Il “Domani” svela una lettera del cardinale Parolin ai vescovi che chiama le diocesi a non invitare Enzo Bianchi. L'ex "priore" di Bose è da isolare non perché abbia espresso una teologia pericolosa, ma per comportamenti inadatti non specificati. Eppure, quando diocesi e editrici cattoliche facevano a gara per contendersi le sue affermazioni eterodosse, dalla Chiesa ufficiale non arrivava nessuno stop. [quando invece sarebbe stato veramente utile! N.d.r.]
Ogni
fedele cattolico, proprio perché sa di essere purtroppo incoerente, apprezza
negli organismi della Chiesa la coerenza. A proposito degli ultimissimi
sviluppi del caso Enzo Bianchi questa coerenza non si è vista e a farne le
spese, ancora purtroppo, sono gli organi ecclesiastici vaticani, in questo caso
la Segreteria di Stato.
Quali
sono questi ultimissimi sviluppi? È
venuta alla luce, in quanto pubblicata dal quotidiano il “Domani”, una
lettera del Segretario di Stato Pietro Parolin del gennaio 2020 nella quale
si invitano i vescovi italiani a considerare se sia opportuna la presenza di
Enzo Bianchi in diocesi come conferenziere o predicatore. Nella sua lettera
Parolin fa riferimento ad alcune nuove “testimonianze” e “documentazioni” che
sarebbero arrivate alla Segreteria di Stato dopo il decreto, risalente a due
anni fa, con cui la Santa Sede estrometteva Bianchi dalla Comunità di Bose da
lui fondata. La lettera non chiarisce quali siano queste novità, ma esprime una
chiara insistenza affinché a Enzo Bianchi sia tolta la platea. In altre parole
una messa al bando dalla Chiesa visibile.
Non
ho avuto mai simpatia per le posizioni teologiche e morali espresse in tutti
questi anni da Enzo Bianchi – tutt’altro! - però non si può non notare il
repentino cambio di prospettiva da parte della Chiesa ufficiale che lascia
molto perplessi proprio in fatto di coerenza.
Enzo
Bianchi è stato per anni osannato.
La formazione del clero di Biella, la diocesi del monastero di Bose, era
completamente in mano sua. Fior fiore di cardinali si recavano in
pellegrinaggio a Bose per avere i suoi consigli. Non c’era convegno ecclesiale
nel quale Bianchi non fosse relatore ufficiale. Si era perfino parlato di una
sua ordinazione cardinalizia. Le vetrine delle librerie delle Paoline da
decenni espongono soprattutto i libri di Enzo Bianchi, che per presenza in
primo piano ha senz’altro battuto perfino il cardinale Ravasi, che da questo
punto di vista sembrerebbe non essere secondo a nessuno. Il suo faccione
barbuto ha campeggiato nella copertina dei suoi numerosissimi libri, che gli
editori cattolici si contendevano, come una grande icona ecclesiale, il
biglietto da visita del cattolicesimo moderno e del futuro. Il monastero da lui
fondato non aveva veste giuridica ecclesiale, Bianchi non era (come non è) né
religioso né sacerdote, eppure era considerato un punto di riferimento
insostituibile del cattolicesimo.
Egli
collocava i suoi concetti sempre sul confine dell’eterodossia. Quando Papa Benedetto propose i
suoi principi non negoziabili, Bianchi elencò i propri, naturalmente diversi da
quelli del papa. Gridò di smetterla con tutti questi discorsi contro
l’omosessualità, dato che Cristo non ne aveva mai parlato. Nonostante tutto
questo – anzi proprio per tutto questo – però la sua stella rimaneva in ascesa,
gli inviti alle conferenze e ai convegni continuavano e nessun Segretario di
Stato o Prefetto di qualche dicastero vaticano si era mai permesso di
criticarlo né naturalmente di interdirne la presenza nelle diocesi. Certo, c’è
stato anche chi lo ha accusato pubblicamente di dire cose sbagliate, come ha
fatto senza timori reverenziali mons. Antonio Livi, ma l’opinione pubblica
ecclesiale era dalla parte di Bianchi e non da quella di Livi.
Ora,
invece, gli viene interdetto di parlare in pubblico. E per di più non risulta
che ciò sia dettato da motivi dottrinali. Il riferimento della lettera di
Parolin a fatti che in questi ultimi anni sarebbero venuti a galla e che non ci
è dato di conoscere, motivano il riserbo. Tuttavia da qualche affermazione
della lettera, sembra che l’esilio sia motivato non da errori dogmatici
espressi da Enzo Bianchi, ma da comportamenti scorretti dal punto di vista
disciplinare e pastorale, nel campo dell’esercizio dell’autorità e delle
relazioni umane. Si sarebbe capita una dichiarazione della Congregazione
della Fede su gravi passaggi di alcuni suoi libri e, di conseguenza,
l’invito ai vescovi a non invitarlo più in diocesi. Questo invece non si è
verificato, mentre ora arriva la chiusura dei microfoni e lo spegnimento dei
riflettori non per errori dottrinali del suo pensiero, ma per taluni
comportamenti. Questo segno ecclesiale dei tempi di oggi lascia perplessi: un
vescovo oggi viene destituito non perché insegna dottrine erronee, ma perché
non collabora pastoralmente con i suoi confratelli all’interno della Conferenza
episcopale. Così Enzo Bianchi è da isolarsi non perché abbia espresso una
teologia inattendibile e pericolosa, ma per comportamenti inadatti (e non
specificati).
Contemporaneamente
all’allontanamento di Enzo Bianchi
e al suo isolamento, tantissimi altri Enzo Bianchi sono lasciati al loro posto
a pontificare. La Germania di oggi è piena di teologi, professori,
conferenzieri, vescovi che le dicono anche più grosse di Enzo Bianchi. Nessun
podio viene interdetto al famoso gesuita James Martin. Le vetrine delle
librerie delle Paoline, ora che devono togliere i libri di Enzo Bianchi,
rimarranno lo stesso piene di testi problematici, inaffidabili e spesso sul
crinale dell’eterodossia esplicita.
https://lanuovabq.it/it/da-icona-a-reprobo-che-incoerenza-ecclesiale-su-bianchi