sabato 21 dicembre 2019

L’ultimo discorso del papa ai cardinali ha un antefatto. Che doveva restare segreto


Anche questa volta, nel discorso che rivolge ogni anno alla curia vaticana prima di Natale, papa Francesco ha calato fendenti sui malcapitati ascoltatori.
L’anno scorso se l’era presa con i Giuda “che si nascondono dietro buone intenzioni per pugnalare i loro fratelli e seminare zizzania”.
Due anni fa aveva messo alla gogna i “traditori di fiducia” che “si lasciano corrompere dall’ambizione o dalla vanagloria e, quando vengono delicatamente allontanati, si auto-dichiarano erroneamente martiri del sistema, del ‘papa non informato’, della ‘vecchia guardia’…, invece di recitare il ‘mea culpa’”.
E quest’anno chi il papa ha preso di mira? Più sotto sono riportati i passi più pungenti del discorso rivolto dal papa alla curia romana la mattina di sabato 21 dicembre.
Prima però va data notizia di un altro incontro avvenuto pochi giorni fa tra Francesco e i cardinali. Un incontro cominciato male e finito ancor peggio.
Di questo incontro nessun organo d’informazione vaticano ha finora fatto parola. Eppure c’è stato. È avvenuto nella cappella vaticana di Santa Marta, la mattina di venerdì 13 dicembre, cinquantesimo anniversario della prima messa di Jorge Mario Bergoglio.
A proporre a papa Francesco di festeggiare questa ricorrenza con una messa da lui celebrata assieme ai cardinali residenti a Roma era stato qualche settimana prima il cardinale Angelo Sodano, nella sua qualità di decano del collegio cardinalizio.
Francesco aveva risposto di no. Ma Sodano non si era arreso e grazie al cardinale Giovanni Battista Re, sottodecano del sacro collegio, nuovamente intervenuto sul papa, era alla fine riuscito a piegare la sua resistenza.
Nel diramare ai cardinali la lettera d’invito all’incontro, Sodano ha fatto cenno all’iniziale rifiuto opposto da Francesco.
Il quale però ha attenuato solo di poco il suo moto di ripulsa. Il 13 dicembre la messa c’è stata, ma nel più assoluto silenzio da ambo le parti. Il papa non ha tenuto l’omelia e non ha detto una sola parola né prima né dopo il rito. E Sodano neppure ha potuto leggere l’indirizzo di augurio che aveva preparato, a nome non solo dei presenti ma dell’intero collegio cardinalizio. Terminata la messa Francesco ha rapidamente salutato a uno a uno i cardinali ed è andato via.
Nel pomeriggio, sia “L’Osservatore Romano” che “Vatican News” hanno pubblicato il messaggio augurale del cardinale Sodano. Ma senza dare notizia né fornire una sola immagine della messa celebrata col papa.
Questo, infatti, era l’ordine tassativo del pontefice: nessuna notizia e nessuna foto.
Inutile dire che i cardinali convenuti a Santa Marta sono rimasti molto colpiti dalla freddezza ostentata dal papa nei loro confronti. Una freddezza di cui non comprendevano la ragione.
Ed eccoci al discorso prenatalizio alla curia del 21 dicembre. Con l’antefatto che si è detto.
Questo è il rimando al testo completo del discorso, al quale ha fatto seguito, lo stesso giorno, un "motu proprio" papale che ha dato notizia delle avvenute dimissioni di Sodano dalla carica di decano del collegio cardinalizio.

> "Cari fratelli e sorelle..."
E questi sono alcuni passaggi.
NON COME NEL "GATTOPARDO"
Quella che stiamo vivendo non è semplicemente un’epoca di cambiamenti, ma è un cambiamento di epoca. […] Capita spesso di vivere il cambiamento limitandosi a indossare un nuovo vestito, e poi rimanere in realtà come si era prima. Rammento l’espressione enigmatica, che si legge in un famoso romanzo italiano: “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi” (ne “Il Gattopardo” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa).
NUOVI PROCESSI, NUOVI PARADIGMI
Noi dobbiamo avviare processi e non occupare spazi: […] Non bisogna privilegiare gli spazi di potere rispetto ai tempi, anche lunghi, dei processi. […] Abbiamo bisogno di altre “mappe”, di altri paradigmi, che ci aiutino a riposizionare i nostri modi di pensare e i nostri atteggiamenti: non siamo nella cristianità, non più!
ACCORPARE LA COMUNICAZIONE
Al Dicastero per la Comunicazione è stato affidato il compito di accorpare in una nuova istituzione i nove enti che, precedentemente, si occupavano, in varie modalità e con diversi compiti, di comunicazione: il Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali, la Sala Stampa della Santa Sede, la Tipografia Vaticana, la Libreria Editrice Vaticana, l’Osservatore Romano, la Radio Vaticana, il Centro Televisivo Vaticano, il Servizio Internet Vaticano, il Servizio Fotografico.  […] Tutto ciò implica, insieme al cambiamento culturale, una conversione istituzionale e personale per passare da un lavoro a compartimenti stagni – che nei casi migliori aveva qualche coordinamento – a un lavoro intrinsecamente connesso, in sinergia.
RIGIDITÀ, SINONIMO DI ODIO E SQUILIBRI
C’è sempre la tentazione di ripiegarsi sul passato (anche usando formulazioni nuove), perché più rassicurante, conosciuto e, sicuramente, meno conflittuale. […] Qui occorre mettere in guardia dalla tentazione di assumere l’atteggiamento della rigidità. La rigidità che nasce dalla paura del cambiamento e finisce per disseminare di paletti e di ostacoli il terreno del bene comune, facendolo diventare un campo minato di incomunicabilità e di odio. Ricordiamo sempre che dietro ogni rigidità giace qualche squilibrio. La rigidità e lo squilibro si alimentano a vicenda in un circolo vizioso. E oggi questa tentazione della rigidità è diventata tanto attuale.
CHIESA INDIETRO DI DUECENTO ANNI
Il cardinale Martini, nell’ultima intervista a pochi giorni della sua morte, disse parole che devono farci interrogare: “La Chiesa è rimasta indietro di duecento anni. Come mai non si scuote? Abbiamo paura? Paura invece di coraggio?”.

(Fonte: Sandro Magister, Settimo Cielo, 21 dicembre 2019)
http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2019/12/21/l’ultimo-discorso-del-papa-ai-cardinali-ha-un-antefatto-che-doveva-restare-segreto/




Regalo sotto l’albero per il professor Melloni. Con dedica sibillina


Nell’articolo 28 bis del chilometrico emendamento alla legge finanziaria approvata il 17 dicembre dal senato italiano, c’è un passaggio a prima lettura incomprensibile, ma che è interessante mettere in chiaro.
Vi si legge che “è autorizzata la spesa di 1 milione di euro annui a decorrere dall’anno 2020” a carico del ministero dell’istruzione, “allo scopo di potenziare le infrastrutture europee delle scienze umane e sociali”.
E come? “Insediando nel Mezzogiorno uno spazio dedicato delle [sic] infrastrutture di ricerca del settore delle scienze religiose”, finalizzato a “incrementare, attraverso l’analisi e lo studio della lingua ebraica, la ricerca digitale multilingue per favorire la coesione sociale e la cooperazione strategica nell’ambito del dialogo interculturale”.
Vi si legge inoltre che il ministero dell’istruzione erogherà la somma a “infrastrutture specialistiche e organismi di ricerca già operanti sul territorio italiano, nel settore delle scienze religiose, e con i quali siano già in essere, alla data di entrata in vigore della presente legge, accordi di programma”.
Ora, di “infrastrutture” con le quali il ministero ha “già in essere” accordi di questo tipo ce n’è una sola. Ed è la Fondazione per le Scienze Religiose, in sigla FSCIRE, di Bologna, che dal 2007 ha per segretario e direttore scientifico e amministrativo il professor Alberto Melloni, ben noto ai lettori di Settimo Cielo.
Mentre lo “spazio” dedicato alle scienze religiose che “nel Mezzogiorno” beneficerà del finanziamento non può essere che la “Biblioteca e Centro di Ricerca La Pira” di Palermo, che è la branca siciliana della “Biblioteca Dossetti” di Bologna, entrambe della FSCIRE. L’attuale arcivescovo di Palermo, Corrado Lorefice, che nel 2018 ha inaugurato la biblioteca, è anche lui allievo di questa “scuola di Bologna” e ha dedicato un libro proprio al suo fondatore, don Giuseppe Dossetti.
Quanto alla sottolineatura, nel testo votato in senato, dell’”analisi e lo studio della lingua ebraica”, essa ha tutta l’aria di bilanciare la dichiarata specializzazione dell’istituto palermitano “sulla storia e le dottrine dell’Islam”, allargando il tutto a un orizzonte “multilingue” e a un “dialogo multiculturale”. Melloni è tra l’altro membro del comitato scientifico del Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah in via di costituzione a Ferrara.
La Fondazione diretta da Melloni riceve già dal 2016, grazie a un analogo emendamento alla legge finanziaria di quell’anno, un milione di euro all’anno per un quinquennio, con scadenza nel 2020.
Ma ora a quel beneficio in scadenza ne seguirà uno nuovo, grazie all’emendamento fresco di votazione. Con ripartenza doppia nel 2020, dove all’ultimo dei milioni vecchi si sommerà il primo dei milioni nuovi.


(Fonte: Sandro Magister, Settimo Cielo, 18 dicembre 2019)
http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2019/12/18/regalo-sotto-l’albero-per-il-professor-melloni-con-dedica-sibillina/



giovedì 14 novembre 2019

L’applauso in Chiesa


Ultimamente è in voga l’uso di applaudire in chiesa, soprattutto in occasioni di matrimoni, ordinazioni sacerdotali, professioni religiose, o anche di funerali. Si applaude colui che ha vissuto qualcosa di importante: lo sposo, il professo, il defunto, il nuovo sacerdote o vescovo.
Ma anche in occasioni più comuni si applaude: una volta mi applaudirono, chissà perché, dopo un’omelia (!), un’altra volta il parroco mi salutò come sacerdote appartenente ad una comunità di recente fondazione, e la gente si mise ad applaudire. Durante l’omelia di un neo-vescovo consacrato di recente, in occasione della sua prima Messa da vescovo, si sono contati almeno ventisette fragorosi applausi. Altre volte sono i sacerdoti stessi a richiedere l’applauso: “Ed ora salutiamo i novelli sposi con un bell’applauso!”
Io ritengo che questi applausi siano completamente fuori luogo, non siano da farsi, mai, per nessuna ragione. D’altro canto non è scritto da nessuna parte che gli applausi debbano farsi. Il tempio di Dio non è il luogo degli applausi. Il motivo? Il motivo è semplicemente che con l’applauso si sposta l’attenzione: si celebra l’uomo al posto di Dio.
Che cosa significa infatti l’applauso? Il battere le mani è manifestare la propria gioia e partecipazione all’evento compiuto da qualcuno cui noi vogliamo manifestare la nostra piena approvazione. Si applaude un cantante che ci ha donato una bella canzone; il giocatore di calcio della nostra squadra dopo un gol; si applaude uno studioso che riceve un premio, per manifestare la nostra gratitudine; si applaude un funambolo del circo dopo il suo esercizio, o un clown perché ci ha fatto ridere. Nessuno invece applaude nel rimirare estasiato un tramonto sull’oceano, o nell’osservare ammirato il volo degli uccelli nel cielo, L’applauso è sempre in relazione agli uomini, quando fanno qualcosa di bello che ci piace. L’applauso è sempre qualcosa della massa, della folla, verso il singolo uomo bravo, virtuoso, che ha fatto qualcosa di gradevole e importante.
Se così è, nella Messa allora dovremmo applaudire a Gesù. È Lui che é morto per noi in croce. È Lui che ha sofferto, è Lui che è risorto, è Lui che ci libera dai peccati. Ma Gesù, si sa, non vuole applausi, vuole seguaci. Non vuole ammirazione: vuole discepoli, “Beato il grembo che ti ha portato e il seno da cui hai preso il latte. Ma Egli rispose: beati piuttosto. quelli che ascoltano la Parola di Dio e la mettono in pratica” (Lc 11,27-28).
Gesù certo li meriterebbe gli applausi, ma non li vuole. Probabilmente sotto la croce a nessuno venne in mente di applaudire. Nel momento della resurrezione, poi, non c’era nessuno, e se c’era, dormiva (le guardie). E nella Messa non succede la stessa cosa, morte e resurrezione? La Messa è il Sacrificio di Cristo, non altro, da vivere con timore e tremore, nella preghiera, nell’adorazione, nella lode, nel ringraziamento, nella contrizione. Il nostro rapporto con Gesù-Salvatore nella Messa trova il suo apice, il punto massimo di espressione e realizzazione.
Nella Messa tridentina di san Pio V questo senso di Mistero è molto vivo: all’altare c’è solo il sacerdote, e la partecipazione attiva del fedele (cioè la parte parlata) è ridotta al minimo: il fedele partecipa unendosi al sacerdote nella sua grande preghiera sacerdotale, intimamente, nell’adesione del cuore e della fede. Ora l’altare è rivolto verso il popolo, la lingua è la lingua del parlare comune, e questo spostamento verso la comunicazione diretta può portare, se spinto troppo oltre, a degli eccessi, che in realtà accadono: dialoghi continui anche fuori quelli segnalati, improvvisazioni, perdita del senso del sacro, del Mistero, della Trascendenza. La Chiesa Ortodossa orientale invece ha mantenuto questo modo di sentire e vivere l’Eucarestia: figuratevi che al momento della consacrazione addirittura vengono chiuse delle porte davanti all’altare (a volte ci sono delle tende, che comunque si chiudono) e nessuno vede più niente; a consacrazione avvenuta esce il sacerdote e mostra la particola ai fedeli: “Ecco l’Agnello di Dio!”
L’atteggiamento del fedele dovrebbe essere allora quello della meraviglia, dello stupore, del Mistero realizzato. Il perdono ricevuto in Cristo, in quel Sangue divino, deve dare a noi compunzione, gioia intima, senso di inadeguatezza, ringraziamento; e le parole, alternate al silenzio, devono essere quelle che la liturgia ci presta: poche, misurate, sobrie, e soprattutto sacre.

Nel momento invece in cui noi applaudiamo, riconosciamo un merito all’uomo (sacerdote, sposo, professo, fedele che va a dare una testimonianza, o chiunque esso sia) che in quel momento prende il posto di Dio e trasformiamo la chiesa in un teatrino molto umano. Spostiamo l’asse verso il basso, e perdiamo il senso dei Mistero. Banalizziamo, mondanizziamo. Dal momento che la spinta verso il basso è più facile da seguire rispetto a quella che porta a Dio, ed è facile caderci, è proprio il contrario che noi dovremmo fare: entrando in chiesa dovremmo fare innanzitutto una profonda genuflessione, prostrazione o inchino (e invece ci si dimentica facilmente…. forse è perché ci si vergogna?), cosa che invece fanno gli orientali, i quali fanno continuamente inchini davanti al Sacramento e alle icone; dovremmo poi favorire questo senso sacro e del Mistero alimentando il silenzio e l’adorazione con l’atteggiamento della nostra persona, del corpo, del viso, della voce. Ci rimango sempre male quando, dopo aver detto: “La Messa è finita, andate in pace”, l’assemblea si trasforma in un mercato: si parla immediatamente di tutto, a voce anche alta… e si perde immediatamente tutto. Eppure abbiamo appena ricevuto il Signore.
Tutt’altra cosa era la Messa di don Divo Barsotti. Lo abbiamo spesso visto piangere, mai applaudire. Nelle sue Messe il suo atteggiamento ci richiamava ad una partecipazione commossa e profonda. Era un entrare nel Mistero, ed esserne coinvolti; vi era una attenzione a Dio e non all’uomo, da cui ne veniva spesso quel desiderio di Dio che porta a conversione. Oggi ci mancano questi testimoni. E che disastro quando i preti cercano gli applausi, i consensi, le platee! Gesù – ripeto – non voleva consensi, ma conversione di cuori.
Succede invece che il fedele in chiesa, per niente coinvolto nello stupore, nella meraviglia, nella conversione, nel rapporto, nella Salvezza offerta in Cristo per la sua croce e resurrezione, magari non risponde al dialogo liturgico (vi è mai capitato di partecipare a certe Messe di nozze, per esempio, in cui nessuno risponde nei vari dialoghi tra sacerdote e assemblea?), non canta, non prega, però alla fine applaude: la Messa, completamente vuota di significato esistenziale per lui e per la sua storia, “gli è piaciuta”, e quindi applaude a questo o quel protagonista, fedele o prete che sia. Come si fa a una conferenza, o al circo.
Questo atteggiamento è proprio l’esatto contrario della Liturgia viva e salvifica.

(Fonte: Serafino Tognetti, Il Naufrago, 3 marzo 2016)
http://ilnaufrago.com/lapplauso-in-chiesa-ita-padre-serafino-tognetti/




venerdì 27 settembre 2019

Cara Greta, non ti ho rubato proprio niente


«Come osate, avete rubato i miei sogni e la mia infanzia, io non vi perdono», 
ha tuonato ieri l'altro la giovane ecoattivista Greta rivolta ai grandi del mondo, riuniti all' assemblea dell'Onu, perché a suo dire «siamo all'inizio di un'estinzione di massa».
In effetti non siamo messi bene, ma tutti gli studi provano che siamo messi molto meglio del passato e che il futuro che ci attende è meglio di quanto si possa pensare.
Qualche esempio. Un milione e ottocentomila bambini muoiono ogni anno nei paesi in via di sviluppo, a causa della diarrea da acqua insalubre e da condizioni igieniche inadeguate. Non è una strage del progresso, è il suo opposto, cioè parliamo di persone ancora non toccate dal progresso, dalle tecnologie, impossibilitate a raggiungere gli ospedali più vicini per mancanza di strade, di auto, di aerei, in sintesi di tutto ciò che Greta vorrebbe mettere all'indice con la sua retorica da professorina.
Ciò nonostante le generazioni che Greta «non perdona» qualcosa hanno fatto. La mortalità infantile in quegli stessi paesi nel 1980 era del 20 per cento, oggi è pressoché dimezzata e la percentuale di persone denutrite dal 1970 a oggi è scesa dal 35 al 15 per cento, prova che è il progresso, con la sua sempre maggiore mobilità di persone e merci che può togliere l'uomo dal degrado ed evitare le catastrofi. Oggi - come documenta una ricerca pubblicata in America da Peter Diamandis - un guerriero masai con un cellulare dispone della stessa connettività con il resto del mondo che il presidente degli Stati Uniti aveva solo pochi anni fa, nel 2005.
Il progresso inquina? Certo, ma le nostre generazioni sono state capaci di passare dal fuoco al carbone ai pannelli solari in cent'anni, dai calessi alle auto a gasolio a quelle elettriche in cinquanta attraverso errori non evitabili. Thomas Edison raccontò di avere inventato la lampadina dopo avere fallito mille volte di fila. E, accusato di questo, rispose: «Io non ho fallito, ho solo scoperto mille modi che non funzionano».
I predecessori di Greta non sono stati - non siamo stati, parlo della mia generazione - «ladri di sogni» ma sognatori che hanno combattuto - e in buona parte sconfitto - la malvagità degli uomini e migliorato il mondo, in una corsa a tappe tuttora in corso. Non sarà Greta a rubarci questi meriti e vediamo se i gretini saranno altrettanto capaci. Occhio, che per farlo più che manifestare serve studiare.

(Fonte: Alessandro Sallusti, Il giornale, 25 settembre 2019)
http://www.ilgiornale.it/news/cronache/cara-greta-non-ti-ho-rubato-proprio-niente-1758423.html


CI RUBIAMO IL FUTURO!
"Ci avete rubato il futuro"... Bella scoperta!
In 40 anni ho visto sfasciarsi le famiglie, spesso causando gravissimi dolori ai figli, e accettare questo sfascio come normale, come evoluzione dei tempi.
Ho visto milioni e milioni di aborti, la soppressione di esseri umani che non avranno un futuro, e ho visto trasformare un omicidio in un diritto.
Ho visto creare la vita artificialmente, in laboratorio, eliminando embrioni umani prodotti anch'essi, ma "soprannumerari".
Ho visto nascere banche del seme umano, facendo soldi sui desideri impossibili della gente.
Ho visto sperimentazioni condotte sugli embrioni umani, senza alcun rispetto per dei potenziali esseri viventi.
Ho visto medici trasformarsi da datori di vita in datori di morte e benedire come pietosa la morte procurata a un malato.
Ho visto donne che "affittano" il proprio utero, ho visto nascere un nuovo mestiere e un nuovo business che calpesta ogni logica naturale.
Ho visto creare in laboratorio e svilupparsi droghe sempre più sofisticate, sempre più disponibili.. Le ho viste, insieme all'alcol. distruggere la vita e la speranza dei giovani in nome di uno sballo proposto come affascinante.
Ho visto tante cose già accadute, che tutti accettano come normali, ma che sono innaturali e che distruggono il futuro degli uomini.
Ma contro tutto questo non si fanno manifestazioni, non si grida, non si piange, non ci si sdegna nemmeno più. Anzi, si può benissimo andare a gridare che ci rubano il futuro senza neanche ammettere che il futuro ci è stato già rubato. Che noi stessi ci rubiamo il futuro da soli, perché siamo d'accordo con molte delle aberrazioni che ho elencato sopra.
È precisamente questo che oggi mi disgusta!


(Gianluca Zappa, Postato su FB il 27 settembre 2019)




martedì 17 settembre 2019

Nuovo umanesimo, il Cristianesimo svuotato di Cristo


Il progetto di Nuovo Umanesimo di Morin prevede di togliere dal Cristianesimo l’affermazione che Gesù Cristo è l’unico Salvatore dell’uomo, che c’è un’unica Chiesa, che esiste un’unica Rivelazione. 
Così avremo una religione che potrà inserirsi nel magnifico mondo degli uomini che si riconoscono nell’unico orizzonte della Terra-casa comune. L’universalismo autenticamente cristiano cede così il passo alla creazione di un mondo nuovo e un uomo nuovo senza Cristo.

Nuovo umanesimo: è l’espressione che da più giorni si trova sulla bocca e sulla penna di numerosi intellettuali, giornalisti o tuttologi di professione. A dare il La è stato il discorso del premier incaricato Giuseppe Conte, che aveva racchiuso in quell’espressione – e non una sola volta – niente meno che l’«orizzonte ideale per il Paese», la nostra bella e tormentata Italia. La formula, entusiasmante per molti, è suonata sinistra ad altre orecchie più attente, come quelle di Padre Livio Fanzaga di Radio Maria, che ha identificato nel nucleo essenziale del nuovo umanesimo, articolato dal filosofo francese Edgar Morin, un progetto per costruire un mondo nuovo, un uomo nuovo senza Cristo. 
E’ curioso notare che proprio Morin era stato ricevuto in udienza da papa Francesco lo scorso 27 giugno; il giorno precedente aveva potuto tenere una conferenza a Villa Bonaparte, alla presenza dell’Ambasciatrice francese presso la santa Sede, Mme Élisabeth Beton-Delègue, e ai membri del Corpo diplomatico e della Curia romana. Tema? La convergenza del proprio pensiero con quello dell’attuale Pontefice. 
Guarda caso, circa due mesi dopo quest’incontro, abbiamo avuto prima il discorso di Conte e poi, il 12 settembre, Francesco ha riproposto un “nuovo umanesimo” con un videomessaggio, per lanciare un Patto Educativo planetario. Un testo, quello letto dal Pontefice, che sembra scritto dallo stesso Morin, talmente tornano e ritornano temi a lui cari: l’idea centrale della Terra come casa comune di tutti gli uomini, la denuncia della frammentazione della vita sociale e della conoscenza, l’importanza di un cammino educativo per formare l’uomo nuovo, che esca dalla falsa razionalità, astratta, settoriale, dominatrice, per giungere ad una razionalità superiore, integrata, aperta e dialogica. 
A prima vista, la proposta di Morin potrebbe sembrare armonizzabile con la nota esortazione di Benedetto XVI ad allargare gli orizzonti della razionalità; ed in effetti in più punti l’analisi di Morin è anche condivisibile. C’è un però, che per un cristiano non è un dettaglio di poco conto. Quel Papa che voleva una ragione più aperta alla realtà nella sua totalità, e dunque anche alla trascendenza, è lo stesso Papa che metteva in guardia dalle «profonde divergenze che esistono tra l’umanesimo ateo e l’umanesimo cristiano; un’antitesi che attraversa tutta quanta la storia, ma che alla fine del secondo millennio, con il nichilismo contemporaneo, è giunta ad un punto cruciale» (Angelus, 9 agosto 2009). Dove per umanesimo ateo non si deve pensare ad un umanesimo che nega esplicitamente Dio, che combatte le religioni, ma un umanesimo che erige «la libertà quale unico principio dell’uomo, in alternativa a Dio», trasformando così «l’uomo in un dio». Dentro questo progetto anche le religioni sono le benvenute, purché accettino di relativizzare la propria presunta assolutezza; anche Dio è ben accolto, purché si sieda tra gli invitati al convito di questa nuova umanità solidale e non pretenda di essere lo Sposo che chiama alle nozze e che addirittura decide di lasciar fuori chi non ha l’abito nuziale.
Ed in effetti la prospettiva di Morin è proprio questa; la farfalla del nuovo mondo che potrà nascere dall’attuale bruco (immagine cara a Morin), attraverso un’improbabile, ma possibile metamorfosi, farà bene a non sbarazzarsi di Dio, perché altrimenti «si creeranno sempre altri miti per rimpiazzarlo», secondo quanto dichiarato in un’intervista del 2012 a Le Monde (vedi qui). Quello che è importante è «prendere coscienza di questo universo noologico, della sua forza, della sua energia. Un mito non sa di essere un mito, pensa di essere la realtà». Bisogna perciò prendere coscienza che le forme religiose sono miti, creazioni del pensiero e delle aspirazioni dell’uomo, e perciò rispettabili, purché ci mettiamo a «dialogare con questi miti, dicendogli: “Non chiedermi troppo, non essere dispotico...”. Noi stessi possiamo domandare loro, mentre li conserviamo, di non soffocarci».
In un confronto con Tariq Ramadan, Morin si era domandato come mai due religioni, come l’Islam e il Cristianesimo che, secondo lui, avrebbero lo stesso Dio, si trovano in conflitto reciproco. «L’universalismo del messaggio di Cristo è la fratellanza, è la comprensione e la compassione, è il dio misericordioso capace di perdono. Dov’è il male? Nella follia dell’assoluto e della verità, nella fine della speranza». Chiaro? La pretesa di assolutezza, di verità è la ragione del contrasto (esattamente il contrario di quanto insegnava Benedetto XVI); togliete dal Cristianesimo l’affermazione che Gesù Cristo è l’unico Salvatore dell’uomo, che c’è un’unica Chiesa, che esiste un’unica Rivelazione, etc. e finalmente avremo una religione che potrà inserirsi nel magnifico mondo degli uomini che si riconoscono nell’unico orizzonte della Terra-casa comune.
Non dobbiamo essere così ingenui da pensare che Morin si limiti a vaticinare o auspicare qualche pio desiderio, davanti ad una tazza di tè e dei biscotti. L’anziano intellettuale francese non viene portato in giro per il mondo a parlare di complessità e metamorfosi per semplice erudizione; questa realizzazione di un mondo nuovo, attraverso una nuova educazione planetaria (è a questo tema che egli ha dedicato le due maggiori opere pedagogiche La testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero e I sette saperi necessari all’educazione del futuro), DEVE avvenire e necessita, per questo scopo, di un governo. Scriveva piuttosto sfacciatamente Morin nel 2002 (Èmergence de la société-monde, «MAUSS», 2002): «Un governo democratico mondiale, oggi, è fuori portata; tuttavia le società democratiche si preparano con mezzi non democratici, vale a dire con riforme imposte». Chiaro, no? La difficoltà della creazione di questo governo mondiale è poi sotto gli occhi di tutti: «L'esempio dell’Europa ci mostra la lentezza di un cammino che esige il consenso di tutti i partner». Accidenti. La soluzione è però presto detta: «Ci vorrebbe un aumento improvviso e terribile di pericoli, l’avvento di una catastrofe per costituire l’elettrochoc necessario alla presa di coscienza e alla presa di decisioni. Attraverso regressione, dislocazione, caos, disastri, la Terra-Patria potrebbe nascere da un civismo planetario, da un’emergenza di società civile planetaria, da una amplificazione delle Nazioni Unite, che non si sostituisca alle patrie, ma le comprenda» (in Oltre l’abisso, 52). Detto in altre parole: le nuove generazioni dovranno essere rieducate, ma per vincere ogni resistenza è necessario accelerare il processo, generando l’ansia della catastrofe, economica, ambientale, sociale o magari anche provocandola. Così sarà più facile che il mondo invochi la venuta di un redentore, che salvi l’uomo non dal peccato (quello non è contemplato come problema), ma dalla fame, dalla guerra, dal riscaldamento globale, dalla malattia. Reali o propagandati: poco importa.
Si tratta evidentemente di un progetto anticristico, verso la cui realizzazione ci stiamo muovendo a grandi passi. L’incontro annunciato da papa Francesco per il 14 maggio del 2020 intende entrare in questa cornice? Certo è che il richiamo del Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune, sottoscritto lo scorso 4 febbraio ad Abu Dhabi, sembra quanto di più idoneo a soddisfare il progetto di Morin, soprattutto la contestatissima affermazione – lasciata così com’è, al suo posto – secondo la quale «il pluralismo e le diversità di religione, di colore, di sesso, di razza e di lingua sono una sapiente volontà divina, con la quale Dio ha creato gli esseri umani». L’universalismo autenticamente cristiano cede così il passo alla creazione di un mondo nuovo e un uomo nuovo senza Cristo; ed il venturo Sinodo sull’Amazzonia ha già rivelato nel suo Instrumentum Laboris un ideale piuttosto inquietante, magnificando le religioni naturali, senza dogmi e senza assoluti (ricordiamo, en passant, che per Morin le religioni politeiste sono migliori perché più tolleranti ed umane) e l’armonia con la Madre-Terra.
In poco più di un secolo siamo passati dal rilancio dell’ideale di san Paolo instaurare omnia in Christo, da parte di san Pio X, all’ideale di un mondo dove Dio non c’è e, se mai dovesse esserci, è pregato di contribuire alla causa della casa-comune, secondo le regole che noi ci siamo dati. Il mondo è pronto per salutare la venuta di colui che porterà pace e prosperità a prezzo dell’apostasia?


(Fonte: Luisella Scrosati, La NBQ, Editoriale del 16 settembre 2019)
http://lanuovabq.it/it/nuovo-umanesimo-il-cristianesimo-svuotato-di-cristo




martedì 23 luglio 2019

Se anche alle claustrali "non basta più pregare"


A parte i soliti luoghi comuni e la disinformazione su cui si basa, la lettera-appello di decine di monasteri di clarisse e carmelitane scalze a favore dell'accoglienza di tutti gli immigrati, rivela una disistima verso la preghiera, che pure dovrebbe essere il fondamento della vita contemplativa. Un pericolo per tutti i cattolici.

Nel 1972 usciva anche in Italia un film cileno, “Non basta più pregare”: la storia di un prete che, confrontandosi con situazioni pesanti di povertà e ingiustizia sociale, cerca prima di realizzare opere sociali per risolvere i problemi, per poi passare all’attivismo politico e infine alla rivoluzione. Era l’esaltazione della parabola di un certo cattolicesimo latino-americano, quello da cui nasce la “teologia della liberazione”, e che sembra oggi rinascere qui da noi, sull’onda dell’isteria immigrazionista che ha colpito una parte importante del mondo cattolico.
Quel film torna in mente rileggendo la lettera che diversi monasteri di clarisse e carmelitane scalze hanno inviato al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, spinte dalla «preoccupazione per il diffondersi in Italia di sentimenti di intolleranza, rifiuto e violenta discriminazione nei confronti dei migranti e rifugiati che cercano nelle nostre terre accoglienza e protezione».
Di questa lettera e successive adesioni non colpisce tanto il mettere insieme una serie di luoghi comuni su ponti e muri, che è ormai diventata una consuetudine; neanche sorprende la confusione che si fa tra rifugiati e migranti, tra chi è già inserito regolarmente in Italia e chi cerca di entrarvi irregolarmente, oppure la descrizione stereotipata di profili e sentimenti di chi tenta di arrivare sui barconi (se nei conventi leggono “Avvenire” la disinformazione è l’ovvia conseguenza); non sorprende neanche l’ignorare appelli e opere dei vescovi africani per impedire l’emigrazione dei giovani attratti da illusorie promesse: come sopra, sono notizie che sul giornale dei vescovi italiani non trovano spazio.
Quello che invece colpisce è il pensiero che soggiace a tutto l’appello, all’insegna – appunto – del “non basta più pregare”, affermato da suore che sono state chiamate alla vita contemplativa. Cosa possono fare i monasteri, si chiedono. E la risposta è il desiderio e, in alcuni casi, la realizzazione di trasformare i monasteri in centri di accoglienza. Parliamo, lo ripeto, di religiose contemplative, non di suore già impegnate in qualche opera di carità.
Colpisce soprattutto la perentorietà di questa frase: «Desideriamo dissociarci da ogni forma di utilizzo della fede cristiana che non si traduca in carità e servizio». A parte la facile strumentalizzazione politica a cui si presta, si tratta di una affermazione che tradisce la disistima della propria vocazione a una vita di preghiera. Certamente è in sintonia con il processo avviato con la riforma degli istituti di vita consacrata, all’insegna del “meno preghiera, più aiuti ai poveri”, ma ciononostante fa impressione vedere così tanti monasteri di clausura sottostimare la forza della preghiera come vero motore della storia.
C’è sotto una concezione disincarnata della preghiera, come se fosse un sottrarsi alle vicende di questo mondo invece che una più profonda comprensione della realtà. Sembra quasi che le monache debbano scusarsi per vivere chiuse in un monastero, e giustificare la loro esistenza esibendo una immacolata coscienza sociale. C’è una concezione del cristianesimo tutta orizzontale, come se Cristo fosse venuto per risolvere i problemi di questo mondo e non a salvarci dal peccato.
Non è un problema che riguarda solo la loro vocazione, riguarda tutti noi. Perché chiunque si trovi a doversi sporcare le mani con il mondo, finora sapeva di poter contare sulla forza che emana dai monasteri di clausura, un corpo speciale esperto in quell’arma potente in grado perfino di fermare le guerre. Ora invece dobbiamo fare i conti con il venir meno di una parte di questo esercito, che ha deciso che “non basta più pregare”. Davanti a questo pericolo mortale, si comprendono meglio anche i tanti messaggi della Madonna nelle sue apparizioni, quando invita tutti costantemente a pregare, pregare, pregare. Non c’è soltanto il Nemico di fronte, c’è anche da supplire a chi sta disertando nelle nostre fila.

(Fonte: Ricardo Cascioli, LNBQ, 23 luglio 2019)
http://lanuovabq.it/it/se-anche-alle-claustrali-non-basta-piu-pregare


lunedì 17 giugno 2019

Lezioncina di Ravasi sul rosario di Salvini. E scorda la papessa Rihanna


Il cardinale Ravasi torna sul Rosario di Salvini ed è lapidario: «Non ci si salva ostentando croci e simboli religiosi. Gesù li chiamava ipocriti». Chissà se si riferiva anche al MetGala 2018 da lui sostenuto e promosso in cui sfilarono vestite da papesse le star hollywoodiane…

Il cardinale Gianfranco Ravasi ha rilasciato una intervista domenicale al Corriere della Sera nel corso della quale non si capisce bene per quale motivo è stata fatta, dato che ha spaziato davvero su tutto, dalla Brianza all’eternità. Alcuni passaggi non sarebbero neanche male, ad esempio la differenza tra il cristianesimo del Dio incarnato e l’Islam che è come una pozzanghera, in grado cioè di riflettere l’immagine del sole e niente più. Non poteva mancare però una domanda sul Rosario di Salvini. Sembra che un vescovo o un cardinale non possano passare l’esame di educazione civica se non gli si fa prima una domanda sull’evento politico mediatico dell’anno.
Geniale è come si è arrivati alla fatidica domanda sui rosari, partendo da Giobbe, che accosta Dio ad un arciere sadico a Ravasi che intima: «Cristo perdona tutte le colpe, ma non sopporta le ipocrisie». In mezzo c’erano le domande volè di Aldo Cazzullo: «Che cosa se ne deduce?». Risposta: «Che agitare il Vangelo, ostentare il rosario, baciare il crocefisso non fa di te necessariamente un credente». 
Alla domanda se Salvini sbaglia, Ravasi risponde: «Sono segni che di per sé non rappresentano l’autenticità del credere. Cristo perdona tutte le colpe, ma non sopporta le ipocrisie. Non è il gesto rituale che salva, altrimenti è rito magico. Magia». 
Ravasi si unisce così alla schiera degli ecclesiastici di rango che hanno attaccato frontalmente il gesto di Salvini. 
Curioso davvero. Curioso che un vescovo cardinale che ha definito i massoni «cari fratelli», disposto a dialogare con tutti, sia così duro e poco misericordioso con un politico che agita un Rosario e si permette di affidarsi al Cuore immacolato di Maria. 
Curioso davvero che Ravasi sia in possesso di uno screening di coscienza e escluda d’imperio una sola persona dalla salvezza mentre vi accolga tutti gli altri. Ha forse un filo diretto col Padreterno per sapere che chi agita i Rosari non si salverà? Ma non si era detto “chi sono io per giudicare?”. 
Sicuramente avrà anche ragione nel dire che non ci si salva solo con i gesti esteriori, le ostentazioni e le ipocrisie. Ma anzi, sicuramente ha ragione da vendere sua eminenza. Quando parla di ipocrisia ad esempio, di ostentazione, di manifestazioni esteriori, forse Ravasi si riferiva anche a quella nota parata di star hollywoodiane, da Rihanna a Miley Cirus, da Luis Veronica Ciccone in arte Madonna a Sarah Jessica Parker per il MetGala 2018: sfilarono per pubblicizzare la mostra di paramenti sacri provenienti dalla collezione personale del sommo pontefice mostrando e ostentando crocifissi e immagini sacre di ogni tipo. Papesse, conturbanti total black con croci in trasparenza, rosso della passione accostato ai rosari. 
Ebbene: a tenere a battesimo a quell’evento, tanto da dare il via libera al prestito delle opere e a scrivere la prefazione del catalogo, c’era proprio lui: il prefetto della Cultura Ravasi, il quale, scherzando con Donatella Versace che si complimentava per il suo rosso cardinalizio, la invitava a vederlo con indosso il viola vescovile. Chicche di fine impero, dell’ostentazione di chi mostra i simboli della fede per eventi modani. Il tutto possibile solo su interessamento proprio di Ravasi. Com’è che li chiama Gesù? Ipocriti? Suvvia, com’è severo su se stesso, sua eminenza…

(Fonte: Andrea Zambrano, LNBQ, 17 giugno 2019)
http://www.lanuovabq.it/it/rosari-lezioncina-di-ravasi-e-scorda-la-papessa-rihanna


Radio Radicale, la solita truffa ideologica


Come era prevedibile alla fine i fondi statali per Radio Radicale sono arrivati, grazie anche ai voti della Lega e con il plauso di molti cattolici che contano. Una scelta scriteriata che premia il parassitismo e la cultura della morte. Ed Emma Bonino presenta subito il conto alla Chiesa.

Come volevasi dimostrare alla fine arriva sempre la manina che salva l’elargizione di soldi pubblici a Radio Radicale. Quanto successo giovedì scorso alle Commissioni Bilancio e Finanze della Camera non sorprende perciò più di tanto: la Lega ha votato insieme alle opposizioni (incluse Fratelli d’Italia e Forza Italia) a favore di un emendamento proposto dal Pd che concede altri 7 milioni a Radio Radicale, 3 per il 2019 e 4 per il 2020. Certo, non sono più soldi per la convenzione relativa alla trasmissione delle sedute parlamentari, per cui si dovrà procedere a un regolare bando (dopo 25 anni!), ma è pur sempre un escamotage per continuare a finanziare l’organo della Lista Pannella. Si tratta di fondi devoluti per la digitalizzazione dell’archivio di Radio Radicale, che pare essere una sorta di tesoro della Repubblica, dal modo in cui ne parlano i politici che in qualche modo devono giustificare questa decisione.
Già alcune settimane fa, Stefano Fontana ha spiegato molto chiaramente ai nostri lettori (clicca qui) perché nel caso di Radio Radicale non si possa parlare di servizio pubblico e tanto meno di sussidiarietà e perché quindi questo finanziamento, fatto con i soldi dei contribuenti, sia del tutto ingiustificato. Invitiamo perciò a rileggere quell’articolo, soprattutto per quei tanti cattolici che in questo periodo si sono sbattuti per sostenere Radio Radicale.
Qui però vogliamo mettere in risalto due aspetti della vicenda che colpiscono. Il primo: abbiamo visto che la Lega di Matteo Salvini è capace di votare contro il governo, incurante delle conseguenze, se ritiene la materia importante. Ce ne rallegriamo. Evidentemente i soldi a Radio Radicale sono una materia importante per la Lega – anche se ci sfugge il motivo -, vedremo quindi prossimamente se, su temi come vita e famiglia, dimostrerà la stessa determinazione.
Il secondo aspetto è l’insistenza di cattolici ed esponenti del centro-destra nel difendere il finanziamento statale a Radio Radicale con il fatto che questa emittente dà conto delle posizioni di tutti: «È possibile seguire i nostri convegni, i nostri congressi – abbiamo sentito tante volte in questi giorni – solo grazie a Radio Radicale». Pare di capire dunque che i contribuenti dovrebbero essere felici di pagare questa emittente non solo per la possibilità di seguire le sedute del Parlamento (chissà quanti italiani poi sono davvero interessati a questa trasmissione) ma anche perché possiamo farci una playlist con l’intervento di Silvio Berlusconi alla Convention di Forza Italia del 1998 ad Assago, le performance di Matteo Renzi alla Leopolda, perfino il discorso con cui Massimo Fini scioglie Alleanza Nazionale nel 2009, confluendo nel Popolo delle Libertà. E chissà quanto altro ancora.
L’argomento è davvero curioso: perché un cittadino dovrebbe trovare giusto pagare un contributo affinché un soggetto privato – di cui non gli importa nulla - possa avere registrate le proprie conferenze e congressi su una radio che non ha alcuna intenzione di ascoltare? Certo, anche noi della Nuova BQ – che non viviamo di finanziamenti pubblici ma solo con il sostegno dei nostri lettori - troveremmo estremamente comodo che le conferenze che organizziamo fossero tutte registrate a spese del contribuente anziché nostre. Ma sarebbe giusto? Noi diciamo di no, non sarebbe servizio pubblico ma solo una forma di parassitismo, per non dire peggio.
L’altro aspetto che si trascura totalmente quando si propone questo argomento è il vero scopo di Radio Radicale. Ammettiamo anche che appartenga alla cultura radicale dare voce a tutti, ma l’obiettivo vero è portare avanti le proprie battaglie che, come sappiamo, promuovono la cultura della morte e puntano diritto alla demolizione della presenza cattolica in Italia. Cioè Radio Radicale non nasce per trasmettere esclusivamente le sedute parlamentari e le idee di tutti, ma per combattere le proprie battaglie e modellare la società secondo la propria ideologia, in cui è compreso anche far ascoltare il pensiero degli altri. C’è una bella differenza: in pratica da 25 anni, con la scusa di un presunto servizio pubblico, lo Stato finanzia le campagne ideologiche anti-vita e anti-famiglia di una radio-partito, con il plauso di gran parte del mondo cattolico, almeno di quello che conta. Come si può isolare un fattore, ignorando totalmente il contesto in cui è inserito? Ma allora allo stesso modo non si dovrebbe avere nulla da ridire se domani tale servizio dovesse essere garantito da, diciamo, Al Jazeera, che sostiene il fondamentalismo islamico; oppure da una improbabile Radio Corleone International, una copertura per la promozione della cultura mafiosa.
Ironia della sorte, i cattolici di cui sopra non hanno fatto in tempo a festeggiare il successo per i fondi a Radio Radicale che subito Emma Bonino – insieme ad altri parlamentari - ha presentato una mozione per: abolire l’ora di religione cattolica nelle scuole, rivedere i criteri di distribuzione dell’8xMille (per togliere fondi alle Chiesa cattolica), rivedere le norme sull’Imu degli immobili della Chiesa, recuperare l’Ici non pagata dalla Chiesa negli anni passati.
Ecco, questo è uno dei rarissimi casi in cui i radicali ci provocano un moto di simpatia.

(Fonte: Riccardo Cascioli, LNBQ, 17 giugno 2019)
http://www.lanuovabq.it/it/radio-radicale-la-solita-truffa-ideologica



martedì 11 giugno 2019

Il problema è teologico: i vescovi non stanno col popolo


L’osservatore, anche distratto, nota che i vescovi italiani fanno politica e la fanno a senso unico. Lo avevamo riscontrato durante la campagna elettorale per le elezioni europee e lo abbiamo nuovamente sperimentato in occasione della recente tornata amministrativa conclusasi con i ballottaggi di domenica scorsa. 
La cosa è molto evidente. Prendiamo due argomenti politici di attualità come la disciplina degli ingressi degli immigrati e il riconoscimento dei diritti LGBT. Il primo punto è espressivo della politica della Lega, il secondo è portato avanti soprattutto dal Partito Democratico, tanto che il segretario Zingaretti ha subito aderito al “mese del pride”, durante il quale si sono tenuti cortei in molte città italiane.
Ora, nel periodo delle elezioni amministrative, i vescovi sono intervenuti in gran numero e con grande forza sul primo tema, mentre non sono intervenuti per niente sul secondo. Si può pensare che, così facendo, fossero ignari della ricaduta politica dei loro interventi? I vescovi del Lazio hanno fatto leggere in tutte le chiese, durante le sante Messe domenicali, un lungo documento nel quale contestavano direttamente la politica del governo in carica sulle immigrazioni. Sullo svolgimento dei gay pride non è stata detta nessuna parola. Durante questi pride non si sono viste solo oscenità e strumentalizzazioni di bambini, ma anche si è assistito a bestemmie, a orrendi scimmiottamenti delle preghiere cristiane, a profanazioni e a insulti alla Madonna. Inoltre sfilavano gruppi di “Cristiani LGBT in cammino” senza che qualche precisazione ecclesiastica qualificasse la cosa. 
A ridosso della domenica del ballottaggio, poi, Repubblica ha pubblicato una lunga intervista al presidente della CEI, il cardinale Gualtiero Bassetti. Centro culminante dell’intervista è stata la frase: “La Lega non riuscirà a dividere il popolo italiano dal Papa”, con la quale anche il Papa è stato politicizzato. Ma perché, ci si chiede, gli unici due argomenti adoperati dall’episcopato sono sempre l’accoglienza indiscriminata degli immigrati e il rosario agitato in piazza da Salvini?   
In Italia non c’è un bipolarismo chiaramente politico, ma se ne sta profilando un altro di tipo valoriale: da una parte le élite borghesi, i fautori dei nuovi diritti compresa l’eutanasia, i sostenitori di un europeismo ad oltranza, i globalisti contrari alle nazioni e ai popoli, i paggi del pensiero unico. Dall’altra le classi popolari, chi respinge il disordine dei nuovi diritti e difende vita e famiglia, i critici di un’Europa oppressiva, i difensori dei popoli contro la società globale spersonalizzata. Da tempo i vescovi ci danno continue prove che stanno da una parte, la prima.
Fin qui la constatazione dei fatti. Proviamo ora a chiederci perché questo avvenga. Quando un atteggiamento è sistematicamente ripetuto, come in questo caso, significa che esso risponde ad una forma mentis consolidata e non a cause accidentali. Qualcuno sostiene che sotto potrebbero anche esserci degli interessi materiali. Potrà essere o non essere, ma a mio avviso i motivi fondamentali sono teologici.
É da molto tempo che la nuova teologia sostiene che il cristianesimo deve esprimersi in forme politiche e con linguaggio politico. Nella “società secolare” di Harvey Fox, un linguaggio religioso – si diceva già negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso – sarebbe incomprensibile. Ecco perché il teologo tedesco J.B. Metz parlava di “teologia politica” come del linguaggio – secolare e politico appunto – del cristianesimo nel mondo diventato adulto e non più cristiano. Di recente è stato detto che coloro che emigrano per trovare lavoro all’estero sono i “moderni pellegrini”: ecco un esempio di un linguaggio profano al posto di uno religioso a proposito del pellegrinaggio. Da tempo molti osservano – e lamentano – che il magistero si occupa più dei problemi sociali che di quelli spirituali.
Ecco perché i vescovi fanno politica, perché lo dice da decenni la nuova teologia che tutti loro hanno studiato in seminario. Rimane da spiegare perché la facciano a senso unico, con particolare riguarda alle ideologie che secolarizzano, demitizzano, denaturalizzano il cristianesimo e che più spingono per il relativismo, l’individualismo, il narcisismo. Sembra un mistero che lascia stupefatti, ma non lo è. Se la Chiesa deve adoperare il linguaggio politico del mondo, e non più il proprio linguaggio religioso, deve continuamente aggiornarlo e adeguarlo ai cambiamenti cui il mondo è soggetto. La cosa assolutamente da evitare è adoperare un linguaggio di contrapposizione al mondo, come per esempio estrarre un rosario in piazza. Diventa invece opportuno e doveroso fare i progressisti, accogliere e accompagnare le novità, per non rimanere indietro. 
Che l’atteggiamento sia ideologico è testimoniato dal fatto che viene mantenuto anche quando, attuandolo, si perdono le elezioni, cioè quando il mondo lo rifiuta.

(Fonte: Stefano Fontana, LNBQ, 11 giugno 2019)
http://www.lanuovabq.it/it



giovedì 6 giugno 2019

“Ambiguo al di là di ogni misura”. Un teologo della congregazione per la dottrina della fede boccia il papa

Mai quella frase sarebbe passata indenne allo scrutinio della congregazione per la dottrina della fede, se soltanto papa Francesco gliela avesse fatta controllare.
Ma così non è stato. E infatti, dal 4 febbraio, nel solenne documento sulla fratellanza umana firmato congiuntamente ad Abu Dhabi da Francesco e dal Grande Imam musulmano di Al-Azhar Ahmad Al-Tayyeb, figura la seguente affermazione:
“Il pluralismo e le diversità di religione, di colore, di sesso, di razza e di lingua sono una sapiente volontà divina, con la quale Dio ha creato gli esseri umani”.
Niente da obiettare riguardo a colore, sesso, razza e lingua. Ma che anche la diversità di religione sia voluta dal Creatore è tesi nuova e spericolata per la fede cattolica. Perché allora non varrebbe più quello che l’apostolo Pietro, il primo papa, predicava pieno di Spirito Santo dopo la Pentecoste, che cioè “in nessun altro c’è salvezza” se non in Gesù, visto come il suo attuale successore mette alla pari ogni religione a un’altra.
Un mese dopo, nelludienza generale del 3 aprile, di ritorno da un altro viaggio in terra musulmana, in Marocco, papa Francesco ha tentato di aggiustare il tiro. “Non dobbiamo spaventarci della differenza” tra le religioni, ha detto. “Dio ha voluto permettere questa realtà” con la “voluntas permissiva” di cui parlavano “i teologi della Scolastica”. Semmai “dobbiamo spaventarci se noi non operiamo nella fraternità, per camminare insieme nella vita”.
Ma di nuovo, se anche il testo di questa udienza generale fosse stato prima sottoposto al vaglio della congregazione per la dottrina della fede, neppure questo rattoppo sarebbe stato approvato.
Non si contano più, ormai, le volte in cui papa Francesco ha rifiutato di chiedere o accogliere il parere della congregazione il cui compito è di accertare la conformità al dogma.
Se l’avesse fatto, ad esempio, con “Amoris laetitia”, quell’esortazione sul matrimonio e il divorzio sarebbe uscita scritta in modo meno avventuroso, senza sollevare quei “dubia” – firmati e resi pubblici da quattro cardinali – ai quali Francesco ha poi rifiutato di rispondere, imponendo il silenzio anche alla congregazione retta all’epoca dal cardinale Gerhard L. Müller.
E oggi che s’avvicina il varo del nuovo assetto della curia vaticana, ciò che è già trapelato è che la più penalizzata sarà proprio la congregazione per la dottrina della fede, del cui organico fa parte, tra l’altro, la commissione teologica internazionale, il fior fiore dei teologi di tutto il mondo.
Uno dei trenta teologi che compongono la commissione non ha però accettato di arrendersi e di tacere. E il 2 giugno ha pubblicato un suo argomentato atto di protesta contro l’affermazione del documento di Abu Dhabi che attribuisce alla volontà creatrice di Dio la diversità delle religioni.
Questo teologo è lo statunitense Thomas G. Weinandy, 72 anni, francescano, del quale i lettori di Settimo Cielo già conoscono l’accorata e meditata lettera indirizzata a papa Francesco nel 2017, rimasta anch’essa senza risposta:
(Cfr. Un teologo scrive al papa: C'è caos nella Chiesa, e lei ne è una causa).
Ecco il rimando al testo integrale del suo nuovo intervento, questa volta nella forma di un vero e proprio saggio teologico, pubblicato su “The Catholic World Report”, il magazine on line di Ignatius Press, la casa editrice fondata e presieduta dal gesuita Joseph Fessio, discepolo d’antica data di Joseph Ratzinger e membro del suo “Schulerkreis”:
(Cfr. Pope Francis, the uniqueness of Christ, and the will of the Father).
Padre Weinandy prende molto sul serio la gravità della questione, che così inquadra:
“Papa Francesco è noto per le sue affermazioni ambigue, ma trovo che il senso indeterminato dell’affermazione contenuta nel documento di Abu Dhabi va al di là di ogni misura. Implicitamente non solo sminuisce la persona di Gesù, ma anche e ancor più colpisce al cuore l’eterna volontà di Dio Padre. Quindi tale studiata ambiguità mina alla radice la verità stessa del Vangelo. Questo implicito sovvertimento dottrinale di un mistero della fede così fondamentale da parte del successore di Pietro è per me e per molti nella Chiesa, in particolare tra i laici, non solo inescusabile, ma è soprattutto tale da suscitare una profonda tristezza, perché mette in pericolo l’amore supremo che Gesù giustamente merita”.
Già nel 2000 la congregazione per la dottrina della fede, con prefetto Ratzinger, aveva avvertito l’urgenza di fugare fraintendimenti ed errori riguardo a Gesù come unico salvatore del mondo. L’aveva fatto con la dichiarazione “Dominus Iesus”, che a detta del suo autore e col pieno accordo di papa Giovanni Paolo II, intendeva riaffermare proprio questo “elemento irrinunciabile della fede cattolica”, rispetto a qualsiasi altra religione.
Ma nonostante ciò, o forse proprio per questo, la “Dominus Iesus” fu accolta da un fuoco di fila di critiche, da fuori e da dentro la Chiesa, anche da parte di teologi e cardinali famosi, da Walter Kasper a Carlo Maria Martini.
E quelle critiche sono proprio quelle che oggi si trovano accolte e condensate nel passaggio del documento di Abu Dhabi contro il quale padre Weinandy obietta.
Ma c’è di più. Dopo aver rimandato alla “Dominus Iesus” e aver riconosciuto il suo merito, padre Weinandy scrive che nemmeno quella dichiarazione ha saputo andare veramente sl fondo della questione:
“A motivo di questa inadeguatezza vanno smarrite la verità e la bellezza di chi è Gesù e non è pienamente riconosciuto il modo in cui egli è il Salvatore universale e il Signore definitivo. In questo mio saggio io voglio appunto rendere evidente ciò che manca nella ‘Dominus Iesus’ e, facendo questo, invalidare ogni interpretazione del documento di Abu Dhabi che affermi o almeno suggerisca che Gesù e altri fondatori di religioni siano di eguale valore salvifico, e quindi che Dio abbia voluto tutte le religioni nello stesso modo in cui ha voluto il cristianesimo”.
Non resta a questo punto che leggere il saggio di padre Weinandy. Che così conclude:
“Ciò che qui ho argomentato può risultare ovvio a tutti i fedeli cristiani. Tuttavia, data l’ambiguità contenuta nel documento di Abu Dhabi sottoscritto da papa Francesco, una forte riaffermazione è oggi necessaria. Piacerebbe pensare – sempre accordandogli il beneficio del dubbio – che papa Francesco, involontariamente e quindi senza una piena consapevolezza delle implicazioni dottrinali della sua firma, non abbia inteso ciò che il documento sembra dichiarare.
“In ogni caso nessuno, nemmeno un pontefice, può annullare o ignorare la volontà di Dio Padre riguardo a suo Figlio Gesù. È Dio Padre che ‘lo esaltò e gli diede il nome che è al di sopra di ogni nome’. Il Padre ha eternamente stabilito che al nome di Gesù, e non al nome di Buddha, Maometto o di ogni altro passato, presente o futuro fondatore religioso, ‘ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra o sotto terra, e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è Signore’. Fare ciò non è solo glorificare Gesù, ma è anche ‘a gloria di Dio Padre’ (Filippesi, 2, 9-11). Nel suo amore il Padre ha dato al mondo Gesù suo Figlio (Giovanni 3, 16) e ‘non vi è sotto il cielo altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati’ (Atti 4, 12). In questa suprema verità noi abbiamo da gioire in gratitudine e preghiera”.

(Fonte: Sandro Magister, Settimo cielo, 6 giugno 2019)
http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/


venerdì 24 maggio 2019

Salvini affida il destino dell’Europa ai suoi Santi patroni e al Cuore Immacolato di Maria


Il coraggio di Matteo Salvini è stato grande sabato 18 maggio alla manifestazione di Milano, affrontando gli infedeli della Chiesa interreligiosa con parole e gesti mai visti nell’Italia repubblicana, tanto da offendere le orecchie dei farisaici interpreti dei diritti umani. «C’è un continente», ha dichiarato a gran voce dal palco allestito in piazza del Duomo, «a cui dare un futuro e quindi ci affidiamo a voi alle donne e agli uomini di buona volontà, ci affidiamo ai sei patroni di questa Europa: a San Benedetto da Norcia, a Santa Brigida di Svezia, a Santa Caterina da Siena, ai santi Cirillo e Metodio, a Santa Teresa Benedetta della Croce, ci affidiamo a loro, affidiamo a loro il destino, il futuro, la pace e la prosperità dei nostri popoli», poi il vicepremier ha impugnato con la mano destra la Corona del Rosario mentre affermava con forza: «e io personalmente affido l’Italia, la mia e la vostra vita al Cuore Immacolato di Maria che son sicuro ci porterà alla vittoria perché questa piazza, questa Italia, e questa Europa è simbolo di mamme, papà, uomini e donne che col sorriso, con coraggio e determinazione vogliono la convivenza pacifica, danno rispetto, ma chiedono rispetto e io vi ringrazio amici e fratelli dal profondo del cuore perché stiamo scrivendo la storia».
Subito si sono stracciate le vesti i cortigiani della Chiesa progressista e sociologica, infastiditi dalla determinazione di Salvini nel proseguire, come aveva già fatto per le elezioni politiche del marzo 2018, nel dichiarare pubblicamente il suo Credo e collocando, quindi, la sua posizione nell’alveo delle radici Cristiane di un’Europa traditrice della sua identità.
Rimarrà veramente nella Storia questa iniziativa. Invocare i nomi dei grandi Santi che hanno edificato l’Europa è stato come un tuono, che ha fatto vibrare i cuori rimasti fedeli, facendo inorridire i Giuda disseminati nell’apostasia ecclesiastica dei nostri grami e folli giorni. E mentre nella piazza si fischiava a papa Francesco, che ha rinunciato alla custodia e alla trasmissione del deposito della Fede, la gente legata ancora al proprio dna religioso e culturale applaudiva nell’udire l’affidamento al Cuore Immacolato di Maria.
Il beato inglese John Henry Newman ha lottato con determinazione, costanza e gran forza, nel corso del XIX secolo, il liberalismo presente all’interno delle istituzioni europee e nella Cristianità: il liberalismo è quel cancro che, nel sostenere che il proprio credo è un fatto privato e non pubblico, distrugge la fede non solo socialmente, ma anche nella propria anima.
Le liberali «Famiglia Cristiana» e «Civiltà Cattolica» sono inorridite di fronte ai segni visibili del Cattolicesimo emersi in piazza del Duomo, ignare come sono ormai dell’unica Verità rivelata e delle sue applicazioni. L’ira è emersa plasticamente: «L’antifona persino smaccata di Salvini pronunciata in quella distesa di bandiere azzurre e tricolori, con i suoi simboli della cristianità utilizzati come amuleti, con quell’ uso così feticistico della fede, serve a coprire come una fragile foglia di fico gli effetti del decreto sicurezza»; mentre il direttore del periodico gesuita, Antonio Spadaro s’indigna: «Non nominare il nome di Dio invano. Rosari e crocifissi sono usati come segni dal valore politico, ma in maniera inversa rispetto al passato: se prima si dava a Dio quel che invece sarebbe stato bene restasse nelle mani di Cesare, adesso è Cesare a impugnare e brandire quello che è di Dio».
La Chiesa di oggi, quella dei funzionari, non ha paura della scristianizzazione, anzi, la incoraggia, ma di coloro che rivogliono la Chiesa del Salvatore. Anche il segretario di Stato Parolin si è schierato contro il bacio di Salvini al Crocifisso del Rosario e al suo intervento controcorrente: «Invocare Dio», ha detto, «per se stessi è sempre molto pericoloso». Molto pericoloso è non prendersi le proprie responsabilità di ministri di Cristo.
Questi farisei, servitori del Modernismo, ligi al pensiero unico e dominante dell’oligarchia anticattolica che dissacra continuamente le realtà divine e lorda l’Europa puntellata di sacelli, cappelle, chiese, abbazie, monasteri, conventi, cattedrali, santuari, basiliche, elucubrano ideologicamente senza più parlare di religione e si scandalizzano se un capitano politico si rifà al Vangelo, richiama l’attenzione sui Santi europei, sbandiera il Rosario, parla del Cuore Immacolato di Maria. Tuttavia dovrebbero studiare un po’ di Storia della Chiesa e saprebbero che il politico Costantino usò il segno della Croce per vincere. «In hoc signo vinces» («In questo segno vincerai»): la comparsa in cielo di questa scritta accanto a una croce fu uno dei segni prodigiosi che precedettero la battaglia di Ponte Milvio, l’episodio compare ampiamente nell’iconografia cristiana. Rivoltosi in preghiera a Dio, poco dopo mezzogiorno fu testimone, lui e il suo esercito, di un evento celeste prodigioso, l’apparizione di un incrocio di luci sopra il sole e della suddetta scritta, ma in greco: «ν τούτ νίκα». La notte seguente gli apparve Cristo, ordinandogli di adottare come proprio vessillo il segno che aveva visto in cielo. Nei giorni successivi Costantino interpellò dei sacerdoti per essere istruito nella religione cristiana. Egli fece precedere le proprie truppe dal labaro imperiale con il simbolo cristiano del chi-rho, detto anche monogramma di Cristo, formato dalle lettere XP (che sono le prime due lettere greche della parola ΧΡΙΣΤΟΣ cioè «Christòs») sovrapposte. Sotto queste insegne i soldati sconfissero l’avversario. Dalla vittoria sul Ponte Milvio l’Europa prese ad essere politicamente cristiana.
I riferimenti alla croce in cielo vista da Costantino sono presenti nella biografia che il vescovo Eusebio di Cesarea fece dell’Imperatore, stretto suo collaboratore a partire dal 325. L’autore non precisa il luogo dove avvenne il fenomeno prodigioso, perciò sono sorti diversi racconti, fra questi si dice che la croce sarebbe apparsa a Costantino alla vigilia della battaglia di Torino, presentandosi al disopra del Monte Musinè. Nel 1901, sulla cima del monte, venne eretta una gigantesca croce, dove fu collocata una piastra sulla quale è scritto: IN HOC SIGNO VINCES – A PERPETUO RICORDO DELLA VITTORIA DEL CRISTIANESIMO CONTRO IL PAGANESIMO RIPORTATA IN VIRTÙ DELLA CROCE NELLA VALLE SOTTOSTANTE IN PRINCIPIO DEL SECOLO IV.
E santa Giovanna d’Arco, non ostentò forse pubblicamente la sua Fede per il bene della Francia? E tutti i santi sovrani europei, che hanno edificato l’Europa? Da santo Stefano a san Ferdinando III, dalla santa Adelaide a santa Elisabetta, da sant’Enrico e santa Cunegonda al beato Carlo d’Asburgo e serva di Dio Zita, ultimi imperatori cattolici, storicamente defenestrati dal liberalismo e dalla massoneria nel Novecento, e l’elenco potrebbe proseguire…
Salvini, dopo essere stato attaccato da chi non è più sale della terra e non si occupa più né della Gloria a Dio, né della salvezza delle anime, non parla più né del peccato originale, né del peccato mortale, né del peccato veniale, né di giudizio, né di Paradiso, né di Inferno, ma tratta pedissequamente di politica e di sociologia, adagiandosi nel neopaganesimo imperante, perdendo per questo ogni giorno di più vocazioni e consenso dei fedeli, ha così risposto:
«Sono l’ultimo dei buoni cristiani, ma sono orgoglioso di andare in giro col rosario sempre in tasca. Noi stiamo garantendo più sicurezza agli italiani e stiamo salvando vite. Un direttore di un settimanale cattolico mi ha attaccato perché ho osato parlare di Dio, dei Papi, dei nostri valori e delle nostre radici e perché ho mostrato il rosario. Sono orgoglioso di testimoniare quella che è una civiltà accogliente, ma un conto è essere accogliente e un conto è suicidarsi. Lo diceva Papa Benedetto, lo diceva Wojtyla, lo diceva Oriana Fallaci». Inoltre: «L’Europa che nega le proprie radici non ha futuro. Io sono credente, il mio dovere è salvare vite e svegliare coscienze. Il confronto con le altre culture è possibile solo riscoprendo la nostra storia e riscoprendo i nostri valori, come peraltro detto negli ultimi decenni da tutti i Santi Padri. Sono orgoglioso di testimoniare, con azioni concrete e con gesti simbolici, la mia volontà di un’Italia più sicura e accogliente, ma nel rispetto di limiti e regole».
Intanto il «Time» mette in copertina Salvini con il titolo «Il nuovo volto dell’Europa», definendolo «lo zar dell’immigrazione in Italia che sta portando la missione di disfare la Ue» e nell’intervista l’abile statista dichiara: «Stiamo lavorando per recuperare lo spirito europeo che è stato tradito da coloro che guidano questa unione» e nel recupero c’è il Vangelo, c’è la Madonna, c’è il Rosario, ci sono i Santi. La straordinaria Europa è stata fondata dalla Cristianità a dispetto di chi, anche nella Chiesa, compreso il Pontefice, misconosce il proprio mandato e distrugge le ragioni per cui la Chiesa stessa è sorta.
Desiderare un’Europa nuovamente cristiana ci spinge alla militanza nella fede e a votare alle europee non per chi calpesta le leggi di Dio, per il divorzio, l’aborto, l’eutanasia, l’omosessualismo, la rovina dell’innocenza dell’infanzia spiegando la falsa e perversa teoria gender, l’invasione migratoria, il globalismo sfrenato e irrispettoso delle identità, l’impoverimento delle nazioni… ma per chi riconosce il valore della persona, della famiglia, della patria, della Santissima Trinità e di Maria Santissima. Anche noi sbandieriamo pubblicamente il Santo Rosario e baciamo il Crocifisso.

(Fonte: Cristina Siccardi, Europa Cristiana, 23 maggio 2019)
https://www.europacristiana.com/salvini-affida-il-destino-delleuropa-ai-suoi-santi-patroni-e-al-cuore-immacolato-di-maria/


Chiesa-partito, il malinteso cristianesimo come religione


Il cristianesimo primariamente e per sé non è una religione, ma è una persona, Gesù Cristo, ed è un fatto: l’iniziativa mirabile e inaudita che Dio Padre prende per incontrarci, parlarci, entrare in comunione con ognuno di noi nella mediazione dell’umanità di Gesù. Questa è la sostanza affascinante e per lo più censurata della nostra fede, che amava insegnare il cardinale Giacomo Biffi. Perché è la sostanza del nostro Vangelo: la novità sta proprio nell’Incarnazione e nella Pasqua di Cristo.
Il pensiero dominante oggi, che è espresso in modo efficace nella grande stampa, presenta invece il cristianesimo come una religione, e talvolta anche come “religione del libro”. Proprio qui “casca l’asino”. La religione, stando all’uso classico del nome e alla sua stessa etimologia, indica un insieme di tentativi – fatti di idee e azioni cultuali – con i quali l’uomo cerca con le sue forze di dare un senso all’esistenza, dire qualcosa della causa fondante e mettersi in contatto con essa. Me è proprio un tentativo umano, molto provvisorio, intessuto di successi e errori, che comunque non raggiunge l’obiettivo per il semplice fatto che l’obiettivo è Dio e quindi è sproporzionato al tentativo umano.
Proprio per superare questa sproporzione Dio stesso ci viene incontro: prende l’iniziativa di rivelarsi (pensa alla rivelazione testimoniata dai libri biblici), di incarnarsi, vivere con noi e darci perennemente il suo Spirito Paraclito. C’è dunque un abisso tra cristianesimo e le religioni: paragonare cristianesimo e religioni è come confrontare una casa e una persona umana. Sono cose molto diverse: il cristianesimo è iniziativa divina, le religioni sono tentativi umani.
Fatto sta che molti riducono il cristianesimo a una religione e ne parlano poi della Chiesa cattolica come se fosse un partito politico. Riducendo il cristianesimo a una religione si entra nel grande malinteso sulla libertà religiosa. Per cui assistiamo periodicamente a vescovi che anziché cantare il Te Deum il 31 dicembre accompagnano a spese della diocesi i propri fedeli a visitare la moschea della propria città oppure vanno in consiglio comunale a perorare la causa della costruzione della moschea invocando il bene comune e la libertà religiosa. Il Concilio Vaticano II nella dichiarazione Dignitatis Humanae insegna: «Tale libertà consiste in questo, che tutti gli uomini devono essere immuni dalla coercizione da parte di singoli, di gruppi sociali e di qualsivoglia potestà umana, cosicché in materia religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la sua coscienza, né sia impedito, entro debiti limiti, di agire in conformità con la sua coscienza privatamente o pubblicamente, in forma individuale o associata».
La libertà religiosa consiste nell’essere esenti da violenza e impedimenti nel credere. Ma da ciò non deriva assolutamente che ogni convinzione religiosa sia alla pari di un’altra. Né deriva che ogni convinzione religiosa sia rispettosa del bene comune degli consociati. Sfido chiunque a dimostrare che il bene comune sia efficacemente promosso dalla dottrina islamica della taqiyya. Questa è la dissimulazione consentita ai musulmani per introdursi e accreditarsi nel Dar-al-Harb, cioè la “casa della guerra”, ovvero i territori non islamici, nei Paesi kafir, cioè infedeli, e conquistarli. Pur di raggiungere questo fine il musulmano può fingere tutto, il suo essere moderato nel vivere il Corano e anche la sua apostasia dal Corano. È la pratica di fingere e mentire nell’interesse dell’islam e della umma, ingannare gli infedeli, cioè cristiani, ebrei e atei, convincendoli che l’islam è una religione di pace.
Fatto sta che molti, anche personaggi altolocati, parlino poi della Chiesa cattolica come se fosse un partito politico. E quindi non deve meravigliare che qualcuno, anche vescovo, sia intimidito perché “non appartiene alla linea del papa”. Che i vescovi, anziché annunciare la res del cristianesimo, entrino in beghe – non di politica che è la scienza e l’arte architettonica della pubblica convivenza – ma in beghe partitiche. Che giornalisti dipingano la Chiesa gerarchica come un insieme turbolento di correnti ed etichettino credenti e vescovi con stereotipi tratti proprio dall’arena partitica. Non possiamo chiedere di rinunciare a considerare la comunità dei credenti secondo delle categorie tratte dalla sociologica. Ma per rispetto della realtà dobbiamo ricordare che la comunità visibile dei credenti c’è in ragione della comunità invisibile, soprannaturale e divina dei credenti che sfugge all’analisi sociologia e di altre scienze positive. Siamo Chiesa perché Gesù Cristo ha una sposa e ha un corpo.
Siamo Chiesa perché lo Spirito di Cristo anima ogni credente e quindi la Chiesa con la grazia santificante. Se parlo del cristianesimo come se fosse una religione, se per descrivere la Chiesa uso abitualmente etichette e categorie tratte dall’arena partitica, sarà inevitabile ridurre il cristianesimo non solo a religione, ma anche a religione di parte.
Così facendo, l’apertura missionaria al “mondo” e la dimensione cattolica, cioè universale, del mandato che Cristo affida alla sua Sposa saranno ko.
Significativamente lo Sposo della Chiesa non vuole la salvezza di una “parte”, ma del 100%. Non del 50%, ma del 100% dei figli (Luca 15,11-32). Non del 90%, ma del 100% delle monete (Luca 15,8-10). E non si accontenta neanche del 99%, ma vuole proprio il 100% delle pecore (Luca 15,4-7).
E altrettanto significativamente lo Sposo della Chiesa non si rivolge a una “parte”, né parla di “parte”, ma di mondo: Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui (Giovanni 3,16-17).

(Fonte: Giorgio Maria Carbone, LNBQ, 24 maggio 2019)
http://www.lanuovabq.it/it/chiesa-partito-il-malinteso-cristianesimo-come-religione