mercoledì 16 febbraio 2022

Diritto al perdono? Così si annulla la misericordia


Da Fazio, il Papa parla di diritto universale al perdono. Ma come si fa a rivendicare il diritto a un dono? Il perdono è prerogativa di Dio misericordioso, che oltrepassa la misura della giustizia e del diritto. Il comando di perdonare nasce dalla consapevolezza che noi stessi siamo stati perdonati per misericordia, non per diritto. Le parole di Francesco hanno un effetto paradossale: affermando il “diritto al perdono”, finiscono per annullare il campo della misericordia.

 

Si può dire che esista un diritto al perdono? A ben vedere la parola “perdono” è composta dal prefisso “per”, che indica la ragione, il motivo di qualcosa, e la parola “dono”, che per definizione pare non sia affatto qualcosa di dovuto. Affermare dunque un diritto al perdono sarebbe come rivendicare il diritto ad un dono: una contraddizione in termini.

Eppure alla domanda di Fabio Fazio se ci sia qualcuno che non meriti la misericordia di Dio o il perdono degli uomini, Francesco ha dato una risposta francamente difficile da comprendere (vedi qui), anche solo secondo la grammatica: «La capacità di essere perdonato è un diritto umano», ha risposto, ben sapendo che sarebbe stata una risposta «che forse farà scandalizzare qualcuno». E ha così continuato: «Tutti noi abbiamo il diritto di essere perdonati, se chiediamo perdono. È un diritto che nasce proprio dalla natura di Dio ed è stato dato in eredità agli uomini. Noi abbiamo dimenticato che qualcuno che chiede perdono ha il diritto di essere perdonato. Tu hai fatto qualcosa, lo paghi. No! Hai il diritto di essere perdonato, e se poi tu hai qualche debito con la società arrangiati per pagarlo, ma con il perdono». Francesco ha poi richiamato la parabola del figlio prodigo, narrata nel Vangelo di Luca, commentandola in un modo diametralmente opposto al senso del testo, ossia che il figlio avrebbe avuto il diritto di essere perdonato; solo che non lo sapeva e perciò ha esitato a tornare alla casa paterna...

Una frase decisamente ingarbugliata, che sembra dapprima affermare addirittura che Dio abbia per natura il diritto di essere perdonato; diritto che poi lascia in eredità agli uomini. Vogliamo pensare che il problema nasca da una comprensibilmente non appropriata conoscenza della lingua italiana; motivo per cui sarebbe meglio evitare di rispondere a braccio, specie in una trasmissione televisiva. Teniamo per buono che invece Francesco intendesse dire che Dio per natura è portato al perdono. Bene. Questo giustificherebbe l’espressione che gli uomini abbiano diritto al perdono nei confronti di Dio, intendendo questo diritto come umano, cioè come proprio della natura umana?

La risposta è no. E non si tratta di restringere la misericordia di Dio. Al contrario, il perdono è prerogativa di Dio misericordioso, che oltrepassa la misura della giustizia e pertanto del diritto. La parabola del figliol prodigo, prima della distorsione andata in onda a Che tempo che fa, ha sempre significato la sovrabbondanza del perdono del padre, non l’esecuzione di un atto dovuto. Dalla parte del figlio pentito, non ci sono parole di rivendicazione, ma di profonda umiliazione, al punto da dichiararsi indegno di essere chiamato figlio. Secondo Bergoglio, invece, se il figlio fosse stato consapevole del suo diritto umano, cosa avrebbe dovuto fare? Andare dal padre e dirgli: “Va bè, ho sbagliato. In ogni caso tu mi devi perdonare, perché è mio espresso diritto. Altrimenti chiamo i carabinieri”?

Anche nei confronti degli uomini, non si può rivendicare un diritto al perdono. Certamente il reo non perde ogni diritto; infatti egli può rivendicare di aver subito una punizione ingiusta e sproporzionata rispetto alla colpa commessa; ma non può in alcun modo esigere il perdono. La parabola evangelica principale relativa al perdono (Mt 18, 23-35) mostra che il re, di fronte a colui che gli doveva diecimila talenti, dapprima agisce secondo stretta giustizia e poi ne condona completamente il debito. Ancora una volta, la parola non lascia in alcun modo trasparire che il debitore avesse il diritto di essere perdonato. Il comando di perdonare a nostra volta il nostro prossimo non nasce da un diritto dei “nostri debitori”, ma dalla consapevolezza che noi stessi siamo stati perdonati per misericordia, non per diritto.

L’affermazione di Francesco ha, tra l’altro, la conseguenza di annullare d’emblée la Redenzione di Cristo. Non un dettaglio secondario. Cosa intende san Paolo quando afferma che Cristo «morì per i nostri peccati secondo le Scritture» (1Cor 15, 3)? O quando scrive che veniamo «giustificati gratuitamente per la grazia in virtù della redenzione realizzata da Cristo Gesù» (Rm 3, 24)? San Tommaso spiega, con la sua consueta chiarezza, che la Redenzione è un atto di giustizia, perché Gesù ha soddisfatto per i peccati degli uomini, e di misericordia, perché l’uomo non era in grado di farlo. Vediamo il testo della Summa Theologiae: «Che l’uomo sia stato liberato per la passione di Cristo, ciò conviene sia alla misericordia sia alla giustizia: a questa perché Cristo ha soddisfatto per il peccato del genere umano, e l’uomo è stato dunque liberato dalla giustizia di Cristo; alla misericordia anche, perché l’uomo non poteva soddisfare da se stesso per il peccato del genere umano e Dio gli ha dato suo Figlio in soddisfazione, e questo fu il frutto di una misericordia più abbondante che se Dio avesse rimesso i peccati senza soddisfazione» (III, q. 46, a. 1, ad3).

Questo significa che la Redenzione operata da Cristo non è un atto di giustizia, intesa nel senso che agli uomini sarebbe spettata per diritto naturale, ma è un atto di giustizia solo nel senso che egli si è offerto di soddisfare per quanto non era tenuto; come se qualcuno si offrisse di saldare il debito di un privato nei confronti di una banca. E questa soddisfazione vicaria trova la sua ragione nell’infinita misericordia di Dio. Se l’essere perdonato fosse un diritto umano, e Dio pertanto fosse tenuto a perdonare l’uomo come dovere di giustizia, dove starebbe la misericordia? E dove dunque il mistero della Redenzione?

Francesco, con questo suo intervento, ha pertanto ottenuto un effetto paradossale: affermando il presunto “diritto al perdono” ha finito non solo per restringere, ma addirittura annullare il campo della misericordia.

 

(Fonte: Luisella Scrosati, LNBQ, 8 febbraio 2022)

Diritto al perdono? Così si annulla la misericordia - La Nuova Bussola Quotidiana (lanuovabq.it)

  

giovedì 10 febbraio 2022

Caro papa Benedetto, noi siamo con te


Caro Papa Ratzinger, ti dichiaro il mio smarrimento e la mia indignazione di fronte a questi attacchi che ti stanno arrivando, facendoti passare per complice di abusi sessuali. È una sofferenza intima e spirituale la mia per quello che sta accadendo e voglio dirti tutto il mio grazie per come hai sempre guidato la Chiesa nella Verità e per come ci hai mostrato un Dio vicino a noi, Noi della comunità Shalom continueremo a pregare per te.

 

Caro e Amato Papa Ratzinger, ho avuto modo di incontrarti personalmente in alcune circostanze particolari e benedette; ricordo con particolare emozione ed affetto l’incontro del 14 settembre 2012, quando sono stata a trovarti accompagnata da quasi 200 ragazzi della Comunità!

In quella circostanza avevo - nel mio intimo pensiero - ancora molti pregiudizi nei tuoi confronti: ti consideravo troppo severo, troppo chiuso perché, inevitabilmente, ti confrontavo con Giovanni Paolo II che per così lungo tempo ha guidato con Amore e Passione la nostra “Famiglia”: la Chiesa! Ed era così coinvolgente, oltre che dal punto di vista spirituale anche dal punto di vista umano.

Ebbi l’immensa grazia e gioia di incontrare personalmente Giovanni Paolo II almeno in cinque occasioni e quasi sempre con i ragazzi della Comunità. La sua bontà, la sua spiritualità, il suo coraggio di additare la fede ai giovani come asse portante di uno “stile di vita” aveva fatto breccia nel mio cuore e nel cuore di milioni di giovani.

Ebbene caro Papa, quando quel 14 settembre mi inginocchiai per baciarti l’anello e tu mi sollevasti con le tue braccia, dall’emozione non capii nulla delle parole rivoltemi, in quella circostanza, ma mi sentii squallida nell’incrociare i tuoi occhi colmi di sofferenza. Quella frazione di alcuni secondi ha denudato tutta la mia miseria, demolendo la mia opinione nei tuoi confronti, facendomi vergognare al solo pensiero di non aver capito, come suora, la tua sofferenza nascosta e celata agli occhi del mondo, ma soprattutto la profondità del Tuo Amore alla Croce di Cristo!

Grazie Papa.
Per questo motivo volevo dimostrarti tutto il mio affetto, il mio amore, i miei sentimenti, non solo di solidarietà, ma di indignazione per le modalità inique ed inquietanti con cui ti sono pervenute le “accuse” di aver “coperto” i pedofili!
È stata una sofferenza intima e spirituale, la mia, che, come suora, mi ha travolta e colpita profondamente nell’anima: vedere il “Papa” così gratuitamente sporcato e declassificato a “complice”, accusato di aver coperto squallide vicende che hanno toccato a lato, come una tangente, il tuo percorso di Pastore nella Chiesa di Monaco.
Tu, caro Papa, che per primo hai avuto il coraggio di chiamare gli “sporcaccioni consacrati” Servi di Satana!

Chi scrive sta prendendo le difese a “copertura” di Papa Ratzinger? No, assolutamente no! Chi sta scrivendo, al contrario, è una che fece arrestare un prete coinvolto nel giro della pedofilia, ed è considerata da molti, buonisti e aperturisti, una “talebana” perché semplicemente filtro chi entra nella mia Comunità (anche se sacerdote) e al solo sospetto” chiudo definitivamente ogni possibilità di contatto con i miei ospiti.
Perciò non sono dalla parte della sponda “tollerante” su questo argomento.

Caro Papa, ti dichiaro il mio smarrimento di fronte ad una Cristianità diventata incapace di tutelare chi è stato, per alcuni anni, come diceva Santa Caterina da Siena: “il Rappresentante del Dolce Cristo in terra!”
Anni difficili i nostri, caro Papa, anni dominati dal “pensiero compulsivo-ossessivo” del fallimento della coscienza, della spiritualità, della perdita di valori, compresa la gratitudine di rivolgerci a Dio per la vita donataci!

Oggi la parola chiave è: “demolizione”. Tutto è problematico, incerto, discutibile; tutto pare crollare nel dubbio, nell’angoscia, nell’insicurezza. E così si è perso “l’equilibrio” dei ruoli familiari di padre, di madre, di figlio, tutto è all’insegna delle rivendicazioni più improbabili e con tutte le forme possibili di “eguaglianza”: i giovani nei confronti degli adulti, gli alunni nei confronti degli insegnanti, i sottoposti nei confronti dei superiori, i figli nei confronti dei genitori. E il tutto nel tentativo di esorcizzare, riparare, di cancellare.

Anni inquieti e febbrili, caro Papa, dove il “vuoto mentale” ci ha resi incapaci di riconoscimento delle nostre responsabilità e di profondi esami di coscienza (gli unici capaci di farci superare le forti barriere ideologiche) e di costumi che hanno permeato ogni aspetto della nostra vita.
Non c’è mai tempo per metabolizzare: il tutto è così rapido, molto rapido, troppo rapido, e se non vuoi rischiare “l’emarginazione sociale”, al massimo ti è consentito un atteggiamento di benevola neutralità.

E Tu, caro Papa Ratzinger, non ci hai mai lasciati nel limbo!
Tu, caro Papa, hai sempre preso posizione a “favore della Verità” dei poveri, degli umili, degli emarginati, di coloro che, perché Cristiani, non contano nulla; non hanno titoli, possono solo, con umiltà e dolore, spendere, faticosamente giorno per giorno, nella scia del sangue di Cristo, la loro vita.
Tu, caro Papa, hai dato consistenza religiosa e spirituale a tutti quelli che hanno chiesto di essere e di vivere da “cristiani”, non per tradizione ma per scelta.

Grazie Papa Ratzinger, perché, non hai connotato la Fede come un programma politico o una modalità diplomatica, frutto di una accomodante e rispondente soluzione ai nostri desideri.
Ci hai presentato Dio, caro Papa, come “Famiglia” in cui l’amore è per davvero sempre in circolo, mai fermo e arrestante.
È la “nostra Storia”, è la storia della Chiesa, è la storia della nostra Famiglia, con un Suo stile di Vita, con una Sua Fedeltà, con una Sua Tradizione, indicandoci sempre come obiettivo unico: Gesù.

Grazie Papa Ratzinger, perché ci hai mostrato un Dio vicino a noi
Ci hai insegnato a non temere lo scontro con il muro invalicabile” del mondo, con le sue pretese di imporci le sue priorità e i suoi valori.
Ci hai insegnato a non balbettare di fronte a ideologie e opinioni che ci distolgono dalla Parola di Dio nel tentativo di “catturarci, assorbirci e annullarci” come cristiani.

GRAZIE PAPA!!!

Grazie Papa: ci hai sempre indicato una vetta alla quale si arriva solo al termine di un lungo e faticoso cammino in salita.
Ti voglio bene Papa, ti vogliamo bene Papa, puoi contare sempre su di noi.
La sottoscritta, suor Rosalina, semplice sguattera che passa volentieri il suo tempo a cercare di “pulire…” e tutti i giovani della Comunità “Shalom”, continueremo a pregare per Te. Ti presentiamo a Gesù nelle mani di Maria.

 

(Fonte: Sr. Rosalina Ravasio, LNBQ, 10 febbraio 2022)

https://lanuovabq.it/it/caro-papa-benedetto-noi-siamo-con-te

 

Duka difende Benedetto XVI: “Un tradimento contro di lui”


Vicenda abusi. In una nota intitolata “Monaco tradisce la seconda volta” (un richiamo alla famigerata Conferenza del 1938), il cardinale e primate ceco Dominik Duka accusa l’arcivescovo di Monaco, la Curia locale e il presidente dell’Episcopato tedesco di aver diffamato il Papa emerito.

 Da quando sono partiti gli ignobili e strumentali attacchi contro Benedetto XVI, dopo la pubblicazione del rapporto sugli abusi sui minori nell’Arcidiocesi di Monaco, si sono sentite poche voci in difesa del Papa emerito. Perciò va segnalata la decisa presa di posizione dell’arcivescovo di Praga e primate della Repubblica Ceca, il cardinale domenicano Dominik Duka [nella foto, di W. Redzioch, ndr]. E si tratta di un porporato di grande statura: perseguitato durante il comunismo, condannato per la sua attività pastorale, in prigione fece amicizia con il futuro presidente Vaclav Havel. Il prossimo 26 aprile l’arcivescovo compirà 79 anni, ma - nonostante abbia presentato le sue dimissioni quasi quattro anni fa - papa Francesco non ha fretta di mandarlo in pensione.

Il cardinale Duka ha deciso di protestare contro il trattamento riservato a Benedetto XVI nell’Arcidiocesi di Monaco pubblicando una nota sul sito dell’Arcidiocesi di Praga (Prohlášení kardinála Dominika Duky k obviněním Benedikta XVI - Apha). Il primate ceco ha accusato pubblicamente l’arcivescovo di Monaco e Frisinga (Reinhard Marx), la Curia locale e il presidente dell’Episcopato tedesco (Georg Bätzing) per aver diffamato l’anziano Pontefice e infangato la sua reputazione.

In questo modo il primate ceco ha reagito alla lettera di Benedetto XVI pubblicata martedì 8 febbraio e all’analisi ad essa allegata, in cui avvocati e collaboratori del Papa emerito, passo dopo passo, confutano le accuse mosse contro di lui, contenute nel rapporto sugli abusi nell’Arcidiocesi di Monaco. Il cardinale Duka non usa mezzi termini. La sua nota di protesta contro gli attacchi a Benedetto XVI è intitolata significativamente “Monaco tradisce per la seconda volta”, paragonando così tutto quello che succede oggi a Monaco alla tristemente famosa conferenza svoltasi a Monaco nel 1938 e conclusasi con un accordo che portò all’annessione alla Germania nazista di vasti territori della Cecoslovacchia: allora il Paese fu tradito dagli Stati occidentali, la Francia e il Regno Unito. Il primate di Boemia scelse come incipit della sua dichiarazione anche le parole pronunciate dal suo eroico predecessore, il card. Josef Beran: “Non taccia, Arcivescovo!”. E il porporato ceco, parafrasando quelle parole, si rivolge a sé stesso: “Vecchio cardinale, non puoi tacere, devi gridare!”.

E l’arcivescovo di Praga grida. Con grande rammarico ammette che il modo in cui l’Arcidiocesi di Monaco ha usato il Rapporto è per lui una delle più grandi delusioni che ha sperimentato nella Chiesa cattolica romana. Sottolinea che nel Rapporto, costato probabilmente centinaia di migliaia di euro, Benedetto XVI è stato ingiustamente calunniato e ferito. Si è fatto sì che questo Rapporto non potesse essere interpretato a suo favore e che non considerasse nemmeno la possibilità di un chiarimento. “Cosa dovrebbe significare tutto questo?”, si chiede il card. Duka, annunciando che analizzerà tutta la faccenda in modo dettagliato in un articolo sulla rivista tedesca Die Tagespost.

Speriamo che questo amaro grido di sdegno contro i perfidi e ingiustificati attacchi contro il Papa emerito che vengono orchestrati, purtroppo, prima di tutto da una parte della sua patria e della sua Chiesa sarà da esempio per gli altri vescovi del mondo.

 

 (Fonte: Wlodzimierz Redzioch, LNBQ, 10 febbraio 2022)

https://lanuovabq.it/it/duka-difende-benedetto-xvi-un-tradimento-contro-di-lui

  

Il j'accuse di Benedetto XVI: «Non ho mentito»


La lettera del Papa emerito Benedetto XVI non è un mea culpa di responsabilità ma un duro j'accuse nei confronti di chi, strumentalizzando una svista dei suoi collaboratori, ha finito per dubitare della sua veridicità, e addirittura per presentarlo come bugiardo. Ratzinger ha osservato che avendo «avuto grandi responsabilità nella Chiesa cattolica più grande è il mio dolore per gli abusi e gli errori che si sono verificati durante il tempo del mio mandato nei rispettivi luoghi». 

 I giornali l'hanno descritta prevedibilmente come un mea culpa, ma la lettera del Papa Emerito sul rapporto di Westpfahl Spilker Wastl è, piuttosto, un j'accuse. Un atto d'accusa nei confronti di chi, strumentalizzando una "svista", ha finito per "dubitare" della sua "veridicità", e "addirittura" per presentarlo "come bugiardo". La svista menzionata da Benedetto XVI è quella compiuta da uno dei collaboratori che lo hanno aiutato a scrivere la memoria di 82 pagine inviata allo studio legale di Monaco e da quest'ultimo allegata nel dossier sulla gestione degli abusi nell'arcidiocesi da lui guidata tra il 1977 ed il 1982.

Come è stato spiegato ieri in un'analisi dei quattro autori della memoria (Stefan Mückl, Helmuth Pree, Stefan Korta, Carsten Brennecke), per un errore di trascrizione fatto dal canonista Stefan Korta si è sostenuto erroneamente che l'allora arcivescovo non partecipò alla riunione dell'Ordinariato del 15 gennaio 1980 durante la quale venne deciso di accogliere a Monaco Peter Hullermann, prete già responsabile di abusi ad Essen. Lo sbaglio commesso nella memoria è stato usato dai detrattori di Benedetto XVI per delegittimare tutta la sua tesi difensiva.

In realtà, la presenza dell'allora cardinal Ratzinger a quella riunione era già emersa pubblicamente nel 2010 e La Nuova Bussola Quotidiana ne aveva già parlato in un articolo precedente alla pubblicazione del report. Una buccia di banana, dunque, su cui è inciampato "il piccolo gruppo di amici" del Papa Emerito ma che certamente non è una prova della veridicità delle accuse. Come avevamo spiegato nei due articoli dedicati al caso di Hullermann, durante quella riunione incriminata l'arcivescovo si era limitato ad accettare il trasferimento del prete a Monaco ma non aveva disposto alcun incarico pastorale.

Ratzinger, peraltro, sapeva che il sacerdote pedofilo era in terapia psicoterapeutica ma non che vi fosse stato destinato per aver commesso abusi sessuali su un minorenne. Nell'analisi dei suoi collaboratori diffusa ieri dalla Sala Stampa della Santa Sede è stato infatti ricordato come gli stessi periti dello studio legale, nel corso della conferenza stampa di presentazione del report, abbiano ammesso di non avere le prove che l'ex arcivescovo sapesse, dovendo riconoscere "secondo l’opinione soggettiva" (frecciata degli amici del Papa Emerito) che questa circostanza era soltanto "maggiormente probabile”. 

L'errore commesso da Korta, in ogni caso, viene giustificato da Benedetto XVI ("non è stato intenzionalmente voluto e spero sia scusabile") che nella sua lettera ringrazia il "piccolo gruppo di amici" che "con abnegazione" ha redatto le 82 pagine difensive, ricordando come abbia provveduto a correggerlo sin da subito nel giorno della presentazione del dossier alla stampa, mediante la dichiarazione diffusa dal suo segretario personale, monsignor Georg Gänswein. D'altra parte, la partecipazione alla riunione del 15 gennaio 1980 veniva riportata anche nella recente biografia di Peter Seewald che è stata sicuramente precedentemente letta ed approvata dal Papa Emerito. 

Per comprendere come sia potuto avvenire un errore simile, però, occorre leggere le modalità in cui si sono ritrovati a lavorare i quattro autori della memoria inviata allo studio Westpfahl Spilker Wastl. Sono loro stessi a raccontarlo nell'analisi pubblicata ieri: "La visione degli atti in versione elettronica - scrive il team del Papa Emerito - fu consentita al solo Prof. Mückl, senza che fosse concessa la possibilità di memorizzare, stampare o fotocopiare documenti. A nessun altro dei collaboratori fu consentito di visionare gli atti. Alla presa in visione degli atti in formato digitale (8.000 pagine) e alla loro analisi da parte del Prof. Mückl, seguì un’ulteriore fase di elaborazione da parte del Dott. Korta, il quale ha inavvertitamente commesso un errore di trascrizione".

Una volta arrivate sulla sua scrivania le 82 pagine, "Benedetto XVI non ha notato l’errore per via dei tempi limitati imposti dai periti, e si è fidato di quanto era scritto, e dunque è stata messa a verbale la sua assenza". A questa svista si sono aggrappati coloro i quali hanno voluto attaccare il Papa Emerito novantaquattrenne, ma a dargli forza ci hanno pensato le numerose lettere d'incoraggiamento arrivate in questi giorni al monastero Mater Ecclesiae ed anche "l’appoggio e la preghiera" che il suo successore Francesco ha voluto fargli arrivare "personalmente". 

E a proposito di "mea culpa" è la locuzione del Confiteor a suscitare in Benedetto XVI una riflessione più generale sulla vergogna da provare nei confronti delle vittime di abusi commessi da sacerdoti e che sarebbe scorretto - come molti stanno facendo - calare sul caso specifico di Hullermann su cui ha chiarito con forza la propria non colpevolezza. Ricordando gli incontri con le vittime ad ogni viaggio apostolico realizzato quando era pontefice regnante, Ratzinger osserva che avendo "avuto grandi responsabilità nella Chiesa cattolica (...) più grande è il mio dolore per gli abusi e gli errori che si sono verificati durante il tempo del mio mandato nei rispettivi luoghi". 

Dalle parole della lettera, specialmente quelle relative alle accuse di essere un bugiardo, appare evidente come il dossier e le reazioni mediatiche - soprattutto in patria - lo abbiano amareggiato, ma chi lo ha visto di recente riferisce comunque di un Benedetto XVI sereno, saldo nella fede e che non rinuncia al sorriso. C'è in lui, forte, la consapevolezza di ciò che ha scritto nel finale della sua lettera:

"Ben presto mi troverò di fronte al giudice ultimo della mia vita. Anche se nel guardare indietro alla mia lunga vita posso avere tanto motivo di spavento e paura, sono comunque con l’animo lieto perché confido fermamente che il Signore non è solo il giudice giusto, ma al contempo l’amico e il fratello che ha già patito egli stesso le mie insufficienze e perciò, in quanto giudice, è al contempo mio avvocato (Paraclito). In vista dell’ora del giudizio mi diviene così chiara la grazia dell’essere cristiano. L’essere cristiano mi dona la conoscenza, di più, l’amicizia con il giudice della mia vita e mi consente di attraversare con fiducia la porta oscura della morte. In proposito mi ritorna di continuo in mente quello che Giovanni racconta all’inizio dell’Apocalisse: egli vede il Figlio dell’uomo in tutta la sua grandezza e cade ai suoi piedi come morto. Ma Egli, posando su di lui la destra, gli dice: 'Non temere! Sono io...'".

 

(Fonte: Nico Spuntoni, LNBQ, 9 febbraio 2022)

https://lanuovabq.it/it/il-jaccuse-di-benedetto-xvi-non-ho-mentito

 


sabato 5 febbraio 2022

Il Papa da Fazio, un caso serio


L'annunciata partecipazione domani sera di papa Francesco al programma RAI "Che tempo che fa" denota una accentuata sconsacrazione del papato, la totale confusione tra sacro e profano, l'incapacità di capire il significato del sacro.

 La partecipazione, domani sera, di papa Francesco alla prossima puntata RAI di “Che tempo che fa” condotta da Fabio Fazio è una questione più seria di quanto possa sembrare e di quanto l’abbiano considerata anche i facili sarcasmi critici. Essa denota infatti una accentuata secolarizzazione (o sconsacrazione) del papato. Durante la rivoluzione comunista in Cina, Mao faceva sfilare nudi i Mandarini per mostrarne la ridicola debolezza una volta dismesse le solenni vesti cerimoniali e una volta fatti scendere dagli scranni del potere ieratico.

Eppure era stato Karl Marx, a cui Mao diceva di ispirarsi, a criticare nel Manifesto del partito comunista la desacralizzazione imposta dal capitalismo: “Tutto ciò che ha consistenza evapora, ogni cosa sacra viene sconsacrata e gli uomini sono finalmente costretti a considerare la loro posizione nella vita e i loro rapporti reciproci con uno sguardo disincantato”. Anche il marxismo, e forse soprattutto il marxismo, però, ha contribuito a questo disincanto dato che per esso tutto ciò che non è materia è sovrastruttura, ossia incanto, favola per bambini, fino a quando essi non si sveglieranno appunto dall’incanto. Max Weber ha descritto questo disincanto del mondo moderno e l’abbandono del sacro, considerato come una favola incantata.

Ricordo che nel 2003 girava molto il nome di Giovanni Paolo II per la candidatura al premio Nobel per la pace. In quell’occasione scrissi un articolo in cui dicevo di sperare che la cosa non avvenisse. Non perché Giovanni Paolo II non lo meritasse, ma perché in quel modo egli sarebbe stato collocato sullo stesso piano degli altri Nobel per la pace, mentre il papa è qualcosa di diverso, ha una connessione col sacro che gli altri non hanno. Nel 2003 si poteva ancora considerare una desacralizzazione la consegna ad un pontefice nientemeno che del premio Nobel per la pace, ora bisogna farlo per “Che tempo che fa”: come si vede il processo di secolarizzazione del papato procede in modo spinto.

E non si arresta: “Si è passati da una dominanza del sacro, fino all’invasione del profano nella vita del sacro e all’estromissione del sacro stesso” scriveva padre Cornelio Fabro nel 1974 parlando dell’avventura della teologia progressista. Pio XII lamentava che a quei suoi tempi non si prendessero con religioso ossequio le parole del papa nella sua predicazione ordinaria, quindi non appartenenti né al magistero solenne né a quello autentico, perché lo riteneva un atteggiamento irriverente rispetto all’investitura sacra dell’autorità pontificia.
Ci rimprovererebbe oggi Pio XII se non prendessimo con religioso ossequio le parole che Francesco dirà da Fabio Fazio, dove niente può essere accolto con religioso ossequio dato che non esiste trasmissione televisiva più irreligiosa? Ma se le parole del papa non possono venire accolte con religioso ossequio, a cosa servono? Da Fazio ci va Bergoglio o ci va il papa? In questa domanda c’è già l’allusione a tutta l’evoluzione della secolarizzazione del papato.

Identificare il “sacro” con l’”incanto” e la secolarizzazione con il “disincantamento” è proprio delle moderne ideologie illuministe che considerano la religione come una favola per bambini. Alle origini di questa secolarizzazione moderna del sacro c’è il luteranesimo che separa ragione e fede e quindi ammette una fede irragionevole, ossia incantata. Pensare di secolarizzare il papato togliendogli una presunta aura di incanto significa non aver capito il sacro. Il profano ha bisogno del sacro, che è il luogo dove rifugiarsi per evitare la sacralizzazione del profano. Il sacro permette al profano di essere profano, il tempio permette a ciò che sta fuori dal tempio di stare fuori dal tempio senza però dissolversi e senza voler giocare a fare il sacro.

Il sacro però ha bisogno di nascondimento per non essere profanato. Ha bisogno di un proprio linguaggio per non essere volgarizzato. Ha bisogno di protezione per non essere degradato. Da quando con Giovanni XXIII una telecamera entrò nell’appartamento papale e il tecnico della ripresa disse al papa di fingere di pregare, mentre un altro notava che purtroppo il bianco della veste rovinava l’immagine, è iniziato un processo non incontrollabile ma incontrollato. Soprattutto quando la secolarizzazione del papato non fu più considerata un mezzo pastorale per diffondere il messaggio cristiano ad un pubblico più vasto e raggiungere anche i lontani, ma divenne costitutivo dell’essere papa.

Dopo la svolta antropologica non si deve più dire Dio ma uomo e essere Francesco passa attraverso l’essere Bergoglio. La sacralità passa attraverso il profano. Tra storia sacra e storia profana, dicono i teologi avventuristi, non c’è più alcuna differenza e, quindi, nemmeno tra il palazzo apostolico e un set televisivo con il tragitto dall’uno all’altro mediato da Santa Marta. Se tra il presbiterio e il popolo non c’è più nessuna balaustra a dividere la Chiesa dal mondo, perché si dovrebbero ancora far valere queste separazioni tra sacro e profano? Perché mai un papa non dovrebbe andare da Fabio Fazio come qualsiasi altro?


(Fonte: Stefano Fontana, LNBQ, 5 febbraio 2022)

Il Papa da Fazio, un caso serio - La Nuova Bussola Quotidiana (lanuovabq.it)