venerdì 29 giugno 2018

La Giornata di Studi su "Radici della crisi nella Chiesa"


«Non abbiamo l’autorità per chiudere il dibattito, però abbiamo il diritto di aprirlo»: con queste parole, pronunciate dal Prof. Roberto de Mattei, presidente di Fondazione Lepanto, si è chiusa l’importante Giornata di Studi sul tema «Radici della crisi nella Chiesa», svoltasi lo scorso 23 giugno a Roma presso l’Hotel Massimo d’Azeglio.
Giornata, il cui scopo – peraltro brillantemente raggiunto – è stato proprio quello di capire dove oggi vada la Chiesa, risalendo alle origini degli errori penetrati nel corso degli anni in tutto il Corpo Mistico di Cristo, dalla base sino ai vertici, per poi tornare, con l’aiuto di Dio, alla Verità cattolica, integrale e vissuta.
Gli esperti presenti – teologi, filosofi, storici e studiosi, molti dei quali firmatari della Correctio filialis a papa Francesco dello scorso anno –, hanno proposto un «approccio costruttivo, non astratto, non inutilmente polemico, ma concreto e fecondo di spunti», come ancora ha sottolineato il prof. de Mattei, per affrontare una crisi, di cui, aprendo i lavori, il prof. Joseph Shaw, presidente della Latin Mass Society inglese, ha evidenziato alcune «questioni» divenute «fondamentali» ovvero l’oggettività dei Sacramenti, la natura della grazia santificante, il ruolo della Tradizione e dell’autorità nella teologia, la natura della Verità nella fede e nella morale: «Il nuovo orientamento pastorale di papa Francesco è non avere fondamenti teologici di nessun tipo – ha proseguito il prof. Shaw –. La linea ufficiale dei suoi sostenitori è che esso sia compatibile con tutti i fondamentali della fede cattolica, ma che questa compatibilità non dovrebbe essere chiarita o discussa, pena la mancanza di fedeltà al Santo Padre».
Nella sua relazione introduttiva, il prof. Roberto de Mattei ha ricordato le origini del «modernismo» ed il significato attribuitogli da san Pio X per definire «la natura unitaria degli errori teologici, filosofici ed esegetici» ramificatisi all’interno della Chiesa: negazione del carattere rivelato dell’Antico e del Nuovo Testamento, della divinità di Cristo, dell’istituzione della Chiesa, della gerarchia, dei Sacramenti e del dogma.
Se Leone XIII cercò «una riconciliazione con quel mondo moderno che combatteva sul piano filosofico», san Pio X lo affrontò con l’enciclica Pascendi del 1907, condannandone il pervasivo «principio di immanenza». Il Prof. de Mattei ha ricordato come san Pio X nel Motu Proprio Sacrorum Antistitum del 1910, con cui impose il giuramento antimodernista, abbia avanzato «l’ipotesi che il modernismo formasse una vera e propria “società segreta” all’interno della Chiesa», per trasformare «il cattolicesimo dall’interno, lasciando intatto, nei limiti del possibile, l’involucro esteriore della Chiesa. Negli anni seguenti alla morte di Pio X, la strategia dei modernisti fu quella di dichiarare inesistente il modernismo e di accusare duramente la repressione antimodernista».
Questo permise la nascita della «Nouvelle théologie» condannata da Pio XII il 12 agosto 1950 con l’enciclica Humani Generis. Il successivo Concilio Vaticano II avrebbe però tradotto «sul piano teologico il principio filosofico di immanenza» proprio «del modernismo», mentre il «primato della pastorale» rappresentò a sua volta la «trasposizione teologica del “primato della prassi” enunciato da Marx» in quei tempi, caratterizzati dalla massima diffusione del comunismo nel mondo, camuffatosi poi da teologia della liberazione nella Chiesa.
Da qui la conclusione, cui è giunto il Prof. de Mattei: oggi «il modernismo pervade la Chiesa, anche se pochi lo rivendicano esplicitamente. Oggi abbiamo di fronte un processo rivoluzionario, che deve essere valutato a livello di pensiero, di azione e di tendenze profonde. Al neomodernismo, che si presenta come un’interpretazione soggettiva e mutevole della dottrina cattolica, bisogna opporre la pienezza della Dottrina cattolica, che coincide con la Tradizione, mantenuta e trasmessa non solo dal Magistero, ma da tutti i fedeli, “dai vescovi agli ultimi laici”, come esprime la celebre formula di sant’Agostino».
Il prof. Enrico Maria Radaelli, docente di Filosofia dell’Estetica e direttore del Dipartimento di Estetica dell’Associazione internazionale Sensus Communis, ha illustrato il ruolo giocato dal pensatore cattolico tomista Romano Amerio con l’opera Iota unum, nell’evidenziare «i due cardini fondamentali su cui avviene la devianza del modernismo: il primo cardine è quello della legge della conservazione storica della Chiesa, per il quale la Chiesa non perde la Verità quando la dimentica o la mette da parte, ma solo quando la espunge: di tale dottrina – ha affermato il relatore – si sarebbero serviti Giovanni XXIII e poi tutti i Pontefici successivi per poter promulgare le proprie dottrine solo ad un livello pastorale e mai dogmatico – e senza dogma non si espunge -; il secondo cardine riguarda invece la disposizione metafisica della Trinità, per la quale avviene prima il logo, il pensato, poi l’amore, quindi il vissuto: senonché il modernismo ribalta totalmente tale sequenza, rendendo la libertà dell’uomo diventa più importante della Verità, quindi più importante di Dio».
Tra i rimedi Radaelli indica la capacità di «tornare al dogma», nonché l’importanza e l’attualità del tomismo.
Il prof. John Lamont, filosofo e teologo canadese, ha ricordato come, sin dagli inizi, mons. Pietro Parente e padre Réginald Garrigou-Lagrange considerarono la «Nouvelle théologie» come una sorta di «revival dell’eresia modernista». L’azione delle autorità romane, volta a sopprimere la rinascita del modernismo, è stata però «liquidata come sforzo dei teologi reazionari»; la condanna derivatane non è quindi riuscita ad arginare il dilagare delle nuove teorie; a ciò ha fatto seguito anche un’«azione debole del Magistero».
Pio XII non identificò con chiarezza le tesi, cui pure si oppose con Humani Generis, non lanciò anatemi e non scomunicò quanti le propugnassero, il che ha contribuito a determinare la situazione attuale.
Padre Albert Kallio O.P., teologo canadese, ha affrontato il tema della collegialità nel Concilio Vaticano II, tema che, secondo il card. Michael Browne, vicepresidente della Commissione teologica, contraddice tanto il Vaticano I sulla pienezza dell’autorità papale quanto il Magistero riguardo la fonte della giurisdizione episcopale: «Il semplice fatto che l’esercizio di questa presunta autorità posseduta dai Vescovi in virtù della loro stessa consacrazione dipenda dal Papa non è sufficiente a mantenere la pienezza del potere del Papa definito dal Vaticano I. Inoltre, l’idea stessa di una giurisdizione suprema, che è subordinata nel suo esercizio, è contraddittorio».
L’abbé Claude Barthe, sacerdote diocesano e co-fondatore della rivista «Catholica», ha evidenziato come la «riforma liturgica» sia lo «specchio del progetto conciliare»: «L’introduzione dell’esortazione apostolica Amoris laetitia, per evitare che la dottrina presentata sia invalidata come non conforme alla dottrina precedente, riutilizzava, senza usare espressamente il termine, la categoria nuova di “insegnamento pastorale” ossia l’insegnamento volontariamente non dogmatico, inaugurato dal Concilio Vaticano II. Questo Concilio ecumenico atipico aveva creato dei vuoti ecclesiologici, così come il capitolo VIII di Amoris laetitia, circa mezzo secolo dopo, ha creato dei vuoti morali. In entrambi i casi si può dire che gli organi di insegnamento hanno perso terreno a causa di una pressione liberale, che si è esercitata con forza sempre crescente e hanno tentato una transazione con la modernità».
La dott.ssa Maria Guarini, ha inteso sfatare «la leggenda delle “due forme dell’unico Rito” della Messa. La forma è sostanza»: per questo, ha detto, «appare inaudita» l’introduzione «nella Liturgia stessa del principio di creatività», sempre avversato «nei secoli da tutto il Magistero, senza eccezioni, come cosa nefasta, da evitare nel modo più assoluto, considerato da molti il vero motivo del caos liturgico attuale. Il principio di creatività viene corroborato dall’ampia e del tutto nuova competenza attribuita alle Conferenze Episcopali in materia liturgica, ivi compresa la facoltà di sperimentare nuove forme di culto, contro l’insegnamento costante del Magistero, che ha sempre riservato al Sommo Pontefice ogni competenza in materia».
Un’ottica nuova è stata quella proposta dal prof. don Alberto Strumia, scienziato e docente presso la Facoltà Teologica dell’Emilia-Romagna. Don Strumia, nel suo intervento su rapporti tra scienza e fede, ha illustrato il Programma Scimat (Science matters), disciplina che tratta di tutte le problematiche concernenti le conoscenze umane come scienza: si tratta, ha detto, del «più recente tentativo internazionale di riprendere la tradizione di Aristotele e di esaminare con la stessa sistematicità “l’umano” e “il non umano” per conseguirne la conoscenza. Da quasi un secolo, nella scienza, stanno acquistando un nuovo rilievo un’esigenza e una metodologia non riduzionistica, che rimanda ad un più ampio concetto di razionalità», ad «una complementarietà organica e interdisciplinare, in vista di un sapere effettivamente unitario».
Di particolare rilievo l’intervento proposto dal prof. Valerio Gigliotti sul tema «Il papa eretico tra teologia e prassi giuridica». Il relatore, docente di Storia del Diritto medioevale e moderno presso l’Università di Torino, ha fatto riferimento alla tesi di uno dei più eminenti decretalisti del Duecento, Enrico da Susa, Cardinale Ostiense.
Esaminando il caso di un fedele, che nutra un fondato “dubbio” circa la moralità di un atto compiuto dal Pontefice, «bisognerà concludere che l’autorità della coscienza ha la precedenza su qualunque altra autorità, fosse anche quella del Papa, e che, pertanto, il fedele dovrà disobbedire al Pontefice e sopportare, con cristiana pazienza, le conseguenze della propria disobbedienza».
D’altronde, l’autorità con la quale il Papa educa e guida la Chiesa è la stessa autorità di Gesù Cristo, ha spiegato il prof. Gigliotti, «ma di tale autorità egli è ministro; a tale autorità rimane sempre, egli stesso, soggetto», come confermato da Benedetto XVI, durante l’Anno Sacerdotale del 2010, riflettendo sul ruolo della gerarchia e del Papato. L’ipotesi poi di un Papa eretico, per secoli dibattuta, è dichiarata «possibile» dalla maggior parte dei canonisti, soprattutto medioevali e dell’età moderna: tale è il Pontefice, che «devia dall’ortodossia cattolica. In deroga al principio che vuole la Sede di Pietro non giudicabile da alcuna autorità umana».
L’ultimo relatore è stato lo studioso e conferenziere cileno José Antonio Ureta. Presentando il proprio ultimo libro dal titolo Il cambio di paradigma di Papa Francesco: continuità o rottura nella missione della Chiesa?, l’autore ha evidenziato gli elementi di discontinuità tra questo Pontificato e l’insegnamento perenne della Chiesa,  dall’incoraggiamento dell’immigrazione alla promozione dell’agenda «verde» di una governance mondiale, dalla predicazione di una nuova morale all’accesso alla Comunione dei divorziati risposati per mezzo dell’applicazione di Amoris laetitia: «È proprio l’amore al Papato, che deve portarci a resistere a gesti, dichiarazioni e strategie politico-pastorali, che contrastano con il depositum fidei e con la Tradizione della  Chiesa», ha detto Ureta, avanzando la proposta di «cessare la convivenza ecclesiastica» coi prelati “demolitori”, esercitando così «un diritto di coscienza dei cattolici che giudichino» la loro azione «dannosa per la propria fede e la vita di pietà e scandalosa per il popolo fedele».
Concludendo quest’importante Giornata di Studi, il prof. de Mattei, ha indicato l’obiettivo da porsi ora, quello di «ricostruire il sensus fidei» nel popolo cattolico. Un obiettivo, da raggiungere anche attraverso eventi come questo, destinato a non restare perciò né ultimo, né isolato.

(Fonte: Mauro Faverzani, Corrispondenza Romana, 27 giugno 2018)
https://www.corrispondenzaromana.it/la-giornata-di-studi-su-radici-della-crisi-nella-chiesa/



mercoledì 20 giugno 2018

Parole chiare sulla famiglia? Purtroppo no


Un amico mi dice: «Sarai contento ora che Francesco ha parlato a favore della famiglia formata da un uomo e una donna. Non è quello che voi “tradizionalisti” gli chiedete?».
La mia risposta è molto semplice: non sono contento. E per diversi motivi.
Il primo motivo è che se si è arrivati al punto da segnalare come novità e motivo di soddisfazione il fatto che il papa abbia detto qualcosa di cattolico significa che qualcosa non funziona.
Il secondo motivo è che quelle parole pronunciate a braccio contengono errori e alimentano equivoci.
Risentiamole.
«Poi oggi – fa male dirlo – si parla di famiglie “diversificate”: diversi tipi di famiglia. Sì, è vero che la parola “famiglia” è una parola analogica, perché si parla della “famiglia” delle stelle, delle “famiglie” degli alberi, delle “famiglie” degli animali… è una parola analogica. Ma la famiglia umana come immagine di Dio, uomo e donna, è una sola. È una sola. Può darsi che un uomo e una donna non siano credenti: ma se si amano e si uniscono in matrimonio, sono immagine e somiglianza di Dio, benché non credano. È un mistero: San Paolo lo chiama “mistero grande”, “sacramento grande” (cfr Ef 5,32). Un vero mistero».
Concentriamoci su quella frase del papa: «Può darsi che un uomo e una donna non siano credenti: ma se si amano e si uniscono in matrimonio, sono immagine e somiglianza di Dio, benché non credano».
Domanda: è davvero così? Davvero è sufficiente che un uomo e una donna, sebbene non credenti, si amino e siano uniti in matrimonio (quale? civile? cattolico?) perché siano immagine e somiglianza di Dio? E davvero si può chiamare Paolo a supporto della tesi?
Vediamo.
Prima di tutto occorre leggere Efesini 5 integralmente.
«1 Fatevi dunque imitatori di Dio, quali figli carissimi, 2 e camminate nella carità, nel modo che anche Cristo vi ha amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore. 3 Quanto alla fornicazione e a ogni specie di impurità o cupidigia, neppure se ne parli tra voi, come si addice a santi; 4 lo stesso si dica per le volgarità, insulsaggini, trivialità: cose tutte sconvenienti. Si rendano invece azioni di grazie! 5 Perché, sappiatelo bene, nessun fornicatore, o impuro, o avaro – che è roba da idolàtri – avrà parte al regno di Cristo e di Dio. 6 Nessuno vi inganni con vani ragionamenti: per queste cose infatti piomba l’ira di Dio sopra coloro che gli resistono. 7 Non abbiate quindi niente in comune con loro. 8 Se un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come i figli della luce; 9 il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità. 10 Cercate ciò che è gradito al Signore, 11 e non partecipate alle opere infruttuose delle tenebre, ma piuttosto condannatele apertamente, 12 poiché di quanto viene fatto da costoro in segreto è vergognoso perfino parlare. 13 Tutte queste cose che vengono apertamente condannate sono rivelate dalla luce, perché tutto quello che si manifesta è luce. 14 Per questo sta scritto: “Svègliati, o tu che dormi, déstati dai morti e Cristo ti illuminerà”. 15 Vigilate dunque attentamente sulla vostra condotta, comportandovi non da stolti, ma da uomini saggi; 16 profittando del tempo presente, perché i giorni sono cattivi. 17 Non siate perciò inconsiderati, ma sappiate comprendere la volontà di Dio. 18 E non ubriacatevi di vino, il quale porta alla sfrenatezza, ma siate ricolmi dello Spirito, 19 intrattenendovi a vicenda con salmi, inni, cantici spirituali, cantando e inneggiando al Signore con tutto il vostro cuore, 20 rendendo continuamente grazie per ogni cosa a Dio Padre, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo. 21 Siate sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo. 22 Le mogli siano sottomesse ai mariti come al Signore; 23 il marito infatti è capo della moglie, come anche Cristo è capo della Chiesa, lui che è il salvatore del suo corpo. 24 E come la Chiesa sta sottomessa a Cristo, così anche le mogli siano soggette ai loro mariti in tutto. 25 E voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, 26 per renderla santa, purificandola per mezzo del lavacro dell’acqua accompagnato dalla parola, 27 al fine di farsi comparire davanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata. 28 Così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo, perché chi ama la propria moglie ama se stesso. 29 Nessuno mai infatti ha preso in odio la propria carne; al contrario la nutre e la cura, come fa Cristo con la Chiesa, 30 poiché siamo membra del suo corpo. 31 Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna e i due formeranno una carne sola. 32 Questo mistero è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa! 33 Quindi anche voi, ciascuno da parte sua, ami la propria moglie come se stesso, e la donna sia rispettosa verso il marito».
Ecco qua. Come si può ben vedere, Paolo dice sì che i due che vanno a formare una carne sola diventano un «mistero grande», ma soltanto se lo fanno alla luce di Cristo, secondo la legge divina e nella Chiesa. Sostenere che qualsiasi coppia, anche non credente, è per ciò stesso «mistero grande» è una distorsione. Grave.
Non basta amarsi e unirsi in matrimonio (anche civile?) per essere immagine e somiglianza di Dio. Non è l’amore umano che santifica il matrimonio. Ciò che santifica l’unione e la rende immagine di Dio è la presenza di Dio. Se io non invito Dio al mio matrimonio, se non mi unisco in matrimonio alla luce di Cristo e in obbedienza alla legge divina, se non chiedo la benedizione divina, se non vivo il matrimonio nella dimensione sacramentale, io posso amare quanto voglio ma non posso ritenere che la mia unione mi porti a essere immagine e somiglianza di Dio. Né posso utilizzare Paolo per tirare l’acqua al mio mulino. Anche perché le parole di Paolo (unite a quelle di Gesù in Matteo, 19,3-6) hanno una conseguenza decisiva, che è l’indissolubilità del vincolo matrimoniale.
Ecco il motivo per cui non posso essere contento della frase del papa. Perché, una volta ancora, è fonte di confusione.
Mi si dirà: ma tu sei incontentabile! No, cerco solo di essere cattolico.
Ma c’è un terzo motivo per cui non sono contento.
Il papa che davanti al Forum delle famiglie difende la famiglia tra uomo e donna e condanna l’aborto è lo stesso che poi invita padre James Martin, paladino della causa LGBT, all’Incontro mondiale delle famiglie di Dublino. È lo stesso che  (di ritorno da Rio de Janeiro) dice che su questioni come aborto e matrimoni tra persone dello stesso sesso non è necessario ritornare, è lo stesso che lascia invitare in Vaticano esponenti della cultura abortista, lo stesso che sostiene di non aver mai capito l’espressione «valori non negoziabili», lo stesso che in Amoris laetitia sostiene la morale del caso per caso, e via dicendo.
Allora? Qual è l’insegnamento del papa?
La risposta è che l’insegnamento del papa, con Francesco, non vuole più ribadire la verità ma, come lui ama dire, «avviare processi». Lo ha spiegato molto bene il professor Roberto Pertici nel suo saggio Fine del cattolicesimo romano.  Siamo di fronte a un pontificato che intende destrutturare il papa e il pontificato stesso, rendere più elastico e adattabile il magistero, depotenziare alcuni sacramenti, sminuire l’importanza della ricerca di principi stabili, sostenere il primato della (presunta) concretezza della realtà sulla (presunta) astrattezza della legge.
Di questo si dovrebbe parlare quando ci si confronta sull’attuale pontificato. Senza mai stancarsi di segnalare, in ogni caso, le contraddizioni interne e i veri e propri errori dottrinali, voluti o non voluti che siano.

(Fonte: Aldo Maria Valli, 18 giugno 2018
http://www.aldomariavalli.it/2018/06/18/parole-chiare-sulla-famiglia-purtroppo-no/


domenica 17 giugno 2018

Mai come oggi i pastori sono lontani dal gregge. In particolare in politica. Ovunque.


Lo scollamento tra élite e popolo a livello politico ha un corrispettivo nella Chiesa cattolica: mai come oggi i pastori sono lontani dal gregge, estranei alle sue esigenze ed al suo sentire.
“Odore delle pecore”, si diceva, ma è pura retorica, una vernice sottilissima che non riesce a nascondere la realtà. Quanto il Pd è lontano dal proletariato, tanto i vertici ecclesiastici odierni sono ormai incomprensibili e inascoltabili per il fedele comune.
Il cardinale Gianfranco Ravasi, quello che frequenta i vip del mondo dello spettacolo e della moda, e che sui grandi quotidiani apre alla massoneria, istituzione non propriamente “popolare”, ne è la dimostrazione; così come il cardinal Pietro Parolin, che si fa invitare da Lilli Gruber al Bildenberg, cioè in un consesso segretissimo di grandi potenti, cui parteciparono nel passato, prima di diventare premier, Romano Prodi e Mario Monti (uno degli ospiti italiani di più lungo corso).
Cosa ha a che fare il popolo cattolico con le sfilate di Vanity fair benedette da Ravasi, e con il Bilderberg di Parolin? Nulla. Sono luoghi da cui, per sua fortuna, è escluso. Il popolo puzza, se non è soltanto una parola di cui riempirsi la bocca.
Non sono solo le chiese che continuano a svuotarsi a dimostrare quanto detto, ma è soprattutto il voto dei cattolici. Bergoglio, con la sua predicazione modana e secolare, ha imposto alla chiesa una svolta politica fortissima, indicando la sinistra progressista e mondialista come la casa dei cattolici.
Ma ha sempre perso e continua a perdere.
In Argentina ha vinto il suo avversario, il cattolico Mauricio Macri; negli Usa Bernie Sanders, nonostante un endorsement papale piuttosto esplicito, non ha superato le primarie; in Austria ha trionfato Sebastian Kurz, leader del partito cristiano-democratico, nettamente contrario all’islamizzazione del suo paese; in Italia, da pochi mesi, il Partito Democratico tanto caro a Nunzio Galantino, Antonio Spadaro e alla cerchia del presule argentino, Scalfari compreso, ha subito una sonora legnata.
Più Bergoglio insiste nel promuovere l’immigrazione indiscriminata, con la stessa foga e gli stessi slogan di Emma Bonino e George Soros, più i cattolici votano altrove.
In Italia i laici, guidati da Massimo Gandolfini, hanno votato per lo più Lega o Fratelli d’Italia; in Polonia il voto cattolico è andato agli avversari, cattolici, della globalizzazione; in Ungheria il governo Orban, cui a suo tempo Benedetto XVI ebbe modo di mostrare la sua simpatia, ha da poco riottenuto la maggioranza.
Persino in Germania le cose vanno male per il povero Bergoglio: il suo pupillo, il cardinale luterano Reinhard Marx, qualche mese fa si è scontrato con il governo bavarese, deciso ad imporre i crocifissi nei luoghi pubblici, mentre in questi giorni il ministro dell’interno tedesco, Horst Seehofer, leader della CSU, cioè del partito cattolico bavarese, sta opponendosi duramente alla Merkel proprio in relazione alle politiche migratorie…
In tutto ciò i chiacchieroni del cerchio magico continuano a pontificare (ma quanti papi abbiamo?), mentre il cardinal Gualtiero Bassetti, che avrebbe dovuto moderare gli estremismi galantiniani, si muove in modo confuso, senza un disegno, senza alcuna possibilità di incidere, neppure sulla linea del giornale della Cei, il sempre più impresentabile e fazioso Avvenire.

(Fonte: Marco Tosatti, Stilum Curiae, 16 giugno 2018)
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giovedì 7 giugno 2018

I nuovi orizzonti del Parlamento italiano


Il governo Conte ha ottenuto la fiducia, con un largo margine, alla Camera e al Senato, ma soprattutto nasce con un ampio sostegno popolare. I sondaggi attribuiscono infatti alle due forze politiche che lo esprimono, Cinque Stelle e Lega, circa il 60% dei suffragi. Nessun governo come questo è stato però avversato dalla quasi totalità dei mass-media italiani.
Antonio Socci ha ben descritto questo “pregiudizio universale” su Libero (3 giugno), mentre Marco Travaglio, su Il Fatto quotidiano (6 giugno), ha pubblicato una lunga antologia dei pesanti giudizi riservati al governo nascente da pressoché tutti i giornali, di sinistra e di destra.
Conte è stato accusato di essere un «amico del popolo come Marat» (Corriere della Sera, 18 maggio) e di preparare «un futuro venezuelano» per l’Italia (Il Foglio 16 maggio). «C’è un caso Italia in Occidente», ha scritto il direttore de La Stampa (27 maggio), mentre per il direttore di Repubblica, «l’impasto di inesperienza, improvvisazione e arroganza non tarderà ad emergere. Allacciate le cinture» (2 giugno).
Questa faziosità ideologica si è tradotta in una violenta intolleranza nei confronti del nuovo ministro della Famiglia, Lorenzo Fontana, colpevole di essersi espresso a favore della famiglia naturale, tutelata dall’articolo 29 della Costituzione, di avere rilevato l’esistenza di una crisi demografica in Italia e di avere partecipato alla Marcia per la Vita del 19 maggio.
In un’intervista rilasciata al Corriere della Sera (2 giugno) e in una lettera indirizzata al quotidiano Il Tempo (4 giugno), Fontana ha ribadito con forza le sue opinioni. L’on. Salvini ha rilevato, non a torto, che queste idee non fanno parte del contratto di governo. C’è da osservare però che l’Italia è una Repubblica parlamentare in cui al Governo spetta la funzione esecutiva e al Parlamento quella legislativa.
Per quasi trent’anni, dal 1963 al 1992, l’Italia è stata governata da due forze politiche, la Democrazia Cristiana e il Partito Socialista, che sui temi riguardanti la famiglia e la morale avevano visioni contrapposte. Il divorzio non era nel programma del governo Colombo (1970-1972), né l’aborto in quello del governo Andreotti (1978-1979), che si sosteneva con l’appoggio esterno del Partito comunista.
Eppure alcuni parlamentari laicisti presentarono le proposte di legge a favore del divorzio e dell’aborto, che furono rispettivamente approvate, nel 1970 e nel 1978, da maggioranze Parlamentari che non riflettevano la posizione dell’esecutivo. Quando i presidenti del Consiglio e della Repubblica democristiani furono accusati di avere sottoscritto leggi che erano contro la propria coscienza di cattolici, essi risposero di aver semplicemente controfirmato leggi fatte dal Parlamento, e non dal governo.
Ebbene, nel nuovo Parlamento, non potrebbe crearsi una maggioranza trasversale che imponga dei cambiamenti legislativi in difesa della vita e della famiglia, anche se ciò non fa parte dell’accordo di governo? L’Italia ha cessato di essere una Repubblica parlamentare?
Il ministro Fontana, nella sua bella lettera a Il Tempo, ha dichiarato: «Non ci spaventa affrontare la dittatura del pensiero unico. (…) Abbiamo le spalle abbastanza larghe per resistere agli attacchi gratuiti rispondendo con l’evidenza dei fatti, la forza delle idee e la concretezza delle azioni».
Sappia il ministro, di non essere solo. Dietro di lui ci sono gli uomini di buon senso, coloro che considerano una follia la teoria del gender, che rifiutano come innaturali le unioni omosessuali, che sono decisi a difendere la famiglia normale, fondata sul matrimonio indissolubile, composta da un uomo e da una donna; coloro che si propongono di mettere al mondo dei figli e di educarli e formarli, per farne dei buoni cittadini della terra e del Cielo.
Il ministro può contare sull’aiuto di questi uomini di buona volontà, ma può contare soprattutto sull’aiuto del Cielo, che non abbandona chi non si vergogna di proclamarsi cattolico, difende la legge naturale e combatte contro i nuovi barbari per il più nobile degli ideali che è la restaurazione della Civiltà cristiana, l’unica civiltà della storia degna di questo nome.

(Roberto de Mattei, Corrispondenza Romana, 6 giugno 2018)
https://www.corrispondenzaromana.it/i-nuovi-orizzonti-del-parlamento-italiano/