sabato 26 luglio 2008
E i Gesuiti milanesi sdoganano l’omosessualità...
Nel numero di giugno della prestigiosa rivista dei gesuiti milanesi, Aggiornamenti Sociali, si trova un lungo «contributo alla discussione» sul riconoscimento delle unioni omosessuali. Il lavoro sarebbe stato elaborato da un fantomatico «gruppo di studio sulla bioetica»; il comitato di "studio" è costituito tutto da "autorevoli" cattolici, anche docenti del seminario diocesano di Milano. Gli autori del saggio, sono il miglior segno della Chiesa milanese, che trova modo di illuminare i lontani proprio perché "profetica e progressista", diversa e a volte opposta da quella verticistica, magisteriale, ingessata e romana. Tuttavia in Vaticano molti sono gli uomini recentemente nominati dal «club dei profeti milanesi». Sarà la propensione drammaticamente sinistrorsa del "mitico" Bartolomeo Sorge, tirato a Milano negli ultimi anni del Cardinal Martini, sarà per il sentiero "border-line" intrapreso dal Cardinal Tettamanzi o per l'affidamento totale della Curia milanese (nomine, esternazioni, suggerimenti per incarichi Cei e Vaticani) all'ala "aperturista vetero sessantottina", quel saggio lascia esterrefatti. Naturalmente, duole constatare che il catechismo della Chiesa Cattolica sia assolutamente ignorato, semplicemente non risulta sia una fonte di riflessione sull'argomento, così come gli estensori ignorano la realtà che appare dalla stragrande maggioranza delle reazioni omosessuali (promiscuità, attività compulsiva e anonima). Gli atti sessuali non procreativi degli omosessuali vengono messi sullo stesso piano di quelli tra eterosessuali sterili e così si valuta"indifferente" il punto di partenza. Ma il caso di un uomo e di una donna affetti da patologia della fertilità è diverso da comportamenti sessuali tra persone dello stesso sesso, basterebbe usare il buon senso per rendersene conto. L'indifferenza su questo punto, porta dritti alla "gender theology". Nessun turbamento negli autori, anzi, il "politically correct" impone di derubricare i molti casi di persone felicemente uscite da pulsioni omosessuali, con due righette. Confesso che lo sgomento provato, dopo l'operazione di normalizzazione nelle scuole pubbliche operata dal Governo Prodi, mancava solo la benedizione di tanti "buoni cattolici". Colpisce la sostanziale assenza del principio di "realtà" dello scritto, forse i signorini estensori vivono sommersi da pile di libri da non riuscire a guardar fuori dalle finestre, sconforta per di più il tentativo di camuffare tutto con la "carità", il "dialogo", l'accoglienza, la necessaria "sintesi" per sottolineare il «valore delle relazioni omosessuali stabili». Ogni persona è dono, ricchezza e mistero, ma non così la pulsione omosessuale, che è sempre una profonda ferita dell'identità, comunque la si valuti. Questi testi rappresentano un vero e proprio tradimento al richiamo di papa Benedetto XVI a restare uniti, nell'accoglienza della persona ferita ma anche nella verità, sui principi non negoziabili. Se sono taluni "pastori" e pseudo esperti diocesani ad andare così fuori strada, come pensare che non si crei confusione nelle "pecorelle"? L'insegnamento di Giovanni Paolo Il sulla sessualità è stato ascoltato e recepito dal clero? Questi esperti hanno mai visto un corpo femminile e maschile "sganciato" dalla psiche o dallo spirito? Bisogna essere stralunati quando si esalta il primato della "relazione" in senso teorico, a prescindere dalla fisicità biologica, quando la persona è sessuata. Nella fisicità di una "relazione omosessuale", dove vedono questi signor il rispetto del disegno divino sulla corporeità, differenza chiamata alla "trasparenza" della relazione trinitaria, come ci ha insegnato Giovanni Paolo II? Sussurro un'altra ipotesi, spero solo di scuola, ed è che il tentativo di “normalizzazione” del "club dei profeti milanesi" sia perché qualcuno è interessato. Si costruirebbero così le premesse per una “autoassoluzione” pseudo teologica o filoso***** alle personali e altrui problematicità; paradossalmente anche questo maldestro tentativo dimostra quel disagio e quella ferita che si vorrebbe negare. Le ricadute negative culturali sociali tuttavia non sono evitabili e di questo si deve tenere conto. L'omosessualità è una ferita e la sua normalizzazione sociale della "gender theory" non è un bene né per la persona, né per la società. Con buona pace di ogni gruppo di studio gesuitico e del bel "club di potere milanese". Dopo le donne vescovo anglicane, c'è chi vorrebbe introdurre la "gender theology" nella Università Cattolica? (Luca Volontà, Libero, 10 luglio 2008)
Da Roma a Lourdes, la bandiera multicolore della pace
Avrebbe dovuto piangere come la Madonna di Civitavecchia, la Vergine della grotta di Massabielle, alla vista di quei pellegrini italiani. Piangere, come fece davanti alla piccola Bernadette, non solo per il disastro in cui versa oggi il nostro mondo, ma soprattutto per come è ridotta la stessa Chiesa, anche a causa della "semplicioneria" cui sono arrivati certi suoi ministri. Nessuno pensi male di preti e vescovi: ogni loro comportamento, si sa, è in buona fede, anzi in ottima e santa fede. Ma quanto è accaduto, qualche giorno fa, davanti alla grotta di Lourdes, ha superato ogni limite conosciuto dalla “apertura” clericale, che a volte cede alla tentazione di bruciare granelli di incenso ai nuovi idoli del sincretismo new age.
Ma veniamo al fatto e al protagonista. Il protagonista: si tratta di monsignor Luigi Moretti, vescovo ausiliare di Roma, vice del cardinale Agostino Vallini (a sua volta vicario del Papa) e assistente ecclesiastico nazionale della Unitalsi (l'organizzazione che organizza pellegrinaggi per i malati): un personaggio di tutto rispetto. Il fatto: otto mila persone, tra cui 3mila bambini, otto treni speciali, 5 aerei da ogni parte d'Italia, per il pellegrinaggio a Lourdes (dal 22 giugno al 27 giugno).
Domenica scorsa, il vaticanista di Rai Uno, Aldo Maria Valli, nella trasmissione che precede la Messa, manda il servizio sull'avvenimento e un'intervista allo stesso monsignore.
Scorrono le immagini, ben note ai fedeli e conosciute in tutto il mondo: Lourdes, le piscine, la spianata, la grotta delle apparizioni, il ruscelletto con l'acqua miracolosa che scende dalla roccia.Ma ecco che le telecamere inquadrano, proprio ai piedi della statua della Vergine, uno sgargiante bandierone multicolore. Si vorrebbe non credere ai propri occhi: ma sì, è il noto drappo arcobaleno, icona del pacifismo unidirezionale, ateo e anche un tantino gay. A srotolarla ai piedi di Maria tra i lumini e le fiaccole votive sono i pellegrini italiani guidati dall'arcivescovo Moretti, anzi i "Bambini di pace" (questo era il titolo del pellegrinaggio). Un'apparizione che in quel luogo ha dell'incredibile.
Beh, niente contro la pace, il disarmo e la non violenza. Ci mancherebbe.
E poi ciascuno è libero di seguire le bandiere che vuole. Ma a Lourdes, non è poi così normale assistere alla benedizione di vessilli, sandaline e gagliardetti che nulla hanno a che vedere con la Croce di Cristo o il Rosario di Sua Madre. Tutto, ma non quello straccio. Ci sarebbe stato bene, al limite, anche un tifoso interista, in ginocchio alla grotta per la grazia ricevuta dello scudetto. Almeno il frescone verrebbe a ringraziare, mica a far consacrare dalla Vergine simboli di paranoie universali. Portare invece l'arcobaleno di stoffa e stenderlo ai piedi di Maria, è sintomo, ad essere caritatevoli, di confusione mentale, prima che religiosa.Ma se consultiamo la dottrina (Lourdes oblige) il verdetto è preoccupante: riduzione dell'avvenimento cristiano a teosofia, innaffiata con acqua di new age mixata a precetti massonici. Gesù Cristo, frullato in questa salsa indiana ed esoterica, diventa un rottame non più riciclabile, risalente alla passata Età dei Pesci. Adesso, predicano i guru new age, il peccato è scomparso, non c'è bisogno di un Salvatore: siamo nella Nuova Era dell'Acquario dove la perfezione si compra al supermarket dell'umanesimo terapeutico.Caspita, direte voi: tutta questa cagnara per un semplice straccio colorato!
Beh, a picchiare duro sulla bandiera arcobaleno è la stessa Chiesa cattolica: proprio il 20 giugno scorso (due giorni prima del pellegrinaggio dei Bambini pacifisti a Lourdes), l'Agenzia vaticana Fides pubblicava un lungo articolo sul significato, appunto, della bandiera della pace. Che fa piazza pulita, finalmente, del "pio-pio" pretino su questo tema. Si chiede la rivista: «Come mai uomini di Chiesa, laici o chierici che siano, hanno per tutti questi anni ostentato la bandiera arcobaleno e non la Croce, come simbolo di pace? Sarebbe interessante interrogare uno per uno coloro che, forse anche inconsapevolmente, hanno affisso sugli altari, ingressi e campanili delle chiese lo stendardo arcobaleno». E ancora: «questi uomini e donne di Chiesa sanno qual è l'origine della bandiera d pace? Molti probabilmente no. Altri, pur sapendo, non se ne preoccupano più di tanto». Per concludere, al termine di una documentata analisi, che «la bandiera arcobaleno è una valida sintesi per rappresentare questo sincretismo; infatti l'arcobaleno rappresenta il passaggio dall'umano verso il super-uomo divino». Insomma, l'odore di zolfo che sente l'articolista è fortissimo: se preti e parroci hanno le narici intasate, la smettano di menare il torrone pacifista e vedano di ficcare subito la testa nel catino dei suffumigi per liberarsi dal tappo. Evidentemente, l'arcivescovo Moretti, non ha letto l'articolo di Fides, oppure l'ha letto ma non lo condivide. In tal caso, forse farebbe bene a smentire pubblicamente le tesi vaticane. Per evitare malintesi e smarrimento tra i fedeli. Che, tuttavia, a queste misture gnostiche e al turibolare di incensi diversi (da Buddha a Visnù, dagli Incas a san Francesco, magari passando per uno sbuffo di hashish) sono già abituati: impossibile scordare le centinaia di bandiere arcobaleno penzolanti dai balconi cittadini e pure dalle finestre delle canoniche parrocchiali. Eppure, nessuno mai avrebbe osato pensare che il drappo sarebbe arrivato fino ai piedi della Madre di Dio. Portato, per giunta, da un arcivescovo. L'agenzia Fides lo definirebbe, dottrinalmente, un sacrilegio. Ma senza scomodare Belzebù, più semplicemente, quell'immagine trasmessa da Rai Uno appare più uno svarione, un'intemerata senza capo né coda. Un tiro alla “viva il parroco”, appunto. Resta comunque il fatto che a Lourdes qualsiasi bandiera diversa da quella mariana sarebbe decisamente un attentato al buonsenso e pure al buoncostume. Figuriamoci la multicolore dalla storia così impresentabile e imbarazzante, e non solo per i cattolici. Nei messaggi lasciati in consegna a Bernardette Soubirous, la Madonna raccomandava preghiere e penitenze perché il mondo ritrovasse la vera pace, contro le trappole di Satana, propagatore di male e conflitti tra gli uomini. Mai, pensiamo, la Regina della Pace si sarebbe aspettata d'essere invocata dai suoi figli con uno dei simboli del Gay Pride. (Luigi Santambrogio, Libero, 10 luglio 2008)
Ma veniamo al fatto e al protagonista. Il protagonista: si tratta di monsignor Luigi Moretti, vescovo ausiliare di Roma, vice del cardinale Agostino Vallini (a sua volta vicario del Papa) e assistente ecclesiastico nazionale della Unitalsi (l'organizzazione che organizza pellegrinaggi per i malati): un personaggio di tutto rispetto. Il fatto: otto mila persone, tra cui 3mila bambini, otto treni speciali, 5 aerei da ogni parte d'Italia, per il pellegrinaggio a Lourdes (dal 22 giugno al 27 giugno).
Domenica scorsa, il vaticanista di Rai Uno, Aldo Maria Valli, nella trasmissione che precede la Messa, manda il servizio sull'avvenimento e un'intervista allo stesso monsignore.
Scorrono le immagini, ben note ai fedeli e conosciute in tutto il mondo: Lourdes, le piscine, la spianata, la grotta delle apparizioni, il ruscelletto con l'acqua miracolosa che scende dalla roccia.Ma ecco che le telecamere inquadrano, proprio ai piedi della statua della Vergine, uno sgargiante bandierone multicolore. Si vorrebbe non credere ai propri occhi: ma sì, è il noto drappo arcobaleno, icona del pacifismo unidirezionale, ateo e anche un tantino gay. A srotolarla ai piedi di Maria tra i lumini e le fiaccole votive sono i pellegrini italiani guidati dall'arcivescovo Moretti, anzi i "Bambini di pace" (questo era il titolo del pellegrinaggio). Un'apparizione che in quel luogo ha dell'incredibile.
Beh, niente contro la pace, il disarmo e la non violenza. Ci mancherebbe.
E poi ciascuno è libero di seguire le bandiere che vuole. Ma a Lourdes, non è poi così normale assistere alla benedizione di vessilli, sandaline e gagliardetti che nulla hanno a che vedere con la Croce di Cristo o il Rosario di Sua Madre. Tutto, ma non quello straccio. Ci sarebbe stato bene, al limite, anche un tifoso interista, in ginocchio alla grotta per la grazia ricevuta dello scudetto. Almeno il frescone verrebbe a ringraziare, mica a far consacrare dalla Vergine simboli di paranoie universali. Portare invece l'arcobaleno di stoffa e stenderlo ai piedi di Maria, è sintomo, ad essere caritatevoli, di confusione mentale, prima che religiosa.Ma se consultiamo la dottrina (Lourdes oblige) il verdetto è preoccupante: riduzione dell'avvenimento cristiano a teosofia, innaffiata con acqua di new age mixata a precetti massonici. Gesù Cristo, frullato in questa salsa indiana ed esoterica, diventa un rottame non più riciclabile, risalente alla passata Età dei Pesci. Adesso, predicano i guru new age, il peccato è scomparso, non c'è bisogno di un Salvatore: siamo nella Nuova Era dell'Acquario dove la perfezione si compra al supermarket dell'umanesimo terapeutico.Caspita, direte voi: tutta questa cagnara per un semplice straccio colorato!
Beh, a picchiare duro sulla bandiera arcobaleno è la stessa Chiesa cattolica: proprio il 20 giugno scorso (due giorni prima del pellegrinaggio dei Bambini pacifisti a Lourdes), l'Agenzia vaticana Fides pubblicava un lungo articolo sul significato, appunto, della bandiera della pace. Che fa piazza pulita, finalmente, del "pio-pio" pretino su questo tema. Si chiede la rivista: «Come mai uomini di Chiesa, laici o chierici che siano, hanno per tutti questi anni ostentato la bandiera arcobaleno e non la Croce, come simbolo di pace? Sarebbe interessante interrogare uno per uno coloro che, forse anche inconsapevolmente, hanno affisso sugli altari, ingressi e campanili delle chiese lo stendardo arcobaleno». E ancora: «questi uomini e donne di Chiesa sanno qual è l'origine della bandiera d pace? Molti probabilmente no. Altri, pur sapendo, non se ne preoccupano più di tanto». Per concludere, al termine di una documentata analisi, che «la bandiera arcobaleno è una valida sintesi per rappresentare questo sincretismo; infatti l'arcobaleno rappresenta il passaggio dall'umano verso il super-uomo divino». Insomma, l'odore di zolfo che sente l'articolista è fortissimo: se preti e parroci hanno le narici intasate, la smettano di menare il torrone pacifista e vedano di ficcare subito la testa nel catino dei suffumigi per liberarsi dal tappo. Evidentemente, l'arcivescovo Moretti, non ha letto l'articolo di Fides, oppure l'ha letto ma non lo condivide. In tal caso, forse farebbe bene a smentire pubblicamente le tesi vaticane. Per evitare malintesi e smarrimento tra i fedeli. Che, tuttavia, a queste misture gnostiche e al turibolare di incensi diversi (da Buddha a Visnù, dagli Incas a san Francesco, magari passando per uno sbuffo di hashish) sono già abituati: impossibile scordare le centinaia di bandiere arcobaleno penzolanti dai balconi cittadini e pure dalle finestre delle canoniche parrocchiali. Eppure, nessuno mai avrebbe osato pensare che il drappo sarebbe arrivato fino ai piedi della Madre di Dio. Portato, per giunta, da un arcivescovo. L'agenzia Fides lo definirebbe, dottrinalmente, un sacrilegio. Ma senza scomodare Belzebù, più semplicemente, quell'immagine trasmessa da Rai Uno appare più uno svarione, un'intemerata senza capo né coda. Un tiro alla “viva il parroco”, appunto. Resta comunque il fatto che a Lourdes qualsiasi bandiera diversa da quella mariana sarebbe decisamente un attentato al buonsenso e pure al buoncostume. Figuriamoci la multicolore dalla storia così impresentabile e imbarazzante, e non solo per i cattolici. Nei messaggi lasciati in consegna a Bernardette Soubirous, la Madonna raccomandava preghiere e penitenze perché il mondo ritrovasse la vera pace, contro le trappole di Satana, propagatore di male e conflitti tra gli uomini. Mai, pensiamo, la Regina della Pace si sarebbe aspettata d'essere invocata dai suoi figli con uno dei simboli del Gay Pride. (Luigi Santambrogio, Libero, 10 luglio 2008)
Sul quarantesimo anniversario della «Humanae vitae»
«In occasione della ricorrenza del 40° anniversario della Humanae vitae è stata pubblicata questa mattina a pagamento sul "Corriere della sera" una "Lettera aperta al Papa" che attacca radicalmente l'Enciclica di Paolo VI. Facciamo alcune semplici osservazioni.
Anzitutto. I firmatari sono un certo numero di gruppi ben noti per le loro posizioni contestatrici, che non si limitano al solo insegnamento sulla morale coniugale, ma riguardano molti altri argomenti (ad esempio l'ordinazione delle donne) e si pongono quindi da tempo in antitesi con il magistero della Chiesa. Quindi, nulla di nuovo. Inoltre, la lunghezza della serie dei gruppi nominati non deve impressionare, poiché si tratta spesso delle diverse sezioni nazionali dello stesso gruppo, e diversi gruppi sono assai poco significativi.
Inoltre, l'accusa più dura, che cioè la posizione cattolica sia causa della diffusione dell'Aids, e quindi di dolore e di morte, ostacolando politiche illuminate di sanità pubblica, è manifestamente infondata. La diffusione dell'Aids è del tutto indipendente dalla confessione religiosa delle popolazioni e dall'influsso delle gerarchie ecclesiastiche, e le politiche di risposta all'Aids fondate principalmente sulla diffusione dei preservativi sono largamente fallite. La risposta all'Aids richiede interventi ben più profondi e articolati, in cui la Chiesa è attiva su molti fronti.
Ma soprattutto, la "lettera" non tocca neanche da lontano la vera questione che è al centro della Humanae vitae, cioè il nesso fra il rapporto umano e spirituale fra i coniugi, l'esercizio della sessualità come sua espressione e la sua fecondità. In tutta la lettera, la parola "amore" non compare mai. Sembra che ai gruppi firmatari questo non interessi per nulla. Nella sola contraccezione sembra risiedere per essi la sola speranza delle coppie e del mondo. Per capire il significato dell'Enciclica e il suo valore "profetico" sarebbe bene invece rileggere il discorso del Papa del 10 maggio scorso ai partecipanti al Convegno tenuto in Laterano appunto per il 40° della Humanae vitae.
Del resto, è evidente che non si tratta di un articolo che esprima una posizione teologica o morale, ma di una propaganda a pagamento a favore dell'uso dei contraccettivi. Viene anche da domandarsi chi l'ha pagata e perché». (Padre Lombardi, L'Osservatore Romano, 26 luglio 2008)
Anzitutto. I firmatari sono un certo numero di gruppi ben noti per le loro posizioni contestatrici, che non si limitano al solo insegnamento sulla morale coniugale, ma riguardano molti altri argomenti (ad esempio l'ordinazione delle donne) e si pongono quindi da tempo in antitesi con il magistero della Chiesa. Quindi, nulla di nuovo. Inoltre, la lunghezza della serie dei gruppi nominati non deve impressionare, poiché si tratta spesso delle diverse sezioni nazionali dello stesso gruppo, e diversi gruppi sono assai poco significativi.
Inoltre, l'accusa più dura, che cioè la posizione cattolica sia causa della diffusione dell'Aids, e quindi di dolore e di morte, ostacolando politiche illuminate di sanità pubblica, è manifestamente infondata. La diffusione dell'Aids è del tutto indipendente dalla confessione religiosa delle popolazioni e dall'influsso delle gerarchie ecclesiastiche, e le politiche di risposta all'Aids fondate principalmente sulla diffusione dei preservativi sono largamente fallite. La risposta all'Aids richiede interventi ben più profondi e articolati, in cui la Chiesa è attiva su molti fronti.
Ma soprattutto, la "lettera" non tocca neanche da lontano la vera questione che è al centro della Humanae vitae, cioè il nesso fra il rapporto umano e spirituale fra i coniugi, l'esercizio della sessualità come sua espressione e la sua fecondità. In tutta la lettera, la parola "amore" non compare mai. Sembra che ai gruppi firmatari questo non interessi per nulla. Nella sola contraccezione sembra risiedere per essi la sola speranza delle coppie e del mondo. Per capire il significato dell'Enciclica e il suo valore "profetico" sarebbe bene invece rileggere il discorso del Papa del 10 maggio scorso ai partecipanti al Convegno tenuto in Laterano appunto per il 40° della Humanae vitae.
Del resto, è evidente che non si tratta di un articolo che esprima una posizione teologica o morale, ma di una propaganda a pagamento a favore dell'uso dei contraccettivi. Viene anche da domandarsi chi l'ha pagata e perché». (Padre Lombardi, L'Osservatore Romano, 26 luglio 2008)
giovedì 10 luglio 2008
La fiera della vergogna riabilita persino Moretti
Dev’esserci davvero una legge del contrappasso se la sinistra più elitaria e più chic, la sinistra dei salotti e delle terrazze, delle letture buone e delle vacanze intelligenti, di Capalbio e dello slow food, insomma dev’esserci una giustizia severa e beffarda o più semplicemente una giustizia se questa sinistra finisce per farsi rappresentare da un uomo come Di Pietro. Che probabilmente ha scritto più libri di quanti ne abbia letti. Che se potesse starebbe alla destra della destra. Che viene dal mondo dei questurini, il più schifato dai reduci della meglio gioventù. Che l’altro ieri ha osato arringare gente abituata alle sale dell’Auditorium e ai tavolini del Gusto parlando dall’interno di una camicia a maniche corte, che è propria solo degli americani e dei bifolchi, e Di Pietro non è americano. Anche Grillo non c’entra niente con quel mondo lì. E non c’entra niente - come origini e come storia, voglio dire - nemmeno Marco Travaglio, che è pure lui di destra, anche se più colto e più intelligente di Di Pietro. Travaglio dice che se Berlusconi continua a rivincere è perché la sinistra si suicida e forse ha tante ragioni. Ma difficilmente si ricorda un regalo al Cav come quello che gli hanno confezionato i «No Cav» dell’altro ieri. Avvenire ha scritto: «Mai così in basso». Si dirà che Avvenire è Avvenire e difende il Papa, al quale i girotondini di piazza Navona hanno augurato *****. Ma anche Veltroni ha definito «follia» la manifestazione di martedì. Si dirà che Veltroni è Veltroni. Ma che si può dire di Furio Colombo? Ha diretto l’Unità più barricadiera ed estremista della storia, eppure alla fine della manifestazione è salito sul palco e ha detto mi sono trovato malissimo, quel che avete fatto è «stupido, sbagliato, volgare, fuori posto». Anche i giornali amici hanno preso le distanze. Anche Rita Borsellino. Anche Nanni Moretti, che era lì in piazza ma si è ben guardato dall’intervenire, e a un certo punto se n’è andato. L’Italia che era in piazza Navona era l’Italia di quegli eletti che hanno preso sul serio la lezione di Umberto Eco: non conta il voto popolare, non è detto che la maggioranza abbia ragione. L’Italia di piazza Navona era la minoranza illuminata che spera che la maggioranza capisca l’errore che ha fatto votando centrodestra. Insomma l’Italia dei migliori - come ha scritto ieri Buttafuoco - che ogni tanto ricompare con la sua pretesa di elezione spirituale e intellettuale: ma mai come l’altro ieri l’Italia dei migliori si è dimostrata peggiore.«Mai così in basso»: Avvenire ha ragione. La sinistra che lamenta l’imbarbarimento culturale del Paese e che si straccia le vesti per il Grande Fratello e l’Isola dei famosi ha mandato sul palco e applaudito una Sabina Guzzanti che parla delle «donne che la danno via», che grida «non puoi mettere alle Pari opportunità una perché ti ha ***********», e non è solo questione di volgarità, è anche questione di calunnia perché non c’è un pezzo di carta che dimostri quel che dice, ma la Guzzanti se ne frega, sputa anche sulla malattia di Bossi chiedendosi «perché non diventa ministro anche quella che gli ha fatto venire il coccolone». Tira in ballo il Papa - chissà che cosa c’entra - del quale crede evidentemente di essere il Datore di lavoro, visto che ne decreta il destino eterno: «all’inferno, ***************». Ma che ridere. Ma che superiorità culturale, questa comica che s’è tanto battuta per una tv intelligente. Che volete. Noi che non siamo né raffinati né colti né progressisti, non comprendiamo la creatività, l’umorismo e la capacità di analisi politica di un Grillo che si collega con la piazza per dire ****, il premier ha fatto una figura di ***, e c’è chi sa vendere la ***. Che classe. Dal palco si alternano fini osservatori, insultano gli editorialisti tipo Galli della Loggia e dicono «Alfano spara cazzate», Moni Ovadia urla «fascisti, genocidi, razzisti, assassini, criminali, fucilatori di partigiani», Flores invece denuncia che «hanno rubato i voti degli italiani», Camilleri crede di far ridere con battute tipo «la morale di Berlusconi ha più buchi di un colabrodo», e c’è chi ride davvero. Ma sì, la gente della piazza è contenta così, Fiorella Mannoia dice che adesso può «andare a letto con la coscienza tranquilla». Sarà per tutto questo che crediamo anche noi che mai si era scesi così in basso, e che vengono riabilitati - alla grandissima - i vecchi festival dell’Unità, le salamelle alla brace e le patatine fritte nell’olio della 127, le gare di rutti e quelle di puzzette. Sarà per tutto questo che l’altra sera ci è venuta - tenetevi forti cari lettori perché non sappiamo come dirvelo - ci è venuta, insomma, una profonda, struggente, irresistibile nostalgia di Nanni Moretti. (Michele Brambilla, Il Giornale, 10 luglio 2007).
Tra voglia di stigmatizzare e desiderio di sminuire, il Vaticano accoglie gelidamente l'offesa che Sabina Guzzanti ha indirizzato al Papa dal palco di piazza Navona nel 'No Cav Day' di ieri sera. "La volgarità si qualifica di per se stessa", si limita a dire il direttore della sala stampa vaticana, padre Federico Lombardi. Sulla stessa linea il vicariato di Roma, che diffonde una breve nota per fare scudo al Pontefice, che è anche vescovo della capitale. La diocesi "esprime il suo profondo dispiacere per le parole offensive riferite al Santo Padre", afferma il card. Agostino Vallini, vicario del Papa da poche settimane. "Quanto avvenuto non merita ulteriori commenti". Non è la prima volta che si materializza uno scontro tra il Vaticano e la satira italiana. Il segretario personale del Papa, mons. Georg Gaenswein, ebbe a lamentarsi per le imitazioni papali di Fiorello e Crozza. Ad un concerto del primo maggio di due anni fa, poi, una battuta del comico Andrea Rivera in diretta tv fu subito bollata dall'Osservatore romano. "Anche questo è terrorismo", denunciò il foglio vaticano. Nuove scintille in occasione del gaypride, con ministri di sinistra in piazza e slogan "no vat" tra i partecipanti. Ma era un'altra stagione politica, il "cattolico adulto" Prodi suscitava qualche malumore nei Sacri Palazzi, la Cei e il vicariato romano erano guidati saldamente dal cardinale Camillo Ruini e tra le due sponde del Tevere la tensione era salita per il disegno di legge sui Dico. "Meglio contestati che irrilevanti", era il motto di Ruini, che si tradusse puntualmente in realtà con le minacce al suo successore, l'arcivescovo di Genova Angelo Bagnasco.
Ora a Palazzo Chigi siede Silvio Berlusconi, in Parlamento non c'è più la Sinistra, il Papa ha benedetto il "nuovo clima" politico e ha lodato i primi bagliori di una collaborazione bipartisan. Anche gli attacchi pubblici a Benedetto XVI e ai maggiorenti cattolici sembravano lontani. E invece, rotto il dialogo, sono riemerse le contumelie. E se la kermesse di piazza Navona mette in fibrillazione l'opposizione e la procura di Roma decide di aprire un'indagine sulle offese al Papa e a Napolitano, nella Chiesa cattolica italiana c'è chi intravede qualcosa di più profondo del cattivo gusto. Il sospetto è che i comici alla Guzzanti & Co. diano voce ad un anticlericalismo diffuso, ad un atteggiamento politico, alla stessa cultura che contestò la visita del Papa alla Sapienza. E' la "coscienza laica" del Paese, per il Servizio informazione religiosa dei vescovi (Sir), a "ribellarsi" alla "menzogna e all'ignoranza che formano la palude in cui nascono e crescono parole ed espressioni che ci rifiutiamo di credere che possano appartenere a un cittadino responsabile, a una persona che pensa e critica, credente o non credente che sia". Per l'Avvenire, dietro la Guzzanti & Co. c'è "un riflesso tipico del laicismo nostrano". "Qui non vale neppure l'alibi della satira", aggiunge il quotidiano della Cei, che poi, con un'espressione ripresa da Berlusconi, afferma che "è solo squallida spazzatura".
Tra voglia di stigmatizzare e desiderio di sminuire, il Vaticano accoglie gelidamente l'offesa che Sabina Guzzanti ha indirizzato al Papa dal palco di piazza Navona nel 'No Cav Day' di ieri sera. "La volgarità si qualifica di per se stessa", si limita a dire il direttore della sala stampa vaticana, padre Federico Lombardi. Sulla stessa linea il vicariato di Roma, che diffonde una breve nota per fare scudo al Pontefice, che è anche vescovo della capitale. La diocesi "esprime il suo profondo dispiacere per le parole offensive riferite al Santo Padre", afferma il card. Agostino Vallini, vicario del Papa da poche settimane. "Quanto avvenuto non merita ulteriori commenti". Non è la prima volta che si materializza uno scontro tra il Vaticano e la satira italiana. Il segretario personale del Papa, mons. Georg Gaenswein, ebbe a lamentarsi per le imitazioni papali di Fiorello e Crozza. Ad un concerto del primo maggio di due anni fa, poi, una battuta del comico Andrea Rivera in diretta tv fu subito bollata dall'Osservatore romano. "Anche questo è terrorismo", denunciò il foglio vaticano. Nuove scintille in occasione del gaypride, con ministri di sinistra in piazza e slogan "no vat" tra i partecipanti. Ma era un'altra stagione politica, il "cattolico adulto" Prodi suscitava qualche malumore nei Sacri Palazzi, la Cei e il vicariato romano erano guidati saldamente dal cardinale Camillo Ruini e tra le due sponde del Tevere la tensione era salita per il disegno di legge sui Dico. "Meglio contestati che irrilevanti", era il motto di Ruini, che si tradusse puntualmente in realtà con le minacce al suo successore, l'arcivescovo di Genova Angelo Bagnasco.
Ora a Palazzo Chigi siede Silvio Berlusconi, in Parlamento non c'è più la Sinistra, il Papa ha benedetto il "nuovo clima" politico e ha lodato i primi bagliori di una collaborazione bipartisan. Anche gli attacchi pubblici a Benedetto XVI e ai maggiorenti cattolici sembravano lontani. E invece, rotto il dialogo, sono riemerse le contumelie. E se la kermesse di piazza Navona mette in fibrillazione l'opposizione e la procura di Roma decide di aprire un'indagine sulle offese al Papa e a Napolitano, nella Chiesa cattolica italiana c'è chi intravede qualcosa di più profondo del cattivo gusto. Il sospetto è che i comici alla Guzzanti & Co. diano voce ad un anticlericalismo diffuso, ad un atteggiamento politico, alla stessa cultura che contestò la visita del Papa alla Sapienza. E' la "coscienza laica" del Paese, per il Servizio informazione religiosa dei vescovi (Sir), a "ribellarsi" alla "menzogna e all'ignoranza che formano la palude in cui nascono e crescono parole ed espressioni che ci rifiutiamo di credere che possano appartenere a un cittadino responsabile, a una persona che pensa e critica, credente o non credente che sia". Per l'Avvenire, dietro la Guzzanti & Co. c'è "un riflesso tipico del laicismo nostrano". "Qui non vale neppure l'alibi della satira", aggiunge il quotidiano della Cei, che poi, con un'espressione ripresa da Berlusconi, afferma che "è solo squallida spazzatura".
martedì 8 luglio 2008
Donne e gay sacerdoti? I tradizionalisti anglicani si oppongono e aprono il dialogo con il Vaticano
Un autorevole gruppo di vescovi anglicani ostili alla consacrazione vescovile di donne e gay ha aperto un canale segreto di dialogo con il Vaticano in vista di ''legami più stretti con Roma'', secondo informazioni pubblicate in esclusiva dal “Sunday Telegraph” che confermano la gravissima, lacerante crisi in cui si dibatte la chiesa fondata da Enrico VIII nel 1535. Il domenicale londinese dice di conoscere l'identità dei vescovi di spicco che nel massimo riserbo hanno avuto abboccamenti con esponenti della Congregazione per la Dottrina della Fede ma non ne fa i nomi tenendo conto della ''natura delicata e potenzialmente esplosiva dei colloqui''.
La Comunione anglicana, forte di circa ottanta milioni di fedeli sparsi per il mondo e concentrati soprattutto nei Paesi anglofoni, e' spaccata sostanzialmente in due sull'ammissibilità della consacrazione vescovile di donne prete e di preti gay. A Gerusalemme, giusto una settimana fa, trecento vescovi tradizionalisti - in rappresentanza soprattutto di diocesi di Asia, Africa e Australia - sono arrivati ad un passo dalla scisma: hanno deciso di organizzarsi in ''chiesa dentro la chiesa'' con un proprio clero e con propri seminari e hanno avvertito che non riconosceranno piu' come indiscutibile autorità suprema l'arcivescovo di Canterbury, a loro giudizio succube dei liberali femministi e pro-gay. Si atterranno inoltre agli insegnamenti dottrinali del passato, respingendo tutti gli sforzi di ''aggiornamento''.
Un altro cruciale capitolo di questa sconquassante battaglia è in calendario nelle prossime ore, quando i 468 delegati del Sinodo Generale anglicano, riunito da diversi giorni all'Università di York, dovrebbero votare un pacchetto di ''misure di accomodamento'' a favore di quella parte di clero e di parrocchie contrarie alla prospettiva di avere a capo della loro diocesi un gay dichiarato o una donna. Secondo le rivelazioni del “Sunday Telegraph”, né confermate né smentite sia dalla chiesa anglicana che in ambito cattolico, i vescovi tradizionalisti avrebbero avviato contatti con il Vaticano all'insaputa dell'arcivescovo di Canterbury (nella foto) per esplorare la possibilità di una ''maggiore unità con Roma''. A quanto sembra, questi abboccamenti non preludono ad una clamorosa confluenza nell'alveo cattolico, ma sono in gran parte uno strumento di pressione per dare più peso al punto di vista conservatore all'interno del mondo anglicano. La 'fuga di notizie' sul “Sunday Telegraph” mentre e' in corso il Sinodo Generale - l'organo di governo della Church of England - e alla vigilia di un voto cruciale, non sembra un caso. Il 'casus belli' all'origine del dirompente scontro risale al 2003, quando gli anglicani tradizionalisti - molto vicini alla religione cattolica sotto il profilo teologico - reagirono esterrefatti alla nomina negli Stati Uniti di un prete apertamente gay, Gene Robinson, a vescovo del New Hampshire. Il disagio viene però da più lontano, almeno dai primi Anni Novanta, quando dopo furiose e sofferte polemiche la chiesa anglicana diede luce verde all'ordinazione sacerdotale delle donne e pagò questa novità con l'esodo di alcune centinaia di preti passati in blocco alla Chiesa cattolica. (Petrus, 6 luglio 2008)
La Comunione anglicana, forte di circa ottanta milioni di fedeli sparsi per il mondo e concentrati soprattutto nei Paesi anglofoni, e' spaccata sostanzialmente in due sull'ammissibilità della consacrazione vescovile di donne prete e di preti gay. A Gerusalemme, giusto una settimana fa, trecento vescovi tradizionalisti - in rappresentanza soprattutto di diocesi di Asia, Africa e Australia - sono arrivati ad un passo dalla scisma: hanno deciso di organizzarsi in ''chiesa dentro la chiesa'' con un proprio clero e con propri seminari e hanno avvertito che non riconosceranno piu' come indiscutibile autorità suprema l'arcivescovo di Canterbury, a loro giudizio succube dei liberali femministi e pro-gay. Si atterranno inoltre agli insegnamenti dottrinali del passato, respingendo tutti gli sforzi di ''aggiornamento''.
Un altro cruciale capitolo di questa sconquassante battaglia è in calendario nelle prossime ore, quando i 468 delegati del Sinodo Generale anglicano, riunito da diversi giorni all'Università di York, dovrebbero votare un pacchetto di ''misure di accomodamento'' a favore di quella parte di clero e di parrocchie contrarie alla prospettiva di avere a capo della loro diocesi un gay dichiarato o una donna. Secondo le rivelazioni del “Sunday Telegraph”, né confermate né smentite sia dalla chiesa anglicana che in ambito cattolico, i vescovi tradizionalisti avrebbero avviato contatti con il Vaticano all'insaputa dell'arcivescovo di Canterbury (nella foto) per esplorare la possibilità di una ''maggiore unità con Roma''. A quanto sembra, questi abboccamenti non preludono ad una clamorosa confluenza nell'alveo cattolico, ma sono in gran parte uno strumento di pressione per dare più peso al punto di vista conservatore all'interno del mondo anglicano. La 'fuga di notizie' sul “Sunday Telegraph” mentre e' in corso il Sinodo Generale - l'organo di governo della Church of England - e alla vigilia di un voto cruciale, non sembra un caso. Il 'casus belli' all'origine del dirompente scontro risale al 2003, quando gli anglicani tradizionalisti - molto vicini alla religione cattolica sotto il profilo teologico - reagirono esterrefatti alla nomina negli Stati Uniti di un prete apertamente gay, Gene Robinson, a vescovo del New Hampshire. Il disagio viene però da più lontano, almeno dai primi Anni Novanta, quando dopo furiose e sofferte polemiche la chiesa anglicana diede luce verde all'ordinazione sacerdotale delle donne e pagò questa novità con l'esodo di alcune centinaia di preti passati in blocco alla Chiesa cattolica. (Petrus, 6 luglio 2008)
L'audacia delle cose semplici. Gattuso ha provato a dirle
«Le nozze omosessuali non mi trovano d'accordo. Per me le nozze sono tra un uomo e una donna. Io credo nella famiglia. E se credi nella famiglia e nella tua religione, non puoi essere d'accordo. Poi, siamo nel 2008, e ognuno fa quello che vuole».
Così ha detto Rino Gattuso, in una conferenza stampa alla vigilia di Italia - Spagna in cui i cronisti si sono divertiti a provocare su Zapatero e unioni gay il coriaceo milanista. Gattuso, che è di Corigliano Calabro e ha una faccia come quella di mille suoi conterranei emigrati in tutto il mondo, ha dato una risposta semplice: per me, le nozze sono tra un uomo e una donna. Ma è audace, di questi tempi, dire una cosa semplice. L'Arcigay risentita ha annunciato che avrebbe tifato per la Spagna, e pazienza. Poi dalle colonne di Repubblica è giunta - breve, ironica - l'inevitabile ammonizione di Michele Serra. « I soldi -ha commentato grave Serra -non bastano a emancipare lo spirito, e dunque l'opinione di Gattuso rimane solidamente nell'alveo dell'eterna ingenuità popolare ». Per poi concludere: volendo, con tutti i soldi che Gattuso guadagna potrebbe comprarsi qualche giornale, e « addirittura » qualche libro in grado di spiegargli « come stanno le cose ». « Come stanno le cose » : che, naturalmente, stanno in un solo modo, e cioè quello condiviso da Michele Serra. Si legga qualche libro, quel calciatore ignorante, legga i giornali -Repubblica, possibilmente. C'è tutto un modo di essere di certi intellettuali in quelle dieci righe. Un uomo, a domanda, civilmente risponde: per la mia storia e la mia religione, il matrimonio è fra un uomo e una donna. Si può non essere d'accordo.
Replicare invece « leggiti qualche libro », « impara come stanno le cose », sembra fare riferimento a una verità oggettiva, a un dogma. Le cose « stanno » in un modo, e Gattuso, affetto da « eterna ingenuità popolare », colpevolmente lo ignora. Sotto la spocchia da maestro in cattedra di Serra emerge una nota aspra da chierico del politicamente corretto, che bacchetta chi devia dall'obbligatorio comune sentire. In realtà, un sondaggio fra gli italiani rivelerebbe che in moltissimi, pure nel rispetto per gli omosessuali, si riconoscono nella cosa semplice detta dal calciatore della nazionale: « Per me, le nozze sono fra un uomo e una donna ».
Tuttavia, nei media parla una classe di giornalisti e intellettuali che non proviene da questa cultura popolare, o la ha abbandonata -anche perché il vento soffiava in un'altra direzione. Così che leggendo certi quotidiani, ascoltando la radio, sembra spesso che l'Italia sia in preda a un'ansia di zapaterizzazione repressa da oscure forze clericali. Ma la « cosa semplice » detta da Gattuso è la stessa che -pure nella tolleranza e nel rispetto delle ' differenze' - direbbero i più degli italiani. « Popolari » forse, probabilmente non lettori chic e dunque non edotti su « come stanno le cose » ; tuttavia -diciamolo -la grande maggioranza. ( D'altronde, benché desueto, non è stato ancora abrogato un certo articolo della Costituzione, numero 29 ci pare, che « riconosce la famiglia come società naturale fondata sul matrimonio » ). Si riproduce in Italia un ' gioco' mediatico che già è stato analizzato negli Usa: c'è una disparità culturale, religiosa e anche economica fra il media system e la popolazione, per cui spesso la realtà rappresentata dai giornali non è quella del Paese. E un calciatore di Corigliano Calabro, scampato grazie ai piedi ( e alla testa) al destino di tanta della sua gente, se tuttavia la pensa ancora come dalle sue parti incappa nella rampogna del catechista del pensiero corretto obbligatorio. (Marina Corradi, Avvenire, 26 giugno 2008)
Così ha detto Rino Gattuso, in una conferenza stampa alla vigilia di Italia - Spagna in cui i cronisti si sono divertiti a provocare su Zapatero e unioni gay il coriaceo milanista. Gattuso, che è di Corigliano Calabro e ha una faccia come quella di mille suoi conterranei emigrati in tutto il mondo, ha dato una risposta semplice: per me, le nozze sono tra un uomo e una donna. Ma è audace, di questi tempi, dire una cosa semplice. L'Arcigay risentita ha annunciato che avrebbe tifato per la Spagna, e pazienza. Poi dalle colonne di Repubblica è giunta - breve, ironica - l'inevitabile ammonizione di Michele Serra. « I soldi -ha commentato grave Serra -non bastano a emancipare lo spirito, e dunque l'opinione di Gattuso rimane solidamente nell'alveo dell'eterna ingenuità popolare ». Per poi concludere: volendo, con tutti i soldi che Gattuso guadagna potrebbe comprarsi qualche giornale, e « addirittura » qualche libro in grado di spiegargli « come stanno le cose ». « Come stanno le cose » : che, naturalmente, stanno in un solo modo, e cioè quello condiviso da Michele Serra. Si legga qualche libro, quel calciatore ignorante, legga i giornali -Repubblica, possibilmente. C'è tutto un modo di essere di certi intellettuali in quelle dieci righe. Un uomo, a domanda, civilmente risponde: per la mia storia e la mia religione, il matrimonio è fra un uomo e una donna. Si può non essere d'accordo.
Replicare invece « leggiti qualche libro », « impara come stanno le cose », sembra fare riferimento a una verità oggettiva, a un dogma. Le cose « stanno » in un modo, e Gattuso, affetto da « eterna ingenuità popolare », colpevolmente lo ignora. Sotto la spocchia da maestro in cattedra di Serra emerge una nota aspra da chierico del politicamente corretto, che bacchetta chi devia dall'obbligatorio comune sentire. In realtà, un sondaggio fra gli italiani rivelerebbe che in moltissimi, pure nel rispetto per gli omosessuali, si riconoscono nella cosa semplice detta dal calciatore della nazionale: « Per me, le nozze sono fra un uomo e una donna ».
Tuttavia, nei media parla una classe di giornalisti e intellettuali che non proviene da questa cultura popolare, o la ha abbandonata -anche perché il vento soffiava in un'altra direzione. Così che leggendo certi quotidiani, ascoltando la radio, sembra spesso che l'Italia sia in preda a un'ansia di zapaterizzazione repressa da oscure forze clericali. Ma la « cosa semplice » detta da Gattuso è la stessa che -pure nella tolleranza e nel rispetto delle ' differenze' - direbbero i più degli italiani. « Popolari » forse, probabilmente non lettori chic e dunque non edotti su « come stanno le cose » ; tuttavia -diciamolo -la grande maggioranza. ( D'altronde, benché desueto, non è stato ancora abrogato un certo articolo della Costituzione, numero 29 ci pare, che « riconosce la famiglia come società naturale fondata sul matrimonio » ). Si riproduce in Italia un ' gioco' mediatico che già è stato analizzato negli Usa: c'è una disparità culturale, religiosa e anche economica fra il media system e la popolazione, per cui spesso la realtà rappresentata dai giornali non è quella del Paese. E un calciatore di Corigliano Calabro, scampato grazie ai piedi ( e alla testa) al destino di tanta della sua gente, se tuttavia la pensa ancora come dalle sue parti incappa nella rampogna del catechista del pensiero corretto obbligatorio. (Marina Corradi, Avvenire, 26 giugno 2008)
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