di Dior, Maria Grazia Chiuri, avrà un significato. Il marchio del lusso Dior, come tutti i marchi importanti, appoggia le idee che sono maggioritarie come la grande finanza, le multinazionali dei media, le grandi istituzioni appoggiano le medesime lotte care alla Murgia. Quello del 15 luglio fu «matrimonio» fatto «pur non credendo nel matrimonio», aveva chiarito. Le teorie radical-femministe, “intersezionali”, della Murgia sono una vecchia conoscenza della cultura europea che demolisce il bello e il passato; ma lei era riuscita, partecipando a trasmissioni televisive e usando il suo talento comunicativo, a farle tornare novità. Il suo odio per un fascismo più immaginario che reale e contro una Chiesa “vecchia” era implacabile.

La teologa Marinella Perroni sull’Osservatore Romano ne loda l’amicizia e l’umanità: «Non avrebbe certo potuto scrivere in God Save the Queer le pagine davvero magiche di teologia trinitaria, se non avesse fatto questa esperienza di Dio e degli umani». Su Avvenire – che ha dedicato molti articoli alla Murgia in poche ore – Roberto Carnero insiste soprattutto sull’«inclusività» della sua teologia delle «periferie», perché il cattolicesimo è religione dell’«et-et», non dell’«aut-aut». Vero, ma ci sono dei limiti: in un’intervista su Repubblica definiva la Trinità «due uomini e un uccello», «patriarcato tossico» e meglio sarebbe una Trinità di «tre donne». Sono concetti «illuminanti» di teologia trinitaria? È l’applicazione dell’et-et? Lo lasciamo giudicare al lettore.

Quanto al catechismo femminista della Murgia, ne scriveva già 100 anni fa l’occultista Valentine de Saint Point e in termini molto simili parlando già di un Dio-Madre, con tutto quanto conseguiva.

La scrittrice sarda verrà ricordata soprattutto per i suoi pamphlet polemici Stai zitta, Morgana Ave Mary, testi brevi, rapsodici, taglienti che ritagliava fra le sue collaborazioni giornalistiche, le rubriche sulle riviste femminili. Come diventare fascisti polemizzava contro un fascismo parodistico, felliniano. Della sua opera letteraria si può ricordare Accabadora (2009) che ha grazia di scrittura, il romanzo breve L’incontro (2014) e Tre ciotole (2023), racconti ispirati alla malattia. Probabilmente, Michela Murgia più che scrittrice era donna di spettacolo, attivista moderna, spesso in televisione, spessissimo alla radio e nei teatri.

 

(Fonte: Mario Iannacone, LNBQ, 14 agosto 2023)
https://lanuovabq.it/it/murgia-santa-subito-non-e-proprio-il-caso

 

 

IL CASO AVVENIRE: Con la Chiesa o con gli usurpatori: ognuno decida


L'aperta legittimazione dell'omosessualità da parte del quotidiano dei vescovi italiani, che nega così un Magistero consolidato, deve far prendere coscienza della vera sfida che riguarda tutti i fedeli e, in primis, ogni singolo vescovo.

Che Avvenire sia da tempo impegnato nella promozione dell’agenda Lgbt nella Chiesa non è certo una novità e noi lo abbiamo più volte denunciato. Ma forse non si era mai arrivati a una tale chiarezza sulla legittimazione dell’omosessualità e transessualità come varianti naturali della sessualità. In pratica a una piena accettazione dell’ideologia gender. La risposta data da Luciano Moia a una lettrice sull’edizione del 10 agosto è eloquente. Lo spiega bene Tommaso Scandroglio nell’articolo di primo piano, in cui documenta anche le falsità dottrinali e magisteriali di cui fa sfoggio Moia per poter sostenere la sua tesi.

Non ci ripeteremo qui, piuttosto vorremmo allargare il discorso cogliendo le implicazioni e le conseguenze di tale situazione. Ora, è vero che quanto pubblicato da Avvenire – pur se in forma autorevole, come è l’articolo di Moia – non può essere attribuito automaticamente alla Conferenza Episcopale Italiana (CEI), proprietaria del quotidiano. E però non si può essere così ingenui da pensare che certi articoli e soprattutto la linea tenuta su un argomento così delicato non sia ispirata dall’alto o goda comunque dell’approvazione dei vertici della CEI. Come detto, infatti, non si tratta di un episodio isolato ma di una campagna vera e propria che dura da anni e punta a convertire tutta la Chiesa italiana al verbo omosessualista, compresa una pressione piuttosto esplicita su movimenti e diocesi perché si occupino di pastorale Lgbt. Né possiamo far finta che questa non sia la strada imboccata anche da Roma: certe manifestazioni alla recente GMG di Lisbona e la preparazione del Sinodo di ottobre sono decisamente eloquenti.

Semplicemente ad Avvenire si fa dire quello che i vescovi non possono (ancora) dire apertamente, anche se già agiscono così: vedi il caso della benedizione della coppia gay a Bologna, diocesi retta dal presidente della CEI, cardinale Matteo Zuppi (vedi qui e qui).

E a questo proposito è chiaro che – se non ci saranno interventi “correttivi” – la strada imboccata è proprio quella della piena legittimazione delle unioni gay. Se infatti «esistono diversi approcci alla sessualità» e non ci sono «gerarchie di rispetto e di dignità», non solo non c’è alcun motivo per impedire le benedizioni delle coppie gay, ma non si potrà neanche discriminare in fatto di matrimonio. È una questione di pura logica. Tutti i distinguo clericali, i giri di parole, il permettere delle cose facendo finta di non saperne nulla, sono soltanto tattiche per abituare il popolo di Dio alle nuove idee.

Quindi torniamo al punto: alla presidenza e segreteria della CEI sono tutti d’accordo sulla promozione dell’ideologia gender e della legittimazione dell’omosessualità e di tutte le altre varianti possibili (la “beatificazione” in corso di Michela Murgia ha anche digerito il “matrimonio queer”)? E, uscendo dal Palazzo, in Italia tutti i vescovi concordano con i concetti espressi da Avvenire o li trovano “normali”? Non pretendiamo grosse manifestazioni pubbliche di dissenso – non sia mai – ma ci sono comunque molti modi “istituzionali” per manifestare preoccupazione o porre domande adeguate alla gravità della situazione.

Perché non ci si può prendere in giro: o sbaglia la Parola di Dio e il modo con cui la Chiesa l’ha sempre interpretata, oppure sbaglia – e di grosso – Avvenire con tutti i vescovi che spingono in quella direzione. Non è un caso che Moia, a sostegno delle sue tesi, non possa citare nulla della Tradizione della Chiesa e deve addirittura forzare anche Amoris Laetitia: siamo al cospetto di una “nuova Chiesa” che sta prendendo il possesso della Chiesa di Cristo. Come del resto aveva “visto” Paolo VI, in quella riflessione raccolta dal filosofo francese Jean Guitton l’8 settembre 1977: «Ciò che mi colpisce, quando considero il mondo cattolico, è che all’interno del cattolicesimo sembra talvolta predominare un pensiero di tipo non cattolico, e può avvenire che questo pensiero non cattolico all’interno del cattolicesimo diventi domani il più forte. Ma esso non rappresenterà mai il pensiero della Chiesa».

Ecco, in questi frangenti crediamo sia doveroso da parte di tutti - vescovi, preti, laici – decidere se seguire e difendere apertamente «il pensiero della Chiesa» o lavorare per i suoi nemici usurpatori. Può essere che il «pensiero non cattolico» si presenti come vincitore assoluto, appaia inutile opporvisi e sia quindi più conveniente adeguarsi, ma non dimentichiamo mai che la Chiesa è di Dio ed è al Signore che alla fine dovremo rispondere.

 

(Fonte: Riccardo Cascioli, LNBQ, 14 agosto 2023)
https://lanuovabq.it/it/con-la-chiesa-o-con-gli-usurpatori-ognuno-decida?fbclid=IwAR3x89Up9Rtld_r95hvslKr4Mp3maUphX2tFSZs19GJgrjvBCfSOsCDyndM

 

  

“Veritatis splendor”: i 30 anni di un'enciclica dimenticata


I media vaticani hanno ignorato i 30 anni di "Veritatis Splendor", l'enciclica di San Giovanni Paolo II che denunciava i travisamenti della morale cattolica su questioni fondamentali. Ora quei travisamenti sono diventati la regola nella Chiesa per cui commemorare l’enciclica diventa compromettente.

Il 6 agosto di 30 anni fa Giovanni Paolo II pubblicava l’enciclica Veritatis splendor “su alcune questioni fondamentali dell’insegnamento morale della Chiesa”. L’Osservatore Romano non ha ricordato l’anniversario. Vatican News non he ha parlato. Avvenire nemmeno. È vero che di solito si ricordano i 25 e i 50 anni di avvenimenti di questo tipo, come avviene con i matrimoni, come è vero che la GMG ha monopolizzato la comunicazione ecclesiale in questi giorni, ma una così generale dimenticanza lascia attoniti. Questo atteggiamento esprime bene il disprezzo che la Chiesa ufficiale dedica all’enciclica sulla morale di un grande Pontefice.

La Veritatis splendor non contiene tutta la dottrina morale cattolica, suo scopo era denunciare e correggere alcuni travisamenti della morale cattolica su questioni fondamentali. Ora quei travisamenti sono diventati la regola nella Chiesa per cui commemorare l’enciclica diventa compromettente. Meglio non parlarne, abbandonarla nel gorgo dell’oblio, come se non fosse mai stata scritta. Come sarebbe possibile, senza arrossire, ricordare in questi giorni quell’enciclica senza notare che essa fa a pugni con Amoris laetitia e in generale con lo status della teologia morale sotto Francesco? Come sarebbe possibile spacciare per continuità una differenza così evidente e sostanziale? Infatti, per trovare delle commemorazioni di questo trentennale bisogna rifarsi a centri di pensiero più o meno critici verso l’abbandono di quella prospettiva di teologia morale, come per esempio Catholic Thing oppure Crisis Magazine.

La condanna della Veritatis splendor e la damnatio memoriae ordinata a suo riguardo non avvengono in modo espresso, ma nel grigio dell’ombra. Nell’attuale pontificato non c’è stato alcun documento di revisione di quanto insegnato da Giovanni Paolo II. In altre parole: perché la Veritatis splendor debba esse lasciata alla deriva non è mai stato spiegato. Cosa ci fosse di sbagliato o di inadeguato in essa non è mai stato detto. Si è solo deciso di andare oltre, di voltare pagina. Tanto il tempo passa, la gente si dimentica, e coloro che continueranno a tenerla presente e a far notare le contraddizioni con i nuovi insegnamenti prima o dopo si stancheranno e tutto finirà così nel nulla.

Ma la Chiesa che volta pagina è come un esercito che lascia i propri soldati in territorio nemico, abbandonandoli. La Veritatis splendor, e lo stesso si può dire per la Humanae vitae, non sono solo dei testi da mettere in archivio: su di essi molti cristiani hanno costruito la battaglia della loro vita. Dimenticare quei documenti senza dire perché significa abbandonare quei compagni di viaggio a se stessi.

Di questo voltare pagina in silenzio, di questo fingere che il convitato di pietra non esista, di questo procedere come se tutto fosse iniziato dopo la Veritatis splendor due aspetti colpiscono in modo particolare. Uno riguarda il metodo e l’altro il contenuto.

L’imposizione dall’alto del nuovo corso della teologia morale cattolica antitetico alla Veritatis splendor è avvenuto non solo senza spiegare i perché, ma anche tramite colpi di mano e manovre politiche, tramite sotterfugi e sgambetti, ossia in modo poco decoroso. La vicenda dell’Istituto Giovanni Paolo II testimonia il disprezzo per le persone, le macchinazioni politiche, una nuova collocazione giuridica inventata ad hoc e funzionale alla trasformazione sostanziale delle finalità dell’Istituto. Potevano essere scelti modi meno lesivi della memoria di Giovanni Paolo II e meno irriguardosi per quanti si erano validamente impegnati in quella istituzione.

Le nomine di discussi membri delle Pontificie accademie, le dichiarazioni provocanti su temi di etica teologica del Presidente della Pontificia accademia per la vita, gli slogan creativi detti da Francesco in svariate interviste, la promozione nella Chiesa di personaggi schierati sulle nuove prospettive di etica cattolica, la provocazione e la gestione di processi rivoluzionari come nei sinodi sulla famiglia, le note a piè pagina di Amoris laetitia … in queste modalità poco ortodosse e poco rispettose è stata scavata la tomba della Veritatis splendor.

Per quanto riguarda l’aspetto contenutistico, bisogna notare che la damnatio memoriae è stata totale, nessun suo aspetto si è salvato, nessuna pietà per i vinti. Non si è salvato l’impianto di teologia fondamentale di riferimento dell’enciclica, la visione antropologica che vi sottendeva, i problemi di conoscenza della norma naturale e rivelata, i rapporti tra le due, il rapporto tra la norma e la coscienza, l’esistenza di azioni sempre erronee e da non compiersi mai e in nessuna occasione, la valutazione del ruolo delle circostanze, l’aspetto oggettivo e pubblico del peccato, la visione stessa del peccato ora visto come inadeguatezza rispetto ad un ideale, la possibilità di riconoscere giuridicamente le azioni contro la legge naturale e la stessa concezione della legge morale naturale.

Niente si è salvato della Veritatis splendor. 
L’enciclica non esiste. Perché commemorarla?

 

(Fonte: Stefano Fontana, LNBQ, 8 agosto 2023) 
https://lanuovabq.it/it/veritatis-splendor-i-30-anni-di-unenciclica-dimenticata

 

 

giovedì 1 giugno 2023

AVVENIRE PUBBLICIZZA IL 5 PER MILLE A FAVORE DELL'ARCI


Viene da chiedersi se la CEI sa che l'Arci promuove il gender, l'aborto, l'eutanasia, l'afflusso dei clandestini, la droga libera, i gay pride, i rave party, ecc. ecc.

Di nuovo. È successo di nuovo. Non a caso, non per una svista, né per un errore. Bensì deliberatamente, consapevolmente, pervicacemente. Il quotidiano della Cei, Avvenire, che ama definirsi genericamente «di ispirazione cattolica», quasi la sua non fosse sequela, apostolato, testimonianza, missione, bensì un tenue sentimento, un timido stato d'animo, un'intuizione senza impegno, dallo scorso 3 maggio ha ripreso a pubblicare in prima pagina, come manchette, accanto alla testata, a destra ed a sinistra, quindi con la massima evidenza possibile, la pubblicità del 5 per mille a favore dell'Arci.

Era già capitato l'anno scorso e già qui, con un articolo, evidenziammo l'anomalia: con tutte le associazioni e le realtà cattoliche benemerite, cui invitare i lettori a destinare il 5 per mille, sponsorizzare proprio l'Arci ha dell'incredibile. E proprio in quell'articolo ne sintetizzammo i motivi, ripercorrendo la storia di quest'organizzazione impregnata ancora oggi di Sinistra col pugno chiuso, di immigrazionismo spinto, di ideologia Lgbtqa+, di genderismo fatto di schwa e asterischi per Statuto e poi ancora di aborto, di suicidio assistito, di eutanasia, stracciando così pagine e pagine di Catechismo della Chiesa cattolica, infischiandosene della sua Dottrina con una foga che non fa certo rima con “accoglienza” dei valori altrui, con “ascolto” di chi solo la pensi diversamente, con un autentico “rispetto” di tutte le posizioni.
L'Arci ne ha per tutti coloro che non cantino col (suo) coro: sul suo sito, bolla senza mezzi termini e senza appello il governo Meloni d'esser «a trazione post-fascista», «pericoloso per la nostra Costituzione e per la nostra democrazia», si scaglia contro il decreto «anti-rave», monopolizza il 25 aprile, promuove la «Giornata internazionale della visibilità transgender» con tanto di «Carriera Alias» nelle scuole e via elencando.

L'ARCIGAY
Del passato l'Arci non rinnega nulla, anzi: anche nell'ultima redazione dello Statuto, approvata al XVIII Congresso nazionale del dicembre 2022, ribadisce di rappresentare «la continuità storica e politica» dell'«Associazione Ricreativa Culturale Italiana delle origini, fondata a Firenze il 26 maggio 1957», quella che affondava le proprie radici nel Pci, nel Psi e nella Cgil, come evidenziato da Vincenzo Santangelo, ricercatore presso l'Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea, nel suo libro Le Muse del popolo.
Nell'alveo dell'Arci sorse il 9 dicembre 1980 l'Arcigay, voluto da un sacerdote omosessuale, un teologo della liberazione sospeso a divinis, don Marco Bisceglia (riammesso nella Chiesa solo poco prima di morire, malato di Aids, dopo la supplica da lui inviata alla Congregazione per la Dottrina della Fede, supplica in cui si pentì di quelli che chiamò «i miei errori e traviamenti»). Con lui collaborò a quest'avventura anche un allora giovane obiettore di coscienza in servizio civile, Nicola Vendola detto Nichi, che poi divenne suo convivente. Con la sua adesione al World Social Forum, l'Arci ha fatto sue le bandiere dell'antagonismo e della «globalizzazione alternativa» terzomondista, ribadendo la propria natura «antiliberista» ed «antimperialista».
Insomma, ce n'è abbastanza per indurre chi si dichiari cattolico a prender le distanze da posizioni tanto estremizzate e tanto lontane dal proprio credo. Anche quando si tratti di contratti pubblicitari, specie quando i messaggi contrastino con i propri ideali (ammesso che contrastino davvero). Perché a Vespasiano, che sentenzia «pecunia non olet» («il denaro non puzza»), risponde Orazio, che argomenta «Est modus in rebus» («v'è una misura nelle cose») ed aggiunge: «Sunt certi denique fines, Quos ultra citraque nequit consistere rectum» («Vi sono determinati confini, al di là e al di qua dei quali non può esservi ciò ch'è giusto»). Allora, perché insistere, un anno dopo, riproponendo la medesima pubblicità a scapito delle realtà cattoliche, che più e meglio l'avrebbero meritata? Allora è un vizio, verrebbe da commentare...Esattamente. Come conferma il Catechismo.

“AVERSIO A DEO, CONVERSIO AD CREATURAS”
Secondo San Tommaso d'Aquino, infatti, il peccato è «aversio a Deo» ovvero allontanamento cosciente e volontario da Dio, da Colui che infonde l'essere e la vita, aderendo viceversa alle creature, al mondo («conversio ad creaturas»). Coincide con quanto recepito nel Catechismo della Chiesa cattolica, che, al n. 1849, definisce il «peccato» come «una mancanza contro la ragione, la verità, la retta coscienza; è una trasgressione in ordine all'amore vero, verso Dio e verso il prossimo». Richiamando Sant'Agostino - e lo stesso San Tommaso, non a caso citato - bolla il peccato come «una parola, un atto o un desiderio contrari alla Legge eterna».
Ora, promuovere pubblicamente chi sostenga aborto, eutanasia e tutto quanto sopra richiamato allontana indubbiamente da Dio sé stessi ed, ahimè, anche il prossimo, essendo manifestamente contrario alla Legge eterna.
Il peccato inizia come seduzione e, specie quando ripetuto, diviene schiavitù. Come scrive ancora il Catechismo al n. 1876, «la ripetizione dei peccati, anche veniali, genera i vizi». Ed ecco, dunque, per quale motivo non appaia né sbagliato, né esagerato ritenere un «vizio» la promozione di ideologie contrarie alla fede, alimentando la confusione tra credenti e non. Nelle sue parole di commiato, Marco Tarquinio, che ha recentemente lasciato la direzione di Avvenire al collega Marco Girardo, ha scritto d'aver voluto «offrire a tutti un'informazione sempre limpida e libera, ancorata ai grandi valori cristiani e civili del nostro umanesimo». Certamente la scelta degli inserzionisti non è stata oculata, né coerente: lascia anzi una brutta eredità ed una pesante ipoteca sulla linea editoriale del giornale della Cei, linea che sarebbe bene a questo punto chiarire: infatti, «nessun servo può servire a due padroni: o odierà l'uno e amerà l'altro oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro. Non potete servire a Dio e a mammona» (Lc 16, 13).

 

Fonte: Mauro Faverzani, Radio Roma Libera, 8 maggio 2023 
Pubblicato su BastaBugie n. 821