mercoledì 27 luglio 2016

Ora la linea morbida del Vaticano mette a disagio il mondo cattolico

I malumori per le posizioni delle gerarchie ecclesiali: "Ingenue e buoniste, serve verità"

La parola disagio stava già stretta prima. Figurarsi oggi dopo la mattanza in una chiesetta della Normandia. Una parte del mondo cattolico fatica a riconoscersi nelle perifrasi delle gerarchie, nel pastoralismo di tante prediche, nel buonismo spalmato sui massacri sempre più frequenti.
Non si tratta di iscriversi al partito degli anti Bergoglio, formuletta frusta e un po' semplicistica, e però diverse voci segnalano un malessere crescente dentro il corpo, vasto e trasversale, della Chiesa italiana che troppo spesso usa un linguaggio politicamente corretto, inadeguato davanti ai drammi della nostra epoca. «La Chiesa - punge Sandro Magister, storico vaticanista dell'Espresso e autore di un blog, Settimo cielo, molto seguito - ha il dovere della verità e invece continua a non chiamare le cose con il loro nome. Nessuno che ai piani alti della Cei metta il terrorismo in relazione con l'Islam. Si utilizzano giri di parole per non dire quel che il fedele vorrebbe sentire. Nessuno che alzi il velo della reticenza: il terrore non è figlio della povertà o della mancata integrazione. In Germania l'integrazione era andata avanti, ma è successo quel che è successo e invece tutti, anche i vescovi, se la cavano parlando di follia, di psichiatria, di emarginazione. La Chiesa - conclude Magister - dovrebbe tornare a Ratzinger e ai suoi ragionamenti sul rapporto fra cristianesimo e illuminismo. Benedetto sosteneva che il cristianesimo ha avuto benefici dall'incontro, pure aspro, con l' illuminismo mentre l'Islam questo confronto non l'ha neanche iniziato. Ma la lezione di Ratzinger è stata oscurata».
La requisitoria di Magister coincide per molti aspetti con quella di Riccardo Cascioli, direttore del foglio on-line La Nuova bussola quotidiana e del mensile Il timone, punti di riferimento per molti laici inquieti e disorientati. «Qui si fanno grandi teorie sull'accoglienza senza distinguere - spiega Cascioli - non si è capito che siamo in guerra, non si è compreso che il Medio Oriente è arrivato qui da noi. Ho appena letto un discorso di monsignor Galantino, voce unica dei vescovi italiani, che dice di non capire chi prega e poi frena sulla politica delle porte aperte a tutti. Ma no, sono io che non capisco lui, come si fa a non misurarsi con quello che sta accadendo?».
Cascioli va all'attacco: «Siamo davanti a una Chiesa ingenua e buonista che ha tradito il realismo cristiano. Ci si balocca con slogan vuoti, si dialoga con l'Islam presunto moderato che pure è una finzione e così si accreditano i fanatici dell'ideologia travestiti da agnelli. E non si distingue fra profugo, rifugiato, immigrato, clandestino perdendo concetti preziosi che sono nel diritto internazionale». Dunque, niente dubbi: «La melassa dei buoni sentimenti non aiuta a capire la complessità delle sfide che dobbiamo fronteggiare e nello stesso tempo annacqua pericolosamente la profondità del messaggio cristiano».
Siamo all'origine, secondo i critici, della malattia. «Guardi - riprende Cascioli - la diagnosi l'aveva già fatta il cardinal Biffi quando diceva che o l'Europa ritrova il suo spirito cristiano, le sue radici, oppure verrà spazzata via dall'Islam. Sarà un'immagine forte ma ora, dopo quello che è successo in Francia, è ancora più vera». E di immagine in immagine, anche il polemista cattolico finisce per recuperare il magistero di Ratzinger e del Benedetto più urticante, quello di Ratisbona: «Il Papa sosteneva che l'Occidente ha come suo
pilastro la ragione ma dimentica la fede, l'Islam al contrario privilegia la fede ma mette in un angolo la ragione. È un discorso scomodissimo ma non per questo meno attuale».
Un tema variegato, con molte suggestioni. L' ultimo tratto lo accenna Stefano Fontana, direttore dell'Osservatorio internazionale cardinale Van Thuan: «La dottrina sociale della Chiesa ci dice che le nazioni hanno il diritto a non perdere la loro identità. E invece dopo Giovanni Paolo II in questa sottolineatura è andata persa in un universalismo zuccheroso e incolore». E il gregge è sempre più confuso.

(Fonte: Stefano Zurlo, Il Giornale, 27 luglio 2016)
http://www.ilgiornale.it/news/politica/ora-linea-morbida-mette-disagio-mondo-cattolico-1289762.html


sabato 23 luglio 2016

Don Georg non va in vacanza e dice la sua su papa Francesco

In luglio papa Francesco sospende le udienze e questa vacanza varrebbe anche per il prefetto della casa pontificia, l’arcivescovo Georg Gänswein, che nello stesse tempo continua ad essere il segretario del “papa emerito” Joseph Ratzinger.
Vacanza non inoperosa, a giudicare dalla fiammeggiante intervista rilasciata da Gänswein a Hendrik Groth della Schwäbische Zeitung, che l’ha pubblicata il 17 luglio:
Ecco qui di seguito un florilegio che invoglia a leggere anche tutto il resto.

“AMORIS LAETITIA” CAMPIONE DI OSCURITÀ
“Quando un papa vuole cambiare qualcosa nella dottrina, allora deve dirlo con chiarezza, in modo che sia vincolante. Importanti concetti dottrinali non possono essere cambiati da mezze frasi o da qualche nota a piè di pagina formulata in modo generico. La metodologia teologica ha criteri chiari a riguardo. Una legge che non è chiara in se stessa, non può obbligare. Lo stesso vale per la teologia. Le dichiarazioni magisteriali devono essere chiare, affinché siano vincolanti. Dichiarazioni che aprono a diverse interpretazioni sono rischiose… Alcuni vescovi hanno davvero la preoccupazione che l’edificio della dottrina possa subire delle perdite a motivo di un linguaggio non cristallino”.
IL GESUITA DI BUENOS AIRES
“Papa Francesco è fortemente influenzato dalla sua esperienza come provinciale dei gesuiti e soprattutto come arcivescovo di Buenos Aires… Già in quella grande città e mega-diocesi si era capito che ciò di cui lui è convinto, lo fa e lo porta fino in fondo senza scrupoli. Questo vale anche adesso come vescovo di Roma e come papa. Che nei discorsi, rispetto ai suoi predecessori, di tanto in tanto sia un po’ impreciso, e addirittura irrispettoso, si deve solo accettare. Ogni papa ha il suo stile personale. È il suo modo di parlare, anche correndo il rischio che ciò possa dar adito ad equivoci, a volte anche a interpretazioni avventurose”.
PIETRA CHE VACILLA
“La certezza che il papa sia una roccia nei marosi, ritenuto come l’ultima ancora, ha iniziato in effetti a vacillare. Se questa percezione corrisponda alla realtà e se riproduca correttamente l’immagine di papa Francesco, o se sia piuttosto un’immagine dei media, non posso giudicarlo”.
“EFFETTO FRANCESCO”, TUTTO FUMO
“Un vescovo, pochi mesi dopo l’elezione di papa Francesco, ha parlato di ‘effetto-Francesco’ e, tutto impettito, ha aggiunto che adesso era di nuovo bello essere cattolici. si poteva percepire di nuovo pubblicamente uno slancio nella fede e nella Chiesa. Ma questo accade davvero? Non dovrebbe esserci una vita cattolica più viva, le messe più frequentate, le vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa aumentate, e un maggior ritorno degli uomini che hanno lasciato la Chiesa? Cosa significa ‘effetto-Francesco’ concretamente per la vita della fede nella nostra patria [Germania, n.d.t.]? Dall’esterno non si percepisce un nuovo inizio. La mia impressione è che papa Francesco goda di grande simpatia come uomo più di tutti gli altri leader del mondo. Ma riguardo alla vita e all’identità della fede, però, questa sua simpatia non sembra avere grande influenza. I dati statistici, se non mentono, mi danno purtroppo ragione”.
CASSE PIENE E CHIESE VUOTE
“Come reagisce la Chiesa cattolica in Germania ad un’uscita dalla Chiesa [per chi non paga la tassa per la Chiesa n.d.t.]? Con l’automatica esclusione dalla comunità ecclesiale, il che significa: scomunica. Ciò è eccessivo, incomprensibile. Si possono mettere in dubbio i dogmi e nessuno viene cacciato fuori. Forse che il non pagamento della Kirchensteuer è un’infrazione più grave contro la fede che non le trasgressioni contro le verità di fede? L’impressione è che, finché c’è in gioco la fede, non sia così tragico, quando però entra in gioco il denaro, allora non si scherza più”.

(Fonte: Sandro Magister, blogautore, 22 luglio 2016


lunedì 4 luglio 2016

Mario Giordano: il Papa che prega Allah mi sembra una resa, non un dialogo


Un articolo che sarà anche datato, ma di grande attualità. Merita di essere riproposto.

Sarà pur stata un’“adorazione silenziosa”, e non una vera e propria preghiera. Sarà pur stato un gesto simile a quello compiuto da Benedetto XVI nel 2006, come s’affanna a precisare il preoccupato portavoce della Santa Sede. Sarà tutto quel che si vuole, ma fa un certo effetto vedere il Papa che si mette a mani giunte verso la Mecca nella Moschea Blu di Istanbul, mentre l’imam recita i versetti del Corano. E fa ancor più effetto pensare che quel Corano è lo stesso che, poco distante da lì, gli islamici usano per eccitare le folle a squartare i cristiani, a impalarli e crocefiggerli. A spazzarli via. C’è un contrasto troppo forte fra il Papa che rispetta fino all’ultimo tutti i riti dell’Islam, si toglie le scarpe e s’inchina al "mihrab", e gli islamici che a pochi chilometri dalla Moschea Blu non rispettano nulla dei cristiani. Non le loro chiese, non le tradizioni, non i riti. E nemmeno la loro vita.
Papa Francesco vuole dialogare con l’Islam, si capisce. Ma come si fa a dialogare con chi non vuole farlo? Come si fa dialogare con chi vuole solo abbatterti? Come si fa a dialogare con chi vuole piantare la bandiera del Califfato in piazza San Pietro? Il dialogo è una parola bellissima, che permette discorsi straordinari, preghiere comuni, gesti esemplari. Ci si toglie le scarpe insieme. Ci si inchina alla Mecca. Ci si trova d’accordo con l’imam e il gran muftì. Ma poi, in realtà, gli islamici non vogliono dialogare. L’hanno dichiarato apertamente: vogliono conquistarci. E distruggerci.
L’Islam buono e l’Islam cattivo? Una favola. Se fosse vero che i terroristi sono pochi fanatici marginali, non li avrebbero forse già messi a tacere? Non li avrebbero combattuti? Non li avrebbero almeno condannati con durezza? Invece no. Non sento dure condanne unite del mondo islamico contro gli orrori dei tagliagole. Non vedo mobilitazioni dei pellegrini della Mecca per fermare le mani dei loro confratelli. Non vedo fremiti di sdegno contro i massacri che vengono perpetrati contro i cristiani. Anzi: vedo silenzio. Quasi compiacimento. E, anzi, vedo fremiti di anti-cristianità che scuotono tutto il mondo arabo e arrivano perfino in Paesi che fino a ieri laici e nostri amici. A cominciare proprio dalla Turchia che sta scivolando sempre di più nell’Islam radicale, che non a caso sostiene sottobanco le milizie dell’Isis. E il cui presidente Erdogan ha appena riunito i 57 Paesi islamici per incitarli alla rivolta contro di noi: «L’Occidente ci sfrutta, vuole le nostre ricchezze - ha detto -. Fino a quando sopporteremo?».
Qualcuno ha cercato di spiegarmi che c’è pure una differenza tra il gesto di Benedetto XVI (che in moschea si fermò in raccoglimento ma non giunse le mani in preghiera) e quello di Francesco (che invece le ha unite, proprio come se stesse pregando). Se fosse vero, sarebbe un motivo in più per rimanere un po’ perplessi. Ma per rimanere perplesso a me basta, per la verità, vedere un Papa che si rivolge alla Mecca insieme con gli islamici proprio mentre molti islamici che si stanno rivolgendo alla Mecca hanno le mani sporche del sangue dei cristiani.
Mi pare che, dopo il famoso discorso Ratzinger a Ratisbona e la furiosa reazione che ne seguì da parte dei musulmani, i cattolici siano stati costretti a piegarsi. Noi facciamo gesti distensivi e loro moltiplicano i massacri. Noi costruiamo per loro moschee e loro distruggono le nostre chiese. Noi ci inchiniamo ai loro simboli nei nostri Paesi e loro non ci permettono di mostrare i nostri nei loro Paesi. Noi ascoltiamo i versetti del Corano con ammirazione e loro minacciano di declamarli dal Cupolone di San Pietro. Che vogliono trasformare all’incirca in un parcheggio dei loro cammelli.
Capisco l’ansia di Papa Francesco, che è un grande comunicatore, di costruire ponti con tutti: con gli islamici e con i non credenti (Eugenio Scalfari). Ma per costruire i ponti ci vogliono due cose. Primo: bisogna che dall’altra parte non ci sia chi ti vuol sgozzare o annientare, altrimenti è un autogol. Secondo: bisogna che i pilastri siano saldi, tutti e due. E il dubbio è proprio questo: il pilastro dell’Islam è saldo, quello dei non credenti pure. Ma il pilastro cattolico? È incerto. Barcollante. Sradicato. In effetti: non abbiamo radici. Le stiamo perdendo. L’Europa non ce le riconosce. Le chiese si svuotano. I preti invecchiano. I ragazzi non vanno più a catechismo. Dopo la cresima c’è la fuga. I valori del matrimonio e della vita sono messi costantemente in discussione. La famiglia tradizionale è massacrata. Come si può dialogare se non si hanno più valori da rappresentare? Come si possono aprire le porte agli altri, se non si è fortemente saldi dei propri principi? Se i propri valori sono stati attaccati, messi in vendita e liquidati?
In queste condizioni il ponte rischia di crollare. Non per il gesto del Papa, non per una preghiera rivolta alla Mecca, non per la Moschea Blu circondata da Paesi rosso sangue. Il ponte rischia di crollare perché lanciamo gittate in avanti senza assicurarci della nostra tenuta. Non perché loro sono violenti, ma perché noi siamo deboli. E perché anziché rafforzare la nostra debolezza, ci esponiamo alla loro forza. Al loro fanatismo. Alla loro violenza. Fino al giorno in cui sarà troppo tardi.
E ci accorgeremo che quello che ci ostiniamo a chiamare dialogo, in realtà è un loro monologo. O, peggio, una loro invasione. La conquista definitiva. E allora addio cattolici: rivolgersi alla Mecca non sarà più un gesto distensivo. Ma un comando del padrone islamico.

(Fonte: Mario Giordano, Libero, 30 novembre 2014)