«Come
osate, avete rubato i miei sogni e la mia infanzia, io non vi perdono»,
ha
tuonato ieri l'altro la giovane ecoattivista Greta rivolta ai grandi del mondo,
riuniti all' assemblea dell'Onu, perché a suo dire «siamo all'inizio di
un'estinzione di massa».
In
effetti non siamo messi bene, ma tutti gli studi provano che siamo messi molto
meglio del passato e che il futuro che ci attende è meglio di quanto si possa
pensare.
Qualche
esempio. Un milione e ottocentomila bambini muoiono ogni anno nei paesi in via
di sviluppo, a causa della diarrea da acqua insalubre e da condizioni igieniche
inadeguate. Non è una strage del progresso, è il suo opposto, cioè parliamo di
persone ancora non toccate dal progresso, dalle tecnologie, impossibilitate a
raggiungere gli ospedali più vicini per mancanza di strade, di auto, di aerei,
in sintesi di tutto ciò che Greta vorrebbe mettere all'indice con la sua
retorica da professorina.
Ciò
nonostante le generazioni che Greta «non perdona» qualcosa hanno fatto. La
mortalità infantile in quegli stessi paesi nel 1980 era del 20 per cento, oggi
è pressoché dimezzata e la percentuale di persone denutrite dal 1970 a oggi è
scesa dal 35 al 15 per cento, prova che è il progresso, con la sua sempre
maggiore mobilità di persone e merci che può togliere l'uomo dal degrado ed
evitare le catastrofi. Oggi - come documenta una ricerca pubblicata in America da
Peter Diamandis - un guerriero masai con un cellulare dispone della stessa
connettività con il resto del mondo che il presidente degli Stati Uniti aveva
solo pochi anni fa, nel 2005.
Il
progresso inquina? Certo, ma le nostre generazioni sono state capaci di passare
dal fuoco al carbone ai pannelli solari in cent'anni, dai calessi alle auto a
gasolio a quelle elettriche in cinquanta attraverso errori non evitabili.
Thomas Edison raccontò di avere inventato la lampadina dopo avere fallito mille
volte di fila. E, accusato di questo, rispose: «Io non ho fallito, ho solo
scoperto mille modi che non funzionano».
I
predecessori di Greta non sono stati - non siamo stati, parlo della mia
generazione - «ladri di sogni» ma sognatori che hanno combattuto - e in buona
parte sconfitto - la malvagità degli uomini e migliorato il mondo, in una corsa
a tappe tuttora in corso. Non sarà Greta a rubarci questi meriti e vediamo se i
gretini saranno altrettanto capaci. Occhio, che per farlo più che manifestare
serve studiare.
(Fonte:
Alessandro Sallusti, Il giornale, 25 settembre 2019)
http://www.ilgiornale.it/news/cronache/cara-greta-non-ti-ho-rubato-proprio-niente-1758423.html
CI
RUBIAMO IL FUTURO!
"Ci
avete rubato il futuro"... Bella scoperta!
In 40 anni ho visto sfasciarsi le famiglie, spesso causando gravissimi dolori
ai figli, e accettare questo sfascio come normale, come evoluzione dei tempi.
Ho visto milioni e milioni di aborti, la soppressione di esseri umani che non
avranno un futuro, e ho visto trasformare un omicidio in un diritto.
Ho visto creare la vita artificialmente, in laboratorio, eliminando embrioni
umani prodotti anch'essi, ma "soprannumerari".
Ho visto nascere banche del seme umano, facendo soldi sui desideri impossibili
della gente.
Ho visto sperimentazioni condotte sugli embrioni umani, senza alcun rispetto
per dei potenziali esseri viventi.
Ho visto medici trasformarsi da datori di vita in datori di morte e benedire
come pietosa la morte procurata a un malato.
Ho visto donne che "affittano" il proprio utero, ho visto nascere un
nuovo mestiere e un nuovo business che calpesta ogni logica naturale.
Ho visto creare in laboratorio e svilupparsi droghe sempre più sofisticate,
sempre più disponibili.. Le ho viste, insieme all'alcol. distruggere la vita e
la speranza dei giovani in nome di uno sballo proposto come affascinante.
Ho visto tante cose già accadute, che tutti accettano come normali, ma che sono
innaturali e che distruggono il futuro degli uomini.
Ma contro tutto questo non si fanno manifestazioni, non si grida, non si piange,
non ci si sdegna nemmeno più. Anzi, si può benissimo andare a gridare che ci
rubano il futuro senza neanche ammettere che il futuro ci è stato già rubato.
Che noi stessi ci rubiamo il futuro da soli, perché siamo d'accordo con molte
delle aberrazioni che ho elencato sopra.
È precisamente questo che oggi mi disgusta!
(Gianluca
Zappa, Postato su FB il 27 settembre 2019)
Il
progetto di Nuovo Umanesimo di Morin prevede di togliere dal Cristianesimo
l’affermazione che Gesù Cristo è l’unico Salvatore dell’uomo, che c’è un’unica
Chiesa, che esiste un’unica Rivelazione.
Così avremo una religione che potrà
inserirsi nel magnifico mondo degli uomini che si riconoscono nell’unico
orizzonte della Terra-casa comune. L’universalismo autenticamente cristiano
cede così il passo alla creazione di un mondo nuovo e un uomo nuovo senza
Cristo.
Nuovo
umanesimo: è l’espressione che da più giorni si trova sulla bocca e sulla penna
di numerosi intellettuali, giornalisti o tuttologi di professione. A dare il La
è stato il discorso del premier incaricato Giuseppe Conte, che aveva racchiuso
in quell’espressione – e non una sola volta – niente meno che l’«orizzonte
ideale per il Paese», la nostra bella e tormentata Italia. La formula,
entusiasmante per molti, è suonata sinistra ad altre orecchie più attente, come
quelle di Padre Livio Fanzaga di Radio Maria, che ha identificato nel nucleo
essenziale del nuovo umanesimo, articolato dal filosofo francese Edgar Morin,
un progetto per costruire un mondo nuovo, un uomo nuovo senza Cristo.
E’
curioso notare che proprio Morin
era stato ricevuto in udienza da papa Francesco lo scorso 27 giugno; il giorno
precedente aveva potuto tenere una conferenza a
Villa Bonaparte, alla presenza dell’Ambasciatrice francese presso la santa
Sede, Mme Élisabeth Beton-Delègue, e ai membri del Corpo diplomatico e
della Curia romana. Tema? La convergenza del proprio pensiero con quello
dell’attuale Pontefice.
Guarda
caso, circa due mesi dopo quest’incontro, abbiamo avuto prima il discorso di Conte e poi, il
12 settembre, Francesco ha riproposto un “nuovo umanesimo” con un
videomessaggio, per lanciare un Patto Educativo planetario. Un testo, quello
letto dal Pontefice, che sembra scritto dallo stesso Morin, talmente tornano e
ritornano temi a lui cari: l’idea centrale della Terra come casa comune di
tutti gli uomini, la denuncia della frammentazione della vita sociale e della
conoscenza, l’importanza di un cammino educativo per formare l’uomo nuovo, che
esca dalla falsa razionalità, astratta, settoriale, dominatrice, per giungere
ad una razionalità superiore, integrata, aperta e dialogica.
A
prima vista, la proposta di Morin
potrebbe sembrare armonizzabile con la nota esortazione di Benedetto XVI ad allargare
gli orizzonti della razionalità; ed in effetti in più punti l’analisi di Morin
è anche condivisibile. C’è un però, che per un cristiano non è un dettaglio di
poco conto. Quel Papa che voleva una ragione più aperta alla realtà nella sua
totalità, e dunque anche alla trascendenza, è lo stesso Papa che metteva in
guardia dalle «profonde divergenze che esistono tra l’umanesimo ateo e
l’umanesimo cristiano; un’antitesi che attraversa tutta quanta la storia, ma
che alla fine del secondo millennio, con il nichilismo contemporaneo, è giunta
ad un punto cruciale» (Angelus, 9 agosto 2009). Dove per umanesimo ateo
non si deve pensare ad un umanesimo che nega esplicitamente Dio, che combatte
le religioni, ma un umanesimo che erige «la libertà quale unico principio
dell’uomo, in alternativa a Dio», trasformando così «l’uomo in un dio». Dentro
questo progetto anche le religioni sono le benvenute, purché accettino di
relativizzare la propria presunta assolutezza; anche Dio è ben accolto, purché
si sieda tra gli invitati al convito di questa nuova umanità solidale e non
pretenda di essere lo Sposo che chiama alle nozze e che addirittura decide di
lasciar fuori chi non ha l’abito nuziale.
Ed in
effetti la prospettiva di Morin
è proprio questa; la farfalla del nuovo mondo che potrà nascere dall’attuale
bruco (immagine cara a Morin), attraverso un’improbabile, ma possibile
metamorfosi, farà bene a non sbarazzarsi di Dio, perché altrimenti «si
creeranno sempre altri miti per rimpiazzarlo», secondo quanto dichiarato in
un’intervista del 2012 a Le Monde (vedi qui).
Quello che è importante è «prendere coscienza di questo universo noologico,
della sua forza, della sua energia. Un mito non sa di essere un mito, pensa di
essere la realtà». Bisogna perciò prendere coscienza che le forme religiose
sono miti, creazioni del pensiero e delle aspirazioni dell’uomo, e perciò
rispettabili, purché ci mettiamo a «dialogare con questi miti, dicendogli: “Non
chiedermi troppo, non essere dispotico...”. Noi stessi possiamo domandare loro,
mentre li conserviamo, di non soffocarci».
In un
confronto
con Tariq Ramadan,
Morin si era domandato come mai due religioni, come l’Islam e il Cristianesimo
che, secondo lui, avrebbero lo stesso Dio, si trovano in conflitto reciproco.
«L’universalismo del messaggio di Cristo è la fratellanza, è la comprensione e
la compassione, è il dio misericordioso capace di perdono. Dov’è il male? Nella
follia dell’assoluto e della verità, nella fine della speranza». Chiaro? La
pretesa di assolutezza, di verità è la ragione del contrasto (esattamente il
contrario di quanto insegnava Benedetto XVI); togliete dal Cristianesimo
l’affermazione che Gesù Cristo è l’unico Salvatore dell’uomo, che c’è un’unica
Chiesa, che esiste un’unica Rivelazione, etc. e finalmente avremo una religione
che potrà inserirsi nel magnifico mondo degli uomini che si riconoscono
nell’unico orizzonte della Terra-casa comune.
Non
dobbiamo essere così ingenui da pensare che Morin si limiti a vaticinare o
auspicare qualche pio desiderio, davanti ad una tazza di tè e dei biscotti.
L’anziano intellettuale francese non viene portato in giro per il mondo a
parlare di complessità e metamorfosi per semplice erudizione; questa
realizzazione di un mondo nuovo, attraverso una nuova educazione planetaria (è
a questo tema che egli ha dedicato le due maggiori opere pedagogiche La
testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero e I
sette saperi necessari all’educazione del futuro), DEVE avvenire e
necessita, per questo scopo, di un governo. Scriveva piuttosto sfacciatamente
Morin nel 2002 (Èmergence de la société-monde, «MAUSS», 2002): «Un
governo democratico mondiale, oggi, è fuori portata; tuttavia le società
democratiche si preparano con mezzi non democratici, vale a dire con riforme
imposte». Chiaro, no? La difficoltà della creazione di questo governo mondiale
è poi sotto gli occhi di tutti: «L'esempio dell’Europa ci mostra la lentezza di
un cammino che esige il consenso di tutti i partner». Accidenti. La soluzione è
però presto detta: «Ci vorrebbe un aumento improvviso e terribile di pericoli,
l’avvento di una catastrofe per costituire l’elettrochoc necessario alla presa
di coscienza e alla presa di decisioni. Attraverso regressione, dislocazione,
caos, disastri, la Terra-Patria potrebbe nascere da un civismo planetario, da
un’emergenza di società civile planetaria, da una amplificazione delle Nazioni
Unite, che non si sostituisca alle patrie, ma le comprenda» (in Oltre
l’abisso, 52). Detto in altre parole: le nuove generazioni dovranno essere
rieducate, ma per vincere ogni resistenza è necessario accelerare il processo,
generando l’ansia della catastrofe, economica, ambientale, sociale o magari
anche provocandola. Così sarà più facile che il mondo invochi la venuta di un
redentore, che salvi l’uomo non dal peccato (quello non è contemplato come
problema), ma dalla fame, dalla guerra, dal riscaldamento globale, dalla
malattia. Reali o propagandati: poco importa.
Si
tratta evidentemente di un progetto anticristico, verso la cui realizzazione ci
stiamo muovendo a grandi passi. L’incontro annunciato da papa Francesco per il
14 maggio del 2020 intende entrare in questa cornice? Certo è che il richiamo
del Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza
comune, sottoscritto lo
scorso 4 febbraio ad Abu Dhabi, sembra quanto di più idoneo a soddisfare il
progetto di Morin, soprattutto la contestatissima affermazione – lasciata così
com’è, al suo posto – secondo la quale «il pluralismo e le diversità di
religione, di colore, di sesso, di razza e di lingua sono una sapiente volontà
divina, con la quale Dio ha creato gli esseri umani». L’universalismo
autenticamente cristiano cede così il passo alla creazione di un mondo nuovo e
un uomo nuovo senza Cristo; ed il venturo Sinodo sull’Amazzonia ha già rivelato
nel suo Instrumentum Laboris un ideale piuttosto inquietante, magnificando
le religioni naturali, senza dogmi e senza assoluti (ricordiamo, en passant,
che per Morin le religioni politeiste sono migliori perché più tolleranti ed
umane) e l’armonia con la Madre-Terra.
In
poco più di un secolo siamo passati dal rilancio dell’ideale di san Paolo instaurare
omnia in Christo, da parte di san Pio X, all’ideale di un mondo dove Dio
non c’è e, se mai dovesse esserci, è pregato di contribuire alla causa della
casa-comune, secondo le regole che noi ci siamo dati. Il mondo è pronto per
salutare la venuta di colui che porterà pace e prosperità a prezzo
dell’apostasia?
(Fonte: Luisella
Scrosati, La NBQ, Editoriale del 16 settembre 2019)
http://lanuovabq.it/it/nuovo-umanesimo-il-cristianesimo-svuotato-di-cristo