Delineando la genealogia di Gesù, all’inizio del primo dei quattro Vangeli, la prima espressione che Matteo usa per riferirsi a Giuseppe è «lo sposo di Maria». È da Lei che «è nato Gesù chiamato Cristo», come subito aggiunge l’evangelista nel prosieguo del medesimo versetto (cfr. Mt 1, 16). Fin da qui, dunque, è chiaro che dal matrimonio con la santa Vergine discendono i diritti paterni di san Giuseppe e il suo ruolo straordinario, preordinato dall’eternità, nel servire il mistero della Redenzione.
Nel
ricordare i motivi per cui il capo della Santa Famiglia è patrono speciale
della Chiesa,
Leone XIII sottolineò - insieme alla paternità - proprio il matrimonio: «[…]
poiché tra Giuseppe e la beatissima Vergine esistette un nodo coniugale, non
c’è dubbio che a quell’altissima dignità, per cui la Madre di Dio sovrasta di
gran lunga tutte le creature, egli si avvicinò quanto nessun altro mai. Infatti
il matrimonio costituisce la società, il vincolo superiore ad ogni altro: per
sua natura prevede la comunione dei beni dell’uno con l’altro. Pertanto se Dio
ha dato alla Vergine in sposo Giuseppe, glielo ha dato pure a compagno della
vita, testimone della verginità, tutore dell’onestà, ma anche perché
partecipasse, mercé il patto coniugale, all’eccelsa grandezza di lei» (Quamquam
Pluries, 15 agosto 1889).
Un
secolo più tardi Giovanni Paolo II spiegava che Dio ha voluto incarnarsi, nella
pienezza dei tempi, in una famiglia.
Questa decisione divina doveva essere preceduta, nella sua concreta attuazione,
dalle nozze di Maria e Giuseppe. «Nel momento culminante della storia della
salvezza, quando Dio rivela il suo amore per l’umanità mediante il dono del
Verbo, è proprio il matrimonio di Maria e Giuseppe che realizza in piena libertà il dono
sponsale di sé nell’accogliere ed esprimere un tale amore» (Redemptoris
Custos, 7).
Riguardo
alla piena libertà di tale dono sponsale, va richiamato il fatto che mistici e dottori della
Chiesa insegnano che entrambi i santi sposi avevano fatto voto di verginità già
nella loro fanciullezza, ribadendolo poi nel matrimonio. Lo sapeva bene un noto
e compianto josefologo, padre Tarcisio Stramare (1928-2020), religioso degli
Oblati di San Giuseppe e tra i principali collaboratori di Giovanni Paolo II
alla stesura della RC. «Il matrimonio di Maria con Giuseppe, che era destinato
ad accogliere ed educare Gesù, comportava necessariamente - scrive padre
Stramare - la massima espressione dell’unione coniugale, ossia il grado supremo
del dono di sé. La verginità, che esprime e garantisce l’assoluta gratuità del
dono, va dunque candidamente ammessa in quel matrimonio, riconoscendo che essa
non solo non compromette l’essenza del matrimonio e della paternità, ma la
evidenzia e la difende, secondo il duplice assioma agostiniano: “sposo tanto
più vero quanto più casto” e “padre tanto più vero quanto più casto”» (La
Santa Famiglia di Gesù, Shalom, 2010, p. 75).
Maria
e Giuseppe, desiderando realizzare la sola volontà di Dio, si rendono docili
strumenti nelle Sue mani e
compiono dunque ciò che Adamo ed Eva non avevano saputo fare, cadendo per la
loro disobbedienza nel peccato originale, da cui deriva il disordine della
concupiscenza. Il santo matrimonio che precede l’incarnazione del Verbo è
quindi una realtà talmente legata ai misteri salvifici da essere fondamentale
in ogni autentica catechesi familiare. Come spiegò Paolo VI il 4 maggio 1970
nell’allocuzione al movimento Équipes Notre-Dame: «In questa grande
impresa del rinnovamento di tutte le cose in Cristo, il matrimonio, anch’esso
purificato e rinnovato, diviene una realtà nuova, un sacramento della nuova
Alleanza. Ed ecco che alle soglie del Nuovo Testamento, come già all’inizio
dell’Antico, c’è una coppia. Ma, mentre quella di Adamo ed Eva era stata
sorgente del male che ha inondato il mondo, quella di Giuseppe e di Maria
costituisce il vertice, dal quale la santità si espande su tutta la terra. Il
Salvatore ha iniziato l’opera della salvezza con questa unione verginale e
santa, nella quale si manifesta la sua onnipotente volontà di purificare e
santificare la famiglia, questo santuario dell’amore e questa culla della
vita».
Per
quanto detto, è oggi quantomai necessario dare il giusto risalto al legame sponsale tra
Maria e Giuseppe, sottolineandone la naturale reciprocità, in accordo ai
Vangeli. In questo senso, padre Stramare notava per esempio che perfino nelle
Litanie Lauretane manca ufficialmente un titolo che onori la Madonna quale
«sposa di Giuseppe», quando questo sarebbe conveniente, a maggior ragione per
rimediare alla liquidità di certa teologia contemporanea che ha tra le sue
vittime proprio la scomparsa del ruolo di Giuseppe, «specchio questo dello
squilibrio sociologico e culturale della famiglia moderna, dove la figura
“maschile” sta scomparendo sia come “padre” sia come “sposo”» (San Giuseppe
- Dignità. Privilegi. Devozioni, padre Tarcisio Stramare, Shalom, 2008).
Giuseppe
e il matrimonio con Maria, mistero di salvezza - La Nuova Bussola Quotidiana
(lanuovabq.it)