martedì 20 settembre 2016

Dilaga la Chiesa arcobaleno. I vescovi, vigili e coraggiosi, come al solito tacciono

Il 7 settembre, Elisabetta e Serenella si sono unite civilmente a Palermo. La prima notizia sta nel fatto che questa unione civile non fa più notizia. La seconda notizia – sicuramente meno usuale – vede Padre Cosimo Scordato parroco di San Saverio, chiesa di un rione del centro storico palermitano, presentare durante la messa domenicale alla comunità dei fedeli la coppia lesbica (clicca qui). Il padre ha chiesto ai presenti di “accoglierle nella comunità e di pregare per la loro vita insieme”, perché – così sostiene – la scelta di Elisabetta e Serenella “guarda al futuro”. Poi ha aggiunto: “Qualche giorno fa sono venute da me per chiedermi di benedire gli anelli. La Chiesa non ammette questo sacramento per le coppie omosessuali ma le ho invitate comunque a venire a messa per presentarle alla Comunità, perché la Chiesa deve accogliere tutti”.
Evidentemente padre Scordato è tale di nome e di fatto perché immemore di ciò che dice il Catechismo della Chiesa Cattolica: bene accogliere le persone omosessuali, male accogliere l’omosessualità. E la presentazione delle coppia omosessuale in chiesa, durante la celebrazione eucaristica non può che essere letta come benedizione dell’omosessualità. Ed infatti aggiunge a beneficio dei garantisti, cioè di coloro che tendono a minimizzare simile uscite eretiche: “Il mio auspicio è che un giorno la Chiesa accetti di benedire anche le relazioni omosessuali. Le cose si cambiano poco a poco, un passo per volta”. Ed infatti è noto che al peccato mortale in genere ci si avvicina per gradi.
Cambiamo scenario, ma la musica rimane la stessa. Un gruppo di credenti interconfessionali - cattolici, valdesi, battisti, “veterocattolici” (sic), tra cui laici e non – mette in piedi l’iniziativa Progetto Gionata teso a far “conoscere il cammino che i credenti omosessuali fanno ogni giorno nelle loro comunità e nelle varie Chiese”. Il Gruppo di Ricerca su Spiritualità ed Omosessualità nato in seno a questo progetto invita tutti, dal 14 al 16 ottobre presso l’Eremo di Monte Giove vicino a Fano (dove vive una comunità di monaci camaldolesi), al decimo “Ritiro-laboratorio di spiritualità LGBTI” che avrà come titolo “Ad immagine e somiglianza di un Dio queer”. E pensare che noi abbiamo sempre creduto di essere stati creati ad immagine e somiglianza del Dio cattolico. Vetero-ingenuità.
In realtà il Gruppo di ricerca di cui sopra non ha inventato nulla di nuovo. Da tempo esiste una vera e propria teologia queer tesa ad incistare il portato culturale e dottrinale cristiano con la teoria del gender. In breve – al pari della messa gay di Padre Scordato – si vuole che la Chiesa incensi omosessualità e transessualità. Perché, così pare a loro, Dio abbraccia il peccatore e il peccato.
Ed infatti il sito del Progetto Gionata così interroga noi cattolici old style: “Che cosa ha da dire, alla vita di gay e lesbiche, il Dio delle teologie queer? Quanto c’è di sconvolgente nel modo di essere e di amare delle persone LGBTI, che possa essere ritrovato nel Dio della tradizione ebraico-cristiana? E, viceversa, in quale misura gay, lesbiche, trans o intersessuali, costruiscono un’identità personale ispirata ad un Dio ‘altro’, e quanto invece a modelli culturali che appartengono semplicemente alla società in cui cresciamo? Ci proponiamo di fare un percorso di approfondimento e di integrazione corpo-spirito, con la teologa e pastora Daniela Di Carlo e l’insegnante di Biodanza SRT Maria Monti. [...] Vi aspettiamo per riscoprire insieme una spiritualità cristiana inclusiva e liberante”. L’aggettivo “liberante” è significativo perché rimanda non solo al percorso di liberazione da supposti tabù culturali eterosessisti, ma anche al processo di liberazione di gay, trans, lesbiche etc. dall’oppressione di una cultura bigotta. Alcuni infatti considerano la teologia queer come una costola della teologia della liberazione.
Lasciamo ai teologi rispondere alle domande che assillano gli organizzatori del ritiro, che appare più un ritiro dalla sana dottrina. Qui vogliamo solo appuntare un dato: l’inerzia totale delle gerarchie nel denunciare pubblicamente simili iniziative. Perché l’arcivescovo di Palermo Corrado Lorefice non fa almeno una ramanzina a Padre Cosimo? Forse lo avrà ripreso privatamente – siamo anche noi garantisti – ma operando solo così lo scandalo non è evitato. Perché i vescovi competenti non tuonano contro il Progetto Gionata? Gli atti omissivi verso il male, che permettono il male quando sarebbe doveroso impedirlo, pesano tanto quanto se non di più degli atti commissivi.
In breve qui siamo in presenza di sedicenti cattolici che spacciano l’omosessualità come condizione buona e compatibile con l’insegnamento di Cristo. È come un rivenditore Ferrari che consiglia al cliente di comprarsi una bella Skoda. Non credete che il responsabile vendite Ferrari appena appreso di questo comportamento scorretto che favorisce la concorrenza licenzierebbe in tronco il fedifrago rivenditore?

(Fonte: Tommaso Scandroglio, Il Timone, 20 settembre 2016)


Così si perde l’intuizione da cui nacque Assisi 1986

Ieri, 18 settembre, si è verificata una strana coincidenza: si è chiuso il Congresso Eucaristico nazionale a Genova, mentre si apriva l’incontro interreligioso per la pace ad Assisi (“Sete di pace” è il tema) nel trentesimo anniversario dell’incontro voluto da Giovanni Paolo II il 27 ottobre 1986. Coincidenza certamente non voluta, e neanche notata dai rispettivi organizzatori, eppure molto significativa. Perché se ad Assisi si prega per la pace, a Genova si adorava Cristo che «è la vera pace». L’uno, l’appuntamento di Genova, è il fondamento del secondo, l’incontro con i rappresentanti delle altre religioni ad Assisi.
Ce lo aveva ben chiaro san Giovanni Paolo II quando ebbe l’intuizione di convocare ad Assisi i rappresentanti di tutte le religioni. Lo spiegò efficacemente due mesi dopo, nel discorso di auguri alla Curia Romana (22 dicembre 1986), in cui respinse qualsiasi «confusione e sincretismo», ponendo invece l’incontro di Assisi nella prospettiva dell’«ordine della creazione»: «l’unità dell’origine divina di tutta la famiglia umana, di ogni uomo e donna, che si riflette nell’unità della immagine divina che ciascuno porta in sé (cf. Gen 1, 26), e orienta di per se stessa a un fine comune (cf. Nostra Aetate, 1)».
Da questo punto di vista le divisioni religiose sono il frutto della «caduta», del peccato. Sta alla Chiesa, depositaria della verità rivelata, «sacramento di salvezza» e «segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano», testimoniare ciò a cui tutte le religioni, e tutti gli uomini, aspirano: «Il disegno divino, unico e definitivo, ha il suo centro in Gesù Cristo, Dio e uomo “nel quale gli uomini trovano la pienezza della vita religiosa e in cui Dio ha riconciliato a sé tutte le cose”». La preghiera, spiegava ancora Giovanni Paolo II - ognuno «secondo la propria identità e nella ricerca della verità» - è il comune riconoscimento che la pace viene da Dio, è un passo nella consapevolezza di quell’ordine della creazione che vale per tutti. E questa era l’immagine sintetica che san Giovanni Paolo II offriva dell’incontro di Assisi: «La Chiesa cattolica che tiene per mano i fratelli cristiani e questi tutti insieme che congiungono la mano con i fratelli delle altre religioni».
È per questo che nel breve discorso finale ad Assisi, san Giovanni Paolo II annunciò con molta chiarezza: «In relazione all’ultima preghiera, quella cristiana, nella serie che abbiamo ascoltato, professo di nuovo la mia convinzione, condivisa da tutti i cristiani, che in Gesù Cristo, quale Salvatore di tutti, è da ricercare la vera pace. (…) È infatti la mia convinzione di fede che mi ha fatto rivolgere a voi, rappresentanti di Chiese cristiane e comunità ecclesiali e religioni mondiali, in spirito di profondo amore e rispetto. Con gli altri cristiani noi condividiamo molte convinzioni, particolarmente per quanto riguarda la pace. Con le religioni mondiali condividiamo un comune rispetto e obbedienza alla coscienza, la quale insegna a noi tutti a cercare la verità, ad amare e servire tutti gli individui e tutti i popoli, e perciò a fare pace tra i singoli e tra le nazioni».
Spiace dirlo, ma negli interventi che l’hanno preceduto e nelle relazioni d’apertura di ieri ad Assisi, di questo approccio delle origini proprio non si trova traccia. Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio e vero motore degli incontri interreligiosi che dal 1987 proseguono come eredità del primo incontro, evoca continuamente lo “spirito di Assisi” e si accredita come l’erede di Giovanni Paolo II (per quel che riguarda il dialogo interreligioso), ma l’approccio appare ben diverso da quello descritto nel 1986: dialogo è la parola d’ordine ma il disegno divino è ridotto a una generica pace, in vista della quale si capisce che non giovi l’affermazione della propria identità. 
Per questo non è possibile cogliere il nesso con il Congresso Eucaristico, che san Giovanni Paolo II – proprio per la sua dichiarazione di fede che fece in quell’occasione – avrebbe visto come il fondamento dell’incontro di Assisi. Ovviamente non sappiamo cosa dirà domani, martedì, papa Francesco quando toccherà a lui incontrare i leader religiosi nella città umbra e non dubitiamo che almeno lui riprenda l’intuizione originale di trenta anni fa. Però c’è un dato oggettivo che, lo si voglia o meno, lancia un messaggio: papa Francesco sarà infatti ad Assisi ma non è andato a Genova. E siccome le luci dei media si accendono ovviamente dove c’è il Papa, è così che tutti i riflettori sono su Assisi, mentre il Congresso Eucaristico è passato completamente inosservato. Così si è persa una grande occasione per mostrare l’origine e il fine del dialogo per la pace.
Ma c’è un altro gesto compiuto dal Papa che è significativo: ovvero la mancanza di un invito ad Assisi per il Dalai Lama, che invece trenta anni fa era al fianco di Giovanni Paolo II. Sebbene la notizia, rivelata dall’entourage del Dalai Lama, non sia stata spiegata o commentata dalla Sala Stampa vaticana, appare evidente che tale decisione sia stata presa per evitare di irritare Pechino nel momento in cui la Santa Sede sta facendo di tutto per riallacciare le relazioni diplomatiche con la Cina popolare. È insomma il ritorno della realpolitik – cui Giovanni Paolo II era decisamente contrario - che sembrava sepolta dopo il fallimento cui era andata incontro con i paesi dell’allora Unione Sovietica. Del resto, per lo stesso motivo, il Dalai Lama non era stato ricevuto dal Papa neanche due anni fa, quando era a Roma per il summit dei Premi Nobel. Ma c’è una oggettiva differenza di significato tra una visita privata, cui si può rinunciare senza grossi problemi, e un’iniziativa pubblica, religiosa, che viene modulata sulle esigenze politiche del momento. Non è che noi si muoia dalla voglia di vedere il Dalai Lama ad Assisi, ma non vederlo per compiacere l’Imperatore lascia un certo disagio.

(Fonte: Riccardo Cascioli, La nuova bussola quotidiana, 19 settembre 2016)


E il sindaco Virginia si diverte con i matrimoni gay

Chi si ostina a sostenere che il sindaco Raggi (mi rifiuto di oltraggiare l'italiano con "sindaca"! n.d.r.) non ha fatto ancora niente per la Capitale, da ieri potrà affermare che il primo cittadino pentastellato ha celebrato in Campidoglio la prima unione civile omosessuale nel comune di Roma ai sensi della Legge Cirinnà. 
Gli “sposi” sono Francisco Raffaele Villarusso, 43 anni, nato a Cerignola, e Luca De Sario, 30 anni, di Roma. I due uomini indossavano un cilindro viola uguale, camicie con jabot e sneakers. Deve essere stato questo look stravagante dei due uomini a ispirare il discorso della sindaca che ha augurato «una unione lunga e divertente». D’altra parte l’auspicio di generare figli maschi va ancora incontro a problemi di natura biologica. Questa unione «potrebbe avere qualche scossone», ha proseguito Raggi, «ma vi auguro di superare gli ostacoli che la vita ci pone davanti. Questa è la sfida che vi accingete a intraprendere, andate avanti a testa alta con forza e divertitevi, il segreto è divertirsi. Vi auguro una vita intensa».
Insomma, il segreto di una relazione stabile e duratura secondo il sindaco di Roma è divertirsi; forse la giovane Virginia alludeva alla mancanza dell’obbligo di fedeltà come previsto dalla legge che regolamenta le unioni civili. Eppure la Raggi senza troppi giri di parole ha spiegato che si tratta di «un momento importante, una grande emozione», perché «nasce una nuova coppia e una famiglia». Quindi, con buona pace di Alfano e dei parlamentari di Ndc che per mesi hanno sostenuto il contrario, il primo cittadino della capitale d’Italia ha voluto sottolineare che si è trattato di un matrimonio in tutto e per tutto che va a formare una nuova famiglia. 
Concetto ribadito alla stampa presente in piazza del Campidoglio anche da Raffaele  e Luca: «Questa legge ci rende tutti uguali. Abbiamo messo nero su bianco, ora siamo una famiglia». Nessun commento, ovviamente, dal Viminale dopo che Alfano ha passato tutta l’estate a raccomandare i Comuni che non si sarebbe dovuto parlare di celebrazioni e rivendicando il risultato ottenuto grazie alla sua mediazione che non esisterebbe alcuna similitudine col matrimonio. 
Bisognerebbe poi aprire un capitolo a parte sul fatto che Roma sia una delle poche città in Italia che ha già allestito il registro per le Unioni Civili. La solerzia di essere uno dei primi Comuni che alza bandiera arcobaleno, fa da contraltare ad un città ancora in balia del degrado. Ma come dare torto a Virginia? L’importante è divertirsi. 

(Fonte: Marco Guerra, La bussola quotidiana, 18 settembre 2016)


Chi ha trasmesso il documentario piu' crudele contro Madre Teresa? Tv2000, il canale della CEI

“Madre Teresa: al servizio di Dio” è il titolo di un documentario trasmesso in quattro momenti diversi (sabato 3 settembre alle 7.35 e 23.20 e domenica 4 settembre alle ore 12.50 e 18.30) da Tv2000, la televisione che fa riferimento alla Chiesa italiana. Il filmato è presentato sul sito di Tv2000 così: «È un documentario dai toni forti, talvolta crudeli, ma che mette in luce la forza interiore di questa donna, ma anche le sue fragilità. È un ritratto che esalta tutte le sfumature di una personalità complessa e controversa». Mah! A noi pare un’infelice accozzaglia di tutte le feroci critiche che per molti anni sono state scaraventate contro la santa di Calcutta. E che fino a ieri pensavamo potessero arrivare solo da un certo mondo laicista, non certo da una televisione di chiara ispirazione cattolica. Qui di seguito pubblichiamo un post tratto dalla pagina Facebook In movimento.
IL SANTO NON È UN SUPERUOMO MA UN UOMO VERO
Domenica 4 settembre è stata canonizzata Madre Teresa di Calcutta.
Come scriveva don Giussani nella presentazione del libro di Cyril Martindale Santi, «il santo non è un superuomo ma un uomo vero... perché aderisce a Dio e quindi all’ideale per cui è stato costruito il suo cuore e di cui è costituito il suo destino... fare la volontà di Dio dentro una umanità che rimane tale e pur diventa diversa».
Noi che corriamo, persi nella sbadataggine della vita quotidiana, nel giorno della canonizzazione sentiamo il bisogno di essere aiutati a conoscere e comprendere l’eccezionalità di quella grande persona, per fermarci un attimo e comprendere la nostra vita. E magari per questo accendiamo TV2000, la televisione dei vescovi italiani. Di mattina danno un documentario su Madre Teresa di Calcutta, girato nel 2010, diretto da una giornalista francese, tale Patricia Boutinard Rouelle, che anziché dipingere una santa ci descrive una persona ossessionata dal peccato, moralisticamente integralista, che involontariamente fa del male pensando di fare del bene. Il documentario viene addirittura riproposto nel pomeriggio, tanto è importante.
Per chi non l’avesse visto, e per meglio capirne il tenore, ne riporto alcuni passaggi.
IL DOCUMENTARIO SCANDALISTICO SU MADRE TERESA
Nel documentario la voce fuori campo dice che nelle case della congregazione religiosa delle Missionarie della carità, luoghi sporchi e fatiscenti, si può entrare purché non si pongano domande, facendo quasi intendere che ci si trovi in luoghi dove alle suore sia imposto dall’alto il silenzio, in modo che non si diano spiegazioni, quasi fossero luoghi “omertosi”. Sono posti dove le persone moribonde vengono accompagnate alla morte, e quindi a Cristo, piuttosto che alla guarigione. Dubbi vengono fatti sorgere circa la destinazione dei fondi, si dice infatti: «Le donazioni arrivano, la congregazione è ricca, ma la questione denaro è poco chiara, non ci sono cifre disponibili».
Madre Teresa sarebbe una persona tormentata dal pensiero di non avere abbastanza fede e dunque «come incontrare Dio se non offrendogli sempre più anime. Per placare la sete di Gesù (notate come Gesù venga raffigurato come “assetato”, ndr), Madre Teresa si imbarca in una sorta di corsa alle anime. La sua lotta contro l’aborto non è forse il maggiore esempio di questa volontà di salvare più anime?». E quindi ecco il filmato del discorso tenuto in occasione del ricevimento del premio Nobel per la pace, in cui afferma che l’aborto è il maggior distruttore della pace. [leggi MADRE TERESA: IL PIU’ GRANDE DISTRUTTORE DELLA PACE E’ L’ABORTO, clicca qui, N.d.BB]
Ma, subito dopo, viene intervistato un padre gesuita, definito stretto collaboratore di Madre Teresa, che afferma che «nelle parole di Madre Teresa non vede nessuna compassione nei confronti delle donne costrette ad abortire, ma un giudizio morale». Il gesuita dice che nell’ascoltare quelle parole proferite durante la cerimonia del Nobel si è sentito a disagio. Per il commentatore «questa crociata (notare il termine, ndr) contro l’aborto nasconde un’altra battaglia, quella contro la contraccezione».
I PIÙ POVERI TRA I POVERI
Si passa poi a visitare il reparto con bambini disabili in cui alcuni vengono legati per questione di sicurezza. Per questo, la voce fuori campo si chiede perché le suore non utilizzino i soldi per assumere altro personale. Ma Madre Teresa è ossessionata dalla sofferenza, da disabilità o altro non importa, e viene rappresentata quasi come una persona masochista, e per darne un esempio viene citata una sua affermazione, definita «molto strana»: «I poveri sono amareggiati e soffrono perché non hanno la felicità che la povertà ci dona quando nasce per amore di Cristo».
Ad alcune ragazze universitarie svizzere, che hanno passato un mese in una casa delle Missionarie della carità peruviana, con bambini handicappati, le suore, che si danno per amore ai poveri, sette giorni su sette, non avendo tempo di pensare a se stesse, appaiono quasi inumane, e si chiedono se esse abbiano dei sentimenti. Le ragazze fanno quasi intendere che il luogo sia un “lager” poiché le suore impongono le restrizioni, frutto del loro voto di povertà, anche ai poveri bambini sfortunati. Quindi la voce fuori campo dice: «A che serve il voto di povertà se fa soffrire chi vogliamo aiutare? Per le suore servire Dio dà senso a tutto ciò che fanno, rischiando di allontanarle dalla realtà e dagli uomini». Madre Teresa come una persona ossessionata da un vuoto interiore alla ricerca di Dio, un’ossessione che le fa fare cose strane.
Infine si passa a Londra. I cronisti, accompagnando le suorine nelle loro escursioni notturne, si meravigliano perché pensavano di andare in alcune zone interdette, in alcune periferie difficili, «ma no, niente affatto. Con alcune medagliette della Vergine in mano, partono per un quartiere animato del centro, dove, usando una loro espressione, “vanno a salvare le anime dalle tenebre del peccato”». Si vedono così alcuni pornoshop e una suora che riprende, con voce autoritaria e moralisticheggiante (nella voce tradotta italiana) una persona frequentante quei locali. La suora, nella voce originale, non ha, ovviamente, quel tono. Il fine è quello di raffigurare una realtà che non esiste, di proporre una tesi ideologicamente precostituita.
INTERROGATIVI CHE AUMENTANO LA NOSTRA CONFUSIONE
Dopo la visione di questo documentario verrebbe spontaneo chiedersi: «Ma perché si canonizza una tale persona? Una persona ossessionata dal peccato? Che fa crociate contro l’aborto solo per portare più anime a Cristo e ingraziarselo, visto che sente di avere poca fede? Che salvando bambini dall’aborto e criticando la contraccezione non porta certo aiuto ad una nazione sovraffollata come l’India? Una persona che “plagia” le suorine sue consorelle tanto da farle diventare delle macchine, inumane ed insensibili persino ai loro stessi bisogni?».
Il documentario di TV2000 è in pieno accordo con l’editoriale di MicroMega pubblicato il giorno prima della canonizzazione dal titolo: “Madre Teresa NON era una santa”, in cui si sostiene che Madre Teresa ha aperto case dove i malati venivano abbandonati a loro stessi, nonostante abbia raccolto centinaia di milioni di sterline da donazioni che non si saprebbe dove siano finiti, forse su conti bancari segreti. Che ha aperto sì 517 case di accoglienza in oltre 100 paesi, ma che questo costituisce «una ragione senza dubbio valida per chiudere un occhio, almeno qui in Terra. Ai giudizi divini, penserà qualcun altro».
E allora, mi chiedo, è possibile che venga prodotto, proprio sulla TV dei vescovi italiani, seguita da tante semplici persone che si fidano, un documentario così radicalmente denigratorio della figura della santa Teresa di Calcutta? Diffuso proprio nella mattinata della sua canonizzazione, e riproposto addirittura per ben due volte nella stessa giornata? Quale il fine? Che cosa ci vuole dire? TV2000 di che cosa ci vuole convincere? Sono tanti gli interrogativi che aumentano la nostra confusione, anche se una cosa è certa: qualcosa non quadra!

(Fonte: Sabino Paciolla, BastaBugie n.471, 14 settembre 2016)


giovedì 8 settembre 2016

Sbeffeggiati al Festival di Venezia il Papa e il Vaticano

La figura del Papa è approdata alla Mostra del Cinema di Venezia di quest’anno nel modo peggiore che si potesse immaginare. Essa è stata dileggiata, schernita, vilipesa con gli strumenti dell’affabulatore pensiero contemporaneo, ammantato di abilità artistica e cerebrale.
A Venezia sono state presentate le prime due puntate (sulle complessive dieci) della serie tv The Young Pope, diretta dal regista pluripremiato Paolo Sorrentino e prodotta da Sky, HBO e Canal+: investimento sostanzioso per un prodotto che, in contemporanea al Pontificato di Francesco, elimina in toto l’aura di sacralità del Pontefice.
Sorrentino, che si è limitato a raccogliere tutto ciò che offre la secolarizzata e materializzata civiltà occidentale, con questo provocatorio lavoro sorpassa in bruttezza, in volgarità e blasfemia il satirico Habemus Papam di Nanni Moretti: là il Papa, che aveva comunque già perso il suo ruolo di Vicario di Cristo, era un uomo insicuro, bisognoso dello psicanalista. Qui, invece, siamo di fronte ad un uomo diabolico.
La Chiesa viene rappresentata soltanto come un contenitore di vanità, di potere, di fobie e di manie di grandezza. Vero squallore per gli squallidi tempi che viviamo, dove il limite non esiste più, come ha dimostrato l’orrenda vignetta di Charlie Hebdosulle vittime del terremoto del 24 agosto scorso. Miasmi di un’età in cui il Papato da 50 anni a questa parte ha sempre più rinunciato ad assolvere il suo compito fondativo: confermare i fedeli nella fede ed evangelizzare le genti per la salvezza eterna delle anime.
Il papa di Sorrentino è americano, si chiama Lenny Belardo – interpretato da Jude Law – e, una volta eletto, prende il nome di Pio XIII. Fuma in maniera compulsiva, mette le infradito, indossa scarpe Louboutin.
Dal 21 ottobre andrà in onda su SKY Atlantic e, forse, sarebbe buona cosa che gli uomini di Chiesa, soprattutto le alte gerarchie, ne prendessero visione al fine di rendersi conto che cosa sia davvero accaduto nel voler, con il Concilio Vaticano II, dialogare con il mondo e con i lontani: non solo le vocazioni sono rare e le chiese sempre più vuote, ma ormai la figura del Capo della Chiesa viene sbeffeggiata e dileggiata con arroganza, tanto da arrivare a far dire al papa: «Non credo in Dio» per poi sogghignare mefistofelicamente e dire «Sto scherzando». Ma questo film non è affatto uno scherzo e neppure una buffonata. È, al contrario, estremamente serio nel rispecchiare un’epoca in cui la Chiesa terrena ha perso l’orientamento, ha smarrito, in sintesi, l’altare rivolto verso oriente, verso Dio.
Il regista non ha nessun timore per i commenti oltre Tevere. «Quali reazioni mi aspetto dal Vaticano? È un problema loro, non mio, capiranno che è un lavoro onesto, senza sterili provocazioni o pregiudizi, sulle contraddizioni e le difficoltà di quel mondo, e di un prete speciale che è il Papa» ha detto al Corriere della Sera lo scorso 3 settembre. Perverso e pasoliniano meditare cinematografico quello di Sorrentino in questa architettonica operazione. Comunque sia, il film infierisce pesantemente sul Vaticano, che dovrebbe porsi davvero il «problema»: dalla crisi della Chiesa postconciliare si è passati all’agonia, sulla quale irridono coloro che utilizzano le debolezze altrui per farne il proprio successo e per servire il padrone degli abissi.
L’astuto Sorrentino non vuole far intendere che la Chiesa sia cambiata, perché, così facendo, metterebbe in allarme, allora indaga su «come si gestisce e si manipola il potere in uno Stato che ha come dogma e come imperativo morale la rinuncia al potere e l’amore disinteressato verso il prossimo». Ci vorrebbe, secondo il regista, più e più libertà nella Chiesa (siamo di fronte all’abbraccio mortale con il mondo): «Che il cammino della Chiesa verso la liberalità continui dopo Francesco è illusorio pensarlo, come è illusorio pensare che la Chiesa sia cambiata». (http://www.corriere.it/spettacoli /16_settembre_03/mostra-cinema-venezia-2016-papa-provocatorio-sorrentino-012eb5c4-71bb-11e6-a5ab-6335286216cb.shtml). Gode nel colpire e ferire l’immagine pseudopetrina, ben sapendo di trovarsi di fronte ad una realtà sempre meno sacra, sempre più svuotata dei suoi contenuti dottrinali e di fede, sempre più fragile, vulnerabile e corrotta spiritualmente e moralmente.
Il cast è di prim’ordine: oltre al già citato divo protagonista, troviamo Diane Keaton, segretaria particolare del papa, che nel film indossa una t-shirt con il titolo della canzone di Madonna Louise Veronica Ciccone, Like a Virgin; Silvio Orlando interpreta, invece, il segretario di Stato avversato da Pio XIII, una sorta di Jago, che cerca di studiare i punti deboli del pontefice, «perché gli uomini sono come Dio: non cambiano mai». Orlando pensa soprattutto ai giocatori del Napoli, ai soldi e al potere; mentre Cécile de France è la responsabile del marketing del Vaticano.
Sorrentino parla «dei segni evidenti dell’esistenza e dell’assenza di Dio, di come si cerca e di come si perde la fede, della grandezza della Santità, così grande da ritenerla insopportabile». Il suo è un pontefice spigoloso, imprevedibile («ho imparato a confondere i pensieri del prossimo fin da bambino»), solitario, contraddittorio, tradizionalista, che rinvia la prima omelia dal balcone di San Pietro, perché vuole essere irraggiungibile come una rockstar, «invisibile come Salinger e Mina». Molte le scene forti, in particolare quelle della libertà sognata da questo antipapa, che esorta le persone a peccare e a non avere più sensi di colpa…
Non andiamo oltre, tutto ciò è sufficiente per bussare alla porta del Vaticano e chiedere: per quanto tempo ancora dovremo rinunciare alla condanna di ciò che è giusto per ciò che è ingiusto e malvagio? Per quanto tempo ancora deve essere sottratta la Verità portata dal Figlio di Dio a questa povera umanità contemporanea, ubriacata da Kant, Freud, Rahner, Teilhard de Chardin… dai Pasolini, Pannella, Scalfari, Sorrentino? Per quanto tempo ancora, dopo aver elargito perle agli indegni, si continuerà ad essere superbi con la Santissima Trinità, umiliandosi senza onore davanti agli uomini per vedere calpestare le perle di inestimabile valore ed essere sbranati dai senza Dio?

(Fonte: Cristina Siccardi, Corrispondenza Romana, 7 settembre 2016)