L’articolo
di monsignor Antonio Livi che criticava alcuni interventi di Enzo Bianchi [cfr.
Falsi profeti! consultabile in questo
blog alla data del 17 marzo 2012], ha provocato la durissima reazione del
direttore di Avvenire, Marco
Tarquinio, che riportiamo qui di seguito. Molte peraltro sono state anche le
lettere di solidarietà a monsignor Livi arrivate in questi giorni ad Avvenire. Ma preferiamo dare la parola
allo stesso monsignor Livi che risponde al direttore di Avvenire con la lettera
aperta che pubblichiamo in calce.
Quelle maligne deformazioni
Gentile
direttore, mi scuso per il disturbo ma ho trovato in rete un articolo – tratto
da un sito cattolico – che mi ha lasciata interdetta... In esso si critica con
molta forza il priore della Comunità monastica di Bose, fratello Enzo Bianchi.
E si cita anche Avvenire per la meditazione del religioso sulle «Tentazioni di
Cristo» che ha pubblicato il 4 marzo scorso. Per questo glielo segnalo. Trovo
strano che il nostro giornale venga accusato di pubblicare cose non in linea
con il pensiero della Chiesa. La saluto con tanta stima e gratitudine per i
vostri articoli sempre corretti ed equilibrati, oltre che obiettivi (ne
facciamo largo uso durante le letture in refettorio)... Il Signore la benedica
coi suoi validi collaboratori.
Una suora.
Caro
direttore, anzitutto voglio ringraziarla per la quotidiana testimonianza del
giornale che lei dirige, coadiuvato da abili collaboratori e da autorevoli voci
esterne alla redazione. Debbo confessarle che siete divenuti miei compagni di
viaggio, quasi inseparabili; fatico a non sostare sull’abile mescolanza che
propone letture sagge della cronaca quotidiana e sane riflessioni che pungolano
la fede. Con rammarico constato la malevola superficialità con cui venite
trattati spesso da chi dovrebbe promuovere la lettura della "prima
pagina" di ogni quotidiano ed evito di ritornare sui recenti attacchi
frontali che avete subito. Ma è di questi giorni una nuova campagna, mi
permetto di dire diffamatoria, nei confronti di un uomo di Chiesa che spesso
trova spazio sulle vostre pagine e che stimo. Parlo di Enzo Bianchi. Fatto
ancora più grave le accuse – di eresia!! – provengono da un altro uomo di
Chiesa e trovano risonanza in ambienti e testate online che si autodefiniscono
punto di riferimento per i cattolici. Mi perdoni l’ignoranza di questa mia
considerazione più logica che teologica: ma Benedetto XVI nominerebbe un
"eretico" come esperto al Sinodo dei vescovi sulla Parola di Dio? Le
diocesi inviterebbero Enzo Bianchi a tenere incontri, riflessioni, esercizi per
presbiteri se fosse appunto "eretico" o anche solo non più che
ortodosso al magistero cattolico? Enzo Bianchi sarebbe uno degli esperti più
ascoltati in liturgia se fosse "eretico"? Insomma, secondo certi
signori, tutti – Avvenire compreso – si sarebbero fatti abbindolare, tranne
loro. C’è il bisogno di ulteriore malignità nella nostra Chiesa? Le auguro un
buon proseguimento del cammino quaresimale. Giovanni Todeschini, Lecco.
Risponde
il Direttore di Avvenire: «Ammetto di non essermi reso conto per diversi giorni
di che cosa era stato scritto di tragicamente ridicolo su internet contro Enzo
Bianchi e – en passant – anche contro Avvenire. Lui accusato – udite udite – di
eresia monofisita (cioè di considerare Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, solo
un uomo) e questo giornale accusato – riudite ri-udite – di tenergli bordone.
Ammetto anche, gentile e reverenda sorella e caro signor Todeschini, di essere
rimasto quasi senza parole nel leggere le argomentazioni usate da un uomo di
Chiesa, il professor Livi, del quale – fin qui – avevo solo sentito parlare [grave carenza: si vede che il Direttore non
ha molta familiarità con i testi di teologia e filosofia!]. Ho scoperto un
testo feroce, nel quale si procede con metodi degni della peggiore
"disinformatsja": estrapolando frasi, selezionando concetti,
amputando verità, distillando veleni. Una deformazione doppiamente insultante
(per l’autore e per l’intelligenza dei lettori) della bella e intensa
meditazione del priore Bianchi sulle tentazioni di Nostro Signore che abbiamo
pubblicato il 4 marzo scorso. La mia è la constatazione addolorata e ferita di
un giornalista non esattamente alle prime armi e che, dunque, se ne intende un
po’ del bene o del male che si può fare impugnando la penna. Ma è anche, e
soprattutto, la testimonianza civile di uno che ha denunciato più volte, e a
diverso proposito, certe squallide procedure di denigrazione e diffamazione. Mi
ha davvero colpito, cari amici lettori, il livore della filippica e mi indigna
la disonestà intellettuale dell’operazione tentata nel nome della comune fede
cattolica contro Enzo Bianchi e, di rimbalzo, ma non casualmente, contro questo
giornale. Si può ovviamente non essere d’accordo con il priore di Bose (o con
il sottoscritto o con qualsiasi altro giornalista e collaboratore di Avvenire) su ciò che è opinabile:
valutazioni storiche e socioculturali, opinioni artistiche, scelte lessicali,
giudizi politici... Ma mi è stato insegnato, e a questo insegnamento resto
serenamente e cristianamente fedele, che non ci si può mai permettere – con
maligni artifici e disprezzo della verità delle cose e delle parole – di porre
in dubbio la fede altrui e l’altrui indiscutibile adesione alla buona dottrina
cattolica su ciò che opinabile non è. Chi si azzarda a farlo, e in questo caso
si è azzardato, dovrebbe essere capace di vergognarsene. Questa è la speranza. Marco
Tarquinio.
Lettera aperta a Tarquinio
(Avvenire)
Sig.
Direttore, Il 23 marzo scorso Lei sul Suo giornale mi ingiunge di vergognarmi
per quello che avevo scritto su La Bussola
Quotidiana a proposito di Enzo Bianchi, accusandomi di aver orchestrato
squallide manovre diffamatorie basate sulla menzogna. Siccome alcuni lettori
(anche se non tutti) e i cattolici italiani in generale possono aver pensato
che queste accuse (che costituiscono – queste sì – denigrazione e diffamazione
nei miei confronti) siano fondate, mi vedo costretto a fornire loro
pubblicamente alcune spiegazioni.
1. Io
non ho scritto contro Enzo Bianchi come persona ma contro la sua “fama di
santità”, ossia contro la presentazione che se ne fa come di un vero mistico,
di un autorevole interprete della Scrittura, di un venerato maestro di dottrina
cristiana, di un eroico combattente per la riforma della Chiesa e per
l’ecumenismo. Io vorrei invece richiamare l’attenzione di chi ha responsabilità
pastorale sul fatto che i suoi scritti e i suoi discorsi – che certa stampa
utilizza come se potessero essere dei validi sussidi per la catechesi - sono
inficiati di un’ideologia neognostica, incentrata sul progetto di una religione
universale a carattere etico (la Welthethik), secondo la prospettiva del suo
autore di riferimento, che è Hans Küng.
2. Per
questo preciso motivo ho deprecato lo spazio e il rilievo che il Suo giornale ha
dato a una meditazione biblica di Bianchi, pubblicandola in un paginone a
colori di “Agorà” della domenica. Io l’ho visto distribuito in alcune chiese di
Roma assieme ai foglietti della Messa, e mi è sembrato assurdo che quel
commento di Bianchi al Vangelo della prima domenica di Quaresima fosse presentato
ai fedeli quasi come un sussidio per la pastorale liturgica. Quale
approfondimento della dottrina cristiana e quale edificazione nella fede
eucaristica – mi domandavano – possono venire da discorsi che presentano Gesù
come un modello (umano) di quella morale umanitaria che ritiene di poter
prescindere dalla grazia del Redentore? Il modo è pieno di gente che parla di
Gesù in termini che sono più propri dell’umanesimo ateo che del dogma
cattolico: non è questo che mi turbava: mi turbava il fatto che ancora una
volta fosse presentato come un autorevole maestro della fede, con
l’autorevolezza che può conferire il “giornale dei vescovi italiani”, un
personaggio che, a mio avviso, la vera fede non contribuisce affatto a
diffonderla. Non si tratta di un problema personale o ideologico, ma di un
problema esclusivamente pastorale, e io come sacerdote lo considero l’unico
problema importante.
3.
Lei, Direttore, non ha ragione quando scrive che io avrei potuto criticare
Bianchi o altri collaboratori di Avvenire «su ciò che è opinabile: valutazioni
storiche e socio-culturali, opinioni artistiche, scelte lessicali, giudizi
politici…», mentre invece mi sarei «azzardato» a «porre in dubbio la fede
altrui e l’altrui indiscutibile adesione alla buona dottrina cattolica su ciò
che è opinabile». Lei non ha ragione perché io critico appunto il modo di
commentare il Vangelo in un giornale ufficialmente cattolico, e in questa
materia nella Chiesa c’è sempre stata e sempre ci sarà il diritto di critica
(la teologia cattolica e lo steso dogma nascono dal confronto critico con i
diversi modi di presentare il contenuto della rivelazione divina). Ciò che per
un cattolico «opinabile non è» è solo il dogma enunciato dalla Chiesa con il
suo magistero solenne. Le interpretazioni del dogma e la sua presentazione
catechetica, così come le scelte pastorali, sono invece materia di libera
discussione. Non c’è nulla di criminoso e di vergognoso nel fatto di aver
voluto manifestare la mia opinione circa l’inopportunità pastorale di presentare
alla meditazione dei fedeli dei discorsi, come quelli di Bianchi, così ambigui
rispetto al dogma cattolico. Da quando è diventato «indiscutibile» il fatto
dell’«adesione alla buona dottrina cattolica» da parte dei collaboratori dell’Avvenire?
Basta la parola del Direttore? È un nuovo caso di «Roma locuta, quaestio
finita»?
4. Nel
fare quei rilievi dottrinali e pastorali, peraltro, io non ho minimamente
voluto «porre in dubbio la fede altrui», cioè di Enzo Bianchi. Sembra che Lei,
dottor Tarquinio, non abbia presente la fondamentale distinzione tra la fede
come atto interiore del soggetto che aderisce con tutto se stesso a Cristo e
alla sua dottrina (e di questo atto interiore è consapevole solo il soggetto
stesso) e la fede come enunciazione esteriore (professione di fede,
proclamazione della fede, catechesi, evangelizzazione, teologia); io so bene di
non dover giudicare la sincerità e la fermezza della fede degli altri (della
coscienza di ciascuno di noi è giudice solo Dio, il quale «scruta i reni e il cuore»
degli uomini), ma so anche che ho il dovere di giudicare la rispondenza di un
discorso sul Vangelo alle verità fondamentali contenute nella dottrina della
Chiesa: è un dovere che in primis spetta al collegio episcopale, con a capo il
Papa, ma spetta, per partecipazione sacramentale, anche a un semplice sacerdote
come me, impegnato da sempre nella formazione cristiana dei fedeli con il mio
lavoro pastorale e con la docenza nell’«Università del Papa». Certo, il mio
giudizio – di approvazione o di critica – è soggetto a errore dal punto di
vista dottrinale, e anche dal punto di vista della prassi può risultare meno
opportuno o conveniente: ma è pur sempre un atto legittimo, anzi doveroso,
quando uno come me ritiene in coscienza che il bene comune della comunità
ecclesiale lo richieda.
5. Lei
scrive che il mio è «un testo feroce, nel quale si procede con metodi degni
della peggiore “disinformatsja”: estrapolando frasi, selezionando concetti,
amputando verità, distillando veleni». In realtà, le frasi dello scritto di
Bianchi che ho citato sono testuali, e in un breve scritto non potevo
certamente riprodurre tutto il testo pubblicato nel paginone di Avvenire (chi
non crede alla sintesi che io ho fatto potrà confrontarla con l’originale);
sono però frasi emblematiche, che nemmeno il contesto può contribuire a
“salvare” (anzi, a me sembra che tutto il discorso che Bianchi fa sul potere e
sul denaro ha senso solo presupponendo che Gesù sia solo un modello morale, un
uomo esemplare). Nessuno scrittore dei primi secoli, nessun letterato cristiano
moderno, nessun teologo intenzionato a rispettare il dogma si è mai sognato di
parlare di Gesù come di una «creatura», di un uomo cioè che insegna agli altri
uomini come si deve rispettare Dio, che è il Creatore. Bianchi è un biblista:
ma dove mai si trova nella Bibbia la definizione di Gesù come «creatura»? Che
cosa avranno pensato quei fedeli che hanno letto il testo di Bianchi sull’Avvenire e poi a Messa hanno recitato il
Credo, dicendo di Gesù che Egli è «Dio da Dio» e che è «generato, non creato»?
Devono pensare che la professione di fede della Chiesa è una formula antiquata
e che è meglio credere alle spiegazioni moderne e aggiornate di Bianchi? Questo
è il vero problema: un problema che interessa necessariamente chi ha
sensibilità pastorale e si sente responsabile dei messaggi dottrinali che
vengono proposti da personaggi che (non sempre meritatamente) godono di credito
presso i fedeli, soprattutto se sono veicolati dalla stampa che si presenta
come la voce (almeno ufficiosa) della Chiesa italiana.
(Fonte:
La Bussola quotidiana, 27 marzo 2012)