Questo è
ciò che il papa dice riguardo alle “famiglie” omosessuali, nel docufilm
“Francesco” del regista Evgeny Afineevsky (nella foto) presentato il 21 ottobre
alla Festa del Cinema di Roma:
“Las
personas homosexuales tienen derecho a estar en la familia. Son hijos de Dios,
tienen derecho a una familia. No se puede echar de la familia a nadie, ni hacer
la vida imposible por eso. Lo que tenemos que hacer es una ley de convivencia
civil. Tienen derecho a estar cubiertos legalmente. Yo defendí eso”.
Parole
che tradotte in italiano suonano così:
“Le
persone omosessuali hanno diritto a stare in una famiglia. Sono figli di Dio,
hanno diritto a una famiglia. Non si può scacciare dalla famiglia nessuno né
rendergli la vita impossibile. Quel che dobbiamo fare è una legge di convivenza
civile. Hanno diritto a essere coperti legalmente. Io ho difeso questo”.
Dal che
si apprende che Francesco, per la prima volta nella storia della Chiesa,
benedice le “famiglie” e quindi i matrimoni tra persone dello stesso sesso,
come benissimo esemplificato, nel seguito del film, dalla coppia italiana
“sposata” di omosessuali cattolici, con tre figli avuti in Canada da maternità
surrogate, alla quale lo stesso papa esprime tutto il suo incoraggiamento.
*
Eppure,
padre Antonio Spadaro, gesuita vicinissimo a Jorge Mario Bergoglio, ha subito
dichiarato che in quelle parole non c’è nulla di nuovo e sono le stesse già
dette da Francesco in una sua precedente intervista alla giornalista Valentina
Alazraki, per la tv messicana Televisa.
Ed è
vero. Ma con tagli, cuciture e interpolazioni che di fatto hanno cambiato radicalmente
il senso di quelle parole.
Ecco
infatti qui di seguito – In italiano, nella traduzione
vaticana – il testo
originale di quella intervista nella parte utilizzata nel film, nella
trascrizione testuale diffusa dal Vaticano il 28 maggio 2019 assieme alla
videoregistrazione. Con evidenziate in corsivo le parole salienti, e con
sottolineate in neretto le pochissime frasi riprodotte nel film.
FRANCESCO
– Mi hanno fatto una domanda durante il volo – dopo mi sono
arrabbiato, mi sono arrabbiato perché un giornale l’ha riportata – sull’integrazione
familiare delle persone con orientamento omosessuale. Io ho detto: le
persone omosessuali hanno diritto a stare nella famiglia, le persone
con un orientamento omosessuale hanno diritto a stare nella famiglia e i
genitori hanno diritto a riconoscere quel figlio come omosessuale, quella
figlia come omosessuale, non si può scacciare dalla famiglia nessuno
né rendergli la vita impossibile. Un’altra cosa che ho detto è:
quando si vede qualche segno nei ragazzi che stanno crescendo bisogna mandarli,
avrei dovuto dire da un professionista, e invece mi è uscito psichiatra. Titolo
di quel giornale: “Il Papa manda gli omosessuali dallo psichiatra”. Non è
vero! Mi hanno fatto un’altra volta la stessa domanda e ho
ripetuto: sono figli di Dio, hanno diritto a una famiglia, e
basta. E ho spiegato: mi sono sbagliato a usare quella parola, ma volevo
dire questo. Quando notate qualcosa di strano, no, non di strano, qualcosa che
è fuori dal comune, non prendete quella parolina per annullare il contesto.
Quello che dice è: ha diritto a una famiglia. E questo non vuol dire approvare
gli atti omosessuali, tutt’altro.
VALENTINA
ALAZRAKI – Sa che succede, che lei molte volte si stacca dal contesto, è anche
un vizio della stampa. Quando lei ha detto nel suo primo viaggio quella
famosissima frase: “chi sono io per giudicare”, lei prima aveva detto:
“sappiamo già quello che dice il catechismo”. Ciò che succede è che questa
prima parte non si ricorda, si ricorda solo: “chi sono io per giudicare”.
Allora anche questo ha suscitato molte aspettative nella comunità omosessuale
mondiale, perché hanno pensato che lei sarebbe andato avanti.
FRANCESCO
– Sì, ho fatto dichiarazioni come questa della famiglia per andare
avanti. La dottrina è la stessa, quella dei divorziati è stata riadattata,
in linea però con “Amoris laetitia”, nel capitolo ottavo, che è recuperare la
dottrina di san Tommaso, non la casistica.
VALENTINA
ALAZRAKI – È questo il problema che a volte si crea.
FRANCESCO
– Lo capisco, ma non quando tolgono una parola dal contesto come con quel
“psichiatra”, non ne avete il diritto. Ed è strano, mi hanno raccontato che è
stata una persona non credente a difendermi. Ha detto una cosa mai sentita
prima, che la frase “veda uno psichiatra” era un lapsus linguae.
VALENTINA
ALAZRAKI – Papa Francesco, c’è una cosa che richiama la mia attenzione.
Alcuni suoi conoscenti quando viveva in Argentina dicono che lei era conservatore,
per usare sempre categorie, diciamo, nella dottrina.
FRANCESCO
– Sono conservatore.
VALENTINA
ALAZRAKI – Lei ha fatto tutta una battaglia sui matrimoni con persone
dello stesso sesso in Argentina. E poi dicono che è venuto qui, è stato eletto
Papa e ora sembra molto più liberale di quanto lo fosse in Argentina. Si
riconosce in questa descrizione che fanno alcune persone che l’hanno conosciuta
prima, o è stata la grazia dello Spirito Santo che le ha dato di più? [ride],
FRANCESCO
– La grazia dello Spirito Santo esiste, certo. Io ho sempre difeso la
dottrina. Ed è curioso, nella legge sul matrimonio omosessuale... è
un’incongruenza parlare di matrimonio omosessuale.
*
Come si
può notare, nell’intervista originale non c’è una sola parola in cui Francesco
si discosti dalla dottrina della Chiesa.
La
famiglia di cui il papa parla è solo quella di cui l’omosessuale è figlio,
nella quale dovrebbe essere accolto con comprensione ed amore.
Riguardo
agli atti omosessuali conferma che continua a valere quanto dice il Catechismo
della Chiesa cattolica, che li disapprova sempre come “intrinsecamente
disordinati”.
E sul
“matrimonio” omosessuale dice che già il solo parlarne è “un’incongruenza”, con
riferimento alla “battaglia” da lui combattuta da arcivescovo in Argentina
contro, appunto, la legittimazione di matrimoni di questo tipo e a favore
invece di una semplice legge di “convivenza civile” tra persone dello stesso
sesso.
Da uno
stacco nella videoregistrazione dell’intervista con Valentina Alazraki si
intuisce che su quest’ultimo punto Francesco deve aver detto qualcosa di più,
poi tagliato.
E sono proprio alcune di queste parole che nel film sono state ricuperate e
cucite alle altre, evidentemente con la fattiva collaborazione dei responsabili
dei media vaticani:
“Lo
que tenemos que hacer es una ley de convivencia civil. Tienen derecho a estar
cubiertos legalmente. Yo defendí eso”.
In
italiano:
“Quel
che dobbiamo fare è una legge di convivenza civile. Hanno diritto a essere
coperti legalmente. Io ho difeso questo”.
Non
solo. Le tre brevi frasi riprese dall’intervista del 2019 sono state cambiate
di posto tra loro nel film, dando il massimo dell’evidenza a quella in cui il
papa dice che gli omosessuali “hanno diritto a una famiglia”. Il che, collegato
alla sua espressa volontà di conferire a queste unioni una “copertura legale”,
finisce col trasmettere il messaggio di un’approvazione del papa proprio dei
“matrimoni” tra omosessuali, con tanto di figli come in una normale famiglia.
Insomma,
grazie a questo spregiudicato copia e incolla, Francesco si ritrova a dire in
questo film cose radicalmente diverse da ciò che aveva detto in origine con le
medesime parole.
*
Ebbene,
al fragore con cui i media di tutto il mondo hanno dato notizia di questa
svolta rivoluzionaria nella dottrina della Chiesa cattolica sull’omosessualità,
come hanno reagito le autorità vaticane?
I media
della Santa Sede hanno dato brevemente notizia
del film – senza fare il minimo cenno ai passaggi sulle unioni omosessuali –
solo prima che fosse proiettato e soprattutto prima che le “breaking news”
esplodessero.
E dopo
la notizia bomba si sono chiusi in un silenzio assoluto. Senza nemmeno riferire
che nel pomeriggio di giovedì 22 ottobre, nei giardini vaticani, presente il
prefetto del dicastero per la comunicazione Paolo Ruffini, è stato consegnato
al regista Evgeny Afineevsky ilpremio “Kinéo”
Movie for Humanity Award”, proprio per il suo docufilm “Francesco”.
Ma molto
più impressionante è stato il silenzio del papa.
Non è la
prima volta che Francesco si vede distorcere talune sue dichiarazioni. Ma in
questo caso il rovesciamento di senso che le sue parole hanno avuto è di una
gravità inaudita.
E lui lo
subisce come pecora muta condotta al macello?
Oppure
lo accetta e in silenzio lo sottoscrive, con un ennesimo, improvviso “mutamento
di linea”, come se ne sono avuti tanti nella storia ad opera di sovrani
assoluti, senza mai dare una spiegazione?
È ciò
che lo storico Roberto Pertici ipotizza e commenta nella lettera che segue.
*
I
“MUTAMENTI DI LINEA”
Caro
Magister, chi
cerca di spiegare ai propri studenti quel grande ed effimero fenomeno storico
che fu il comunismo novecentesco, ha oggi grandi difficoltà, tanto sono lontane
le loro menti e le loro sensibilità da lessico, procedure e idee di quel mondo.
In questa generale difficoltà, ancor più arduo è fornire una spiegazione
comprensibile dei cosiddetti “mutamenti di linea” di cui è costellata la sua
storia. Il fatto cioè che tutti i suoi militanti fossero impegnati allo spasimo
nel recepimento, nel commento, nell’attuazione della linea stabilita dal
Partito sovietico e quindi dal Komintern, e all’improvviso fossero messi di
fronte a un suo capovolgimento e magari all’affermazione della linea contraria,
proprio quella contro cui avevano sanguinosamente polemizzato e combattuto per
anni (a colpi di espulsioni e, dove potevano, anche con altri mezzi). Non erano
per lo più svolte preparate dal basso con un intenso dibattito pubblico, ma
decise dall’alto dai vertici di Mosca e spesso comunicate in maniera choccante:
chi può dimenticare il famoso “rapporto segreto” di Krusciov e la sua
pubblicazione sulle colonne del “New York Times” il 5 giugno 1956?
Ma a
sentire i comunisti, loro avevano sempre avuto ragione: prima e dopo. Nel 1929,
quando avevano sostenuto la dottrina del “socialfascismo”, quindi i socialisti
riformisti eran poco meno che fascisti; nel 1935, auspicando invece larghe
intese con loro in nome della difesa della democrazia; nel 1939, quando avevano
stretto un patto con Hitler, tanto – si ripeteva ora – fra democrazia e
fascismo non c’è differenza; nel 1943, quando veniva sciolto il Komintern in
nome delle vie nazionali al socialismo; nel 1948, quando Tito veniva condannato
come traditore perché troppo “nazionale”, ecc.
Il
problema – così spiegavano – era che erano cambiate le “condizioni” e i
comunisti partivano sempre da un’analisi delle “condizioni”, ovviamente
condotta con “rigorosi” parametri marxisti. Prima la situazione era quella,
oggi è diversa e noi ci adeguiamo. In realtà, nella loro impostazione c’era un
opportunismo di fondo, e manovravano la verità secondo gli interessi della casa
madre, cioè dell’URSS e del partito sovietico: almeno fino a una certa data.
Posso
confessare, da modesto osservatore, che nel “modus operandi” di papa Francesco
c’è qualcosa che mi ricorda quanto appena detto?
Dico
subito che sono contrario alla pena di morte e favorevole alla
regolamentazione, anche giuridica, delle unioni fra persone dello stesso sesso,
distinguendole chiaramente dalla famiglia “naturale”. Eppure c’è qualcosa che
non mi torna nel vedere posizioni lungamente sostenute, su cui si sono scritte
migliaia di pagine e per cui si sono esposte, spesso a caro prezzo, migliaia e
migliaia di persone, cancellate così all’improvviso, “ad nutum principis”. E il
tutto poi sempre fatto fuori delle normali procedure (credo che anche la
Chiesa, come ogni organizzazione, abbia le sue) e in modo volutamente
spettacolare.
Allora
il recente (del 1992) catechismo della Chiesa cattolica “sbagliava”, quando
ancora ammetteva la pena di morte? E le ancora più recenti (del 2003)
dichiarazioni della congregazione per la dottrina della fede sulle unioni
omosessuali erano carenti di misericordia o legate a una teologia arcaica, come
già allora affermavano molti, dentro e fuori la Chiesa? Bene: allora ditelo, se
volete trattare i fedeli come esseri ragionevoli, a cui si deve dare una
spiegazione di quanto si dice e si fa.
Ma – mi
si risponde – la Chiesa non procede per negazioni, ma per approfondimenti: sono
i famosi “segni dei tempi” che bisogna saper cogliere e per questo è necessario
l’ancora più famoso “discernimento”.
Ho
sempre avuto l’impressione che, nei propri tempi, uno ci veda quel che ci vuol
vedere: Benedetto Croce ci ha insegnato a distinguere fra “giudizio
storico” e “azione morale”. Dare un giudizio storico non significa rassegnarsi
al trend che descriviamo o dire che esso è "inevitabile". Altrimenti
si cade nel cattivo storicismo della rassegnazione o, peggio, dell'accettazione
opportunistica. Non è una distinzione facile, lo so, ma bisogna mantenerla.
“Hier stehe Ich, Ich kann nicht anders”, “Io qui sto, e non posso fare altro”,
ebbe a dire in un momento difficile Martin Lutero, che le poste vaticane hanno
sdoganato qualche anno fa dedicandogli un francobollo riparatore. Il solo fatto
di dire "io non ci sto" cambia in qualche modo i rapporti di forza:
ed è la sola cosa che, in certi momenti, si possa fare.
Ma – mi
dice il solito amico – la Chiesa non è uno Stato parlamentare: il potere non
deriva dal basso, ma dal vertice, e il papa può procedere in solitudine con
decisioni maturate nella sua coscienza.
Ma
neanche nelle famose “monarchie assolute” il potere del re era realmente
“assoluto”, cioè sciolto da ogni controllo e da ogni limite: canonisti e
teologi mi assicurano che è così anche all’interno dell’istituzione
ecclesiastica. Il mio maestro delle elementari, un Fratello delle Scuole
Cristiane, ci insegnava che il papa parlava sempre col “pluralis maiestatis”
non per alterigia, ma perché voleva costantemente ribadire che la sua individualità
si perdeva nella lunga serie dei suoi predecessori e che lui parlava anche a
nome loro. Non so se questa affermazione risponda al vero, ma “le moi
haïssable” – l’io smisurato fino ad essere odioso, denunciato da Pascal – in
bocca a un pontefice da allora mi ha spesso messo a disagio. Roberto
Pertici.
(Fonte
Sandro Magister, LNBQ, 23 ottobre 2020)
http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2020/10/23/famiglie-omosex-cio-che-il-papa-ha-detto-e-cio-che-gli-hanno-fatto-dire/