1. «Non
possiamo tacere.
Abbiamo il dovere morale, dovere di retta coscienza, di
condannare duramente il vergognoso monologo di Roberto Benigni durante il
festival di Sanremo su Rai 1, prendendo a pretesto la Bibbia e il libro del
Cantico dei cantici. Se e quando la televisione pubblica, cioè finanziata dai
soldi dei cittadini, decide di portare sul piccolo schermo un tema di grande
valore culturale e religioso, non può lasciare il monopolio interpretativo e
comunicativo a una persona che non ha nessuna qualifica di competenza specifica
e che si arroga il diritto di propinare il suo sproloquio, infarcito di
ignoranza e di falsità, a milioni di telespettatori.
Perfino il pubblico dell’Ariston, in mezzo al quale certo non abbondavano gli
esegeti biblici e forse neanche i credenti, se n’è accorto, vista la penuria di
applausi. Il Cantico dei cantici è uno stupendo libro dell’Antico Testamento in
cui si canta la pienezza dell’amore e dell’amore dello sposo, Dio padre, per il
popolo ebraico. Dopo l’incarnazione e con la rivelazione, viene riletto come il
canto di amore di Cristo, lo sposo per il nuovo popolo eletto, la Chiesa, sua
sposa.
Un amore totale pieno di passione, che viene descritto con una delicatezza di
toni che non ha nulla a che vedere con la sguaiata volgarità del suddetto
sproloquio. Passione che arriva fino al sacrificio della croce. Se si dovesse
scrivere a colori quel testo, si dovrebbe utilizzare il rosso della passione
del sentimento amoroso e il rosso del sangue versato sulla croce.
Questo è il canto dell’amore totale, fedele, unico, incancellabile in cui eros,
agape, e koinonia si fondono e completano, come ci ha magistralmente insegnato
Benedetto XVI nell’enciclica Deus Charitas est (2005). Trasformarlo in un
delirante messaggio a cavallo fra pornografia ed erotismo di bassa lega, infarcito
di banalità, infine inventandosi di sana pianta una traduzione manipolata, è
certamente un’operazione politicamente corretta in linea con i tempi, ma che
rivela la strategia dell’indottrinamento bieco e menzognero della cultura
cristianofobica.
Le radici della storica frase di Gesù "L’uomo non separi ciò che Dio ha
unito” ( matrimonio sponsalità, procreazione, genitorialità) trova le sue
radici più profonde e proprio nel cantico: l’amore di Cristo per la Chiesa, e
amore inseparabile, indefettibile, totale, fedele, che giunge fino al
sacrificio della vita.
Questo è l’amore che, realizzato pienamente in Cristo, ha sempre trovato nella
storia, anche oggi, testimoni fedeli pur con tutti i limiti della debolezza
umana. Chi avesse qualche dubbio, guardi un crocifisso ed impariamo da Lui, che
ha perdonato ma non ha fatto sconti nella proclamazione della verità. Per
questo l’hanno appeso ad una croce. »
(Massimo Gandolfini)
2. Benigni,
il furbetto che sfrutta l’ignoranza della gente
L’operazione
di Benigni è subdola (e ha fatto bene Diego Fusaro a rilevarlo): perché ha
voluto insinuare che la Chiesa è la solita oscurantista di sempre, che nega la
bellezza dell’amore sponsale. E il nostro comico lo ha fatto fra l’altro
suggerendo di stare leggendo da un testo che non sarebbe quello contenuto nelle
edizioni ufficiali! Ma sarei curioso di sapere a quale ur-redaktion, redazione
originale primitiva extrabiblica lui si riferisca, quando il testo (masoretico
ebraico, traduzione greca dei LXX, Vulgata latina) è disponibile in tutte le
librerie! E di grazia, converrete che il proclamare in chiesa o in sinagoga
traduzioni poetiche e non letterali (evitando di parlare dall’ambone di peni,
testicoli e monti di venere) è solo questione di estetica e di buon gusto e non
certo operazione censoria!
Ma per
me, lo scandalo più grave è ancora un altro: che pur di addossare tutte le
colpe alla Chiesa Benigni ha strappato il Cantico al suo legittimo proprietario
che è Israele, e vi dico il perché. Perché è lui, sì lui, che ha invece
censurato il testo: perché l’invito della bella Sulamita ad aiutarla a cercare
lo sposo non è rivolto genericamente a “figlie”, ma l’invito è rivolto alla
“figlie di Gerusalemme”, cosa che lui ha deliberatamente omesso tutte le volte
che ha citato il testo. E in questa omissione sta il peccato più grave:
decontestualizzando il Cantico dal popolo che lo ha espresso (ma d’altronde,
dicendo che leggeva da un testo extra biblico più antico, lo aveva già
strappato dalla Bibbia), ha reso così un canto, espressione della più alta
spiritualità biblica (e quindi espressione della fede secondo la tradizione
ebraica prima e cristiana dopo), un inno generico all’amore che, con un po’ di
impegno un bravo poeta avrebbe potuto fare: ridotto così cosa c’è di diverso
tra una poesia di Baudelaire o una di Garcia Lorca dal Cantico?
Ma siamo
in fondo al vero punto in questione: l’operazione più subdola ancora, quella di
insinuare che il cantico inneggia all’amore, ad ogni tipo di amore (sponsale,
efebico, saffico). Comprendetemi: non si tratta in questa sede di dare un
giudizio morale su cui qui non voglio entrare, ma anzitutto di rilevare una
scorrettezza di metodo, esegetica. Benigni doveva qui dire,
necessariamente che il Cantico dei cantici narra la storia di un fidanzato e di
una fidanzata innamorati: per onestà, come per onestà io debbo dire che dal
balcone di Verona si affacciava una Giulietta che spasimava per il suo Romeo (e
non posso parlare di due Giuliette o di due Romeo). Punto.
Che se
poi voleva cogliere l’occasione per parlare l’amore omoerotico tra maschi (non
mi risultano seguaci della poetessa di Lesbo nella Bibbia) poteva citare la
storia di Davide e Gionata (perché nella Bibbia c’è pure questo e nessuno ha
mai avuto timore di ammetterlo) ma non il Cantico. E ripeto, qui la morale
non c’entra (né tanto meno, per favore, si tirino in ballo omofobia e simili),
ma solo il dato oggettivo di quello che è il racconto, la trama del Cantico dei
cantici.
Certo,
Benigni fa furbescamente il suo mestiere e strizza l’occhio ai suoi
ascoltatori, ma quello che mi preoccupa è come sia facile abbindolare le
persone sfruttando la loro ignoranza e giocando sui sentimenti e oscurando
l’intelligenza (ma come anche facilmente la gente si lascia
abbindolare). Questo è pericoloso. Non solo per la fede. Ma anche per la
democrazia e il dialogo che si basano sul rispetto della persona e l’onesta
intellettuale per rigettare con forza ogni tipo di manipolazione. Per
questo temo questi applausi a scena aperta, ma anche il silenzio di chi
dovrebbe parlare eppure tace, atei o cristiani o ebrei che siano.
(Fonte:
Ignazio La China, Tempi, 9 febbraio 2020)
https://www.tempi.it/benigni-il-furbetto-che-sfrutta-lignoranza-della-gente/
3. Benigni
a Sanremo: l’endorsement dei cattolici e una precisazione sull’eternità
Sanremo
è Sanremo e Benigni è Benigni. Il suo lungo monologo sul palco dell’Ariston
dedicato al Cantico dei Cantici, ha suscitato numerose polemiche a causa della
personale rilettura e travisamento del testo sacro. Gli osservatori più acuti
(come ad esempio Diego Fusaro e Tommaso Scandroglio su La Nuova Bussola
Quotidiana) hanno visto nella desacralizzazione e nella derisione del
cristianesimo una delle peculiarità di questa settantesima edizione del
Festival. Dal siparietto iniziale di Fiorello travestito da prete che invita
gli spettatori a scambiarsi un segno di pace, a Lauro che emula san Francesco,
dal “Non sia fatta la tua volontà” di Tiziano Ferro a Zucchero che insegna che
“Solo una sana e consapevole libidine salva il giovane dallo stress e dall’azione
cattolica”. Per finire col bacio tra Fiorello e Ferro, seguito dalle pubbliche
scuse al legittimo marito (sic!) del secondo.
Un
attacco al sacro e alla trascendenza che è la cifra dell’intervento di Benigni
che spoglia il Cantico dei Cantici di ogni riferimento a Dio e all’anima per
convertirlo in un manifesto sessantottino di elogio dell’amore (omo)sessuale,
novello Decameron boccaccesco. Una imbarazzante performance che tradisce le
intenzioni di un comico di fama internazionale.
Tra le
tante voci che si sono elevate in ambito cattolico contro questa vergognosa
desacralizzazione della Parola di Dio, sorprende leggere alcuni endorsement
d’eccellenza. In effetti che a qualcuno il Cantico di Benigni è piaciuto assai.
È piaciuto ad esempio a uno studioso che ha collaborato col comico nella
stesura del monologo: si tratta, niente meno, che del Presidente del Pontificio
Consiglio per la Cultura, biblista di fama internazionale e prolifico
scrittore, il cardinale Gianfranco Ravasi che con orgoglio ha pubblicato
su Twitter il ringraziamento di Benigni alla sua persona per i buoni consigli
sul testo. Non si riesce a comprendere come si possa essere orgogliosi per aver
contribuito a un tale indecente spettacolo, tra l’altro pieno di inesattezze
dal punto di vista storico, biblico e interpretativo.
Un
secondo incredibile applauso a Benigni arriva dalla Associazione Papaboys
che non risparmia gli elogi: “Grazie Roberto Benigni. Questo è il tuo
omaggio a Giovanni Paolo II che ti ha toccato il cuore”. Non sappiamo che film
abbiano visto quelli di Papaboys, ma la cosa lascia a dir poco perplessi. Viene
da domandarsi a quale “papa” appartengano questi “boys” che a dicembre hanno
esplicitato il loro sostegno alle Sardine in vista delle elezioni regionali in
Emilia Romagna (Sartoriboys?). Di certo pensare che Benigni, con il suo
monologo, abbia voluto omaggiare Giovanni Paolo II è – ad essere buoni –
fuorviante: una storpiatura dello storpiatore.
Un
endorsement d’eccellenza nei confronti del Cantico Benigni lo si trova invece
sulle colonne di Avvenire dove la biblista Rossanna Virgili afferma che:
«L’idea di far conoscere e gustare il Cantico è stata davvero stupenda,
appropriata, preziosa per un pubblico tanto vasto e popolare come quello del
Sanremo in mondovisione». Un’idea che neanche la “licenza interpretativa”
di Benigni può inficiare, nonostante abbia «tradotto, tradendolo, l’amore
tra amato e amata in altri amori che sono lontani e fuori dal limpido orizzonte
biblico». Noi, al contrario, temiamo che l’idea di Benigni non sia stata
proprio così felice, l’idea di proporre la propria personalissima idea del
mondo, dell’uomo e della sessualità strumentalizzando a questo fine la Sacra
Scrittura e approfittando della propria popolarità per politicizzare il testo
sacro. Dispiace che a non notarlo sia una nota biblista sul giornale dei
vescovi. Giusto però far notare che sullo stesso giornale l’inviata a Sanremo
Lucia Bellaspiga sottolinea con dispiacere la sottomissione di Benigni ai
diktat del “politicamente corretto”.
Me per
amore di verità e per carità cristiana verso il comico e verso i suoi più
attenti ascoltatori vorremmo rispettosamente cercare di rispondere su un punto
(tralasciando la questione, già largamente affrontata altrove, riguardante il
senso, l’origine e l’interpretazione del Cantico dei Cantici). Benigni ha
parlato di eternità, affermando che l’amore (concetto che lui identifica e
scambia volentieri col “fare l’amore”) offre agli uomini la possibilità di
divenire immortali.
Eternità.
Sì Benigni, lei ha ragione, nel cuore dell’uomo c’è un profondo anelito, il
desiderio di eternità. Nessuno vuole che i propri giorni finiscano; la paura
della morte ci stringe, ci lega, al punto che spesso darci alla “pazza gioia”
ci sembra una via percorribile per raggiungere l’illusione di allontanare la
fine. Anche il sesso è una scappatoia, ci offre l’illusione dell’immortalità,
per poi abbandonarci alla nostra pensante, ingombrante e caduca umanità dai
giorni contati. Il libro della Sapienza ci mostra in maniera plastica questa
dolorosa realtà:
Dicono
gli empi sragionando: «La nostra vita è breve e triste; non c’è rimedio, quando
l’uomo muore, e non si conosce nessuno che liberi dagli inferi. Siamo nati per
caso e dopo saremo come se non fossimo stati. La nostra esistenza è il passare
di un’ombra e non c’è ritorno alla nostra morte, poiché il sigillo è posto e
nessuno torna indietro. […] Su, godiamoci i beni presenti, facciamo uso delle
creature con ardore giovanile! Inebriamoci di vino squisito e di profumi, non
lasciamoci sfuggire il fiore della primavera, coroniamoci di boccioli di rose
prima che avvizziscano; nessuno di noi manchi alla nostra intemperanza.
Lasciamo ovunque i segni della nostra gioia perché questo ci spetta, questa è
la nostra parte» (Sap 1, 1-2. 6-9).
Così
pensano coloro che non conoscono Dio. E cercano in ogni modo di scappare alla
paura della morte. Ma – continua la Sapienza – «Dio ha creato l’uomo per
l’immortalità; lo fece a immagine della propria natura. Ma la morte è entrata
nel mondo per invidia del diavolo; e ne fanno esperienza coloro che gli
appartengono» (Sap. 2, 23-24).
Siamo
stati creati per l’immortalità ma viviamo circondati di morte. Solo l’incontro
con Cristo, che è Via, Verità e Vita, può restituirci – a noi che viviamo da
schiavi – la nostra dignità di Figli di Dio, coeredi di Cristo, destinati al
cielo e non al cimitero. Non è dunque la sfrenatezza dei sensi (la chiami pure
amore) e l’ebrezza dell’amore libero a donarci l’immortalità.
L’immortalità
è un’altra cosa. Come afferma San Paolo nella lettera ai Romani: «liberati
dal peccato e fatti servi di Dio, voi raccogliete il frutto che vi porta alla
santificazione e come destino avete la vita eterna. Perché il salario del
peccato è la morte; ma il dono di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù nostro
Signore».
Ecco in
cosa consiste l’immortalità. E questi versi del Cantico dei Cantici, che San
Tommaso d’Aquino, sollecitato dai suoi compagni, commentò in punto di morte
nella Abazia di Fossanova, la descrivono con densità poetica e profondità
spirituale: «Ho cercato l’amato del mio cuore… quando lo trovai lo strinsi
fortemente e non lo lascerò mai» (Cdc 3,4).
(Fonte:
Miguel Cuartero Samperi, Blog, 9 febbraio 2020)
https://www.sabinopaciolla.com/benigni-a-sanremo-lendorsement-dei-cattolici-e-una-precisazione-sulleternita/