L’iniziativa della diocesi di
Torino nasce per rispondere a un vuoto: la legge Cirinnà per l’unione delle
coppie dello stesso sesso non prevede, tra diritti e doveri dei nuovi coniugi,
l’obbligo di fedeltà.
La
diocesi di Torino dà lezione di fedeltà alle coppie gay. O, meglio, la propone,
“perché non vogliamo erigerci troppo a maestri, ma vogliamo dire che anche i
gay meritano la fedeltà”.
Don
Gianluca Carrega, responsabile della “pastorale degli omosessuali”, racconta di
un personale sorpasso negli inviti ricevuti dai suoi amici: l’anno scorso ha
partecipato a un solo matrimonio che potremmo definire “tradizionale”, di una
coppia etero, e a ben tre unioni civili gay.
“È stato
bello, ogni volta una festa: quella legge ha portato molti frutti, io li ho
visti e li riconosco”, racconta il sacerdote che ha ricevuto l’investitura
ufficiale dall’arcivescovo, monsignor Cesare Nosiglia.
Ma la
legge sulle unioni civili aveva, per così dire, una lacuna, un compromesso, su
cui s’è consumato un braccio di ferro nei giorni dell’approvazione: la legge
sulle unioni civili alla fine non ha previsto, tra i diritti e i doveri della
coppia, l’obbligo di fedeltà. Don Gianluca, che insegna Nuovo Testamento alla
Facoltà Teologica torinese, lo definisce un paradosso. E per questo la Diocesi
di Torino ha dedicato a questo tema un fine settimana di ritiro quaresimale
rivolto alle coppie gay, intitolato «Degni di fedeltà».
Si terrà
il 24 e il 25 febbraio in un istituto di suore, le Figlie della Sapienza. La
due giorni avrà partecipanti singoli e coppie. Alla domanda se ci saranno
camere matrimoniali, don Gianluca resta vago: «Non ci siamo ancora posti il
problema, essendo un monastero, cercheremo di dare a ciascuno una “cella”
singola». Ci saranno momenti di preghiera alternati alla riflessione.
Un’iniziativa nuova ma con origini lontane: l’attenzione alla condizione
spirituale, e più in generale sociale, di vita, delle persone omosessuali è
incominciata a Torino - dove presso il Gruppo Abele di don Luigi Ciotti è
attivo anche il Centro Studi e Documentazione Ferruccio Castellano - ormai
molti anni fa, durante l’episcopato del cardinale Severino Poletto. Allora era
stato incaricato del dialogo don Ermis Segatti, direttore della Pastorale della
cultura.
“La
legge può anche non prevedere l’obbligo di fedeltà - spiega don Gianluca - ma
riflettendo sull’affettività dei gay, possiamo dire che ciascuno merita un
amore esclusivo, unico. La legge può decidere quali siano i requisiti minimi,
ma noi vogliamo parlare di qualità del rapporto”.
Nell’incontro
si discuterà “del valore della fedeltà e dell’amore, alla luce del messaggio
biblico”, insieme al padre gesuita Pino Piva. Non ci saranno facili ricette: “Su
questi temi dobbiamo affiancare le coppie più che dirigere, d’altra parte non
sarebbe onesto per chi, come me, è etero e celibe”.
La
diocesi più avanti della Cirinnà? Le aperture di don Gianluca gli sono costate
l’accusa, da parte della rivista ultracattolica “Il Timone”, di essere un prete
“omoeretico”. Ma lui agisce in nome e per conto della diocesi, è uno dei
pochissimi con un incarico ufficiale di questo tipo in Italia. E non ha paura
di parlare di “controsenso” nell’insegnamento tradizionale della Chiesa. Se un
uomo o una donna omosessuale ha rapporti occasionali, può confessarsi e
ricevere i sacramenti. Se ha un’unione stabile e non un amore solo platonico la
risposta spesso è no.
“Ma così
rischiamo di fare tanti danni, incentivare tra i fedeli la clandestinità e la
deresponsabilizzazione, dice. E il weekend di riflessione sulla fedeltà nasce
anche per questo: “Una coppia credente che fa un’unione civile dovrà pur
portare la sua fede religiosa all’interno della convivenza”. Ma per don
Gianluca il discorso è duplice, anche la Chiesa deve “fare una riflessione sul
valore dell’affettività omosessuale”. Perché, “come dice il vescovo di
Nanterre, Gérard Daucourt, alcuni dei gay che decidono di vivere in coppia vi
trovano una maggiore serenità e cercano di restare fedeli. E noi dobbiamo
valorizzare ciò che di bello c’è nella loro vita”.
(Fonte: Maria Teresa Martinengo, Fabrizio Assandri,
La Stampa, 3 febbraio 2018)