Dedicata
ai migranti, alle vittime della tratta, alla Costituzione e persino a Stefano
Cucchi: la via crucis è ormai un happening in cui Gesù è solo un pretesto per
parlare d'altro, fare politica e proclamare manifesti ideologici. Specchio di
una Chiesa secolarizzata in cui non è più la Croce di Cristo a dare senso ad
ogni dolore umano, ma è il dolore umano a giustificare la croce.
Scommettiamo
che? Scommettiamo che l’anno prossimo avremo quella sul clima e sicuramente
quella al motto di ecologia & libertà?
Chissà, un giorno verrà il momento anche per la via crucis a difesa
degli animali e perché no, quella dei rider che portano in giro il cibo in
bicicletta a paghe da fame. In fondo, anche loro sono vittime dello
sfruttamento.
Intanto
quest’anno dobbiamo sobbarcarci
quello che passa il convento e il convento passa diverse viae crucis a piacimento, nelle quali emerge un filo che le accomuna
tutte: Gesù Cristo è ormai diventato un pretesto per parlare di altro. Fare
politica ad esempio, affermare le proprie idee quando non ideologie, servirsi
delle meditazioni per indottrinare torme di giovani, i pochi ancora rimasti.Della via crucis più celebre, quella del Colosseo alla presenza di Papa Francesco si sta facendo un gran parlare da giorni. Le meditazioni sono state scritte da suor Eugenia Bonetti e fin da subito si è detto che la via crucis è stata dedicata alla tratta delle schiave moderne. I giornali hanno fatto il resto quando sono state presentate le meditazioni: “Ecco la via crucis contro Salvini, la via crucis vaticana anti sovranista”. Come si può ben immaginare nella via dolorosa di quest’anno compaiono tutti i cliché del terzomondismo ormai diventato legge canonica della Chiesa: si parla di “di tutte quelle giovani vite, che in modi diversi, sono condannate a morte dall’indifferenza generata da politiche esclusive ed egoiste”. Inevitabile pensare che se ci sono dei morti nelle migrazioni è colpa di Salvini.
Ma la via crucis a tema di questa sera a Roma non è la sola, né la prima.
Può accadere così che la via crucis diventi un pretesto per accomunare la passione di Cristo alla Carta Costituzionale. A Torino, all’Oratorio Salesiano San Paolo hanno infatti svolto una processione nella quale si sono intrecciate mirabilmente le 14 stazioni e alcuni cartelli con gli articoli più rilevanti della Costituzione. Merito dei salesiani, i quali hanno lanciato l’idea della via Crucis Giusta, Equa e Solidale. Surreale poi l’augurio: “La nostra Costituzione, la Passione di Gesù, ci portino verso una Pasqua da vivere come vorrebbe don Bosco: come BUONI CRISTIANI E ONESTI CITTADINI”. Don Bosco si rivolta nella tomba, per l’ennesima volta.
La nostra carrellata fa tappa a questo punto a Mercogliano, in provincia di Avellino, dove il “barricadero” don Vitaliano Della Sala ha ripreso possesso della parrocchia dopo le sanzioni canoniche che lo videro protagonista ai tempi dei disobbedienti. Ma qualche afflato “revolucionario” deve essergli ancora rimasto. Nella sua parrocchia infatti è andata in scena domenica scorsa una via crucis singolare: dedicata a Stefano Cucchi. Il motivo? “La via Crucis non è solo la rievocazione di un dramma avvenuto duemila anni fa ma deve essere la celebrazione della nostra vita con i suoi chiaroscuri”, ha dichiarato don Della Sala. Le stazioni della Passione di Cristo in questo caso sono state completamente stravolte e sostituite con meditazioni ad hoc sul giovane morto “per le percosse ricevute dopo il suo arresto”, si legge sui giornali.
Insomma: “E’ un modo per denunciare le ingiustizie e attualizzare il racconto della sofferenza di Gesù lungo la strada verso il Calvario”. Intanto prima dell’evento è stato proiettato anche il film Sulla mia pelle, sulla storia del giovane spacciatore, la cui vicenda giudiziaria è riesplosa in tribunale proprio questi giorni dopo le confessioni a processo di un teste chiave che ha confermato la tesi delle percosse.
Tutto bello ed emotivamente coinvolgente: i migranti, la Costituzione e il giovane spacciatore morto in carcere e per il cui omicidio devono rispondere ora diversi carabinieri. Peccato che senza Cristo tutta questa sofferenza non serva a nulla. Perché la via Crucis è un “pio esercizio” nato nel XII secolo, per favorire l’immedesimazione dei fedeli con la Passione di Cristo, meditandone i vari momenti. È Cristo dunque il protagonista e non – con tutto il rispetto umano – il povero Stefano Cucchi. È Cristo, perché è attraverso la sua sofferenza che noi tutti siamo stati salvati, anche i migranti che solcano i mari del Mediterraneo ingannati da una mafia africana che – guarda caso – non viene mai tirata in ballo tra i carnefici, nelle meditazioni delle viae crucis politically correct.
Si vive la via crucis come un evento esclusivamente orizzontale, politico e sociale, in cui rivendicare piuttosto che fermarsi a riflettere sul dolore di chi, morendo per noi in croce, ci ha riscattati da una esistenza destinata in eterno ad essere ben più tragica della tratta di esseri umani.
Si ripercorre la strada di Cristo partecipando in spirito alle sofferenze patite da Gesù e non si ricorda né si dedica alcunché. Anche perché la stessa via crucis, come pio esercizio è già normata da Expone nobis un breve di papa Clemente XII, che nel 1731 ne fissò le caratteristiche fino a dare facoltà di lucrare indulgenze.
Questo non significa che nel corso delle meditazioni non ci debbano essere delle attualizzazioni sulla stazione che viene vissuta: ma sempre tenendo presente che il protagonista è Cristo, attraverso le cui sofferenze tutti siamo salvati. Non siamo di fronte ad una commemorazione umana di una vittima di soprusi e violenze. Ma siamo di fronte a quella sofferenza di Cristo: nella carne, nel costato, nelle spine. Quella sofferenza, non una metafora di tutti i mali del mondo.
Ma anche queste viae crucis ideologiche, fanno il paio con la moda dei presepi a tema, come abbiamo giù denunciato. Questo è causato dalla perdita del significato della Passione e redenzione del Dio Uomo. Si deve ormai giustificare sociologicamente la via Crucis, ribaltando totalmente i termini della questione: nella nostra cultura secolarizzata non è più la Croce di Cristo a dare senso ad ogni dolore umano, ma è il dolore umano a giustificare la croce e il perdurare del “pio esercizio” in un mondo ateo.
Insomma: è ancora una volta una fotografia di una chiesa che si vergogna di Cristo crocifisso e così facendo tradisce l’uomo, abbandonandolo nell’abissale solitudine del male e del dolore.
(Fonte: Andrea
Zambrano, LNBQ, 19 aprile 2019)
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