mercoledì 23 marzo 2016

«Gods not dead» il cine-trappolone protestante

Un sottoprodotto della propaganda protestante made in USA, rilanciato ingenuamente in Italia in ambienti parrocchiali e affini.I significativi precedenti professionali del regista Harold Cronk, e il ruolo della rock-band protestante. Nessuna traccia di qualcosa che somigli almeno vagamente al cattolicesimo, nemmeno nella sua versione contraffatta conciliare e modernista. Sullo sfondo, la Dominus Production e i Cavalieri di Colombo, la massoneria e altro ancora. 
È il fenomeno cinematografico del momento
, in auge in ambienti parrocchiali e affini, pubblicizzato via giornali, siti, facebook, whatsapp. Ricevutane segnalazione, ognuno la rilancia sulla fiducia, ed esorta il prossimo suo a recarsi nella sala più vicina secondo calendario allegato.
Imperativo categorico: vedere “Gods Not Dead”, pellicola americana datata 2014 e divenuta stranamente, d’improvviso, portentoso strumento di apologetica e veicolo di conversione.
Ma apologia di chi, conversione a cosa?
La domanda non è pretestuosa.
In realtà non ci vuole molto per grattare via la patina posticcia spalmata sulla pietanza di importazione, così da servirla nelle mense nostrane dei cattolici affamati di spiritualità quale che sia, abitanti smarriti di un cattolicesimo in avanzato stato di decomposizione. Del resto – sappiamo – nel frattempo fervono i preparativi per celebrare ufficialmente la sua tanto attesa confluenza nel luteranesimo, in omaggio al dogma ecumenista.
Ci vuole poco, dicevamo: basta leggere le prime righe della pagina Wikipedia dedicate al film, tanto nella versione inglese quanto in quella italiana, per capire che si tratta di un (sotto)prodotto della propaganda protestante statunitense, dato in pasto al fedele-medio autoctono e montato come la panna dal passaparola compulsivo.
Il film narra della conversione – rigorosamente senza pentimento – di un professore ateo, per il tramite di un suo studente evangelico; la folgorazione del docente, presunto novello San Paolo, avviene sulla strada di un concerto rock, nel pieno stile sensista di marca pentecostale.
Nessuna traccia della Chiesa di Cristo, dei suoi Sacramenti, della madre di Dio. Nessuna traccia di qualcosa che somigli almeno vagamente al cattolicesimo, nemmeno nella sua versione contraffatta conciliare e modernista. Pura eresia, farcita del buonismo invincibile che tira nel “cattolicesimo” trasversale, quello buono per tutti gli usi che rimbalza ogni santo giorno dalle stanze Santa Marta a quelle del Corriere a quelle di Palazzo Chigi. Qualche minaccioso richiamo a Satana è piazzato lì a far fede di una fede in qualcosa di ultraterreno, e dal sapore forte.
Il lancio segue la tattica consueta: un attore riciclato, dalla faccia già vagamente famigliare (in questo caso tale Kevin Sorbo, interprete di B-movie e di una immortale serie TV dedicata a Ercole), e un regista di un certo mestiere. E qui si scopre che la regia di “Gods Not Dead” porta il nome di tale Harold Cronk, noto per avere diretto in precedenza capolavori come “I monologhi della vagina”, pièceteatrale della femminista Eve Ensler definita nel New York Times “la più importante opera di teatro politico della decade”, tradotta in 35 lingue, che infesta da una ventina d’anni i palcoscenici da Broadway in giù, e anche italiani, con edificanti sketch quali “La mia vagina arrabbiata”, “La mia vagina è il mio villaggio”, “La donna che rendeva le vagine felici”; opera dalla quale ha preso origine il V-Day (dove V sta per vagina), cerimonia annuale contro la violenza sulle donne (cui dal 2004 sono felicemente ammessi, come lettori, anche individui transgender). Per la gioia delle nostre donne di istituzioni e di spettacolo, tutte a loro modo “artiste” e tutte nei rispettivi campi “impegnate”.
Proprio Cronk ha allestito l’edizione 2006 dello show del Vday, prima di passare ad altro tipo di monologhi: appunto, i monologhi di Lutero.
Tornando al film – del cui seguito è prevista l’uscita in America il prossimo aprile – si è detto che la conversione che ne costituisce il cuore avviene durante un concerto. Attenzione, perché il gruppo che suona sullo schermo interpreta se stesso ed esiste nella realtà: si tratta dei Newsboys, rock-band protestante le cui performance sono vendute nel mercato americano della musica carismatica giovanile quasi come vere funzioni religiose, dove l’aura mistica del rock – come insegna il protestantesimo sensista, penetrato anche da noi attraverso alcuni movimenti – si fonde con la “preghiera” e con la presenza del “divino”. La qual cosa non appare irrilevante, perché non è fantasioso ipotizzare che i ragazzi abbeverati alla sostanza spuria della pellicola piglino dentro in un sol colpo anche gli idoli schitarranti, in attesa magari di un loro tour europeo sull’onda del vento protestante che soffia impetuoso su Roma e dintorni.
Fatto sta che, in attesa della propaganda musicale, già qualcuno pare avere colto l’occasione offerta dalla insperata diffusione del film in ambienti vulnerabili perché ormai privi di anticorpi, per distribuire fuori dalle sale bibbie evangeliche e altro materiale promozionale eretico. In effetti, ai diversamente credenti manca un papa che, per interposto Scalfari, definisce il proselitismo “una solenne sciocchezza”, e dunque nulla osta a procedere con le operazioni.
Ciò dimostra che il film sta di fatto fungendo da volano delle comunità protestanti, già numerose anche in Italia e ultimamente nutrite anche dalla “conversione” di idoli del pallone e di altri falsi modelli confezionati ad arte. E il Brasile insegna come una roccaforte del cattolicesimo possa trasformarsi in men che non si dica in luogo di delirio pentecostale: lo permette la “libertà religiosa”, lo favorisce la Chiesa conciliare che, si sa, ha un debole sempre più forte per Lutero e i suoi seguaci.
Resta da chiedersi come possa realizzarsi senza colpo ferire, e senza che nessuno batta un colpo, una così smaccata eterogenesi dei fini: un film distribuito e osannato dai cattolici che lancia, in casa loro, il credo protestante.
La ditta di distribuzione, la Dominus Production, è la stessa che non molto tempo fa ha importato anche il kolossal americano “Cristiada”, con cui sono stati accesi i riflettori sull’epopea dei Cristeros. Un film poderoso, coinvolgente, benemerito nella funzione di dissotterrare dal tumulo della storiografia ufficiale i fatti tragici ed eroici della guerra cristera. Con una mancanza, tuttavia, di non poco conto: il silenzio totale e assordante sulla massoneria. La pellicola fallisce stranamente nel descrivere la rivolta in Messico per quello che essa veramente era: ossia la guerra dei cattolici contro un governo massonico. Plutarco Elias Calles era un massone convinto e conclamato, come tutti i suoi colleghi di governo; la persecuzione anticristiana, dunque, aveva una chiara unica matrice. Sorprendentemente taciuta nel film deputato a narrarla (“dettaglio” questo che, a suo tempo, è stato evidenziato anche dai più attenti commentatori cattolici americani).
Eppure lo stesso Giovanni Paolo II, proprio dal pulpito messicano, nella tana del lupo, non si astenne dal tuonare senza rispetto umano contro la massoneria locale, responsabile della aggressione alla chiesa e al suo popolo.
Un motivo della curiosa omissione nella sceneggiatura si può forse trovare scavando nella identità di chi ha in buona parte finanziato l’impresa cinematografica, i ricchissimi Cavalieri di Colombo – più volte nominati nel corso del film a mo’ di pubblicità occulta – gruppo di cattoattivisti la cui deriva abortista e omosessualista è ormai percorsa alla luce del sole, al punto da portare alla riforma del regolamento interno nel senso di permettere l’accesso a cariche rappresentative non più a chi risulti practising catholic, ovvero cattolico praticante, ma a chi si definisca practical catholic, ossia cattolico pratico (che non si sa bene cosa significhi, ma ad orecchio suona assai affine al nostro cattolico adulto). La manifesta apertura alla perversione da parte dei Cavalieri di Colombo, sfociata in atti pubblici conseguenti di rilievo anche politico, può in qualche modo giustificare il perché Cristiada non la dica tutta – non la dica dritta – sulla vera storia messicana. Tenuto conto, peraltro, che la componente massonica è riccamente rappresentata tra vescovi e cardinali, e che le tendenze sincretistiche in voga nelle gerarchie si spingono oggidì fino ad abbracciare, fraternamente, anche la setta rivoluzionaria.
L’obiettivo ultimo, nemmeno troppo velato, è quello di riscrivere orwellianamente la storia, cancellando la massoneria. Cancellando la distinzione tra le forze del bene e quelle del male. A ciò concorrono congiuntamente la propaganda cinematografica e i vari ravasi in libera circolazione. Del resto – come è noto – la più grande vittoria del nemico è convincere la chiesa che il nemico non esiste.
Ecco dunque che, a ben vedere, la filmografia spacciata per cattolica non sempre corrisponde alle apparenze, o alla presentazione promozionale che viene di essa offerta al pubblico. Al di là della buona fede di molti che si rendano inconsapevoli promotori di un messaggio fuorviante, la macchina che muove tutto dietro le quinte è quella che ben conosciamo, che a vari livelli sta lavorando senza tregua per triturare fede ragione e verità.
In un tempo in cui la devastazione infuria, la confusione regna sovrana, mancando una guida che segni la via, è ben comprensibile aggrapparsi a qualsiasi fenomeno assuma le sembianze di una boa, e di segnalare la boa agli altri naufraghi. Ma un campanello di allarme va fatto suonare per stimolare un supplemento di senso critico verso ciò che passa il convento. Per non cadere nella rete di chi vuole convincerci tutti che siamo chiamati, tutti insieme appassionatamente, ad adorare un unico imprecisato dio nella pace universale.
Abbiamo santi, beati, martiri che ci dimostrano con la loro vita l’esistenza di Dio. Abbiamo Gesù Eucaristico, e chiese che trasudano la memoria di una devozione millenaria.
Dobbiamo pendere dalle labbra di uno studentello protestante per illuderci di vivificare una fede sbiadita?

(Fonte: Elisabetta Frezza, Riscossa Cristiana, 22 marzo 2016)



giovedì 17 marzo 2016

L’analfabetismo religioso dei giovani delle parrocchie

Una indagine sociologica mostra i dati dell’ignoranza delle verità della fede da parte dei giovani che frequentano la vita parrocchiale. Colpa della società, ma anche di quanto offriamo loro.

Novemila under 30, scelti secondo rigorosi criteri statistici, sono stati intervistati in un progetto curato dalle ricercatrici Rita Bichi e Paola Bignardi. I risultati sono poi confluiti nel volume “Dio a modo mio. Giovani e fede in Italia” (Vita e Pensiero). Emerge un quadro che dire desolante è poco anche se non insospettato da chi abbia minimamente il polso della situazione.
Ciò che più impressiona è il semianalfabetismo religioso dei giovani cattolici universitari o già laureati, che hanno frequentato sei e più anni di catechismo e magari tuttora partecipano alla vita di realtà almeno nominalmente ecclesiali. Insomma il dato di questa ricerca che ci deve veramente interrogare è quello che riguarda i “nostri” giovani e li fotografa in uno stato che, spesso, si fatica persino a dire di cristianesimo, figuriamoci se si possa chiamare di sana e robusta fede cattolica.
Emerge dominante tra i giovani “cattolici” un’idea vaga e confusa di religione, un sincretismo inconsapevole, una ignoranza crassa dell’abc del Cristianesimo, una pratica alla vita sacramentale optional. Un guazzabuglio new age dove la Risurrezione si confonde con la reincarnazione, Gesù è una specie di Buddha palestinese, W il Papa ma se mi parla di morale allora quasi quasi meglio il Dalai Lama, che Dio esista anche ci credo ma della Santissima Trinità non mi sfiora neppure il pensiero e così continuando.
E sono i “nostri” giovani, quelli che hanno frequentato il catechismo, battezzati-comunicati-cresimati, che per tredici anni di scuola hanno seguito un’ora alla settimana di religione cattolica. Questo studio certifica, ce ne fosse ancora bisogno, il drammatico fallimento della catechesi e della pastorale degli ultimi trent’anni, se non quaranta.
Le chiese sono sempre più vuote e così le aule di catechismo ma non riusciamo a formare decentemente neppure quella piccola percentuale di giovani che passano ancora per le nostre cure educative. Ovviamente le felici eccezioni non mancano, eroici parroci, splendidi catechisti, insegnanti di religione per vocazione, ragazzi dottrinalmente preparati e motivati ma … la media statistica dice altro ed è da piangere!
Piangiamo pure ma chiediamoci il perché di tanto e tale disastro. Il cardinale Robert Sarah, lo scorso maggio, osservava, intervenendo al Pontificio istituto Giovanni Paolo II, il fallimento formativo del catechismo dei fanciulli così come impostato negli ultimi decenni nella più parte delle parrocchie italiane: “I bambini fanno solo disegni e non imparano niente”, così il Prefetto della Congregazione per il Culto Divino.
E come dargli torto se poi i frutti sono quelli rilevati dallo studio di Bichi e Bignardi. Il buon vecchio catechismo di san Pio X che ha formato generazioni e, immagino, lo stesso cardinal Sarah bambino, dava ben più generosi frutti. Le nostre nonne, magari analfabete, sapevano benissimo che Gesù è vero uomo e vero Dio, che la Madonna è sempre vergine, che Iddio è Uno e Trino, quali sono i novissimi, le tre virtù teologali, le quattro cardinali, i dieci comandamenti, i sette sacramenti e le opere di misericordia corporale e spirituale. Poi sono arrivati i nuovi metodi pedagogici, i grandi modelli pastorali, buttato via il nozionismo e con esso anche le nozioni, tutto è dialogo, socializzazione, scambio e interazione … e abbiamo gli universitari “cattolici” che scambiano Buddha con Gesù!
Certo la società non aiuta, la crisi della famiglia nemmeno ma ciò spiega in parte, non giustifica il fallimento generalizzato e plateale dell’istruzione religiosa degli ultimi decenni. Forse per comprendere la crisi del catechismo si deve allargare un po’ l’orizzonte d’indagine e guardare alla realtà delle parrocchie e degli altri poli educativi ecclesiali e chiedersi: sono realtà animate dalla profonda consapevolezza di avere un tesoro divino da partecipare? C’è chiara la coscienza della Verità eterna ricevuta, l’unica Verità dalla cui luce ogni uomo deve essere illuminato? Insomma, chi insegna è previamente lui convinto che la Divina Rivelazione custodita e trasmessa dalla Chiesa è l’unica luce capace di illuminare e dar senso all’enigma umano?
Quando si ha la fortuna d’incontrare un prete, un catechista, un insegnante di religione con simile consapevolezza, coscienza, convinzione allora il Vangelo affascina, brilla di splendida luce, Cristo si mostra per quello che è: il più bello tra i figli dell’uomo e il Logos eterno, la Bellezza e la Verità sussistenti. E c’è il rischio di innamorarsene e di voler donare tutta la propria vita a Lui.
Ma quanto è difficile incontrare simili maestri nella fede, quanto difficile!
Ricordo la noia infinita provata durante le ore di catechismo e la delusione negli anni del primo sbocciare della ragione speculativa in me per il vuoto culturale sperimentato negli ambienti “di Chiesa”, per un cristianesimo che mi appariva sempre più insipido, incapace di rispondere ai grandi interrogativi dell’anima umana. Ricordo che mille domande si affacciavano alla mia mente: domande su me, il cosmo, Dio, la storia e la Chiesa, l’escatologia, il senso delle cose, talmente tante che ora più neppure le ricordo tutte. Risposte in parrocchia? Buoni sentimenti a piene mani, qualche richiamo al sociale, gite e pizzate, prima delle Palme disegnare Gesù su qualche cartellone in groppa all’asinello e prima di Natale in fasce nella greppia. E così anch’io fui uno di quelli che appena terminato il catechismo non misi più piede in parrocchia.
E se la Provvidenza non mi avesse fatto incontrare un ottuagenario Monsignore d’altri tempi (lo definirei un colto e santo prete anni ’50) e quel miracolo intellettuale che è il tomismo chi lo sa dove sarei finito, in quale miraggio avrei cercato d’estinguere la mia sete di Verità. Di certo non in chiesa! Forse sarei finito a parlar di archetipi con Jung o sarei con Severino a dir che tutto è eterno o più probabilmente, deluso dai vari tentativi, mi cullerei in una gnosi pessimista e tragica alla scuola di Cioran e Ceronetti. Ma così avrei perso Cristo e allora povero me se non avessi conosciuto del Cristianesimo che la versione sciocca che lasciai.
Che compassione, che stringimento di cuore mi fanno allora i giovani che, avendo sperimentato solo il Cristianesimo da pizzata e cartellone, cercano altrove un senso alla vita o semplicemente si adagiano a vivere senza più neppure pretendere che la vita abbia un senso. Oggettivamente sbagliano, lo so bene, perché solo Cristo è Via, Verità e Vita e Cristo lo si incontra nella Chiesa ma come li capisco, come li sento vicini e come mi fa rabbia pensare a così tante anime smarrite semplicemente perché non hanno trovato ciò che era loro sacrosanto diritto ricevere da noi pastori: la Verità tutta intera e nulla di meno!

(Fonte: Samuele Cecotti, Vita Nuova, 15 marzo 2016)





Arrivano i catto-gay: li guida “Avvenire”

«E la Chiesa si rinnova per la nuova società…», cantava Giorgio Gaber già all’inizio degli anni ’70, ironizzando sui tentativi di adeguamento alla modernità. Ma oggi la smania di adeguarsi alla cultura dominante è diventata un fiume in piena e anche da pulpiti insospettabili si reclama ormai a gran voce il cambiamento della dottrina. Il caso più recente è l’atteggiamento davanti all’omosessualità e alle unioni fra persone dello stesso sesso, ed è il quotidiano della Conferenza Episcopale Italiana (CEI), Avvenire, a promuoverla in modo sempre più esplicito. 
Ne è un esempio eclatante l’intervista apparsa con grande rilievo il 9 marzo al vescovo di Orano (Algeria), Jean Paul Vesco, il quale con la modestia tipica degli ecclesiastici al passo con i tempi, propone tra l’altro anche il cambiamento del Catechismo. Nell’intervista monsignor Vesco sostiene nell’ordine: la Chiesa deve accogliere senza pretendere di dire ciò che è giusto e ciò che è sbagliato (dire che un comportamento è male significa escludere); quello omosessuale è un amore autentico per cui sbaglia il Catechismo a parlare di “disordine oggettivo”; sì alle adozioni per coppie gay, ma non all’utero in affitto; anche l’unione tra omosessuali è indissolubile (ma per Vesco una persona può vivere più unioni indissolubili); l’astinenza sessuale non può essere un modello.
Come catalogare questa intervista? Una svista? Un incidente di percorso? Niente affatto. È solo l’ultima tappa – la più sconvolgente – di un lungo percorso iniziato molto tempo fa ma che dal doppio Sinodo sulla Famiglia in poi è diventato sempre più esplicito ed ha subito anche una forte accelerazione. La stessa pagina del 9 marzo ne è una prova. L’intervista a Vesco è infatti a corredo di un servizio su un convegno promosso dall’Istituto Giovanni Paolo II sulla Famiglia che aveva a tema la cura pastorale per le persone con tendenze omosessuali. Il convegno aveva un indirizzo assolutamente fedele al Magistero della Chiesa, ma dal servizio diAvvenire si ricava invece l’impressione della ricerca di una pastorale in linea non tanto con l’accoglienza per le persone quanto per l’omosessualità tout court. Tanto è vero che ci si rammarica dell’occasione persa al Sinodo sulla Famiglia (e chissa perché bisognava affrontare il tema omosessualità nel Sinodo dedicato alla famiglia?). L’intervista a Vesco, che con il convegno non c’entrava nulla, completa l’opera.
Ma anche il nome di Vesco non è casuale: già durante il Sinodo era stato ampiamente lodato da Avvenireper aver pubblicato il libro “Ogni amore vero è indissolubile” (Queriniana), ossia il tentativo di giustificare teologicamente l’accesso alla comunione per i divorziati risposati.
Come si diceva, però, quella del 9 marzo è solo l’ultima tappa. Aveva ad esempio destato una certa sorpresa un’intera pagina di Cultura dedicata lo scorso 15 settembre al libro di un magistrato omosessuale e credente, Eduardo Savarese, dal titolo inequivocabile: Lettera di un omosessuale alla Chiesa di Roma. Il contenuto è ovviamente esposto in modo problematico, ma l’obiettivo è evidente: «Perché un omosessuale cattolico deve essere costretto a scegliere tra l’amore e la religione?», ci chiede partecipe Avvenire. Ed ecco puntuale l’esame di coscienza: «Occorre ammetterlo – dice il quotidiano della CEI -, nella Chiesa troppo spesso si è preferito non vedere, non discutere, non affrontare il problema». 
Affermazione davvero sorprendente quest’ultima: perché da San Paolo in poi molte volte la Chiesa si è interessata ed ha preso posizione sul tema. E non solo per condannare i comportamenti omosessuali: bisognerà almeno ricordare in tempi recenti il documento della Congregazione per la Dottrina della Fede“Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica sulla cura pastorale delle persone omosessuali”, del 1° ottobre 1986.Avvenire in realtà intende un’altra cosa: della questione omosessuale nella Chiesa non se ne è mai parlato in termini di accettazione del comportamento, che è esattamente ciò che si vuole perseguire ora. E infatti chi interpella per un parere sul libro di Savarese? Il teologo morale don Aristide Fumagalli, insegnante presso il Seminario diocesano ambrosiano di Venegono, autore di numerosi volumi sul tema della sessualità ma soprattutto noto per le sue posizioni pro-gender. Il titolo al suo intervento è chiaro: “È ora di parlarne”, ovviamente nel senso di considerare naturale l’omosessualità.
Non meno sorprendente il forum su amore e gender pubblicato il 6 febbraio: a confrontarsi Chiara Atzori, impegnata da anni in un cammino di aiuto a persone con tendenze omosessuali, autrice di “Gendercrazia, nuova utopia” (SugarCo); e Michela Marzano, docente di filosofia e deputato PD, grande sostenitrice del diritto all’aborto nonché del matrimonio gay e della legge sull’omofobia. Atzori e Marzano perAvvenire pari sono, una opinione vale l’altra. Poco importa se Chiara Atzori difenda la realtà dell’uomo e i princìpi dell’antropologia cristiana mentre la Marzano rappresenta ai massimi livelli l’attacco al progetto creatore di Dio e quindi all’uomo, che papa Benedetto XVI aveva definito come la principale sfida che la Chiesa ha oggi davanti (discorso alla Curia Romana, 21 dicembre 2012). Quel che conta per Avvenire è far circolare idee “nuove”, per cambiare passo dopo passo la mentalità dei cattolici sul tema. 
A far comprendere che si tratta di un’operazione “culturale” non casuale sta anche la firma di tutti questi articoli e interviste, ovvero Luciano Moia, firma di punta del quotidiano della CEI, esperto di famiglia e responsabile fin dalle origini del mensile allegato ad Avvenire “Noi Genitori e Figli”, ora diventato “Noi Famiglia & Vita”. Proprio in occasione del lancio in gennaio del nuovo mensile, avevamo notato un cambiamento culturale significativo laddove nell’articolo di presentazione si afferma: «La vita può nascere – in senso biologico, personale e spirituale – solo in una famiglia formata da una donna e da un uomo, meglio se uniti in matrimonio, meglio ancora se quell’unione matrimoniale rientra in un progetto di fede fondato sui valori del Vangelo». Vale a dire che per Avvenire il concetto di famiglia è già stato esteso alla convivenza, ora attendiamo con pazienza il giorno in cui per il quotidiano della CEI saranno famiglia anche le unioni gay.

(Fonte: Riccardo Cascioli, La nuova bussola quotidiana,16-03-2016)



giovedì 10 marzo 2016

Il card. Ravasi e i “Fratelli Massoni”

Certe cose, a volte, si dicono per ignoranza. Ma non è certo questo il caso del card. Gianfranco Ravasi, a capo del Pontificio Consiglio della Cultura.
Nel suo articolo dal titolo Cari fratelli massoni, apparso su Il Sole-24Ore dello scorso 14 febbraio, mostra chiaramente di conoscere la Lettera apostolica In eminenti apostolatus specula, con cui nel 1738 papa Clemente XII scomunicò i “grembiulini”, Lettera poi confermata dall’enciclica Humanum Genus, con cui Leone XIII condannò espressamente il relativismo e la massoneria; ed anche il can. 2335 del Codice di Diritto Canonico del 1917, che ribadiva il provvedimento fatto proprio anche dal can. 1374 del nuovo Codice, quello del 1983; così come la Declaratio de associationibus massonicis, emanata dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, per ribadire il divieto di appartenere alle logge; mostra di conoscere persino due documenti – il primo elaborato dalla Conferenza episcopale tedesca nel 1980 e l’altro da quella filippina nel 2003 –, che confermano quanto già altrove normato.
V’è un aspetto, però, che stupisce: la sincronia. È come se, ad un certo punto, qualcuno avesse lanciato un segnale e che, in luoghi diversi, chi di dovere vi si sia attenuto. Perché è forse sfuggito ai più, ma l’exploit del card. Ravasi non ha rappresentato un episodio isolato. Già lo scorso 25 gennaio il quotidiano della Conferenza episcopale francese, La Croix, scrisse incredibilmente le stesse cose e fece le medesime considerazioni di Sua Eminenza, anticipandolo e chiedendosi se «in un contesto come l’attuale» non vi siano «più benefici nel dialogo» con la massoneria «che nella condanna».
Anche il card. Ravasi ritiene dunque possibile «il dialogo», specie su quei temi “umanitari” – come «la beneficenza, la lotta al materialismo, la dignità umana, la conoscenza reciproca» –, ch’egli ritiene comuni, invitando a «superare» l’opposizione di quelli che bolla come «ambienti integralistici cattolici» (benché essi includano anche diversi Pontefici ed autorevoli voci della Chiesa).
Riscuotendo così l’immediato e pubblico apprezzamento di Stefano Bisi, Gran Maestro del Grand’Oriente d’Italia, il quale, riconoscendogli «la giusta apertura mentale», ha subito accolto l’inatteso invito al confronto, per «demolire – scrive –muri che ormai non hanno alcuna ragione di esistere», negando che la massoneria sia «nemica di alcuna chiesa» ed auspicando che anzi un giorno possa festeggiare la «ricorrenza di Porta Pia» assieme al Pontefice. Un sogno alquanto “singolare”… A Bisi, intervenuto anch’esso su Il Sole-24Ore, ha fatto eco Luigi Danesin, ex-Gran Maestro della Gran Loggia d’Italia su Il Gazzettino, dicendo sostanzialmente le stesse cose, rivendicando con un orgoglio divenuto insolito anche per gli assidui delle sagrestie, uno status di «cristiano cattolico praticante, che ogni domenica si accosta alla Comunione».
Il rifiorire di ammiccamenti al mondo cattolico è già divenuto però virale ed inarrestabile: così ecco in programma per il prossimo 2 aprile a Roma un convegno dal titolo iniziatico «Gesù, lucente Stella del Mattino: influenza del Cristianesimo sul Rituale Emulation», promosso dalla Gran Loggia Regolare d’Italia. Tra i relatori, oltre ai “grembiulini”, anche il professore valdese Paolo Ricca, docente anche presso il Pontificio Ateneo “Sant’Anselmo”. Secondo il card. Ravasi, «bisogna andar oltre “ostilità, oltraggi, pregiudizi” reciproci, perché rispetto ai secoli passati sono migliorati e mutati il tono, il livello e il modo di manifestare le differenze», che pure – “bontà” sua – ammette «permanere in modo netto». È proprio così? Si può affermare che il concetto di «dignità umana» della massoneria sia lo stesso proposto in casa cattolica? In realtà, non pare proprio che l’atteggiamento delle logge sia poi molto più conciliante d’un tempo… Lo dimostrano le posizioni pubblicamente assunte a favore dell’eutanasia anche per i minori, delle “nozze” gay con adozione e delle rivendicazioni Lgbt più in generale, della contraccezione, della fecondazione assistita, dell’aborto, della cosiddetta “pianificazione familiare”, ad esempio. Posizioni tutte documentabili. In Francia, secondo l’agenzia Médias-Presse-Info, si registrerebbe una vera e propria «collusione tra il potere socialista ed il Grand’Oriente». Per cancellare, ad esempio, qualsiasi forma di «finanziamento pubblico alle attività cultuali», eliminare i presepi a Natale, abolire il reato di blasfemia, vietare i segni religiosi anche nelle università, introdurre l’obbligo della «neutralità religiosa» presso istituzioni pubbliche e private, come indicato nei 25 obiettivi da raggiungere, contenuti in un manifesto redatto dal Grand’Oriente.
Che non si scherzi, lo dimostra la recentissima Guida della laicità, che ha imposto ai 5.600 funzionari comunali di Parigi precise norme di comportamento, tra le quali l’escludere dall’assunzione o avviare al licenziamento chiunque indossi simboli religiosi nell’orario di servizio. Ma è anche il ruolo da “gran burattinaio”, assunto dalla massoneria in ambito internazionale, a far problema. Ruolo, avente una sola finalità: diffondere ovunque relativismo, immanentismo e laicismo.
Che, con questo spirito, gli adepti di “squadra e compasso” stiano già controllando interi governi è lo stesso card. Ravasi ad ammetterlo, limitandosi però a citare solo l’esempio dell’Uruguay. E in Canada? negli Stati Uniti? E l’esecutivo francese, ove massoni sono i ministri Jean-Michel Baylet, Jean-Yves Le Drian, i Segretari di Stato Jean-Vincent Placé e Alain Vidalies, tutti guidati peraltro da un altro iniziato, il premier Manuel Valls? Ormai, però, il raggio d’influenza dei “grembiulini” è sbarcato anche in Africa. Al XXIV Rehfram-Ritrovo degli umanisti e dei “fratelli” africani e malgasci, promosso recentemente dalla Gluc-Gran Loggia unita del Camerun, è risuonata una parola d’ordine: conquistare questo continente alla massoneria.
È lo stesso obiettivo che si pongono la Gran Loggia Femminile di Francia ed il Godf-Grand’Oriente di Francia, che ha da poco inaugurato peraltro altre due nuove logge oltre Mediterraneo, una a Yaoundé e l’altra a Bangui, capitale della Repubblica centrafricana. Massoni sono i presidenti della Guinea Alpha Condé, del Madagascar Hery Rajaonarimampianina (compreso il suo primo ministro), del Ciad Idriss Déby Itno, della Repubblica del Congo Denis Sassou N’Guesso, del Togo Faure Gnassingbé, del Gabon Ali Bongo Ondimba, oltre ad entrambi i candidati alle presidenziali in Centrafrica, tanto Faustin Archange Touadéra quanto Anicet Dologuélé. Ma si ritiene ne facciano parte anche i vertici di Mali, Guinea Equatoriale, Camerun e Niger.
Tutti legati a filo doppio con i “confratelli” massoni di Parigi, espressione evidente di un neocolonialismo occulto ed esoterico. Per questo – e per molto altro ancora – certe aperture di credito paiono decisamente fuori luogo. O davvero il card. Ravasi è convinto in coscienza, che la massoneria non rappresenti più un pericolo e che si sia trasformata in un semplice club filantropico per anziani benestanti? 


(Fonte: Mauro Faverzani, Corrispondenza Romana, 09 marzo 2016)



Il caso Vendola. Come funziona una clinica di madri surrogate

Il 27 febbraio scorso Nichi Vendola è diventato “padre”. Le virgolette sono d’obbligo per due motivi. Innanzitutto perché il bambino accolto in casa Vendola è stato concepito attraverso la cordata di tre persone, nessuna delle quali è l’ex governatore della Puglia.
Infatti il piccolo è venuto alla luce grazie al compagno di Vendola, Ed Testa, che ha donato il proprio seme maschile, ad una donna che ha venduto l’ovocita e ad un’altra che ha portato avanti la gestazione. Un bambino, al pari dei personal computer, assemblato e non monomarca. In secondo luogo Vendola, dato che ha 57 anni, semmai potrebbe essere il nonno di questo bambino, non certo il padre.
La coppia omosessuale italiana si è rivolta all’agenzia Extraordinary Conceptionsche ha base a San Diego negli Stati Uniti. Il sito presenta in home page alcuni grossi pulsanti che rispondono ai desiderata dei visitatori: «scegli una surrogata» (cioè una donna che presterà a pagamento il suo utero); «scegli una donatrice» (cioè una donna che venderà i propri ovociti); «diventa una surrogata» e «diventa una donatrice». C’è anche una sezione dedicata alle “famiglie LGBT”, target di mercato che sta crescendo a dismisura. Insomma diventare genitori è come prenotare un viaggio alle Maldive o acquistare una bicicletta su e-bay, né più né meno.
E così su Extraordinary Conceptions, dopo aver inserito le generalità della coppia come età, nazionalità, orientamento sessuale, c’è anche la possibilità di selezionare le caratteristiche sia della donatrice (circa duemila) che delle “portatrici” (circa cento). Un vero proprio catalogo Ikea in cui scegliere colore, orientamento sessuale, studi e molto altro ancora delle madri in prestito. Un catalogo della tratta umana per confezionare su misura il proprio bebè. Il figlio diventa gadget personalizzato, un prodotto con specifiche decise dal cliente. Ed infatti Vendola e il compagno Testa, prima di essere considerati “genitori”, sono innanzitutto clienti.
Per avere un bebè assemblato come si vuole si deve essere disposti a sborsare almeno 130mila euro in comode rate trimestrali. Certo, puoi andare in Ucraina o in India e spendere meno, ma la qualità del “prodotto” non è come quella made in USA. Comunque se ti affretti puoi sempre approfittare di una certa scontistica cliccando nella sezione dedicata al «bonus surrogata»: un bimbo a prezzi stracciati. Un voltafaccia notevole per quel duro e puro ex comunista di Vendola, fiero oppositore di chi sfrutta le donne lavoratrici. Ma in questo sistema si è buttato a capofitto e addirittura per acquistare un bambino.
Ma torniamo ai costi per affittare una gestante. Quest’ultima decide di sobbarcarsi la gravidanza non certo per spirito di liberalità, ma per soldi. Presso l’agenzia di San Diego le donne locatarie di utero guadagnano almeno 35mila euro. Contro chi sbraita che così si schiavizzano le donne perché solo quelle che sono sul lastrico accetterebbero di sottoporsi a simile pratica degradante, risponde Francesca Sordi, una delle coordinatrici di Extraordinary Conceptions.
La Sordi ha spiegato al Corriere della Sera «che le madri surrogate della sua agenzia non devono piangere miseria: per legge tutte le ragazze hanno figli propri e devono essere in una condizione economica buona». Solo chi può far a meno della pratica della surrogata viene accettata. Le compagne economicamente più sfortunate, per paradosso, vengono lasciate alla porta. La Extraordinary Conceptions è una ditta seria che garantisce materie prime eccellenti. «Non è facile trovare delle buone surrogate – spiega la Sordi –. Ogni duecento che ci contattano, ne prendiamo una decina al massimo». Ci sono test psico-attitudinali, esami clinici, diete da seguire, contratti da firmare che dichiarano di cedere tutti i diritti (d’autore) sul figlio ai committenti.
La ditta è talmente seria che, come prevede ogni contratto di compravendita, il bambino è assicurato contro i difetti di fabbrica. E così se viene riscontrata una malformazione o, sfortuna vuole, che invece di un bambino la gestante ne porta in grembo due, c’è una clausola di recesso che comporta la soppressione del bambino difettoso o del doppione. Al supermarket on line ti compri la famiglia e il bambino che vuoi in tutta sicurezza. Extraordinary Conceptions sta dunque a significare concepimenti straordinariamente folli. (Tommaso Scandroglio)


(Fonte: Tommaso Scandroglio, Corrispondenza Romana, 9 marzo 2016)



Mons. Crepaldi: «Dai senatori cattolici uno spettacolo indecoroso»

Parole forti e chiare quelle del Vescovo mons. Giampaolo Crepaldi nell’inaugurare a Trieste la seconda edizione della Scuola diocesana di Dottrina sociale della Chiesa, parole che vanno ben oltre l’ambito locale: «Non posso non riferirmi ad eventi politici e legislativi accaduti nei giorni scorsi – ha iniziano col dire – e che hanno scosso in profondità la politica italiana. Mi riferisco all’approvazione della legge sulle unioni civili».
Su questo argomento Mons. Crepaldi non ha cercato compromessi verbali: «Essa è stata anche un banco di prova per la presenza dei cattolici in politica, banco che ha fornito gravi elementi di forte delusione e di viva preoccupazione per il futuro». Egli ha anche rincarato la dose: ricordando una sua recente intervista pubblicata sul mensile Il Timone ha detto: «A questa intervista, il mensile aveva messo un titolo piuttosto negativo: “Quanti danni dai cattolici in politica”. Subito avevo considerato questo titolo eccessivo, ma dopo la votazione  sulla Cirinnà devo riconoscere che era invece realistico, purtroppo».
La valutazione del Vescovo sul comportamento dei senatori “cattolici” è entrata anche più nel particolare: «Durante la votazione a Palazzo Madama abbiamo assistito a molti atteggiamenti indecorosi da parte di molti senatori cattolici (di “cattolici senatori” credo che non ce ne sia più nemmeno uno). Qualcuno di loro ha perfino chiamato a testimone del proprio voto Giovanni Paolo II, con una citazione corsara del paragrafo 73 della Evangelium vitae. Altri hanno rispolverato il trito (e falso) argomento del “male minore” che avrebbe  evitato il male maggiore. Altri ancora si sono intestati meriti che non esistono, come aver evitato l’adozione per le coppie omosessuali».
«La legge approvata – ha aggiunto – è una pessima legge. Le pessime leggi non sono solo norme astratte sbagliate, ma danno vita a pessimi rapporti sociali, producono sofferenze e ingiustizie sulla pelle delle persone. E questa pessima legge è stata approvata con il voto decisivo dei cosiddetti “cattolici”».
Dalla valutazione dei comportamenti, Mons. Crepaldi è passato alla valutazione della situazione: «Pensare che i dieci comandamenti – che secondo il Catechismo rappresentano una “espressione privilegiata” della legge naturale (CCC n. 2070) – possano essere messi da parte in politica, distorce la dottrina della fede cattolica. Se a questo siamo ormai arrivati nella pratica di moltissimi cattolici impegnati in politica, vuol dire che dobbiamo ripartire dai fondamenti e che non possiamo più dare nulla per scontato».
Molti hanno pensato che si potesse e fosse perfino conveniente accettare il riconoscimento delle unioni civili per avere in cambio lo stralcio dell’adozione per le coppie gay. Ma secondo l’Arcivescovo si tratta di una prospettiva miope: «Chi oggi accetta le unioni civili omosessuali e le equipara alla famiglia commette una grave ingiustizia e si prepara a commetterne altre in futuro. Se non ci sono criteri per votare contro l’unione omosessuale, perché dovrebbero esisterne, domani, per votare contro l’adozione? E perché dovrebbero esisterne dopodomani per votare contro l’utero in affitto? Non facciamoci ingannare. Chi sposta oggi in avanti il limite del lecito, domani lo sposterà ancora un po’ più avanti, e così via».
Il motivo di questo progressivo cedimento, ha detto Mons. Crepaldi, è semplice ed evidente: «Se è nelle nostre mani infrangere oggi un principio della legge morale naturale, non si capisce perché non possa essere nelle nostre mani infrangerne un altro domani. Si avvia così un processo che si fermerà solo ad un punto: quando saranno resi non negoziabili i principi contrari a quelli non negoziabili; quando diventerà obbligatorio non rispettare i principi della legge morale naturale. A quel punto, però, il sistema totalitario sarà completato».
Tornando alle finalità della Scuola di Dottrina sociale che si accingeva ad inaugurare a Trieste, egli ha aggiunto: «A cosa serve formare dei cattolici in modo talmente generico e debole da dover sopportare poi il loro “sì” a leggi pessime?». Abbiamo bisogno di politici cattolici che si battano per il bene contro il male, disposti anche a pagare qualcosa quando questa scelta si fa acuta: «La volontà, scriveva Benedetto XVI nella Spe salvi, deve avere davanti a sé la ragione che le indica il vero, e la ragione deve avere davanti a sé la speranza cristiana che dà la forza del sacrificio per il rispetto della verità».
Siccome il tradimento del voto cattolico in Senato ha riguardato fondamentali della legge morale naturale, L’Arcivescovo Crepaldi ha concluso proprio su questo punto: «Formare laici cattolici che, al momento della prova politica, non si dimentichino di essere cattolici e di avere alle spalle la Chiesa con i suoi insegnamenti, compresa la difesa della legge morale naturale, ossia del progetto di Dio Creatore sulla comunità umana. Chi la nega o non la rispetta, dovrebbe dirci con cosa intenda sostituirla come criterio per discernere il bene e il male nelle relazioni sociali che non sia solo la ragione del più forte».

(Fonte: (Stefano Fontana, La Nuova BussolaQuotidiana, 8 marzo 2016)



sabato 5 marzo 2016

Il valore delle regole

Eutanasia, cannabis, utero in affitto: sono l’oggetto di diverse proposte di legge, per alcune delle quali sta iniziando l’iter alla Camera dei deputati. Insomma, il calendario dei lavori non si fa mancare niente in quanto a tematiche antropologicamente sensibili, considerando anche che prosegue il cammino della legge sulle unioni civili – passata a Montecitorio – mentre inizia la discussione sul testamento biologico in commissione Affari sociali.
I tempi per arrivare alla votazione finale sulle diverse proposte entro questa legislatura ci sono tutti (anche se per la maternità surrogata, presentata finora solo in conferenza stampa, l’aria è quella di una provocazione con scarse possibilità di esiti concreti): è innegabile una pressione sempre più pesante, un vero e proprio assedio culturale, mediatico e, inevitabilmente, anche politico, che mira a costruire un Mondo Nuovo in cui si scardinano le certezze delle relazioni fondanti che da sempre hanno caratterizzato l’umanità. Un Mondo Nuovo in cui non ci sono più padri e madri ma genitori a numero progressivo (uno, due, tre...), definiti da appositi contratti commerciali, in cui si vendono, si comprano o si affittano parti del corpo e bambini, a seconda delle necessità; un Mondo Nuovo in cui la solidarietà verso chi soffre non significa più condividere bisogni e alleviare il dolore, ma offrire la morte in una solitudine medicalmente assistita; un Mondo Nuovo in cui è legittimo spiaccicarsi cervello e volontà nei cosiddetti "paradisi artificiali", e pazienza se sono i più giovani a farlo.
Un Mondo Nuovo che però non ha dietro di sé reali richieste popolari: non ci sono maggioranze nel Paese a rivendicare tutto questo, quanto piuttosto circoli ed élite iper-rappresentati nel dibattito pubblico, che utilizzano il mantra della «regolamentazione».
Il ragionamento è semplice: siamo davanti a fenomeni nuovi, che esistono e si stanno diffondendo sempre di più, e per questo li dobbiamo «regolamentare», cioè accettare, rendere legittimi, far entrare nel quadro normativo. Ma perché non il contrario? Per quale motivo "mettere una regola" ai contratti di utero in affitto, all’eutanasia, alla droga deve sempre e comunque significare aprire le porte a tutte queste pratiche, anziché chiuderle? Perché deve significare "sfrenare" e non piuttosto "arginare"?
Il fatto è che la regolamentazione non è intesa nelle centrali di certe iniziative legislative come un modo per limitare i danni e presidiare l’umano (dopo la sentenza che tracciato la via per portare alla mo rte di Eluana Englaro, per esempio, anche sui queste pagine ci si è battuti per una legge sul «fine vita» capace di impedisse che altre persone morissero come lei, a causa della negazione di acqua e cibo), ma è diventata la strada per realizzare il "lo facciamo perché è possibile": se qualcosa si può realizzare, e io lo voglio, diventa un mio diritto poterlo fare, e quindi ci deve essere una legge per disegnare questo "diritto".
Qualcuno li ha chiamati i "diritti insaziabili", quelli su cui si basa il Mondo Nuovo, quelli in cui a ogni desiderio corrisponde un diritto, che quindi richiede una legge che lo "regoli", cioè lo renda legittimo ed esigibile.
E quando questo non accade, allora c’è sempre qualcuno che parla di "vuoto normativo", e per questo a gran voce invoca la legge che realizzi il desiderio, trasformandolo in diritto, in un crescendo vorticoso di desideri, diritti e leggi come quello a cui stiamo assistendo in questi tempi nella nostra società e, negli ultimi mesi, nel nostro Parlamento. Un quadro davanti al quale dovremmo piuttosto fermarci, e riflettere se è veramente questo Mondo Nuovo che davvero vogliamo.

(Fonte: Assuntina Morresi (foto), Avvenire, 4 marzo 2016)



Messori: oggi serve l'apologetica, non il “teologicamente corretto”. Il modello? Gesù con i discepoli di Emmaus

È voce comune che Vittorio Messori sia l’autore che, nel postconcilio, ha riscoperto e rilanciato l’apologetica, una parola che forse a tanti non dice nulla, mentre per altri risulta perfino desueta se non irritante. Anche per questo l'Istituto di Apologetica, fondato da poco a Milano, ha recentemente dato alle stampe un“Dizionario Elementare di Apologetica”, un testo che sta incontrando un ottimo  successo di vendite. Il Dizionario, a cura di Gianpaolo Barra, Mario Iannacone e Marco Respinti, raccoglie 140 voci compilate da 36 esperti, con uno schema molte semplice: definizione, obiezioni, risposte e suggerimenti bibliografici. Le voci vanno dall’aborto, a Giordano Bruno, dal comunismo, alla Cristiada, poi i diritti umani, i fenomeni mistici, la legge naturale, i miracoli, le stimmate di Padre Pio, la Sindone , Inquisizione, crociate  e tanto altro ancora.
Messori, ma cos’è l’apologetica?
L’apologetica è un discorso che, prima di tutto, è a difesa della ragione umana. Prima di essere la difesa dagli argomenti dei non credenti, dalle aggressioni degli avversari della fede cristiana, in particolare cattolica, è la difesa del nostro intelletto. Serve a mostrare, innanzitutto a noi stessi, che il cristiano non è un cretino, come è stato detto da qualcuno. Si tratta, cioè, di esporre le ragioni per credere, mostrandone la fondatezza logica.  Serve a mostrare che c’è un legame stretto tra i due grandi doni che il Creatore ci ha fatto: il primo, appunto, è quello della ragione, che dobbiamo usare fino in fondo proprio per trovare, scoprire e confermare, la verità dell’altro grande dono, che è quello della fede in Gesù Cristo. L’apologetica è difesa della nostra buona reputazione: i cristiani non sono dei visionari. Ma è anche difesa della buona reputazione della Chiesa cattolica perché esamina le accuse che le sono state rivolte per tanti eventi della storia e ricostruisce su documenti e fonti autentiche ciò che è davvero successo. Scoprendo che spesso che le cose non sono andate come proclama  la vulgata laicista.
Eppure a qualcuno questa disciplina  non piace, perché la ritiene aggressiva…
Specialmente dopo il Vaticano II il termine apologetica ha cominciato a dare  fastidio, soprattutto al clero  “teologicamente corretto”. E anche oggi non piace a preti e teologi sedicenti “adulti”. Negli studi nei seminari  è stata sostituita da quella che chiamano “Teologia fondamentale” che però, volendo essere irenica ed ecumenica all’eccesso, mi pare assai poco efficace. Una cosa però va riconosciuta: la crisi è stata determinata anche da quei cattolici che, soprattutto nell’800, hanno fatto un'apologetica poco rigorosa, nel senso che dava per scontato ciò che non lo era, ed eccessivamente aggressiva. L’apologetica è benefica ma può essere pericolosa, da maneggiare con cura: se non è rigorosa e pacata, può fare più male che bene.
Come spiegare il successo nelle librerie di un testo come il “Dizionario elementare di Apologetica”?
Perché questa benedetta apologetica è sempre stata una necessità, direi fondamentale, del cristianesimo. Nasce con Gesù stesso, sulla via di Emmaus. Il misterioso viandante che accompagna i due discepoli delusi, si rivolge loro dicendo davanti alla loro mestizia: «Stolti e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti!» Luca poi aggiunge che il pellegrino, incominciando da Mosè e da tutti i profeti, «spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui». Gesù qui, riferendosi alle profezie, usa veri e propri argomenti apologetici. E se l’apologetica risponde al bisogno di raccordare ragione e fede, allora, così come nasce con il Vangelo stesso, deve accompagnare la fede fino al ritorno di Cristo. Il cristiano deve, come si legge nella prima lettera di Pietro, essere sempre pronto a dare ragione della speranza che gli  è stata donata. Il successo di questo Dizionario conferma una simile  necessità.
In un suo libro lei ha riportato una citazione di Leo Moulin che parlava del capolavoro della propaganda anticristiana raggiunto nel paralizzare i cattolici in una autocritica masochista.  
Quella considerazione il mio amico Moulin, docente all’università di Bruxelles, me la fece durante un viaggio. I cattolici sono stati paralizzati in un’autocritica masochistica proprio perché gli era stata tolta l’apologetica. In fondo le obiezioni contro la fede si riducono a tre: la negazione di Dio, la negazione della verità dei Vangeli e la critica spesso “taroccata” e sommaria  della Chiesa Cattolica. E allora, siccome nessuno ha più spiegato ai cattolici che è possibile con la ragione stessa arrivare all’intuizione di un Dio creatore, che è possibile mostrare che le basi storiche del Vangelo sono solide e sicure, e che molte delle vicende che si raccontano sulla storia della Chiesa sono bufale o deformazioni, o pretesti polemici, ecco che il disagio e persino  la vergogna sono nati nel cuore e nella mente di tanti cattolici. Di qui all’autocritica masochistica di cui parlava Moulin il passo, purtroppo, è molto breve.
Lei viene spesso indicato (lo dicevamo all’inizio) come l’autore che ha “rivitalizzato” l’apologetica. Come è avvenuto?
Il mio primo libro, Ipotesi su Gesù, è apparso nel 1976, durante quelli che possiamo definire gli anni di piombo della Chiesa. Gli anni in cui Paolo VI parlava addirittura di un «fumo di Satana» entrato nei sacri palazzi e di «un pensiero non cattolico che stava diventando egemone anche fra cattolici». Ero da poco convertito e pressoché sconosciuto per il mondo cattolico. Anche per questo  tutti, a cominciare da me, rimasero sorpresi dalla diffusione impressionante, nel mondo intero, di quel libro. Diffusione  che, tra l’altro, continua ancora oggi. Questo riscontro impensato  è dato dal fatto che probabilmente quel libro rispondeva ad una domanda che non trovava risposta: la domanda dei credenti che si chiedevano se fosse ancora possibile credere senza rinnegare la ragione, e quella dei non credenti che si chiedevano come mai ci fosse ancora qualcuno che prendeva sul serio i Vangeli. Dopo il Concilio si era fatto un vuoto, si battagliava sulle riforme dell’istituzione ecclesiale ma non ci si interrogava sulla fede. C’era, lo ripeto, nel mondo cattolico, una grande domanda che non trovava offerta editoriale. E questa venne, a sorpresa  anche sua, da un ancor giovane redattore, al suo primo libro, del  quotidiano degli Agnelli, con un direttore ebreo, un vice direttore famoso anticlericale e una redazione in gran parte laicista e spesso massonica… Se avessi voluto fare carriera a La Stampa, essere l’autore diIpotesi su Gesù (libro per il quale io stesso chiesi l’imprimatur, per garanzia mia e del lettore e che volli fare editare  dai miei amici salesiani della SEI) era l’ultima  delle benemerenze…
S. Giovanni Paolo II, nel 2002, disse che «abbiamo bisogno di una nuova apologetica», cioè di un nuovo modo di difendere e promuovere il Vangelo. Cosa significa oggi?
L’apologeta deve saper leggere i segni dei tempi. Oggi, per esempio, vi sono realtà che sul piano ragionevole vanno contrastate e che erano impensabili nell’800, o nel primo ‘900, ad esempio la difesa di una legge naturale di fronte ad istanze come quella delle adozioni per le coppie omosessuali, o l’eutanasia. La necessità di una «nuova apologetica» di cui parlava san Giovanni Paolo II è una verità sempre valida, perché l’apologetica, in certo senso, deve essere sempre “nuova”, ovvero noi non sappiamo quali potranno essere gli errori portati avanti da una certa cultura tra trenta o cinquanta anni. Anche se, intendiamoci, ci sono domande e dubbi che accompagnano ogni generazione e che dunque, esigono sempre una risposta. In ogni caso, credo proprio  che consultare il neonato  “Dizionario elementare di apologetica” possa  aiutare noi credenti  spesso impegnati in contestazioni al contempo vecchie e nuove. 

(Fonte: Lorenzo Bertocchi, Il Timone, 5 marzo 2016)