sabato 31 gennaio 2015

Non esisterà mai un Papa liberale

In un suo scritto domenicale su Repubblica, domenica 18 gennaio, Eugenio Scalfari si domanda se Papa Francesco sia liberale. Si domanda se un uomo di fede possa esserlo e risponde di si, rilevando però che un pontefice liberale, nella Chiesa di Roma, non c’è mai stato prima. Ma io credo che non possa esserci neppure ora. Cercherò di spiegare il perché.
Liberalismo è una dottrina che si oppone ad assolutismo e si coniuga con relativismo, agnosticismo, scetticismo, ecc. Il cristianesimo, invece, afferma valori di verità assoluta, trascendenti e soprannaturali, in Cristo, Verbo di Dio incarnato. Questa verità viene affermata e difesa dalla dottrina cristiana fin dalle origini, e questa stessa verità, che si è tradotta in etica comportamentale, si è, finora, opposta alla cultura liberale e immanentista del pensiero moderno, appunto relativistico. E per opporsi ha lavorato parecchio nei secoli.
La Chiesa ha affrontato la Riforma protestante quando affermava in campo religioso l’individualismo liberale (il libero esame). Ha affrontato la Rinascenza che affermava l’equivalenza di tutte le religioni positive svalutando in tal modo il cristianesimo verso le altre religioni più umanistiche, più celebrative dell’uomo e della natura-ambiente. Ha affrontato l’illuminismo che costituì il liberalismo quale concezione immanentistica e prassi di comportamento, confondendo il significato di libertà, uguaglianza e fraternità e, per di più, cercando di tacciare la morale cattolica di superstizione e togliendo al concetto di rivelazione ogni valore teoretico. Questo spiega perché finora, il cattolicesimo, consapevole della assolutezza dei valori umani e divini rifiuta il liberalismo, sia come dottrina filosofica che quale prassi politica. Ma è anche il liberalismo politico (formulato nella dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789) che nega se stesso e produce antinomia individuo-Stato. Risulta difficile accettare la tesi liberale che l’individuo è considerato unico valore e fine, ma la somma degli individui (attuato con il concetto di maggioranza) è superiore al singolo individuo.
Il liberalismo come dottrina fu condannato da vari Papi. A cominciare da Gregorio XVI (Enciclica Mirari vos, del 1832), da Pio IX (Enciclica Quanta cura del 1864 e nel Syllabus), da Leone XIII (Enciclica Immortale Dei del 1885). E tutto ciò senza negare la (supposta) laicità dello Stato. Ora, poiché il liberalismo ha prodotto uno stato “democratico”, fondato su concetti di rappresentanza e maggioranza, agnostico, non si può spogliare la Chiesa della direzione delle coscienze che produce la vera etica comportamentale da cui la società dovrebbe non volersi mai privare, per il bene degli stessi agnostici, laici e liberali, che l’abbiano capito o meno. Persino Voltaire lo aveva capito, continuando a combattere la religione e la Chiesa, ma auspicando, al fine di non esser tradito, ucciso e derubato, moglie, medico e cameriere religiosi.

(Fonte: Ettore Gotti Tedeschi, Muova Bussola Quotidiana, 29 gennaio 2015)
http://www.lanuovabq.it/it/articoli-non-esistera-mai-un-papa-liberale-11646.htm

 

Umberto Eco: «Ratzinger pessimo teologo»; ma lui, noto semiologo, copia da Wikipedia!

Qualcuno certamente si ricorderà quando nel 2011 il noto semiologo italiano Umberto Eco criticò Benedetto XVI affermando: «Non credo che Benedetto XVI sia un grande filosofo, né un grande teologo, anche se generalmente viene rappresentato come tale». La frase fu ovviamente provocatoria, Ratzinger è riconosciuto come il miglior teologo vivente nonché «uno degli uomini più colti del nostro tempo e anche uno dei più colti della lunga storia dei vescovi di Roma», come disse il filosofo Nikolaus Lobkowicz, già rettore della prestigiosa Università Ludwig-Maximilian di Monaco proprio in risposta all’affermazione di Eco.
Il compianto filosofo laico Costanzo Preve replicò così invece: «Ho conosciuto molti anni fa Umberto Eco in un seminario residenziale dei gesuiti all’Aloysianum di Gallarate. Era esattamente quello che sembra: un brillante e superficiale retore, che supplisce alla mancanza di profondità con un fuoco d’artificio di erudizione. […] A differenza di Umberto Eco,  giudico Ratzinger un teologo ed un filosofo di alto livello […], del tutto indipendentemente dal suo ruolo di papa e dal fatto che personalmente non sono in alcun modo una pecorella del suo gregge. […]. Se collochiamo Ratzinger nel tempo in cui stiamo vivendo, la superiorità di Ratzinger sulla spocchia autoreferenziale dei dotti universitari boriosi alla Eco è addirittura tennistica». Eco parlava ai media tedeschi e allora UCCR fece notare come proprio i critici tedeschi avessero completamente stroncato i suoi testi filosofici, ritenuti «noiosi, illeggibili e fallimentari».
Il noto semiologo è un ex cattolico convertitosi all’illuminismo e al postmodernismo, optando per un approccio debole -quasi inesistente- alla verità. La sua è stata apostasia meditata, è tuttavia rimasto coerente nella sua “fede nel dubbio”: «La psicologia dell’ateo mi sfugge perché kantianamente non vedo come si possa non credere in Dio, e ritenere che non se ne possa provare l’esistenza, e poi credere fermamente all’inesistenza di Dio, ritenendo di poterla provare» (U. Eco, “In cosa crede chi non crede”, Liberal 1996, p.23). Il male del mondo secondo Eco arriva dal monoteismo e «sono le religioni del libro a provocare le guerre per imporre l’idea contenuta nei loro testi», come ha scritto recentemente. Ma la sua tesi pro-politeismo è di una superficialità imbarazzante, come abbiamo avuto modo di evidenziare.
E’ curioso comunque che proprio colui che condannava la bassezza della teologia di Benedetto XVI sia stato beccato a copiare e incollare nientemeno che da Wikipedia. E’ accaduto per il suo nuovo romanzo “Numero Zero”: alcuni lettori hanno infatti incollato su Twitter una pagina del libro relativo a Licio Gelli paragonandola a quella della nota enciclopedia virtuale: a parte una virgola e un tempo verbale, i due brani sono completamente identici (e il testo su Wikipedia è stato scritto prima, come dimostra la cronologia). Secondo i giornalisti Luigi Mascheroni e Matteo Sacchi, non si tratta solo di un passaggio ma «l’impressione è che la controstoria d’Italia di Eco sia stata scritta rinfrescandosi la memoria su Wikipedia: il tutto ha un sapore molto didascalico». Oltretutto, non è stato neppure il primo plagio per Eco. Il semiologo dunque si unisce ai “ripubblicatori” di “Repubblica”: Roberto Saviano, Corrado Augias e Umberto Galimberti.
Non ci si stupisce, dunque, se un noto sociologo come Guido Vitiello, docente presso “La Sapienza” di Roma, abbia scritto: «Quando penso a Umberto Eco, non mi viene in mente nulla. Possibile? Eppure ho letto tutti i suoi libri, alcuni li ho letti due volte, alcuni perfino studiati. Nulla, nemmeno un mozzicone di frase, con altri funziona a meraviglia». Per uno strano scherzo del destino, tutti invece si sono ricordati -ad esempio- di Benedetto XVI e del suo celebre discorso all’Università di Regensburg, in occasione dei recenti attentati di Parigi, rivalutandolo dopo le iniziali critiche e definendolo addirittura come profetico. Perfino dalle parti non proprio papiste de “Il Fatto Quotidiano”.
 

(Fonte: UCCR, 28 gennaio 2015)
http://www.uccronline.it/2015/01/28/ratzinger-pessimo-teologo-ma-umberto-eco-copia-da-wikipedia/
 

La “baracca dei preti” nel campo di sterminio nazista di Dachau

«Il più grande cimitero di sacerdoti cattolici del mondo» non si trova in Vaticano ma a Dachau, all’interno del primo campo di sterminio costruito dai nazisti nella cittadina tedesca a pochi chilometri da Monaco. Tra il 1938 e il 1945, vi sono stati deportati 2.579 tra preti, seminaristi e monaci cattolici, insieme a 141 tra pastori protestanti e preti ortodossi. E 1.034 sono morti nel campo.
La storia dei religiosi di Dachau, «tra i quali abbondano episodi di vero eroismo», è stata raccontata da Guillaume Zeller nel libro La Baraque des prêtres, Dachau, 1938-1945 (La baracca dei preti), appena uscito in Francia per i tipi di Éditions Tallandier. L’autore, giornalista caporedattore di DirectMatin.fr, è rimasto infatti colpito dalla loro «stupefacente dignità, mantenuta nonostante le SS facessero di tutto per disumanizzare e avvilire i prigionieri».
Intervistato dal Le Figaro, l’autore spiega che il Vaticano, «non potendo impedire la loro deportazione», era riuscito a farli mandare tutti insieme a Dachau, «anche se provenivano da ogni parte dell’Europa: Germania, Austria, Cecoslovacchia, Polonia, Belgio, Olanda, Lussemburgo, Francia e Italia».
Alcuni sono stati arrestati per essersi opposti al programma hitleriano di eutanasia (tedeschi), altri perché considerati come delle élites slave (polacchi), altri ancora per aver partecipato attivamente alla resistenza (francesi). «Primo Levi, per quanto ateo, aveva riconosciuto l’ammirevole statura morale e intellettuale dei rabbini deportati ad Auschwitz. Se le circostanze sono differenti – continua l’autore – la stessa cosa si può dire per i preti di Dachau».
Questi uomini di chiesa, spiega Zeller, «si sono sforzati di mantenere le virtù di fede, speranza e carità. La preghiera, i sacramenti e il sostegno dato ai malati e ai moribondi, la formazione teologica e pastorale clandestina, la ricostruzione della gerarchia ecclesiale sono stati un’armatura che ha permesso loro di preservare la loro umanità».
Non mancano tra di loro storie di eroismo e santità. Nonostante le SS «cercassero di sollevare i detenuti gli uni contro gli altri», «i sacerdoti non hanno ceduto a questo meccanismo». Tra il 1944 e il 1945, in inverno, gli internati sono stati decimati da un’epidemia di tifo. «Mentre SS e kapo non si presentavano più nelle baracche contaminate, dozzine di sacerdoti vi entravano volontariamente, sapendo i rischi che correvano, per curare e consolare gli agonizzanti. Molti sono morti così».
A Dachau si è tenuta anche la prima – e unica nella storia della Chiesa – ordinazione clandestina a sacerdote di un seminarista tedesco in punto di morte. Il seminarista Karl Leisner ha ricevuto il sacramento dentro una baracca adibita a cappella dal vescovo francese di Clermont-Ferrand, monsignor Gabriel Piguet. Il vescovo era un maréchaliste, cioè sostenitore del maresciallo Pétain, a capo del governo collaborazionista di Vichy dal 1940 al 1944, ma «venne deportato a Dachau per aver aiutato a nascondere gli ebrei e infatti oggi fa parte dei Giusti dello Yad Vashem».
Su iniziativa di Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e papa Francesco, «56 religiosi morti nel campo di sterminio sono stati beatificati, dopo che è stata riscontrata la pratica delle virtù naturali e cristiane in modo esemplare o eroico».

(Fonte: Leone Grotti, Tempi, 29 gennaio 2015)
http://www.tempi.it/la-baracca-dei-preti-nel-campo-di-sterminio-nazista-di-dachau-storia-sconosciuta-di-eroismo-e-fede#.VMzBz_0tFCo

 

giovedì 22 gennaio 2015

Tutti a braccetto per la pace. La sfilata dell’ipocrisia

Abbiamo assistito a una deplorevole processione di politici a livello europeo, tutti abbracciati e uniti per una marcia della pace contro l’Islam!  Quanta ipocrisia! Lasciamo stare i rappresentanti di altre Nazioni del mondo, ma voi, cari politici dell’Unione Europea cosa credete di ottenere? Di poter fermare l’avanzata
dell’Islam dopo che avete caparbiamente rinnegato le radici cristiane dell’Europa? Credevate di poter sostituire la civiltà cristiana che in duemila anni ha reso ricca, bella e libera la nostra Europa nella multiforme peculiarità e diversità di ogni Nazione, con una sorta di “fede laica nella dea ragione” che ha spalancato le porte all’Islam? Cioè al potere di uno Stato teocratico peggiore di tutti i regimi totalitari che hanno sconquassato l’Europa nel secolo scorso!

E cosa intende dire Renzi quando afferma che noi siamo più forti dell’Islam in virtù dei nostri valori? Ma in nome di quali valori e ideali marciate se li avete sepolti tutti con le vostre inique leggi soprattutto contro l’uomo e contro la libertà di coscienza distruggendo inesorabilmente la vera famiglia, unico baluardo contro l’avanzata del male per insegnare ai bambini innocenti, come obbligo scolastico, la perversione dei costumi con le inique leggi sul gender ? Gesù Cristo direbbe che vi conviene mettervi una pietra al collo e buttarvi in fondo al mare per aver scandalizzato e pervertito i piccoli. Siete dei miserabili topolini che il gatto divorerà, per aver voi stessi per primi calpestato la giustizia, l’educazione, la fede cristiana, la democrazia, la libertà di coscienza e il diritto, in una sorta di nuovo fondamentalismo senz’anima e senza identità, solo all’insegna del “dio euro!”. L’Islam alla fine non è che una vostra “creatura” che voi state ben pilotando, ma che vi sta sfuggendo dalle mani a tal punto che alla fine vi schiaccerà, a tappe, partendo da Roma e dall’Italia, sede della cattolicità da voi tanto odiata, per passare al setaccio tutta l’Europa, nessuno escluso.
E voi, cari politici italiani, al soldo miserabile dei poteri occulti europei, cosa credete di ottenere dopo che avete affondato l’Italia a forza di tasse inique, di imbrogli, di leggi contro l’uomo e la famiglia, di trame losche studiate a tavolino per annientare i piccoli imprenditori, i risparmiatori, le piccole e medie aziende, la nostra migliore industria, arte e agricoltura per far vedere al mondo con orgoglio luciferino che ormai l’Italia è un luogo malsano, corrotto, insalubre e inaffidabile? Dalla mozzarella alla terra del fuoco, dalle acciaierie ai rifiuti, dagli ospedali alle scuole, dagli uffici pubblici agli Enti benefici… tutto secondo voi è marcio e corrotto, perché siete voi che l’avete avvelenata e diffamata questa nostra bella e gloriosa Italia, impedendole di decollare perché le avete tarpato le ali dopo averla obbligata a passare sotto le “forche caudine” dell’infausta Unione Europea, ideata solo per mettere un “cappio al collo” alle singole Nazioni derubandole della loro identità e sovranità!
E chi verrà più ad investire qui da noi, terra di corrotti e di supertasse dicono, mentre noi italiani, gente onesta, letterati, artisti, artigiani… gente che lavora e che produce in silenzio siamo costretti ad emigrare per sopravvivere lasciando la nostra bella e amata terra agli immigrati per lo più islamici che sono dentro casa nostra da decenni e che la fanno ormai da padroni col vostro tacito e ipocrita consenso! Ma sarete voi i primi a pagarne le spese. Chi semina vento, raccoglie tempesta!
 

(Fonte: Patrizia Stella, 13 gennaio 2015)
http://www.patriziastella.com/2015/01/tutti-braccetto-per-la-pace.html#more

 

domenica 18 gennaio 2015

"Lo strano schiamazzo" su Vittorio Messori, visto da lui stesso

Pubblichiamo l'anticipazione della rubrica "Vivaio" che comparirà sul numero di Febbraio del mensile Il Timone (www.iltimone.org), in cui Vittorio Messori torna sulla tempesta mediatica che lo ha avuto protagonista suo malgrado, per l'articolo scritto sul Corriere della Sera il 24 dicembre e ripreso su La Nuova BQ il successivo 28 dicembre (leggi qui). Al caso La Nuova BQ ha anche dedicato alcuni articoli (clicca qui, qui e qui).

Sono convinto che il credente, soprattutto se scrive di cose direttamente religiose, abbia dei doveri verso i suoi lettori. Dovere, innanzitutto, di rassicurarli che colui i cui scritti prendono sul serio può, a sua volta, essere preso sul serio. Dovere, dunque, di spiegare che cosa si è voluto dire, perché lo si è detto e (in caso di contestazione) perché si pensa, in coscienza, di non avere sbagliato.
Eccomi qui dunque a spiegare (non certo per fatto personale ma per un doveroso impegno verso chi mi segue su questa rubrica) che cosa è davvero successo tra lo scorso Natale e l’Epifania, quando inaspettatamente mi sono trovato al centro di una sorta di bufera mediatica.
Per tutti quei giorni ho taciuto, non ho replicato se non in due casi specifici. Il primo, quando il Corriere della Sera, su cui avevo pubblicato l’articolo “scandaloso” (mentre sono convinto che non lo fosse affatto e così era convinto pure il direttore De Bortoli, pur ammiratore di papa Francesco che da lui si è fatto intervistare), il Corriere, dunque, senza avvertirmi se non all’ultimo momento, ha pubblicato un confuso, ingiurioso articolo di Leonardo Boff. Come forse si ricorda, l’ormai quasi ottantenne leader della teologia detta della liberazione, dopo gli ammonimenti dell’allora cardinal Ratzinger, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, e i richiami di Giovanni Paolo II, decise di lasciare il saio francescano e di andare a vivere con una compagna.
Dopo pochi anni su di lui – come su tutti gli altri cattolici, sacerdoti e laici, che avevano scoperto entusiasti il marxismo, credendo fosse il futuro, mentre invece stava morendo – su di lui e i suoi compagni nella nuova fede si abbatterono le rovine del muro di Berlino. Così, l’ex frate, alla pari di molti altri, scippati in modo imprevisto della disastrosa utopia rossa, passarono a quella verde. In Boff, l’ambientalismo si è trasformato in un vero e proprio culto sincretista, con al centro la Madre Terra invocata come Gaia, con forti accenti new age. Nella fazenda brasiliana dove vive con la compagna e alcuni figli adottivi, si è forgiata una liturgia di fantasia, nella quale battezza, celebra la messa, benedice i matrimoni. E tutto questo nel silenzio acquiescente dell’episcopato brasiliano. Insomma, una vera e propria Chiesa tra panteismo e verdismo: dai dogmi cattolici (che detestava) a quelli marxisti, per finire in quelli ambientalisti.
Pubblicando l’attacco di Boff, il Corriere mi chiedeva di replicare il giorno seguente, come in effetti feci: non fu certo difficile liberarmi di quel caos di politica e miti ecologici. Il mio fu, dunque, un intervento, obbligato. Come fu obbligato il secondo, dove l’interlocutore era ben diverso: il senatore della sinistra Franco Monaco che presiedette l’Azione Cattolica ambrosiana ai tempi di quel cardinal Martini cui era legato da grande comunanza personale e condivisione teologica. Il giornale gli aveva pubblicato un articolo dove mi poneva precise questioni, alle quali era per me doveroso rispondere.
Molti mi invitavano a una risposta completa ai detrattori, spesso di una aggressività e di una violenza che sfiorava l’odio (ho più volte sperimentato che nessuno è più temibile e implacabile degli apostoli del pacifismo, della tolleranza, della non violenza…), ma ho preferito rimandare, per potermi spiegare con più libertà qui, sul Timone, dove si è in famiglia e si possono dire liberamente le cose. Ho rimandato, anche perché da molto tempo ho imparato che, nelle polemiche giornalistiche, ci sono sempre due vittime inevitabili: la carità e la verità. La carità, perché ogni polemica è un duello, l’obiettivo è colpire l’avversario, possibilmente ucciderlo, nel senso di ridurlo al silenzio. Muore anche la verità, perché ciò che importa non è chiarire l’oggetto della contesa, non è cercare una verità più alta e ricca, ma è far prevalere il proprio punto di vista, con ogni mezzo, riducendo la prospettiva dell’altro a schema insipiente se non ridicolo. E, invece, di rado è così: una parte almeno di verità sta anche nell’antagonista, ma si è costretti a cercare di occultarla per imporsi nella lotta. Come diceva Pascal, polemista pentito e, guarda caso, proprio contro i gesuiti: «La verità senza la carità è un idolo diabolico, perché ha l’aspetto di un’opera virtuosa».
Non ho replicato, dunque, per cercare di spegnere una disputa che, come tutte, porta con sé conseguenze da cui un cristiano deve rifuggire. Ma se ho potuto trattenermi, malgrado la violenza pari alla inconsistenza degli attacchi, è perché di eventi simili ne ho già vissuti non pochi nel mio lavoro di cronista che non si sforza di dire cose che piacciano a tutti. I meno giovani ricordano, credo, l’uragano mondiale, di una malizia e violenza che soltanto certi church-intellectuals sanno esercitare, scatenato dalla pubblicazione, a metà degli anni Ottanta, del Rapporto sulla fede, la prima intervista della storia a un Prefetto dell’ex-Sant’Uffizio, il cui secolare silenzio era proverbiale.
I “cattolici aperti” – e non soltanto i cattolici, ma lo schieramento di tutto il sedicente progressismo mondiale, pure quello laico – si scagliarono non solo contro il cardinal Ratzinger ma anche contro il cronista che qui scrive. Il quale non soltanto aveva dato voce al Grande Inquisitore, ma aveva mostrato adesione a quel suo programma che fu marchiato come antievangelica “restaurazione”. Ma, sempre i meno giovani, ricordano pure come nel Novanta, presentando al Meeting di Rimini il mio libro Un italiano serio – biografia del beato Francesco Fàa di Bruno, un patriota che fu perseguitato da coloro che volevano costruire l’Italia unita, ma sradicandola dalla sua religione –, presentando quel libro, dunque, fui accusato della colpa più grave. Nientemeno quella, proverbiale, di “avere parlato male di Garibaldi”.
Avevo infatti osato toccare, presentando la vita di quell’uomo di Dio, uno dei miti fondanti dell’Italia moderna, quello che è glorificato sin dal nome: il Risorgimento. Questo nostro Paese sopravvive su tre miti: la borghesia tra Otto e Novecento si appoggiò a quello, appunto, risorgimentale; il fascismo su quello di Roma imperiale; la democrazia postbellica su quello della Resistenza. Sta di fatto che, almeno allora, Garibaldi e tutti gli altri erano ancora intoccabili e lo sperimentai con una campagna di aggressione inaudita. Ma non la faccio lunga, con altri casi, che pur ci sarebbero: quanto detto mi basta per dire che sono forgiato dall’esperienza, dunque non perdo né la testa, né il sonno, né l’appetito per questi strepiti. Prima o poi le voci diventano rauche e cessano di gridare. E, per dirla con quel grande scrittore, ciò che resta è solo il silenzio delle passioni sprecate.
Per venire, allora, alla bagarre tra Natale e l’Epifania. Innanzitutto, ciò che ha sorpreso non solo me ma anche la stessa direzione del Corsera, e i molti lettori che hanno voluto dirmi la loro solidarietà, è il fatto che coloro che insultavano, scrivevano appelli drammatici, raccoglievano firme, gridavano al complotto, invocavano provvedimenti di censura, ebbene costoro sembravano uniti da una caratteristica: non aver letto affatto l’articolo che provocava il loro sdegno. Si basavano su dei sentito dire, su titoli faziosi di giornali, su post nei siti internet, su ossessioni ideologiche, su fantasmi inconsistenti.
Dunque, primo suggerimento che mi permetto di dare ai lettori di questo nostro Timone: se non lo hanno fatto – e, naturalmente, se il caso gli interessa – leggano quanto ho scritto davvero. Potranno trovare il testo in molti luoghi, nella Rete. Il più spiccio è sul sito che Sebastiano Mallia, un giovane e capace avvocato siciliano, ha voluto (dopo molte insistenze sue e resistenze mie) costruirmi e che ormai da molti anni gestisce con affetto pari all’abilità. Colgo qui l’occasione per ringraziarlo. L’indirizzo del sito è: www.vittoriomessori.it. Si vedrà come il tono sia del tutto pacato; l’informazione corretta; esplicito il rispetto verso il “Vescovo di Roma”; la prospettiva religiosa messa in primo piano; ricordata quale debba essere la prospettiva del cattolico; non dimenticata l’umiltà di chi sa che può sbagliare e non vuole condurre altri all’errore e sa anche che a lui non è dato quel carisma che lo Spirito Santo riserva all’eletto nella Cappella Sistina. Non sto celebrandomi: credo che si tratti di realtà oggettive, come hanno riconosciuto coloro, pochi, che si sono dati la briga di leggere.
In ogni caso sarà bene ricordare ai lettori, anche cattolici, quanto sancisce il Diritto Canonico, la legge che regge la Chiesa, al Canone 212, paragrafo 3: «In modo proporzionato alla scienza, alla competenza e al prestigio di cui godono, i laici hanno il diritto, e anzi talvolta anche il dovere, di manifestare ai sacri pastori il loro pensiero su ciò che riguarda il bene della Chiesa e di renderlo noto agli altri fedeli, salva restando l’integrità della fede e dei costumi e il rispetto verso i Pastori, tenendo inoltre presente l’utilità comune e la dignità della persona». La libertà del “popolo di Dio”, in casi come questi, è dunque proclamata e salvaguardata. È ciò che hanno dimenticato proprio quelli che da sempre invocano e pretendono la partecipazione del “popolo di Dio” alla gestione quotidiana della Chiesa.
Per tornare a noi: c’è da riflettere su fatti curiosi, certo inediti nella Catholica: il direttore del quotidiano Avvenire, quello del quale l’episcopato italiano risana da sempre i debiti col nostro 8 per mille, si è recato in una sorta di “visita di riparazione” a Radio Radicale, quasi scusandosi con Pannella e dicendo che, a ben vedere, gli obiettivi di quell’anziano guru anticristiano sono spesso quegli stessi dei cattolici. Devo dire, al proposito, che molti sono rimasti sorpresi da una ostinazione persecutoria di quell’Avvenire da cui i cattolici sensati aspettavano, semmai, prospettive diverse dalla mia ma esposte pacatamente, non con una sorta di persecuzione tenace: prima un editoriale, ovviamente negativo; poi una intera paginata di lettere al vetriolo con la sentenza senza attenuanti e senza appello del direttore; il giorno dopo e l’altro ancora, altre lettere di lettori adirati, quasi non esistessero messaggi solidali con il blasfemo Messori. Eppure, nella mia casella di posta sono giunti a decine. Qua e là, poi, sparsi in molti articoli ed editoriali punture di spillo o pugnalate, tanto da far pensare che nel direttore di quel giornale, che peraltro non ho mai incontrato e neppure mai visto, ci sia una sorta di fatto personale. È strano, visto che per anni, al foglio che ora dirige, ho dato quanto potevo, con risultati forse non trascurabili, iniziando proprio lì quella rubrica “Vivaio” che è arrivata sino a questo Timone.
Per stare sempre a fatti inediti: coloro (spesso anziani, in quanto vedovi e orfani della contestazione sessantottina) che, per decenni, hanno versato quantità industriali di sterco su Paolo VI, su Giovanni Paolo II, su Benedetto XVI hanno indossato per l’occasione le divise da zuavi pontifici, hanno redatto e firmato vibranti appelli, hanno addirittura organizzato banchetti per la raccolta di firme a difesa del “vescovo di Roma”, contro il codardo aggressore che qui scrive. Accennavamo, come a caso esemplare, allo sdegno di un Leonardo Boff che, dopo gli strali annosi lanciati contro i pontificati precedenti, dopo essere uscito dalla Chiesa sbattendo la porta, dopo avere creato un culto tutto suo, nominatosi sacerdote di Gaia, invoca da quella Chiesa che ha rifiutato provvedimenti severi verso chi osa anche solo porre domande, rispettose quanto sofferte e fondate, a un Papa. È singolare in lui, e in molti altri come lui, sentire l’elogio e l’invocazione della censura contro la libertà di pensiero del cattolico, per giunta in ciò che non è dogma ma semplice pastorale!
Naturalmente, tra chi gridava alla bestemmia solo per avere espresso alcune, rispettose, perplessità era ovvio che il Messori era solo lo strumento, naturalmente ben pagato, di un oscuro complotto. Dicevo, in apertura di quel mio articolo, che avrei volentieri fatto a meno, in quel momento, di espormi con quella sorta di confessione, non avendo ancora ben capito quale sia il progetto preciso di Francesco. Dunque, dicevo che mi rassegnavo a scrivere perché mi era stato “richiesto”. Era scontato che quella “richiesta” veniva dal Corriere, con il quale da almeno una dozzina d’anni ho un contratto di collaborazione. Sbagliavo a non precisare, dimenticando l’istinto pavloviano alla dietrologia di un certo mondo. Così, si è scritto, con l’aria vissuta di chi conosce i retroscena, che la richiesta mi era in realtà venuta dalla massoneria, dall’Opus Dei, dai lefebvriani, dalla Confindustria, da cardinali dissidenti, dalla Curia romana, da partiti politici, da lobby di fautori della restaurazione e così via, in un delirio di “ecco chi c’è dietro”. Rispondendo a Franco Monaco, che mi poneva egli pure la domanda, gli confessavo che – per la delusione dei complottardi – tutto era stato di una banale normalità; scrivendo per un giornale non avevo fatto altro che rispondere a una richiesta del giornale stesso, senza indicazioni previe su come scrivere il pezzo e senza aggiustamenti, a pezzo scritto, di chicchessia.
Si potrebbe continuare ma basta così, lo schiamazzo non è poi così importante da meritare un impegno ulteriore. Per terminare, volevo solo confermare ai lettori ciò che peraltro è scontato e non avrebbe bisogno di essere ribadito: quel che mi ha mosso in quell’articolo e che, spero, mi muoverà in futuro non è altro che l’amore per la Chiesa e il rispetto per colui che, secolo dopo secolo, è chiamato a guidarla in terra. Un rispetto quale si deve a un padre, dunque tale non solo da permettere ma anzi da esigere lo scambio di vedute, il confronto pacato di opinioni, ovviamente su ciò che non attiene al Credo di cui solo lui, il Papa, è custode. Quel “vescovo di Roma” per il quale, come ricordavo alla fine dell’articolo maudit, ogni cattolico ha il dovere di pregare.
 

(Fonte: Vittorio Messori, La nuova bussola quotidiana, 17 gennaio 2015)
http://www.lanuovabq.it/it/articoli-lo-strano-schiamazzo-11534.htm

 

venerdì 16 gennaio 2015

Moi je ne suis pas "Charlie", Je suis "don Andrea Santoro"

"Hanno colpito il cuore dell'Europa"... Questa è la frase che hanno scritto e detto molti giornalisti in queste ore che seguono la strage di Parigi. E quale sarebbe il cuore dell'Europa? La sede, pensate un po', del settimanale satirico parigino «Charlie Hebdo».
Eh, uno chissà che si aspetta dall'Europa, dalla grande e vecchia Europa... e invece toh, il suo cuore sta tutto lì, non in una gramde cattedrale medievale, non al colosseo, non in una prestigiosa università o in parlamento, sta in un posto in cui si disegnano e si pubblicano vignette satiriche, robe da ridere insomma, prese in giro, dissacratorie, sghignazzanti. Tièh!

E l'Europa, colpita al cuore del suo acido umorismo, scende in piazza. A far che? A gridare, a rivendicare la libertà di offesa e di irrisione. Già, è un nostro "profanolaico" e inviolabile diritto, di uomini e di donne occidentali, quello di prendere in giro il prossimo, di dissacrare, di irridere, di offendere a nostro piacimento e fanti e santi come meglio ci garba. Quello sì che è "sacro" per noi: il diritto di dissacrare (naturalmente i valori altrui).
Il 5 febbraio 2006 nella piccola chiesa cattolica di Trebisonda, nel nord della Turchia, veniva ammazzato un prete, don Andrea Santoro. Per la sua morte cruenta fu arrestato e condannato Ouzhan Akdil, un ragazzo appena sedicenne di fede islamica, il quale confessò di aver ucciso don Andrea perché sconvolto dalle vignette satiriche su Maometto apparse pochi mesi prima su un quotidiano danese. Sfugge il nesso "satira danese-prete italiano". Ma l'onta della dissacrazione fu lavata allora col sangue innocente di un sacerdote cattolico.
Forse perchè non fu colpita la satira, ma soltanto la chiesa, non furono colpiti i cecchini della risata, ma un povero prete cristiano, che aveva pure l'aggravante di essere cattolico, forse per questo Madame l'Europe, non si sdegnò più di tanto, o se lo fece lo fece in modo formale e sbrigativo. L'Occidente, tirò fuori allora dal cilindro della retorica certe frasi di circostanza come "è inammissibile, è intollerabile, è scandaloso..." e poi più nulla.
E infatti, chi mai scese in piazza nel 2006 per protestare contro la morte di un povero prete innocente? Chi scrisse di se stesso "Io sono don Santoro"? Anzi., anche quela volta l'accento fu messo piuttosto sulla libertà di matita, sulla satira... quella sì, colpita al cuore. Eppure il sangue sparso non era quello di un vignettista, ma di un uomo di chiesa.
Una parte d'Europa (ma è poi la stessa Europa?) si stracciò le vesti quando, nel febbraio del 2006, il leghista Roberto Calderoli indossò ed esibì in televisione una maglietta sulla quale era stampata la famigerata vignetta antimaomettana, opera dell'autore danese di cui sopra. Non disse, quell'Europa, sempre distratta davanti ai martiri cristiani del medio oriente e dell'Africa islamista, che Calderoli (allora ), aveva esercitato con coraggio la libertà di satira, no, disse piuttosto che il ministro delle Riforme istituzionali italiano aveva provocato volgarmente, stupidamente una prevedibile e giusta reazione del mondo islamico. Se ben ricordo lo censurò senza patemi, da destra e da sinistra., forse perché Calderoli non era un "libero pensatore" come si deve, ma soltanto un leghista ignorante e volgare. E Calderoli fu costretto alle dimissioni, perché Calderoli, lui sì, era "Charlie".
Il 12 settembre del 2006 papa Benedetto XVI tenne all'università di Ratisbona una lectio magistralis dal titolo "Fede, ragione e università - Ricordi e riflessioni". La sua citazione dell'imperatore bizantino Manuele II Paleologo ebbe come conseguenza reazioni violente nel mondo musulmano, con grandi proteste di piazza, assalti e incendi a molte chiese africane ed orientali.
L'Europa di allora (ma in fondo la stessa 'Europa che oggi si riconosce in "Charlie Hebdo"), ebbe toni di biasimo verso il pontefice, non lo difese. Né difese minimamente i tanti cristiani che furono fatti oggetto di persecuzione e di vendetta da parte degli esagitati islamisti. L'Europa di allora trattò il papa come un provocatore, come un irresponsabile, un imprudente, nel migliore dei casi. Non come un eroe, non come un pontefice franco e sincero, cui riconoscere il merito della chiarezza e della libertà di parola.

Ipocrisia allo stato puro è quest'Europa che oggi grida «Je ne suis pas "Charlie"!»
Non è da ipocriti dimenticare che in Europa, in nome della laicità e dell'accoglienza verso le più diverse confessioni, si censurano presepi e crocifissi e simboli cristiani, e poi si grida allo scandalo quando è la satira ad essere censurata?
E non è da ipocriti, o almeno da struzzi, continuare ad affermare che non esiste alcuno scontro di civiltà, mentre ciò è ormai più che evidente?
E non è da ipocriti farsi scivolare addosso tutti quei crimini contro l'umanità che vengono commessi ogni giorno dagli assassini dell'Isis e di Boko Haram, per diventare poi delle iene solo quando gli stessi estremisti assaltano un giornale satirico?
·         Moi je ne suis pas "Charlie" perché io porto rispetto al sentimento religioso, anche a quello di chi non ha la mia stessa fede.
·         Moi je ne suis pas "Charlie" perché io non credo che sia un diritto quello di offendere con l'irrisione le persone nella loro identità.
·         Moi je ne suis pas "Charlie" perché io sono convinto che a nessuno sia dato il diritto di procurare  della sofferenza ad alcuni per dare il piacere ad altri dello sghignazzo.
·         Non, moi je ne suis pas "Charlie"! Io sono "don Andrea Santoro".

 
(Fonte: Michele Balen, Il bianco alfiere, 8 gennaio 2015)
http://biancoalfiere.blogspot.it/2015/01/moi-je-ne-suis-pas-charlie-je-suis-don.html

 

mercoledì 14 gennaio 2015

Per quale libertà vogliamo lottare

Diceva oltre un secolo fa lo scrittore inglese G.K. Chesterton che il grave errore delle Scienze sociali è l’uso dello schema medico, ovvero cercare di definire la malattia prima di ricercare la cura. Ma nella società umana, avverte Chesterton, questo schema porta in un vicolo cieco, il rimedio non si trova mai. «In ambito sociale – spiega – ci si deve prima curare della piena definizione di uomo e della sua dignità, prima di considerare i suoi mali». Vale a dire, che è facile e ovvio essere d’accordo su ciò che è male, il problema nasce quando passiamo a definire il bene, perché non c’è dubbio che quello che una parte della popolazione considera bene, un’altra parte lo considererà un male peggiore. Queste riflessioni mi sono tornate in mente guardando l’oceanico corteo umano che ieri ha attraversato Parigi e le altre analoghe manifestazioni in tutta la Francia.
In effetti il terrorismo, la violenza cieca del fanatismo religioso è un male evidente su cui tutti siamo d’accordo: per quel che è successo a Parigi il 7 gennaio – come altrove nel mondo – non ci può essere alcuna giustificazione. Il problema – e la divisione – nasce quando passiamo a definire come è possibile fermare tale fanatismo, come si costruisce – o su quali valori si costruisce - una società dove diverse culture possano convivere pacificamente.
Tutti siamo stati concordi nel definire la strage del Charlie Hebdo e dell’ipermercato Kosher «un attacco alla libertà». Ma è quando andiamo a definire cosa sia la libertà che allora le strade si dividono e si comprende che quel popolo così unito in piazza contro il terrorismo ben difficilmente lo sarà domani quando si tratterà di decidere cosa fare per difendere la libertà.
La libertà, per chi condivide il pensiero dei giornalisti di Charlie Hebdo, è totale assenza di legami, disconoscimento di ogni paternità.
Per questo diventa fanatismo laicista, l’obiettivo preferito è la religione, tutte le religioni. È l’espressione di una ragione “ridotta”, secondo la definizione di Benedetto XVI nella tanto citata quanto incompresa lezione di Ratisbona, una ragione che esclude la possibilità del divino. È l’altra faccia – sempre seguendo Benedetto XVI - di una fede in un Dio che agisce anche contro la ragione, come avviene nell’islam, e produce perciò quel fanatismo cieco cui stiamo assistendo.
Ma tornando all’Occidente, diceva papa Ratzinger, «una ragione, che di fronte al divino è sorda e respinge la religione nell'ambito delle sottoculture, è incapace di inserirsi nel dialogo delle culture». È la fotografia dell’Europa odierna, che ad esempio fa ancora fatica a capire il fallimento del multiculturalismo.
Di più: siamo di fronte – diceva il cardinale Giacomo Biffi nel 2000 nella famosa lettera alla città di Bologna - a una «ricerca della ”libertà senza verità", che finisce col mortificare la dimensione etica della vita. In conseguenza di questa libertà incondizionata e vuota di valori, l’uomo è insidiato nella sua stessa dignità e perfino nella sua sopravvivenza: le fantasie genetiche, il crollo della natalità, il disprezzo della vita umana (soprattutto con la vergognosa legalizzazione dell’aborto), la glorificazione delle devianze sessuali, la corrosione dell’istituto della famiglia e il permissivismo dilagante ne sono i segni più manifesti».
E una libertà senza verità tende a diventare totalitarismo, arbitrio del potere. Così succede oggi: tutti difendono la libertà di Charlie di offendere e bestemmiare, nella stessa Francia dove appena pochi mesi fa la polizia picchiava e arrestava tranquilli padri di famiglia colpevoli di essere in piazza a chiedere il rispetto della famiglia naturale. E anche in Italia i soliti giornaloni e leader politici si stracciano le vesti per la minaccia alla libertà di satira proprio mentre stanno cercando di impedire che a Milano si svolga un convegno in difesa della famiglia naturale, mentre infamano le Sentinelle in piedi e vogliono tappare la bocca a tutti coloro che rifiutano l’ideologia omosessualista.
La libertà senza verità si trasforma inesorabilmente nella libertà di dire solo ciò che vuole il potere, qualunque esso sia.
Nella tradizione cristiana, che ha forgiato l’Europa facendone una grande civiltà fondata sul valore sacro della persona – perché immagine e somiglianza di Dio -, la libertà è invece adesione al vero, è fare il bene, cercare e vivere nella verità. È questo attaccamento alla verità che nei secoli ha permesso sia di integrare nuove popolazioni sia di difendersi da aggressioni. L’islam più volte nella storia ha cercato di conquistare l’Europa con la forza ma alla fine è sempre stato respinto, e grazie alla fede di un popolo per cui la libertà consisteva nell’appartenenza alla Chiesa.
Oggi invece l’islam trova “la cultura del niente”, come l’ha definita sempre il cardinale Biffi nella già citata lettera. Così che quanto accaduto a Parigi sembra rappresentare ciò che ancora Biffi aveva profetizzato: «Io penso che l’Europa o ridiventerà cristiana o diventerà musulmana. Ciò che mi pare senza avvenire è la “cultura del niente”, della libertà senza limiti e senza contenuti, dello scetticismo vantato come conquista intellettuale, che sembra essere l’atteggiamento dominante nei popoli europei, più o meno tutti ricchi di mezzi e poveri di verità. Questa “cultura del niente” (sorretta dall’edonismo e dalla insaziabilità libertaria) non sarà in grado di reggere all’assalto ideologico dell’islam che non mancherà». Da qui l’unica strada possibile: «Solo la riscoperta dell‘avvenimento cristiano come unica salvezza per l’uomo -e quindi solo una decisa risurrezione dell’antica anima dell’Europa - potrà offrire un esito diverso a questo inevitabile confronto».
Prima di qualsiasi analisi sul male del terrorismo, dunque, dobbiamo scegliere quale libertà vogliamo perseguire. Da domani non basta più dire “Non sono Charlie”, dobbiamo dire chi siamo.

(Fonte: Riccardo Cascioli, La nuova bussola quotidiana, 12 gennaio 2015)
http://www.lanuovabq.it/it/articoli-per-quale-liberta-vogliamo-lottare-11481.htm

 

lunedì 5 gennaio 2015

Vittorio Messori risponde per le rime a Leonard Boff e a tutti i critici acritici che non lo hanno letto

Leonardo Boff, leader della Teologia della Liberazione alla brasiliana, quella con più esplicito riferimento al marxismo, dopo i contrasti con il cardinal Joseph Ratzinger e dopo i moniti di Giovanni Paolo II, dichiarò che quella Chiesa era inabitabile e irreformabile. Così, lasciò il saio francescano e andò a vivere con una compagna. Giunse però la sorpresa dell’implosione del comunismo e, come avvenuto per tanti, passò dal rosso al verde, all’ambientalismo più dogmatico, con aspetti di culto panteistico alla Madre Terra. Continua, però, a celebrare i sacramenti, con liturgie eucaristiche e battesimali da lui stesso elaborate (non mancano, si dice, le risonanze new age) nell’acquiescenza dell’episcopato brasiliano. In una intervista apparsa un anno fa su Vatican Insider ha affermato di avere non solo buoni rapporti con papa Francesco, come già in Argentina con l’allora arcivescovo, ma di collaborare con lui sui temi ambientalisti, in vista della enciclica “verde” annunciata dal Vescovo di Roma e, pare, da lui stesso suggerita.
Diciamo questo perché, in questo convinto ammiratore di Jorge Bergoglio, sembra esserci davvero poco della tenerezza, dell’accoglienza, del rispetto dell’altro, della misericordia indulgente predicati con tanta passione da papa Francesco. Il suo commento, pubblicato ieri da questo giornale, a proposito del mio articolo del 24 dicembre, non ha nulla dei buoni modi che Bergoglio esige nei riguardi di tutti, fossero anche antagonisti. Il già padre Leonardo mi attribuisce “grossi vuoti nel pensiero”, scarsa intelligenza, ignoranza, dandomi anche del mal convertito che, giunto a un’età rispettabile, deve finalmente decidersi portare a termine la conversione. Mi lancia pure quella che per lui è una pesante accusa, ma che per me suona come un complimento, dandomi del “cristomonista”. Non so bene che voglia dire, ma quel che intuisco non mi dispiace, anzi mi lusinga.
Comunque, nessuna sorpresa: scrivendo cose che non piacciono a tutti, so bene come siano, nel concreto, quegli edificanti intellettuali (spesso religiosi) che del dialogo, appunto, vorrebbero fare una sorta di religione. Ma no, non è questo che colpisce. Ciò che potrebbe amareggiare è che Boff sembra non avere letto affatto quanto ho scritto: forse l’imperfetta conoscenza dell’italiano, forse la fretta, forse il pregiudizio ideologico, sta di fatto che la sua reazione, tanto veemente quanto confusa, poco o nulla ha a che fare con ciò che davvero ho detto. L’esempio più vistoso è l’accusa di «quasi ignorare lo Spirito Santo». Per la verità, il riferimento al Paraclito è l’elemento centrale del mio discorso, dove ricordo che nulla capiremmo del papato se non riferendoci all’azione libera e imperscrutabile dello Spirito. Mi si lasci dire che, nel dibattito sconcertante suscitato da quel mio articolo, molti altri critici hanno giudicato irrilevante confrontarsi con i veri contenuti: inforcati gli occhiali dell’ideologia hanno attaccato un testo esistente solo nei loro schemi previ. Magari politici più che religiosi.
Ma, per tornare a Boff: si dà il caso che, su uno dei siti più frequentati dai cattolici, La Nuova Bussola Quotidiana, sia stato analizzato da un teologo professionista proprio il pezzo pubblicato ieri anche dal Corriere, dopo aver circolato per molti giorni nella Rete. Il teologo è mons. Antonio Livi, da molti anni docente nell’università dei papi, la Lateranense, conosciuto a livello internazionale per i suoi studi, per l’originalità del pensiero, per le iniziative accademiche ed editoriali. Questo studioso, assai rispettato in Vaticano, non ha esitato a scrivere che «le critiche violente e dissennate a Messori di un ex religioso che si presenta come teologo rappresentano la summa di tutte le sciocchezze degli ideologi della teologia della liberazione». L’autorevole specialista  rincara: «Boff si arroga l’esclusiva di interpretare ciò che lo Spirito vuole dalla Chiesa e attribuisce a sé l’infallibilità che nega al Magistero».  «L’ex francescano» dice ancora mons, Livi «sembra ignorare che un vero teologo non spaccia per verità divina le sue arbitrarie congetture». E così via.
Insomma, tutti i critici vanno presi sul serio, ma non tutti devono essere presi sul tragico. Credo che quest’ultimo sia il caso dell’eco-teologo brasiliano.

(Fonte: Vittorio Messori, Corriere della Sera, 5 gennaio 2015 da il Timone, 6 gennaio 2015)
http://www.iltimone.org/32582,News.html

 

Attacco a Messori, un problema di subalternità culturale

Avrei volentieri evitato di tornare sul caso “Messori contro tutti” dopo l’editoriale di sabato. Ma il linciaggio mediatico contro lo scrittore cattolico continua così veemente che è impossibile evitare qualche riflessione, a maggior ragione se a ispirare tanti di questi attacchi è il quotidiano della Conferenza Episcopale Italiana. Sabato infatti il quotidiano Repubblica ha pubblicato ben due pagine sulla vicenda, con grande risalto in prima pagina, dall’eloquente titolo “Tutti i nemici del Papa”.
Leggi l’articolo alla ricerca dell’elenco dei nemici e scopri che in gran parte è la ripetizione delle accuse gratuite contro Messori scritte il giorno prima dal direttore di Avvenire, Marco Tarquinio, che aveva addirittura dedicato l’intera pagina 2 del suo giornale ad alcune riflessioni dei lettori e al suo commento. In effetti oltre al principale imputato – accusato da Tarquinio di essere il «pitulus (sulle antiche navi era l’incaricato di battere il ritmo di voga) dei “contro rematori”» - nell’articolo si fa riferimento ai cinque cardinali che avevano raccolto in un libro le loro riflessioni critiche contro il cardinale Kasper in vista del recente Sinodo e un fugace accenno all’immancabile Antonio Socci. Fine. Se è tutto qui l’esercito nemico, il Papa può dormire sonni tranquilli. Ma a corredo ecco anche il commento di don Luigi Ciotti, “italiano dell’anno” per Famiglia Cristiana e uno dei firmatari della petizione per “Fermare gli attacchi a papa Francesco”. 
Ed è un sentimento strano quello che ti prende quando leggendo don Ciotti hai la sensazione di toni concilianti e rassicuranti se confrontati con quelli esagitati del direttore di Avvenire, che a proposito dell’articolo di Messori parla addirittura di «una mossa congegnata per fare rumore con la pretesa di “segnare” il Natale ormai alle porte». Ed eccoci ancora con la mania delle trame oscure, condita da apprezzamenti sulla persona (Messori «sentenzia “dall’alto”» perché «”dal mezzo” o “dal basso” a Messori non riesce facilmente nei confronti di nessuno, nemmeno dei Vicari di Cristo…»). Detto per inciso, viene in mente quella costosa campagna pubblicitaria di Avvenire e Famiglia Cristiana per ricordare che «le parole uccidono», ma evidentemente solo quelle degli altri. 
Non vado oltre nel citare il commento di Tarquinio, chi vuole può leggerselo e giudicare da solo (clicca qui). Ma l’eco suscitata da Avvenire non si limita a questo. Ieri il Corriere della Sera ha pubblicato l’articolo di Leonardo Boff che su La Nuova BQ è già stato brillantemente confutato da monsignor Antonio Livi (clicca qui). Forse il direttore Ferruccio De Bortoli si è spaventato all’idea di essere additato tra i nemici di papa Francesco, dopo aver fatto tanto per accreditarsi tra i fan del Pontefice. Ma certamente l’idea gliel’ha offerta ancora una volta Avvenire che aveva pubblicato un primo commento sulla vicenda, parlando di diatriba Messori-Boff (clicca qui).
«L’acuta, davvero edificante e molto apprezzata riflessione di don Maurizio Patriciello» (parole di Marco Tarquinio) metteva sullo stesso piano i due, che «vogliono entrambi il bene della Chiesa», anche se espressione di «due modi di intendere l’Albero bimillenario della Chiesa che, nella parresia e nella carità, possono portarle molta linfa». Insomma, secondo don Patriciello siamo di fronte a due «posizioni estreme» ed evidentemente legittime nella Chiesa che hanno solo bisogno di imparare a dialogare.
De Bortoli deve aver preso alla lettera l’invito ed ecco fare del Corriere il luogo di questo dialogo (si fa per dire, visti gli insulti di Boff) a distanza. Peccato che il povero De Bortoli sia stato portato completamente fuori strada da don Patriciello che, nel suo impeto pacificatore, ha fatto un po’ di confusione. O quantomeno ha dimenticato di dire che mentre Messori è cattolico, Boff non lo è più da tempo per sua stessa ammissione e non è che il suo improvviso entusiasmo per papa Francesco cambi la questione.
Nella sua «acuta riflessione», l’editorialista di Avvenire avrebbe dovuto almeno ricordare che Leonardo Boff, tra i principali esponenti della Teologia della Liberazione, è stato censurato dalla Chiesa già negli anni ’80, ha poi lasciato l’ordine francescano e anche la Chiesa per convertirsi a un ecologismo new age. In uno dei suoi scritti più recenti, parlando dei «germogli per la salvaguardia della Terra», parla ad esempio di «ecosocialismo democratico che propone una nuova forma di produzione con la natura e non contro di essa e un necessario governo globale», nonché di «redenzione della dimensione spirituale, al di là delle religioni, che ci permette di sentirci parte del tutto, di percepire l’Energia universale che tutto penetra e sostenta».
Sono proprio sicuri ad Avvenire e nella Cei che questo sia «un modo di intendere la Chiesa»? Forse allora sarebbe il caso di chiarirsi su cosa sia la Chiesa e cosa significhi appartenervi. Anche perché non si può non notare un fenomeno curioso. Molti ricorderanno che i Boff teologi della liberazione erano due: oltre a Leonardo c’era anche suo fratello Clodovis, che però ha preso una strada diversa. Ovvero, dopo il duro confronto con la Congregazione per la Dottrina della Fede, Clodovis è rientrato nell’alveo dell’ortodossia, e negli anni successivi ha riconosciuto la correttezza della posizione dell’allora cardinale Ratzinger e tutti gli errori della Teologia della Liberazione. Ci si sarebbe aspettati gioia e commozione per questo fratello che si era perduto ed è tornato a casa, e invece i soliti intellettuali e giornalisti che hanno in mano il “pensiero cattolico” lo hanno immediatamente ripagato con l’oblio; al contrario, a distanza di tanti anni continuano ad abbeverarsi alle idiozie di Leonardo, mendicando interviste, esaltandone le opinioni e soprattutto spacciandocelo ancora come un teologo cattolico.
È certamente il segno di una subalternità culturale allarmante per quanto non sorprendente, ma quando dalle colonne del quotidiano dei vescovi italiani si leggono certe affermazioni, allora siamo anche nel campo della disinformazione e della mistificazione.
Subalternità culturale, dicevo. Ed ecco subito un altro esempio. Non pago di quanto scritto su Avvenire, il direttore ha avuto subito modo di ripetersi su Radio Radicale (clicca qui) che – avendo colto il riferimento a Marco Pannella nell’articolo di Tarquinio – non si è lasciata sfuggire l’occasione. E insieme alla ripetizione delle dure critiche a Messori, e all’annuncio di una nuova stagione della Chiesa, ecco anche un peana per Pannella e i radicali, soprattutto per l’impegno in materia di carceri ma non solo. Infatti, per Tarquinio, pare proprio che cattolici e radicali siano destinati presti a marciare insieme.
Ha detto infatti il direttore di Avvenire dopo aver riconosciuto che tra mondo cattolico e mondo radicale oggi su alcune cose «c’è un sentire diverso» (trascrizione letterale): «Ma con l’avanzamento della scienza e della comprensione delle cose dell’uomo e della donna arriveremo a essere molto più vicini, perché certe battaglie che profeticamente i cattolici fanno oggi sul mettere le mani sull’uomo, credo che la sensibilità degli uomini e delle donne radicali non possa non diventare molto vicina a quella dei cattolici di oggi. È questione di tempo». Pare quindi di capire che oggi se i radicali sono per divorzio, aborto, eutanasia, droga libera, unioni gay e quant’altro è solo per mancanza di conoscenze scientifiche e antropologiche. Basta studiare insomma. E ancora: «Stavolta io penso che noi cattolici siamo un po’ avanti, su altre questioni in altri momenti i radicali hanno saputo vedere con più profondità e in anticipo. Sulle carceri siamo già sulla stessa lunghezza d’onda…». Viene da chiedere a Tarquinio: quali sono le questioni su cui i radicali hanno saputo vedere con più profondità e in anticipo?
Sulle carceri forse, visto che è l’unico argomento di cui si è parlato a Radio Radicale? Solo perché Pannella ha fatto qualche sciopero della fame e della sete? Senza scomodare la storia della Chiesa e la lunga tradizione di opere di misericordia nei confronti dei carcerati che risalgono agli Atti degli Apostoli; e tralasciando pure la presenza dei cappellani che in carcere ci vivono quotidianamente e quotidianamente condividono le sofferenze dei reclusi senza bisogno di andare a fare i buffoni in tv per raccattare un po’ di consensi e di soldi per il partito; ma lo sa Tarquinio quante associazioni cattoliche sono impegnate da decenni nell’assistenza ai carcerati e alle loro famiglie, nell’aiuto al loro reintegro nella società, senza bisogno di andare a chiedere istruzioni a Pannella & co?
E se non si riferiva alle carceri, quali sono le cose su cui dovremmo seguire i radicali?
Oppure pensa che la «Chiesa in uscita» si traduca con lo sparare ai cattolici e andare a inginocchiarsi davanti a coloro che dedicano la vita a distruggere ogni presenza di Cristo nella società? Seguendo i discorsi di papa Francesco a me sembrava di aver capito che si deve uscire per annunciare Cristo a chi è lontano. Pregare e fare in modo che il figlio prodigo ritorni a casa non che andiamo tutti a custodire i maiali.  Ricorda Clodovis Boff: «Negli anni ’70 il card. Eugenio Sales mi ha ritirato la certificazione per l’insegnamento della teologia presso l’Università Cattolica di Rio. Sales mi ha affabilmente spiegato: “Clodoveo, penso che ti sbagli. Fare del bene non basta per essere cristiani, l’essenziale è confessare la fede..”. Aveva ragione, infatti la Chiesa è diventata irrilevante. E non solo essa, ma Cristo stesso». Chissà perché qualcuno vuole ripetere gli stessi errori.

(Fonte: Riccardo Cascioli, La nuova bussola quotidiana, 05 gennaio 2015)
http://www.lanuovabq.it/it/articoli-attacco-a-messoriun-problemadi-subalternitaculturale-11407.htm#.VKp9dIakZQU.facebook