venerdì 30 gennaio 2009

Quelli che non hanno bisogno di dio…

Al grande Blaise Pascal gli atei sembravano della gente strana. Scriveva infatti nel trecentotrentacinquesimo dei suoi Pensieri: “Pretendono di averci ben rallegrato, col dirci che sono sicuri che la nostra anima è solo un po' di vento e di fumo, e ancora, di dircelo con un tono di voce fiero e soddisfatto? E' questa dunque una cosa da dirsi allegramente? Non è, al contrario, cosa da dirsi con tristezza, come la cosa più triste del mondo?”.
Ma la domanda di Pascal deve essere caduta nel dimenticatoio, se in Inghilterra e in Spagna girano autobus con la scritta “Dio non esiste: smettila di preoccuparti e goditi la vita” e se in Italia una sedicente Unione degli Atei e Agnostici Razionalisti ha provato a lanciare, sempre per gli autobus, uno slogan un po’ più modesto, ma molto simile: “La cattiva notizia è che Dio non esiste. Quella buona è che non ne hai bisogno”.
In realtà non c’è nessuna buona notizia collegata al fatto che “Dio non esiste”. Lo dimostrano le grande voci dell’ateismo, che coincidono, guarda caso, con quelle del pessimismo mondiale, da Lucrezio a Leopardi, da Montale a Camus. Quelli che della notizia erano entusiasti, come Nietzsche, sono finiti in manicomio o hanno dato la stura a totalitarismi che hanno lacerato gli esseri umani come mai era avvenuto nella storia.
Celebriamo in questi giorni la Giornata della Memoria, e ricordiamo le vittime del Superuomo che si pone al di là del bene e del male, che si ribella a Dio, lo cancella dal proprio orizzonte e si sostituisce a Lui. Scusate: quale felicità hanno prodotto per l’umanità i regimi nati e prosperati (e infine crollati) sulla morte di Dio? Guardando alle atrocità di Auschwitz, delle Foibe istriane, dei genocidi di Pol Pot, di Kolima, cosa c’è da rallegrarsi? Guardando a questa nostra società odierna, che prospera sterminando i propri figli negli ospedali, e intanto si rimbecillisce di droghe, di sesso sregolato e stupri di gruppo, che riduce a merce e ad oggetti gli uomini, e che fa tutto questo nella sua splendida lontananza ed ignoranza dei precetti divini, cosa c’è da rallegrarsi?
Forse lo potranno fare quelli che si godono la movida, magari quando riescono a non pensare alla noia della loro vita. Loro possono permetterselo, a patto di avere soldi, gioventù, salute, una libertà figlia di un egoismo (e di una profonda solitudine). Non è una cosa per tutti.
A fronte di questa minoranza di privilegiati, ci sono milioni di persone nel mondo che hanno ancora bisogno di Dio, perché hanno uno sguardo sulla vita più realistico.
Odifreddi e i suoi compagni atei e razionalisti ci dicono che “non abbiamo bisogno di Dio”. E sono allegri e sereni, tanto da scriverlo anche sugli autobus. Ma la loro è una bugia, ampiamente dimostrata dalle grandi e vere voci del pensiero umano.
Mi sono trovato a rileggere insieme ai miei studenti, in questi giorni, Le ultime lettere di Jacopo Ortis di Ugo Foscolo. C’è una lettera, in particolare, quella da Ventimiglia del 19-20 febbraio, in cui Foscolo tocca il nocciolo delle contraddizioni del pensiero ateo e razionalista, che all’uomo infelice (quindi ad ogni uomo, perché ogni uomo è radicalmente infelice sulla terra) è solo capace di rispondere che deve tollerare le proprie sofferenze “per gli altri”. Cioè deve essere un eroe.
Ma, obietta Iacopo-Foscolo, “chi odia la propria vita può egli amare il minimo bene che è incerto di recare alla Società e sacrificare a questa lusinga molti anni di pianto? e come potrà sperare per gli altri colui che non ha desiderj, né speranze per sé; e che abbandonato da tutto, abbandona se stesso?”. Quale bene costruire su questa terra, se non c’è bene autentico? “Non sei misero tu solo”, risponde il filosofo razionalista, ma Jacopo-Foscolo (che pure parte da posizioni atee e materialiste) risponde: “Pur troppo! ma questa consolazione non è anzi argomento dell'invidia secreta che ogni uomo cova dell'altrui prosperità? La miseria degli altri non iscema la mia. Chi è tanto generoso da addossarsi le mie infermità?”.
La domanda finale è decisiva e fa pensare subito a Uno che, ci viene detto, si è addossato tutte le nostre sofferenze, morendo e risorgendo per amor nostro. Foscolo aveva bisogno di Cristo, cercava Cristo. Questo emerge dal romanzo, dove la vita è diventata un inferno nel quale è solo possibile sognare (per citare Ludwig Wittgenstein).
Ma ve lo immaginate Odifreddi andare a dire col suo faccione sorridente al povero Jacopo: “Tranquillo, Dio non esiste e non ne hai bisogno”? Ve lo immaginate Voltaire ripetere ossessivamente, con quel suo ottimismo un po’ imbelle, che l’unica cosa che conta è coltivare il proprio orticello, dimenticandosi di tutto il resto?
Gente strana, ripeteva Pascal, scuotendo mestamente la testa. Il grande Chesterton ci andava giù più duro. Questi sono proprio pazzi, diceva; ripetono all’uomo “di pensare a quello a cui deve pensare, senza curarsi dell’Assoluto. Ma io dico che una delle cose a cui l’uomo deve pensare è precisamente l’Assoluto. Oggetto del pragmatismo sono i bisogni umani; e uno dei primi bisogni dell’uomo è quello di essere qualcosa di più di un pragmatista”.
L’esistenza di Dio e l'immortalità dell'anima sono una cosa “che ci interessa così fortemente, che ci tocca così profondamente, che bisogna aver perduto ogni sensibilità per rimanere indifferenti a sapere come stiano le cose. Tutte le nostre azioni e pensieri devono prendere indirizzi talmente diversi a seconda che si avranno o non si avranno beni eterni da sperare” (Pascal).
Bisognerebbe spiegarlo ad Odifreddi e all’Unione Atei e Razionalisti. Loro non l’hanno ancora capito.

(Fonte: Gianluca Zappa, La Cittadella, 28 gennaio 2009)

Rita Dalla Chiesa: "I cani meglio dei cristiani!"

Stamattina nella trasmissione di Canale 5, Forum (che non rivela certo particolari doti di levatezza culturale), se ne sono dette e sentite di tutto e di più.
In una delle cause in discussione (che come tutti ormai sanno sono vere e proprie recite di “pièces teatrali” rappresentate a pagamento da personaggi emblematici scelti ad hoc) una donna chiedeva di poter partecipare alla Santa Messa in compagnia del proprio cane; la Perpetua della chiesa, frequentata dall’amante degli animali, al contrario si opponeva (in che veste e a quale titolo?).
Ne è seguita una discussione veramente illuminata e illuminante, da cui abbiamo estrapolato alcune perle di rara saggezza:
“I bambini danno più fastidio dei cani, quando scorrazzano per le navate; quindi bisogna tenerli fuori dai luoghi di culto!
Qualcuno è allergico ai preti e quindi va in chiesa quando è vuota. Gli esseri umani, soprattutto i preti, sono sempre così fastidiosi!
Il prete che non permette ai cani di entrare in chiesa durante la Messa è semplicemente scandaloso; il cane infatti a volte è l’unica compagnia per il suo padrone, fedele cristiano; è inaudito! lo stesso San Francesco, celebre animalista, se vedesse cacciati fuori questi “fratelli,” si rivolterebbe nella tomba!
Nella Torino di oggi, all’avanguardia e moderna, i cani possono invece assistere alla Messa (?), perché ne hanno tutto il diritto (!): anche loro hanno l’anima (!!), lo dice la Bibbia (!?!).
La conduttrice Rita Dalla Chiesa (un cognome, un programma!), che ama più le bestie che gli esseri umani, dice di fare battaglie impegnate per i cani in chiesa e per la Comunione ai divorziati, che essendo, i divorziati, gente perbene, morale e corretta, ne hanno più diritto di quei fedeli ipocriti che hanno “tre amanti nell’armadio”!
Infine, la conclusione programmatica della conduttrice: “Fuori la gente dalla chiesa e dentro gli animali che sono migliori degli uomini e dunque più degni di starci!”
A questo punto, ridendo per non piangere, penso venga spontaneo chiedersi: ma queste trasmissioni di rara stupidità, che senso hanno? transeat per l’insipienza congenita che certi conduttori e personaggi televisivi dimostrano nei confronti della religione e del sacro; quel che conta per loro sono ben altre cose: soldi, fama, divertimento ecc... (vedi cosa dice Striscia su Edoardo Costa!); ma almeno qualcuno del pubblico non potrebbe dimostrare un pò più di cervello e opporsi a tanto scempio? ma anche qui “pecunia imperat”, ossia il denaro detta legge: meglio qualche soldo sicuro per fare scena muta, che noie ed estromissione per una “ribelle” opinione controcorrente, che comunque verrebbe cancellata nel montaggio! Ma se invece di uno... fossero in tanti? Allora una domanda di rito: non è che il popolo di Forum, più che un popolo di “animalisti”, sia per caso un popolo di “animali” domestici?

Quousque tandem...?

«Quando chiederanno la conversione del Papa? Non è la prima volta che siamo costretti con sofferenza ad interessarci di questi inquieti ed acidi borbottoni che sono i nostri cosiddetti “fratelli maggiori”. Sembra che si siano fatti un punto d’onore nel dare pubblico e risentito rilievo a ciò che secondo loro nuoce alla loro causa da parte della Chiesa cattolica e del suo capo visibile, il romano Pontefice, costante bersaglio delle loro rimostranze.
Noi non siamo antisemiti - non potremmo esserlo - ma, sinceramente, siamo davvero stanchi di questo stillicidio di recriminazioni, di accuse, di sospetti contro chi mostra invece una illimitata pazienza.
Sì, diciamolo ancora una volta: Benedetto XVI, ad onta della fama attribuitagli per il suo altissimo ufficio di difensore della Sacra Dottrina ed ora di custode e tutore della Verità cattolica dal suo più alto punto di osservazione, è persona mitissima e paziente.
Se ne avessimo voluto una riprova, questo ultimo accadimento lo conferma inoppugnabilmente.
Mitissimo e paziente, il Papa ha voluto, con un suo gesto di magnanima e paterna generosità, cancellare la scomunica in cui erano incorsi i quattro Vescovi indebitamente e arbitrariamente ordinati da Monsignor Marcel Lefebvre. Grande gioia di tutta la Chiesa cattolica, che vede nel gesto una nuova cicatrizzazione di una antica ferita.
Sennonché si è risaputo che uno dei quattro - non si sa bene chi abbia voluto con tanta evidenza ricordarlo - ha espresso la sua opinione che vorrebbe storicamente ridimensionato l’orrore dell’Olocausto (noi sappiamo con certezza che non è il solo. Gli storici seri, prevediamo, appureranno a riguardo la verità…). Ebbene, il fatto che nonostante la sua discutibile opinione costui abbia usufruito, insieme agli altri tre suoi confratelli, della misericordiosa indulgenza del Papa, ha suscitato la pubblica indignazione dei paladini dell’ebraismo.
Costoro, probabilmente ad arte, hanno rispolverato l’opinione del detto Vescovo, l’hanno gettata in pasto ai media, nel tentativo non solo di sospendere il decreto pontificio, come si era vociferato, ma certamente per evidenziare l’ennesimo pelo nell’uovo onde screditare l’operato del Pontefice, il quale già si era attirato le loro ire prima con la riproposta della famigerata preghiera del venerdì Santo e poi con la naturalissima e dovuta difesa dell’operato di Pio XII.
Serviranno le puntualizzazioni pervenute in maniera ufficiale dal Vaticano, per cui la remissione della scomunica non comporta in alcun modo la condivisione di un’opinione peregrina di uno degli scomunicati? Non lo crediamo. Siamo ormai abituati a questo continuo rispuntare di antichi rancori all’indirizzo di un uomo che ha sempre avuto l’unico scopo di affermare la verità.
Il fatto che quest’uomo rivesta ora il più alto ruolo nella Chiesa cattolica, come pare, non solo non ha diminuito l’acutezza delle improvvide frecciate anticattoliche da parte dei “fratelli maggiori”, ma le ha rese più plateali ed indiscrete, tanto più che l’altissimo bersaglio, da parte sua, non ha mai risposto, come pure avrebbero meritato, ai suoi provocatori. Siamo noi, figli della Chiesa cattolica, fedeli devoti del Magistero pontificio, sinceri ammiratori di un uomo di incredibile e vastissima cultura filosofica, teologica e storica, dagli amplissimi orizzonti culturali e sociali che anche uomini di opposta formazione ammirano e pubblicamente elogiano; siamo noi che gridiamo e ripetiamo: è ora di dire basta, definitivamente, perché la nostra pazienza è al limite e non vorremmo essere costretti a giustificare un certo antisemitismo, per cui anche recentissimamente abbiamo trepidato.
Forse è il caso di dire che un certo “vittimismo”, che si traduce in un petulante ed insopportabile mugugno, come di chi voglia farci credere di avere contro sé il mondo intero, alla fin fine non può che ritorcersi malauguratamente contro chi non cessa di divulgare in ogni modo i suoi malumori. Nel nostro ministero di docente e di pastore abbiamo sempre dato pochissimo credito alle continue piagnucolose lagnanze di chi, dando corpo alle ombre, chiedeva difesa e protezione accusando gli altri. Eravamo e siamo infatti convinti che anche il “vittimismo” assai spesso è la pretesa di chi aspira a un protagonismo che purtroppo sa di non meritare. Comunque sia, ai nostri “ fratelli maggiori”, supposto che fratelli ci ritengano, benché minori, vorremmo chiedere, una volta per tutte: “Non toccate l’unto di Dio”, la nostra e vostra Bibbia lo vieta non senza richiamare alla giusta vendetta divina».

(Fonte: Mons. Andrea Gemma, Vescovo, Petrus, 29 gennaio 2009)

«Obama rilancia l'imperialismo culturale». Parola di Steve W. Mosher, presidente del Population Research Institute.

La decisione con cui Obama ha ripristinato i fondi per le organizzazioni pro-abortiste è «un esempio dell’imperialismo americano. La maggior parte dei Paesi del mondo vieta l’aborto: così facendo, Obama viola anche i principi di tutte le religioni».
Non usa mezzi termini Steve W. Mosher, presidente del Population Research Institute, per bocciare l’annunciata mossa del neo-inquilino alla Casa Bianca sulla diffusione dello stile “prochoice” nel mondo. Il direttore dell’Istituto di ricerca sulla popolazione, che ha sede in Virginia, è un’autorità in materia demografica: è stato infatti il primo giornalista nel mondo, all’inizio degli Anni ’80, a documentare le atrocità commesse dal regime cinese nell’applicazione della «politica del figlio unico» e un suo dettagliato rapporto sul coinvolgimento diretto dell’Unfpa e dell’Ippf nella pratica degli aborti e delle sterilizzazioni forzate, sempre in Cina, è stato alla base della decisione di George W. Bush di sospendere il finanziamento di queste organizzazioni che Obama ha ora ripristinato.
D. Professor Mosher, come valuta la decisione di Obama?
R. Una premessa: nel 1958 venne pubblicato un romanzo, «The Ugly American», poi diventato un film nel 1963 («Missione in Oriente») con Marlon Brando. I “cattivi” del libro erano gli americani arroganti e ignoranti che lavoravano all’estero infischiandosene dei valori locali.
Questa frase, l’«americano cattivo», è diventato un modo di dire e indica l’americano maleducato che viaggia all’estero. Obama sembra determinato a mettere in circolazione una falange di «americani cattivi» in tutto il mondo. Vuole finanziare, usando i dollari delle tasse di tutti gli americani, le organizzazioni internazionali che – violando la santità della vita – volontariamente infrangono le leggi della maggior parte degli Stati nel mondo, per non parlare dei valori di base di tutte le religioni mondiali.
D. A quali principi era ispirata la norma anti-aborto approvata da Reagan nel 1984?
R. L’idea-guida era questa: l’aborto è sempre e ovunque un evento controverso. La maggior parte degli americani fanno obiezione al fatto che le loro tasse vengano usate a questo scopo. La maggior parte degli Stati del mondo, poi, hanno molte restrizioni in tema di aborto, per non parlare di quelli che lo vietano del tutto. Queste organizzazioni americane che spin­gono perché all’estero si tengano interruzioni di gravidanza offrono una cattiva immagine del nostro Paese alle donne po­vere dei Paesi del Terzo mondo.
D. Chi beneficerà e chi subirà il cambio di indirizzo politico?
R. I primi beneficiari saranno i pro-aborto dell’International Planned Parenthood Federation (Ippf): promuoveranno l’aborto dove è legale, faranno lobby per la sua legalizzazione dove non è ancora ammesso, e realizzeranno quanti più aborti possibili sfidando le leggi locali. Ad oggi 130 Paesi nel mondo vietano l’aborto o lo ammettono solo in circostanze estreme. Diversi Stati latino-americani, ad esempio, sanciscono che la vita inizia al concepimento e proteggono il bambino non nato. La Ippf e le agenzie simili, sfidando la sovranità nazionale degli Stati, vogliono cambiare tutto questo. Denigrano il bambino non nato come qualcosa di «non umano», cercano di privarlo della protezione della legge e al tempo stesso realizzano migliaia di aborti illegali: questo non è imperialismo culturale?

(Fonte: Lorenzo Fazzini, Avvenire 25 gennaio 2009)

Pedofilia: Solo calunnie infamanti: l’Istituto per Sordi di Verona non è mai stato l’inferno.

Parla il vescovo di Verona: «Sono entrato in questa diocesi il 30 giugno del 2007. Circa 14 mesi fa questo signore è venuto da me non a denunciare fatti di pedofilia, sia ben chiaro, ma ad accampare pretese sui beni immobili dell’Istituto Provolo: pretendeva di mantenere l’utilizzo di una palazzina e di una tenuta che per anni gli erano state offerte per generosità a titolo gratuito. Mi ha minacciato dicendo che si sarebbe vendicato con accuse di pedofilia e che avrebbe rovinato la congregazione. Gli ho chiesto invano informazioni più precise su tali accuse ma non ha voluto fare nomi» .Non ci sta il vescovo di Verona, Giuseppe Zenti, a lasciare che « fantasie aberranti, create strumentalizzando testimoni improvvisati e inattendibili » infanghino « una congregazione e una diocesi, non è corretto sotto un profilo civile» . Poi alle vie oblique scelte dagli accusatori risponde con l’arma della trasparenza: « Le situazioni descritte sono tanto raccapriccianti che, se anche uno solo degli episodi fosse vero, io interverrei immediatamente. Ma voglio una denuncia regolare, prove concrete e non racconti allucinati quanto inverosimili». Alla folla di giornalisti enuncia i lati oscuri della vicenda, mentre i suoi interlocutori si fanno sempre più attenti: «Giorgio Dalla Bernardina, presidente di una delle Associazioni di ex alunni sordi dell’Istituto, ci ha contattato solo tre volte per let­tera – rivela – ogni volta senza presentare una denuncia dei fatti né circostanziarla con i nomi. Io l’ho correttamente man­dato dall’interlocutore più competente, il vicario giudiziale Giampietro Mazzoni, la persona che conosce le procedure da seguire e che gliele ha indicate. Come tutta risposta, ha fatto quanto aveva minacciato: e alle vie istituzionali ha scelto la scorciatoia del settimanale L’Espresso». Una situazione che il vescovo guarda con indignazione mista a pietà: « Sono tra l’incudine e il martello – commenta – Dalla Bernardina è un nostro diocesano... Ma se voleva fare la guerra doveva corazzarsi, non usare la baionetta » , come a dire che si è messo in un pasticcio più grande di lui. Tanto che il vescovo ancora gli tende una mano: «Lo invito a mettersi una mano sulla coscienza e a chiudere in modo dignitoso con una smentita, altrimenti saremo costretti a ricorrere alle vie legali perché è inaccettabile che costruisca un impianto inverosimile per suoi fini personali sulla pelle delle persone». Basta riascoltare le « testimonianze » raccolte da Dalla Bernardina e messe su Internet ieri da un quotidiano per coglierne tutta la fragilità: non solo si parla di violenze continue e orrende contro bambini e bambine sordi, nell’Istituto, in chiesa, anche in gruppo, con pratiche perverse di ogni tipo e di una gravità inaudita per 30 anni da parte di 25 preti su un totale di 26, ma Dalla Bernardina scivola malamente quando addirittura tira in causa Giuseppe Carraro, vescovo di Vero­na dal 1958 al 1978, una delle figure più amate e la cui santità è indubbia, del quale tra l’altro è in corso la causa di beatificazione: « Una vicenda losca chiamare in causa un uomo si mile per sostenere che qui, in questa sala in cui siamo, si faceva accompagnare i ragazzini per abu sarne... Ma proprio questo racconto già da solo smonta tutto il teorema » .
«Se la giustizia dei tribunali conosce i tempi della prescrizione, quella della coscienza non prevede scadenze». Con queste parole il vescovo di Verona, Giuseppe Zenti, ha sgombrato subito il campo da eventuali sospetti: nessuna tentazione di autoassoluzioni, la verità esige i suoi tempi e sarà perseguita fino in fondo. Questo nonostante le terribili accuse mosse nei giorni scorsi contro i religiosi della Compagnia di Maria per l’Educazione dei Sordomuti da un gruppo di ex allievi, riguardino fatti che - se fossero avvenuti - sarebbero comunque già caduti in prescrizione. Niente sconti, dunque, ha più volte ripetuto il vescovo, precisando che se anche uno solo degli episodi contestati risultasse vero, lui sarà immediatamente dalla parte della vittima.Una premessa che il vescovo Zenti continua a fare anche adesso che l’intero impianto delle accuse sta franando sotto il suo stesso peso: è oggettivamente inverosimile quanto gli accusatori hanno raccontato. Non alle autorità preposte ma su un settimanale, «L’espresso». Non per avere giustizia, ma uno spazio in cronaca, che gli è stato subito offerto.Nessuna formula dubitativa su quelle pagine, nessun punto di domanda, né tra le righe né tantomeno nei titoli, quelli che fanno più danni e restano impressi nella mente come epigrafi sul marmo: «Noi vittime dei preti pedofili», si legge a caratteri cubitali, e sotto, sempre in grande, «Decine di ragazzi sordi violentati e molestati in un istituto di Verona fino al 1984. E dopo decenni di tormenti, trovano la forza di denunciare gli orrori. Ma molti dei sacerdoti sono ancora lì». Seguono racconti talmente spaventosi che i conti non tornano più: nell’Istituto “Provolo” per oltre trent’anni ben venticinque su ventisei religiosi avrebbero giorno e notte sfogato i peggiori istinti su un centinaio di bambini a loro affidati... Il tutto senza che mai questo inferno trapelasse all’esterno, o che una sola delle vittime ne accennasse ai genitori, o ancora che l’unico religioso «innocente» (l’attuale superiore dell’Istituto, don Danilo Corradi) si accorgesse mai di tanto tramestio, per di più avvenuto ovunque, nelle camerate, nelle docce, persino nei confessionali e sotto l’altare.Racconti che non vorremmo riportare (e infatti citiamo solo il citabile), ma che servono per alcune doverose considerazioni. Dopo un iniziale sconcerto, nessuno ormai crede più alla «verità» proposta senza le necessarie verifiche dall’Espresso. Non ci credono decine e decine di altri ex allievi, compagni di vita degli accusatori in quel collegio. Non ci crede neppure la stampa spesso prevenuta, che questa volta ha sentito puzza di bruciato e si è tenuta in disparte: chi ha orchestrato il tutto è personaggio noto per il numero di assurde denunce che sparge in giro, da tempo accampa diritti sui beni immobili dell’Istituto ed è già imputato per diffamazione contro l’Ente nazionale sordi in un processo penale che si terrà a breve... Insomma, il senso di orrore iniziale ha lasciato spazio al sollievo: l’inferno esiste ma non abitava al Provolo. Eppure un altro disagio occupa ora il cuore e lo spaventa: può la fantasia deforme dell’uomo partorire storie tanto orrende? a quali abissi può scendere la mente umana, la sua invenzione? fino a quali profondità sa scavare la calunnia? Noi che facciamo informazione dovremmo difenderci, noi per primi, da chi crede di trovare in noi la tribuna per le proprie guerre, e del nostro lavoro fa la sua arma.Informare è la missione che ci compete, ma prima ancora informarci.Non ne va solo della nostra professionalità, infatti, ma della vita altrui. Dieci anziani preti ancora vivi non potranno mai difendersi: la prescrizione toglie loro anche questo diritto e l’accusa, non a caso, è giunta allo scadere dei termini (Lucia Bellaspiga).

(Fonte: Avvenire, 24-25 gennaio 2009)

Erode a stelle e strisce

«Barak Obama si traveste da buono, ma è solo un abortista. Nessuna persona di buon senso si era fatta illusioni sulla figura di Barak Obama. In campagna elettorale il candidato democratico lo aveva detto: se verrò eletto, gli Stati Uniti torneranno a finanziare l'aborto nel mondo. E puntualmente, appena insediatosi alla Casa Bianca, Obama ha mantenuto la parola, e ha abrogato le disposizioni a suo tempo varate da Ronald Reagan e da Jeorge W. Bush.» Purtroppo i campioni delle democrazie liberali sono molto abili nel nascondere il loro aspetto terribile sotto il pelo rassicurante di un agnello. Mentre i tiranni e i sovrani più spregiudicati dei secoli passati non si preoccupavano di dissimulare e di nascondere la loro malvagità, i nuovi Erode sentono il bisogno di apparire buoni e perfino cristiani. Barak Obama si è fatto "incoronare" l'altro giorno con una cerimonia sontuosa, costata molto di più che quella dei suoi predecessori. Una regia sapiente che serve a consolidare nel suo Paese e nel mondo l'immagine dell'uomo sincero e onesto che con le sue sole forze, e nonostante il colore della sua pelle, riesce nella scalata al ruolo più potente del mondo.
Una strategia che potrà anche ingannare i più sprovveduti e gli ingenui. Ma che non incanta tutti coloro che sanno guardare in faccia la realtà. E la realtà dice che Barak Obama ha voluto iniziare il suo mandato presidenziale firmando la condanna a morte di un numero incalcolabile di esseri umani innocenti che saranno uccisi con l'aborto nel mondo, finanziato dagli Stati Uniti d'America.
"We can!" è il motto che tanta fortuna ha portato alla campagna elettorale di Obama. Sì, caro presidente, tu puoi fare molte cose. Ma fra queste una certamente non ti è concessa, e nessuna autorità te la potrà mai concedere: quella di decretare che si possa uccidere anche un solo innocente con l'aborto.
Per quanto lussuosa sia la reggia del nuovo Erode, per quanto potente sia il suo esercito, egli non si faccia illusioni. Quando un'autorità umana si fonda sull'ingiustizia e sulla ubris – la tracotanza di cui già parlavano i greci – il suo destino è segnato. Per quanto assordante sia il vociare servile e conformista dei mezzi di comunicazione, ci sarà sempre qualcuno che come Giovanni il Battista – e oggi come i Pro life americani, come noi di Verità e Vita – denunceranno il Tiranno.
Ci sarà sempre qualcuno che, senza paura di essere smentiti, dirà che Barak Obama è come Erode. Il tempo e la storia ci mostreranno quale futuro sarà riservato a questo Presidente, dopo che egli ha voluto esordire nello spregio del più elementare diritto naturale: quello alla vita dei non nati. Noi tremiamo al solo pensiero che il destino del mondo sia affidato a un politico capace di tanto disumano cinismo.

(Fonte: Mario Palmaro, Presidente Comitato Verità e Vita, 27 gennaio 2009)

I Lefebvriani chiedono scusa al Papa, ma ai rabbini non basta

Hanno provocato una vera e propria esplosione mediatica di polemiche, le parole di Richard Williamson, uno dei quattro vescovi della Fraternità di San Pio X a cui Benedetto XVI ha di recente revocato la scomunica. Ed era prevedibile che ciò accadesse, perché le tesi revisioniste e negazioniste del prelato lefebvriano, che in un'intervista ha affermato di non credere all'esistenza delle camere a gas, non potevano che suscitare le reazioni indignate del mondo ebraico, e non solo.La replica della Chiesa Cattolica è subito arrivata, chiara e forte. È stato il cardinale Angelo Bagnasco, nella sua prolusione al Consiglio permanente della Cei di lunedì, a precisare la posizione dell'episcopato. Il capo dei vescovi italiani ha espresso dispiacere per le dichiarazioni di Williamson circa la Shoah, aggiungendo però che si tratta di opinioni manifestate mesi fa, nonché ripudiate dalla stessa Fraternità di Pio X. Ma ciò non è bastato a frenare lo scompiglio di dichiarazioni incrociate e risentite, poiché Bagnasco ha anche definito «ingiuste» le parole pronunciate dagli ebrei italiani nei confronti del Papa. Certo, la condanna delle affermazioni del vescovo lefebvriano da parte della Chiesa è stata netta. Tuttavia questo non ha impedito a molti osservatori di obiettare sul modo in cui la vicenda è stata gestita sotto il profilo diplomatico dalla Santa Sede, specialmente nei giorni in cui si ricorda l'Olocausto e si rende omaggio alle vittime dello sterminio nazista. Per cercare di chiudere la vicenda la sala stampa della Santa Sede ha diffuso ieri sera una dichiarazione di monsignor Bernard Fellay, Superiore della Fraternità San Pio X, che stigmatizza le dichiarazioni di Williamson e chiede perdono «al Sommo Pontefice e a tutti gli uomini di buona volontà, per le conseguenze drammatiche di tale atto». « Con tristezza constatiamo - si legge nella nota di Fellay - che queste affermazioni inopportune toccano direttamente la nostra fraternità in quanto gettano discredito sulla missione della nostra comunità. Perciò io gli ho proibito, fino a nuovo ordine, ogni presa di posizione pubblica su questioni politiche o storiche». Ma il gesto della Santa Sede di rendere pubblica questa dichiarazione non è bastato per placare gli animi. Immediata è arrivata infatti la replica del rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni: «Mi sembra che il termine "inopportuno" utilizzato da Fellay sia assolutamente improprio rispetto all'enormità della Shoah. Non basta mettere a tacere il singolo negazionista: vorrei sapere con molta chiarezza qual è il pensiero dei lefebvriani sulle affermazioni del Concilio Vaticano II a proposito degli ebrei. Il problema è costituito da quello che la Fraternità pensa effettivamente sulle dichiarazioni conciliari di apertura all'ebraismo e finché non si fa chiarezza resta aperto».
Oltre al vescovo Fellay anche Padre Franz Schmidberger, superiore del “distretto” tedesco della Fraternità San Pio X, ha deplorato le dichiarazioni negazioniste di Williamson e ne ha chiesto scusa. Egli fu superiore generale della Fraternità dal 1982 al 1994 e le sue parole sono più nette di quelle di Fellay. Eccole: «Come superiore del Distretto della Fraternità San Pio X in Germania, sono scosso, assieme ai miei confratelli di questo Paese, a motivo delle dichiarazioni del vescovo Williamson. Minimizzare le uccisioni di Ebrei da parte del regime nazionalsocialista e le sue atrocità è per noi inaccettabile. La persecuzione e l’assassinio di innumerevoli ebrei sotto il Terzo Reich ci colpisce in maniera estremamente dolorosa, e ferisce nel profondo il comandamento cristiano dell’amore per il prossimo che non conosce distinzioni etniche. Desidero scusarmi per questo comportamento e dissociarmi da qualunque affermazione di tal fatta. Questa presa di distanza è per noi naturale anche per il fatto che lo stesso padre dell’arcivescovo Lefebvre fu rinchiuso in un campo di concentramento tedesco, così come molti sacerdoti cattolici persero la vita in campi di prigionia di Hitler».
Se da un lato il rabbino Di Segni dava ieri l’impressione d essere più possibilista per una attenuazione delle polemiche, oggi invece il Rabbinato di Israele rincara la dose, rompendo : indefinitamente i rapporti ufficiali con il Vaticano “in seguito alla revoca della scomunica del vescovo lefevbriano Richard Williamson, che nega la Shoah”. Lo scrive il Jerusalem Post, aggiungendo che il rabbinato ha anche cancellato un incontro fissato a Roma il 2-4 marzo con la Commissione della Santa Sede per i rapporti con gli ebrei.
In una lettera indirizzata al presidente della Commissione, cardinale Walter Casper, il direttore generale del rabbinato Oded Weiner scrive che "senza scuse pubbliche e una ritrattazione, sarà difficile continuare il dialogo". Secondo una fonte del rabbinato, la lettera è giunta alla stampa israeliana prima di essere ricevuta in Vaticano e ciò potrebbe ulteriormente complicare i rapporti fra il rabbinato e la chiesa cattolica.
Il Papa dal canto suo ha espresso la sua «piena e indiscutibile solidarietà con i nostri fratelli destinatari della prima alleanza», cioè agli ebrei, e ha detto che l'Olocausto rimane un monito contro ogni oblio e negazionismo. «In questi giorni nei quali ricordiamo la Shoah, mi tornano alla memoria le immagini raccolte nelle mie ripetute visite a Auschwitz, testimonianze delle vittime innocenti di un odio razziale. Auspico che la memoria della Shoah induca l'umanità a riflettere sulla imprevedibile potenza del male quando conquista il cuore dell'uomo. La sua memoria sia per tutti monito contro l'oblio, il negazionismo e riduzionismo perché la violenza fatta contro un solo essere umano è violenza contro tutti. La Shoah insegni specialmente sia alle vecchie sia alle nuove generazioni che solo il faticoso cammino dell'ascolto e del dialogo, dell'amore e del perdono conduca i popoli, le culture e le religioni del mondo all'auspicato traguardo della fraternità e della pace nella verità. Mai più la violenza umili la dignità dell'uomo».
Per quanto riguarda i quattro vescovi ordinati nel 1988 da mons. Lefebvre senza mandato pontificio, il Papa ha detto di aver concesso «la remissione della scomunica in cui erano incorsi, proprio in adempimento al servizio verso l'unità. «Ho compiuto questo atto di paterna misericordia», ha spiegato Joseph Ratzinger, «perché ripetutamente questi presuli mi hanno manifestato la loro viva sofferenza per la situazione in cui si erano venuti a trovare. Auspico che a questo mio gesto faccia seguito il sollecito impegno da parte loro di compiere gli ulteriori passi necessari per realizzare la piena comunione con la Chiesa, testimoniando così vera fedeltà e vero riconoscimento del magistero e dell'autorità del Papa e del Concilio Vaticano II».
La Santa Sede, poi, tramite il suo portavoce padre Federico Lombardi, ha espresso l'auspicio che, anche alla luce delle parole dette dal Papa in solidarietà agli ebrei e contro il negazionismo della Shoah, il dialogo con il rabbinato di Israele possa continuare «con frutto e serenità».

(Fonti: Il Tempo online, Corriere online, Repubblica online, Avvenire online, 28 gennaio 2009)

domenica 25 gennaio 2009

Barack Obama: inizia il mandato con una prima deludente decisione!

«Tra le tante cose buone che poteva fare, Obama ha scelto la peggiore». «È l'arroganza di chi si crede nel giusto».
Con la decisione di ripristinare i finanziamenti statali alle Organizzazioni non governative favorevoli all'aborto, il neopresidente Barack Obama si è messo fin da subito in rotta di collisione con il Vaticano. «Tra le tante cose buone che poteva fare, Obama ha scelto la peggiore: quella di non fermare la strage di innocenti» attacca il presidente emerito della Pontificia Accademia della Vita, monsignor Elio Sgreccia, mentre L'Osservatore Romano parla di «decisione molto deludente».
Anche in America alcuni gruppi cattolici sono sul piede di guerra e l'organizzazione CatholicVote.org ha scelto di colpire il presidente sul suo terreno: internet. Ha realizzato un video di 40 secondi (la storia di un feto che va incontro a una vita difficile ma alla fine diventa il primo presidente nero degli Stati Uniti) pubblicato su YouTube e che in meno di una settimana è stato visto 460 mila volte dagli internauti, che hanno anche scritto 1.400 commenti. Si vede lo zoom su un feto nel grembo materno durante un'ecografia. «Il futuro di questo bambino è una casa a pezzi, si legge in sovrimpressione. Sarà abbandonato da suo padre. La sua mamma single avrà vita dura a crescerlo». L'immagine del feto lentamente scompare per lasciare spazio a una foto di Obama in trionfo dopo le elezioni: «Nonostante tutte le difficoltà a cui andrà incontro, questo bambino diverrà il primo presidente afro-americano». La scena finale è un primo piano di Obama, con lo slogan: «Vita. Immagina il potenziale». I riferimenti sono espliciti: Obama è cresciuto senza il padre, che ha abbandonato la famiglia quando lui era piccolo. La madre, dopo un secondo matrimonio finito con il divorzio, lo ha cresciuto con l'aiuto dei nonni materni. «Il nostro messaggio è semplice: l'aborto è nemico della speranza» ha detto Brian Burch, direttore di CatholicVote.org.
In Italia, come si diceva, il Vaticano ha preso una dura posizione contro Barack Obama ma anche dal Pdl si sono alzate voci molto contrarie al provvedimento sull'aborto. Il già citato monsignor Sgreccia ha detto che «si tratta di un duro colpo, non solo per noi cattolici ma per le persone che in tutto il mondo si battono contro la strage degli innocenti che si compie con l'aborto. Il diritto alla vita è il primo da tutelare e difendere. E del resto, da una statistica condotta di recente dai vescovi americani, mi pare che l'80% dei cittadini degli States fossero contrari all'aborto». L'Osservatore Romano, quotidiano della Santa Sede, parla appunto di «decisione molto deludente» e di «un errore sulla strada della difesa della vita umana e della dignità di ogni persona». «Un'amministrazione che vuole ridurre gli aborti non dovrebbe convogliare fondi verso organizzazioni che realizzano e promuovono gli aborti come metodo di pianificazione delle nascite nei paesi in via di sviluppo» scrive il quotidiano citando il cardinale americano Justin Francis Rigali, arcivescovo di Philadelphia e presidente della Commissione episcopale per le attività pro-vita.
«Il presidente Obama ha iniziato il suo mandato con una decisione che lascia interdetti: la scelta di finanziare associazioni e gruppi internazionali che promuovono l'aborto all'estero smentisce infatti le dichiarazioni dello stesso presidente in difesa dei diritti dell'uomo - attacca il senatore del Pdl Stefano De Lillo -. La scienza dice infatti che l'embrione è un essere umano, per di più in condizione di debolezza, e dunque l'embrione stesso è dotato di tutti i diritti, a cominciare da quello fondamentale alla vita: le istituzioni e la società civile hanno il dovere di garantire senza incertezze e senza discriminazioni questo diritto a tutti gli uomini». E il vicepresidente della Camera Maurizio Lupi: «Ci auguriamo sia solo polvere di stelle. Come si voleva dimostrare, non è ragionevole avere una posizione ideologica su Obama: tanto è condivisibile la posizione sulla politica estera, quanto è assolutamente criticabile la preoccupante azione su aborto e staminali».

L'arcivescovo Rino Fisichella, presidente della Pontificia Accademia per la vita nonché rettore della Lateranense, intervistato per il Corriere della Sera da Guido Vecchi, così si esprime, preoccupato e un po' desolato, sui primi passi di Obama in tema di aborto. «L'essenziale è saper ascoltare tutte le istanze del Paese, senza rinchiudersi in visioni ideologiche con l'arroganza di chi, avendo il potere, pensa di poter decidere della vita e della morte». «Se proibisce la tortura non dica no alla vita nascente». «Apriamo gli occhi, mi sembra ci sia in giro molta polvere di stelle. Sa cos'è?».
D. Cos'è?
R. «Succede quando ci sono tanti problemi urgenti, seri, e insieme delle difficoltà oggettive, mancanza di risorse eccetera. Allora si vanno a prendere altre cose che luccicano e soddisfano forse chi vive di ideologia. Solo che in concreto non portano ad alcun risultato, se non a nascondere i problemi veri».
D. Il presidente Obama ha abolito la legge che vietava di finanziare le organizzazioni internazionali che sostengono, per la pianificazione familiare, anche l'aborto...
R. «Come dice il proverbio: chi ben comincia è alla metà dell'opera... Se questo è uno dei primi atti del presidente Obama mi sento di dire, con tutto il rispetto possibile, che il passo verso la delusione è assai breve. Anche perché, quando ci si erge giustamente a paladini della dignità della persona, ci si aspetta che tale diritto sia esteso a tutti, senza discriminazioni né contraddizioni profonde».
D. Parla della chiusura di Guantanamo e del no alle torture?
R. «Appunto. Nel momento in cui si vuol fare chiarezza su questo — e ripeto: giustamente —, ci si aspetta che tale preoccupazione possa riguardare anche la vita nascente. Il mondo di oggi è più piccolo di quello che crediamo e i temi etici suscitano grande incertezza e magari gravi conflitti nella popolazione. Per questo vanno affrontati con grande prudenza e non con l'arroganza di chi si crede nel giusto, apponendo la firma a un decreto che di fatto è un'ulteriore apertura all'aborto e quindi alla distruzione di esseri umani».
D. Barack Obama è per il diritto di scelta ma ha invitato a trovare un «punto d'incontro» e «prevenire le gravidanze non volute, ridurre il ricorso all'aborto »...
R. «Guardi, sulle questioni etiche non si può giocare con le parole. Dal presidente di un Paese qualsiasi all'ultimo dei parlamentari, andrebbero evitate visioni strabiche, lo scarto tra ciò che soggettivamente uno pensa e ciò che oggettivamente fa. "Sono personalmente contrario all'aborto, però...". Mi sembra che nascondersi dietro i sofismi non sia degno di chi ha delle responsabilità verso i cittadini. La gente vuole chiarezza».
D. Tra l'altro, torneranno i finanziamenti federali alla ricerca sulle staminali embrionali.
R. «La mia prima impressione, se lo facesse, sarebbe di un cedimento alla pressione delle grandi multinazionali del settore. In tutto il mondo gli scienziati spiegano che la ricerca sulle staminali adulte funziona mentre quella sulle embrionali non va da nessuna parte. Addirittura, in alcuni settori, gli interventi sulle cellule a livello genetico stanno superando la necessità di lavorare sulle staminali adulte. Insistere sulle embrionali significherebbe imboccare un vicolo cieco indicato dall'ideologia e non da una valutazione scientifica. No, il problema non è scientifico, è ideologico. Ed economico».
D. La maggioranza dei cattolici ha votato Obama, però.
R. «Non credo che chi lo ha votato abbia preso in considerazione i temi etici, anche perché vengono astutamente lasciati fuori dal dibattito elettorale. Certo non penso che queste scelte gli porteranno consenso. Il popolo per la vita nasce cattolico ma oggi abbraccia una moltitudine di persone. La maggior parte della popolazione americana non è sulle posizioni del presidente e del suo staff. Dai tempi di Tocqueville sappiamo bene che il popolo americano, e in particolare i cattolici, ha un forte senso civile, di appartenenza e lealtà alle istituzioni, ma con altrettanta forza sostiene la propria libertà di critica e il senso della giustizia e della vita».
D. «L'Osservatore Romano» scriveva che questo dell'aborto è «uno dei nodi attraverso i quali si qualificheranno i rapporti tra l'amministrazione Usa e le confessioni cristiane del Paese». E adesso?
R. «Giovedì, a Washington, duecentomila persone hanno marciato a favore della vita. Se la risposta del presidente è di estendere il diritto all'aborto, la profonda contraddizione di cui parlavo prima, con tutta la buona volontà non riesco a capire cosa di nuovo possa proporre. Ma staremo a vedere».
D. Fino a che punto questa faccenda complicherà i rapporti tra Usa e Vaticano? Benedetto XVI, nel suo telegramma di auguri al presidente Usa, ricordava i diritti di «chi non ha voce» ma anche «i poveri», gli «emarginati», parlava della pace tra le nazioni...
R. «La Santa Sede, è evidente, coinvolge la conferenza episcopale del Paese. In primo piano ci sono i vescovi statunitensi, ai quali voglio dare la mia più totale solidarietà: sono chiamati a dare ancora più forza alla loro testimonianza su tutto ciò che riguarda la dignità della persona, quindi non solo i temi bioetici ma anche la povertà, la crisi economica...».
D. Ma con Obama?
R. «Chiunque abbia delle responsabilità, quando inizia un cammino, dev'essere capace di valutare non solo le esigenze del proprio Paese ma anche le conseguenze che ne derivano altrove. Quanto avviene negli Usa ricade in altre parti del mondo. Per questo si dev'essere capaci di ascolto, di umiltà, e magari di chiedere aiuto agli altri».

(Fonte: Corriere della Sera, 24 gennaio 2009)

venerdì 23 gennaio 2009

L’opposizione al Magistero Petrino impedisce l’unità dei cristiani

In molte Lettere pastorali non si cita più il Papa quale termine di paragone dell’autenticità e garante della cattolicità dell’insegnamento episcopale, ma il Cardinale o il teologo, il laico, magari non credente, o il monaco di grido del momento, ritenendoli interpreti autorizzati dell’insegnamento ufficiale della Chiesa. Inoltre talora si dà l’impressione di pensare che una loro dichiarazione, anche se difforme dalla verità cattolica, abbia uguale peso di un intervento pontificio. Si procede analogamente in campo ecumenico ed interreligioso, ritenendo che la voce di un rabbino o di un imam possa esprimere il pensiero di tutto il popolo ebraico o il mondo islamico, quando questi non hanno una “gerarchia”, ma sono solo periti o dottori “privati” non essendo né sacerdoti né “Vescovi”.
Cosa è successo? Dimenticando che Lumen gentium ha riaffermato che la Chiesa è il popolo di Dio gerarchicamente ordinato, si pratica una rimozione e una sorda opposizione al Magistero della Chiesa, costituito dall’inscindibile e necessario legame tra il Vescovo di una Chiesa particolare e il Supremo Pastore della Chiesa universale. Quasi possa essere concepibile una “responsabilità locale” non in stretta dipendenza e relazione teologica, e perciò giuridica, con il Supremo Pastore. Gli storici ritengono che tutto ciò sia incominciato nel 1968 con la contestazione all’enciclica di Paolo VI Humanae vitae.
Sebbene, grazie ai mass media, qualche spezzone – senza capo né coda – della parola del Papa arrivi a domicilio, i fedeli comuni hanno, tuttavia, il diritto di riceverla nella sua interezza da parte dei Pastori delle Chiese particolari e dei sacerdoti e laici loro collaboratori. Dagli Apostoli in poi, quel che ha fatto “funzionare” la Chiesa è stato l’assiduità all’insegnamento, una delle condizioni per diventare un cuor solo e un’anima sola. E’ la traditio o trasmissione della fede che avviene massimamente nella catechesi e nella liturgia, in specie nelle omelie. Senza tradizione della fede non c’è ricezione da parte dei fedeli. Il paradosso a cui si è giunti è che si parla tanto di ricezione dei documenti ecumenici, ma nello stesso tempo si mette il silenziatore o peggio si censura il magistero petrino. Giova sempre ricordare che il magistero del Vescovo è autentico solo se è in comunione effettiva (ed affettiva) con quello del Papa. A cinque anni dal Concilio, l’8 dicembre 1970, Paolo VI mise in guardia da “una tendenza a ricostruire, partendo dai dati psicologici e sociologici, un Cristianesimo avulso dalla tradizione ininterrotta che lo ricollega alla fede degli Apostoli, e ad esaltare una vita cristiana priva di elementi religiosi”.
Un tale fenomeno produce divisioni e contrapposizioni nella Chiesa. Forse i cattolici sono stati contagiati dall’autocefalia ortodossa e dal libero arbitrio protestante? Si è dato a credere che esista, come in politica, una diarchia o triarchia tra Roma, Costantinopoli e Mosca? Ma questo non ha nulla a che fare con i principi cattolici dell’ecumenismo enunciati dal Vaticano II.
Che dal mondo si debba attaccare la Chiesa, è fisiologico, ma che debba avvenire dall’interno, è preoccupante. Ciò infatti condiziona, almeno da un punto di vista umano, l’efficacia dell’evangelizzazione. Non di rado i fedeli quando ascoltano un sacerdote o un Vescovo predicare in modo difforme dal Papa, avvertono la confusione che ciò genera e domandano l’uniformità dell’insegnamento! È una opposizione e talora un disprezzo per la Chiesa odierna in nome di quella futura, una ermeneutica che va sempre un Papa indietro: si esalta oggi Giovanni Paolo II da parte di chi lo ha bollato come reazionario e conservatore mentre era in vita.
La disobbedienza è un peccato da confessare, anche perché finisce per causare nei fedeli l’indifferenza verso il Magistero, oltre alla confusione e al disorientamento. Solo il Magistero vivente, del Papa e dei Vescovi in comunione con Lui – sottolineiamo “in comunione con Lui”– costituisce l’orientamento sicuro della barca della Chiesa anche nel nostro tempo, al fine di aiutare a formare il giudizio di fede e di morale, per scegliere il bene e rifiutare il male alla luce della verità di Cristo. Lui ha affidato a Pietro “le mie pecore”, cioè tutte. Questa è l’ermeneutica cattolica.

(Fonte: Agenzia Fides, 22 gennaio 2009)

Dopo la Comunione: un po’ di silenzio prima di scappar via

Finita la comunione, liberi tutti. C’è quello che guarda l’orologio, c’è quello che boccheggia, c’è quello che già pensa alla partita del pomeriggio o al ragù da scaldare per il pranzo della domenica; ci sono i bambini esausti che sperano di andare a casa il prima possibile e c’è il vecchietto che ancora un poco e rischia di addormentarsi. E così, reverendo parroco raccoglie le emozioni dell’uditorio e fa quello che tutti si aspettano e sperano: “Mandaci a casa in pace e dicci che questa messa, finalmente, è finita!”.
Cronache ordinarie di domeniche in parrocchia. Cronaca ordinaria di un momento importante e fondamentale della celebrazione domenicale, quella della distribuzione dell’Eucaristia, trasformato in una corsa a chi prima finisce. O condito di tutto quello che può passare per la testa, compresi improbabili annunci sul mercatino allestito nei locali dell’oratorio. Per carità, iniziative quanto mai lodevoli, ma che talvolta irrompono proprio nel momento meno opportuno, quello del breve raccoglimento che segue il momento della Comunione. Ammesso che la chitarra e l’organo, beninteso, lo consentano, il raccoglimento…
E’ una delle cose alle quali talvolta non si dà molta attenzione, ma che invece fanno pensare. Se la messa domenicale, se la celebrazione eucaristica è un momento di preghiera che raggiunge il suo apice nella distribuzione niente meno che del Corpo e del Sangue di Gesù, se al termine di una messa cioè puoi andar là a (letteralmente) mangiare il tuo Dio, nutrirti di Lui, se un cattolico questo fa ogni domenica, perché mai si ha spesso l’impressione che quello della Comunione sia un momento di semplice conclusione, quello in cui uno pensa: “Finalmente, siamo arrivati alla fine, ce l’abbiamo fatta anche stavolta”? O perché, se preferite, si ha tanta paura di un adeguato momento di silenzio successivo alla Comunione, quasi che fosse qualcosa di strano e anomalo fermarsi per cinque minuti di orologio in silenzio a pregare?
E’ certamente giusto non dilungarsi troppo, ma nelle nostre parrocchie talvolta questa preoccupazione si fa troppo importante. La distribuzione dell’Eucaristia è generalmente effettuata da almeno due sacerdoti (se non tre), o in mancanza del secondo e del terzo prete dai ministri straordinari, uomini e donne, religiosi o religiose, che fanno un servizio quanto mai importante e delicato. Due o tre persone dunque, a non far diventare tutto troppo lungo. Contemporaneamente, un canto allieta il momento, uno o più canti anzi, che proseguono fin oltre la fine della distribuzione del sacramento. Ci sono quelli della serie “Prima fa la comunione il coro, poi gli altri”, e ci sono invece i sacerdoti che attendono pazienti la fine del canto per distribuire anche ai coristi la Comunione… In un caso e nell’altro, alla fine del ritornello o al tacere della chitarra, ecco che finalmente c’è il silenzio. Silenzio in chiesa: si prega.
La gran parte delle volte, dura poco. Se ti va bene, il sacerdote si alza subito e ti invita a pregare. Se ti va male, ti arriva una sfilza di avvisi su corsi, incontri, pellegrinaggi, appuntamenti, e chi più ne ha più ne metta. Assolutamente doveroso rendere conto delle attività della parrocchia, ma è proprio quello il momento migliore? E così, “la messa è finita” e la Comunione rischia di diventare solamente l’anticamera della fine della celebrazione, il segno che “finalmente sta finendo”. Magari perché, dopo una omelia durata venticinque minuti, davvero un povero cristiano non ne può più! Fuor dall’ironia, una preghiera ai parroci: “Reverendi parroci, educateci un poco al silenzio dopo la Comunione: un po’ di raccoglimento e di preghiera personale ci farà bene”. (Istruzioni per l’uso. Attenzione, scandire bene il “ci”, “educateci”; non il “vi”, “parroci educatevi”!).

(Fonte: Korazym.org, 21 Gennaio 2009)

"Minacce" ebraiche al Papa: guai se revoca la scomunica a Williamson!

La notizia dell’imminente revoca della scomunica ai quattro vescovi della Fraternità Sacerdotale di San Pio X fondata da Marcel Lefebvre ha fatto salire di colpo la temperatura di una polemica riguardante uno di loro.
Nell’occhio del ciclone c’è il vescovo lefebvriano Richard Williamson, inglese di nascita. Lo scorso 1 novembre, festa di Tutti i Santi, Williamson ordinò diacono, in Germania, a Zaitkofen, un giovane svedese convertitosi al cattolicesimo, Sten Sandmark. A seguire la cerimonia c’era una televisione di Stoccolma. Al termine, il reporter intervistò sia il vescovo che il nuovo ordinato.
La conversazione toccò il tema del nazismo. E a questo punto il vescovo Williamson intervenne dicendo di non credere che sei milioni di ebrei fossero stati sterminati. Negò che si fosse fatto uso di camere a gas e disse di associarsi ai “revisionisti” che abbassano il numero degli ebrei uccisi a due-trecentomila.
“Se questo non è antisemitismo, allora cos’è?”, obiettò il giornalista. E il vescovo: “Se l’antisemitismo è una cosa cattiva, esso è contro la verità. Quando una cosa è vera, essa non è cattiva. La parola anti-semitismo non mi riguarda”.
L’intervista andò in onda, finì anche su internet, e la polemica nei giorni scorsi è salita alle stelle. Il settimanale tedesco “Der Spiegel” vi ha imbastito un articolo. Gli ebrei hanno protestato, i vescovi tedeschi si sono dissociati sdegnati dalle affermazioni del loro confratello, pur scomunicato. E anche la diocesi di Stoccolma ha preso le distanze. Il 20 gennaio la Fraternità Sacerdotale di San Pio X ha cercato di limitare i danni, con due comunicati emessi dai suoi distretti di Gran Bretagna-Scandinavia e di Germania: “Gesù era ebreo, Maria era ebrea, gli apostoli erano ebrei, e quindi nessun vero cristiano può essere antisemita. Le affermazioni fatte dal vescovo Williamson sono esclusivamente sue e non riflettono le vedute della Società di San Pio X. Inoltre, papa Pio XI nella sua enciclica ‘Mit Brennender Sorge’ condannò il regime senza Dio del nazismo e i suoi crimini”. (Sandro Magister, Settimo cielo, 23 gennaio 2009).
Nell’occhio di questa polemica, registriamo una nuova, immediata e spropositata intromissione da parte ebraica nelle decisioni di Benedetto XVI. Stamattina infatti un autorevole esponente della comunità ebraica italiana (ovviamente) arriva infatti a minacciare Benedetto XVI: «Se lo fa davvero (revocare la scomunica) sarebbe l’affronto più grave: una ferita insanabile».
Sia chiaro: le affermazioni del vescovo Williamson, sono indubbiamente gravissime ed è ovvio che la comunità ebraica reagisca, ma non è questo il punto! L'intervista a Williamson fu rilasciata a novembre. Perché salta fuori solo adesso? Non c’è per caso una regia occulta che non condivide le decisioni del Papa e intende ostacolarle, scatenando la reazione di chi è sempre pronto a cogliere la palla al balzo? Gli altri tre vescovi hanno preso chiaramente le distanze, ma nessuno lo scrive. Perché?
Ancora una volta la fuga di notizie dagli uffici della curia romana ha provocato un inasprimento nei rapporti “tra cugini” già di per sé tesi. E la colpa non è dei giornalisti o dei blog che hanno semplicemente fatto il loro dovere. La responsabilità ricade interamente sulla rane dalla bocca larga che ricoprono evidentemente posti di rilievo in Vaticano, e che non hanno il benché minimo senso di responsabilità, ma danno in pasto in maniera scriteriata notizie delicatissime, magari ancora in fieri.
La Santa Sede prenda atto una volta per tutte che il buco comunicativo è gravissimo e che è tempo di darsi una bella mossa. Non ha senso andare su Google se poi i collaboratori del Papa spifferano a destra e a manca informazioni riservate che, guarda caso, vengono recepite al volo quasi sempre proprio da quei personaggi che fanno della sterile polemica anticlericale il loro stile di vita.
Non so che cosa deciderà il Santo Padre, ma penso che il Vaticano abbia tutti i mezzi per scovare queste gole profonde ed assegnarle ad altri incarichi, magari in Iraq dove c'è molto bisogno di Cattolici.
È incredibile come certi personaggi abbiano la straordinaria capacità di ostacolare il lavoro già difficile del Papa. Quello della delazione è un fenomeno il cui olezzo ammorba tutta la società contemporanea, e anche la Chiesa non ne è immune. È ora che anch’essa ne prenda finalmente atto e agisca di conseguenza!

(Fonte: Raffaella, Papa Ratzinger blog, 22 gennaio 2009)

Preti e omosessualità: quando certa stampa inventa

I quotidiani “Il Secolo XIX” e “Repubblica” hanno ieri dedicato ampio spazio a una presunta svolta di “Avvenire” sul tema preti e omosessualità. Il pretesto per entrambi i quotidiani è stata la puntata numero 48 del «viaggio attorno al prete» del professor Vittorino Andreoli, pubblicata su Avvenire del 7 gennaio che, però, non dava alcuno spazio a possibili interpretazioni ambigue.
Addirittura il quotidiano genovese ha giudicato questa la notizia più importante del giorno accompagnandola a una presunta "confessione" di un prete omosessuale che - essendo anonimo - fa sorgere seri dubbi sulla sua reale esistenza.
La svolta di Avvenire evidentemente non esiste, e la responsabilità delle pagine dedicate all'argomento ricade interamente sui responsabili dei giornali che le hanno pubblicate, come evidenzia il doppio intervento del direttore sull'Avvenire di oggi, un editoriale in prima pagina e la risposta a un lettore nella pagina Forum.
1. «Al Secolo XIX stufi della guerra la buttano sui preti»
«Oggi che anche il quotidiano dei vescovi Avvenire ha aperto il dibattito su sacerdozio e omosessualità, padre Felice può rivelare tranquillamente di essere un prete gay»: con questo incipit, abbastanza allucinante, collocato niente meno che in prima pagina, Il Secolo XIX ha introdotto ieri a caratteri cubitali, quasi non ci fossero notizie del giorno più importanti, la testimonianza – vera? inventata? – di un sacerdote che racconta le sue vicissitudini sul fronte della castità, dimensione connaturale al ministero che egli esercita. Nel catenaccio del titolone di testata, il giornale ligure giustifica un’attenzione così generosa alle scelte singolari del sacerdote col fatto che la presunta confidenza veniva «dopo la svolta di Avvenire». Svolta? Ma quale svolta, signori? Ora, ciascuno può inventare le confessioni che crede (e i lettori diffidino delle interviste anonime), e ogni direttore di giornale può mettere in pagina il menù editoriale che ritiene più confacente alla propria impostazione culturale e a quelli che è convinto, spesso a torto, siano i gusti dei lettori.
Ciò che, per regole di civiltà, non sarebbe consentito è strumentalizzare altri, è appoggiarsi artatamente «a terzi» per sostenere le proprie battaglie ideologiche e anticlericali. La puntata numero 48 del «viaggio attorno al prete» del professor Vittorino Andreoli, pubblicata su Avvenire di mercoledì 7 gennaio, era impeccabile quanto a equilibrio e rispetto dell’impostazione che la Chiesa cattolica ha dato al problema dell’omosessualità al suo interno. Semplicemente non c’erano, nel lessico pur franco dello psicanalista Andreoli, accenti di inutile crudeltà. Ebbene, approfittare di questo, per attribuire al giornale cattolico il contrario di quanto normalmente sostiene e di ciò che ha argomentato anche nella presente circostanza, è un’operazione indegna. Verrebbe da dire squallida, e che richiama – per l’intreccio tra elementi biografici e surreale linea «politica» – i vizi della propaganda in voga nei regimi oscuri di altre epoche. Meglio: è un’ulteriore prova del banalismo e della superficialità arrogante che circolano oggi in talune imprese editoriali. E poi chiedono una Chiesa meno assediata: meriterebbero solo il mite sorriso dell’indifferenza. Anche dei lettori. (db)
2. Andreoli, i sacerdoti, l’omosessualità. Lettera al direttore di Avvenire.
Caro Direttore, l’imprudenza è sempre una cattiva consigliera e imprudente è spesso il Secolo XIX, anche ieri quando, in prima pagina, riportava nel titolo di apertura un’intervista stravagante. 'Ecco la mia vita di sacerdote gay: un prete ligure rompe il tabù dopo la svolta di Avvenire'. Quale l’errore? Aver fatto non informazione sui fatti ma disinformazione e deformazione della verità. Leggendo l’intervista a un certo padre Felice si aveva come l’impressione che si volesse far passare per normale e accettabile il rapporto di coppia che un parroco dichiara di avere da sei mesi con un coetaneo. Quel parroco si giustifica col fatto che nelle promesse sacerdotali c’è l’impegno al celibato e non la promessa di castità. Che lo dichiari Padre Felice ci interessa ben poco, avrà lui a che fare con la sua coscienza, a tu per tu con Dio. Ma per noi che leggiamo sembra che il quotidiano ligure voglia far passare per normale una relazione sessuale durante il ministero sacerdotale. Perché, è bene ricordarlo, il religioso in questione si dichiara omosessuale sin da ragazzino, e siccome «per vivere l’omosessualità con serenità bisogna accettare se stessi, e mettere un filtro alla dinamica delle gerarchie ecclesiastica», allora passi pure che, durante la formazione, il 'nostro' abbia già avuto una storia omosessuale durata 15 anni. Ciò che fa disinformazione è proprio il creare ambiguità su questa situazione e far passare per normale ciò che non lo è. Non mi riferisco alle persone che si scoprono omosessuali. Tutti hanno caratteristiche che devono essere accolte e valorizzate nell’ambito del progetto che Dio ha su ciascuno. Ma, come riportava lo psichiatra Andreoli nel testo che ha fatto scatenare la polemica, non tutti vanno bene per lavorare nella Silicon Valley e non tutti sono idonei al servizio militare. Alcuni, quindi, potrebbero non essere adatti ad una vita consacrata. Il quotidiano ligure avrebbe dovuto ricordarsi che per la Chiesa ogni persona (sposata o no) è tenuta alla castità. Il celibato è motivato soprattutto dalla consacrazione a Cristo con 'cuore indiviso'. Di conseguenza, pur essendo giuridicamente configurati in modo diverso castità (come voto religioso) e celibato sacerdotale, da un punto di vista spirituale ed umano si equivalgono. Questi sono i principi della Chiesa cattolica e chi si riconosce nella Chiesa non può non accettarli. L’argomentare di Padre Felice è privo di fondamento. Si aggiunga che l’uso della sessualità al di fuori del matrimonio per la dottrina della Chiesa è interdetto, a maggior ragione per un consacrato e per giunta in contesto omosessuale. Se infine si vuol far passare questo intricato groviglio come qualcosa che sta in sintonia con questo o quell’articolo di Avvenire, mi pare proprio che si sia fuori di testa. Eraldo Ciangherotti, Albenga (Sv).
Risponde il Direttore di Avvenire Dino Boffo, il 10 gennaio 2009: «Il punto, come chiarisco anche in prima pagina, è che nulla nell’articolata riflessione del professor Andreoli autorizza le illazioni sparate in prima pagina dal Secolo XIX – ma questo 'padre Felice' esisterà poi davvero o è un’invenzione giornalistica? – e le strumentalizzazioni compiute anche da Repubblica. Dubito persino che chi ha messo in piedi e confezionato quelle pagine si sia preso la briga di leggere completamente e con disincanto quanto messo nero su bianco dall’illustre psichiatra veronese, nostro apprezzato collaboratore. Nulla è cambiato nella posizione della Chiesa in relazione al tema dell’omosessualità e al rapporto tra questa condizione e il ministero sacerdotale. Quasi al termine di un lungo tragitto che per un anno ha affrontato settimanalmente un aspetto dopo l’altro della vita dei sacerdoti di oggi – dal tempo del seminario, al prete di montagna, a quello del cimitero – nelle settimane più recenti abbiamo preso in esame le situazioni più scottanti sollevate, non di rado strumentalmente, dalla cronaca – innamoramento, scandalo, omosessualità, prossimamente pedofilia... – per guardarle come controluce e soppesarle per quel che esse comportano. Senza indulgere nello scandalismo, con sguardo limpido e sereno, avendo sempre presente che non spetta a noi giudicare le persone, ma rimanendo esigenti e schietti nell’adesione al magistero della Chiesa qual esso è, mai con la pretesa di modellarlo conformemente alle inclinazioni più gradite a questa o quella corrente. Solo che per certa, per troppa stampa la Chiesa – e Avvenire – o pronuncia anatemi, si scaglia contro, condanna inesorabilmente, oppure, giuliva, dà il 'liberi tutti'. Ma quando? Ma dove? Si può chiedere, prima della decenza, almeno un po’ di professionalità, cioè di affrontare gli argomenti con documentazione appropriata e strumenti seri. I giudizi restano liberi, ma per essere credibili devono appoggiarsi su dati di fatto attendibili – meglio, veri –: in questo caso nulla di tutto ciò. E questo, almeno i lettori di Avvenire devono saperlo».


(Fonte: Fattisentire.net, 13 gennaio 2009)

Dialogo con gli ebrei: il Papa cancella 50 anni di lavoro. Parola di Rabbino

Viene dalla somma autorità del cattolicesimo, il Papa, la messa in discussione del dialogo con l’ebraismo. A sostenerlo, con parole pesanti come pietre, scritte nero su bianco in un intervento ospitato dalla rivista dei gesuiti, Popoli, è il rabbino capo di Venezia, Elia Enrico Richetti. Nell’intervento, nel quale si dà conto, a nome del Rabbinato d’Italia, dell’attuale crisi nei rapporti ebraico-cattolici in Italia, Richetti spiega che secondo Benedetto XVI "il dialogo è inutile perchè in ogni caso va testimoniata la superiorità della fede cristiana" e in tal modo si va verso "la cancellazione degli ultimi cinquant’anni di storia della Chiesa".
Il duro attacco dei rabbini "In quest’ottica, l’interruzione della collaborazione tra ebraismo italiano e Chiesa è la logica conseguenza del pensiero ecclesiastico espresso dalla sua somma autorità". E sì che l’intervento del rabbino è preceduto da poche righe in cui Popoli spiega: "Il primo passo per un dialogo autentico è mettersi in ascolto delle ragioni dell’altro". D’altro canto, oggetto dell’articolo è proprio la rinuncia ebraica alla partecipazione alla giornata dell’ebraismo che si celebra ogni anno il 17 gennaio. All’origine della crisi interreligiosa il ritorno della messa in latino secondo il messale di San Pio V nel quale si invoca la conversione degli ebrei alla verità cristiana. Una preghiera che in passato aveva peraltro una formulazione ingiuriosa, quella dei "perfidi giudei", poi modificata da Benedetto XVI nel liberalizzare l’antico rito. La scelta compiuta dall’assemblea dei rabbini d’Italia, si legge nell’intervento, "è la logica conseguenza di un momento particolare che sta vivendo il dialogo interconfessionale oggi, momento i cui segni hanno cominciato a manifestarsi quando il Papa, liberalizzando la messa in latino, ha indicato nel Messale tridentino il modulo da seguire".
La preghiera del Venerdì Santo "In quella formulazione - scrive il rabbino Richetti - nelle preghiere del Venerdì Santo è contenuta una preghiera che auspica la conversione degli ebrei alla verità della Chiesa e alla fede nel ruolo salvifico di Gesù". "A onor del vero, quella preghiera - prosegue il testo - che nella prima formulazione definiva gli ebrei 'perfidi', ossia 'fuori dalla fede' e ciechi, era già stata 'saltata' (ma mai abolita) da Giovanni XXIII. Benedetto XVI l’ha espurgata dai termini più offensivi e l’ha reintrodotta". Da questo momento in poi, afferma il rabbino, la parte ebraica si è presa una pausa di riflessione nel dialogo con la Chiesa cattolica e si è avviata una fase di contatti e tentativi di mediazione. "Purtroppo - afferma il rabbino capo di Venezia - i risultati si sono dimostrati deludenti. Si sono registrate reazioni 'offese' da parte di alte gerarchie vaticane: 'Come si permettono gli ebrei di giudicare in che modo un cristiano deve pregare? Forse che la Chiesa si permette di espungere dal rituale delle preghiere ebraiche alcune espressioni che possono essere interpretate come anticristiane?'". Ancora, si rileva che non è mai arrivata una risposta ufficiale della Conferenza episcopale italiana. Altri prelati hanno affermato, spiega Richetti, che "la speranza espressa dalla preghiera 'Pro Judaeis' è 'puramente escatologica', è una speranza relativa alla ’fine dei tempì e non invita a fare proselitismo attivo (peraltro già vietato da Paolo VI)".
Un dialogo incrinato Proprio da qui prende spunto il rabbino per un giudizio estremamente severo: "Queste risposte non hanno affatto accontentato il Rabbinato italiano. Se io ritengo, sia pure in chiave escatologica, che il mio vicino debba diventare come me per essere degno di salvezza, non rispetto la sua identità". "Non si tratta, quindi - ha aggiunto - di ipersensibilità: si tratta del più banale senso del rispetto dovuto all’altro come creatura di Dio. Se a ciò aggiungiamo le più recenti prese di posizione del Papa in merito al dialogo, definito inutile perchè in ogni caso va testimoniata la superiorità della fede cristiana, è evidente che stiamo andando verso la cancellazione degli ultimi cinquant’anni di storia della Chiesa. In quest’ottica, l’interruzione della collaborazione tra ebraismo italiano e Chiesa è la logica conseguenza del pensiero ecclesiastico espresso dalla sua somma autorità". "Dialogare - conclude il rabbino - vuol dire rispettare ognuno il diritto dell’altro ad essere se stesso, cogliere la possibilità di imparare qualcosa dalla sensibilità dell’altro, qualcosa che mi può arricchire. Quando l’idea di dialogo come rispetto (non come sincretismo e non come prevaricazione) sarà ripristinata, i rabbini italiani saranno sempre pronti a svolgere il ruolo che hanno svolto negli ultimi cinquant’anni".

(Fonte: Il Giornale n. 11 del 13 gennaio 2009)

L'Europa deve smetterla di comandare in campo etico

L’Europa, pur impotente in modo drammatico in campi decisivi per la vita dei cittadini suoi e del mondo, come nelle crisi del Gas o dell’immigrazione e delle guerre che insanguinano il mondo lontano o vicino ai suoi confini, si rivela molto solerte nelle prese di posizioni e nei provvedimenti di carattere ideologico. E, mentre invecchia impotente e squassata dalla crisi economica, decide di raffigurare in un certo senso il proprio futuro. Senza interrogarsi a fondo se la strada tracciata ricalchi e aggravi gli errori che l’hanno portata a questa elefantiaca impotente vecchiaia o rappresentino una via di uscita e di ripresa.
Su impulso di un deputato italiano di Rifondazione comunista, Giusto Catania, il Parlamento europeo ha approvato un documento sulla tutela dei diritti umani che vorrebbe avere grande rilievo. Nobile e sacrosanta iniziativa ancorché presa da un Parlamento politicamente debole anche a causa della prossima scadenza di mandato. Il tema infatti è delicato e importantissimo. Ma il modo con cui il Parlamento ha deciso di affrontarlo è forse il peggiore. Per tre motivi.
Primo perché il documento accumula una serie di problemi (dalla discriminazione dei rom, al testamento biologico, dalle coppie omosessuali all’antisemitismo) e ne esclude altri (come ad esempio una seria iniziativa politico-diplomatica della Ue contro le discriminazioni e le persecuzioni anti-religiose perpetrate in varie parti del mondo). E dunque si fa di ogni erba un fascio sotto l’egida nobile ma generica di "diritti umani" col rischio di rendere tutto vago e parziale. Sorprende ad esempio, l’assillante attenzione diffusa ai diritti delle coppie omosessuali e la fuggevolezza del riferimento al drammatico e ben più imponente fenomeno della tratta delle schiave del sesso che appesta l’Europa. Ma, appunto, è il rischio di documenti di indirizzo che esprimono posizioni ideologiche più che problemi reali.
I toni del documento, poi, sono quasi impositivi, ma a vanvera. Non solo perché vorrebbe dettare linee ai Paesi membri su faccende etiche e normative che in alcuni casi sono di chiara evidenza (le discriminazioni sui minori o su popolazioni minoritarie – ma allora perché solo i rom e non i tanti cinesi d’Europa che pur vivono e lavorano a volte in condizioni vergognose?) mentre in altri sono oggetto di interpretazioni tutt’altro che pacifiche e scontate (come il "matrimonio gay" da riconoscere e il testamento biologico da garantire per legge). Mettere in un mucchio generico solo alcuni temi che interessano per motivi che con i "diritti umani" c’entrano fino a un certo punto, è una operazione non solo scorretta ma infine lesiva della nobiltà e della serietà del problema dei diritti.
E continua a minare la credibilità dell’Assemblea di Strasburgo. L’Europa si è costituita, fin dall’inizio, sul principio di sussidiarietà, che solleva gli organi politici di più elevato grado comunitario dal legiferare su questioni su cui gli Stati membri hanno il dovere e la libertà di farlo, sulla base delle decisioni maturate democraticamente al loro interno. Se questo principio viene invocato spesso per materie che riguardano l’agricoltura o altre faccende a carattere economico-produttivo, tanto più andrebbe osservato su questioni eticamente sensibili, per evitare che si arrivi a una inquietante imposizione dall’alto.
Il documento votato ieri a Strasburgo tuttavia non può avere, per le stesse norme costitutive della Ue, valore vincolante. A decisioni di tal genere si può eventualmente arrivare solo con l’accordo degli Stati e sulla base di provvedimenti della Commissione, non certo con un’alzata di voce e di mano organizzata da qualche lobby. Ma va pur detto che il gioco è pericoloso: andando avanti di questo passo, per irresponsabilità o per incuria, l’Europarlamento si dimostra più luogo e strumento di propaganda che serio laboratorio per il futuro comune.

(Fonte: Davide Rondoni, Avvenire, 15 gennaio 2009)

Di nuovo Santoro: demagogo, fazioso e violento, ma, soprattutto, intoccabile.

Santoro ne ha fatta un’altra delle sue. Sul personaggio abbiamo sempre espresso un pessimo giudizio, come esempio evidente di un giornalismo fazioso, violento, ideologico. Tutto quello, insomma, che il giornalismo non dovrebbe essere.
Quello che stupisce è l’atteggiamento di certa gente nei suoi confronti e la sua in un certo senso sacra inviolabilità. Leggo il commento di Aldo Grasso sul Corriere di sabato (il quale a proposito di Santoro dice: “La sua faziosità è nota, la decisione di rappresentare una sola parte del conflitto va messa in conto, la sua retorica votata a una sempre più spinta demagogia non è condivisa da molti ma fa ormai parte del panorama televisivo italiano…”) e rimango di sasso. Mi si dice che in Rai (la televisione pubblica, quella per la quale tutti paghiamo il canone) c’è un noto conduttore fazioso, uno che quando tratta un problema sposa una parte sola, uno che è un demagogo, ma non si conclude che è ora di mandarlo a casa e di impedirgli di nuocere, no: mi si dice che lo “dobbiamo mettere in conto” e che lo dobbiamo accettare perché fa ormai parte “del panorama televisivo”.
Ma chi è costui? Ma chi gliela ha data questa patente di intoccabilità? Fosse Celentano (che è l’artista che è e lo showman che è) capirei pure (e sempre fino ad un certo punto) che lo si possa accontentare quando vuole giocare un pochino con le telecamere. Ma Santoro… Santoro! Quali meriti ha Santoro?
E’ vero che chi lo conosce lo evita e che invece lo guarda chi in qualche modo condivide l’odio per i personaggi che odia lui. Ma non si capisce come mai un certo mondo politico è sempre pronto a fare la morale su tutto e su tutti e tollera una persona immorale come questo squallido personaggio.
Prendiamo la prodiana Sandra Zampa. Per costei non c’è da fare tragedie: “Lui (Santoro) è sempre eccessivo, ma chi va da lui lo è già in partenza e quindi può prendere le misure… Anche se non mi piace tutto di Santoro, credo sia doveroso difendere il pluralismo, la libertà d’informazione”.
Capito? ‘Sto tizio è eccessivo e mette su una trasmissione dove chi è invitato deve andarci con la corazza, ma bisogna difenderlo in nome della libertà d’informazione. Io credo che fare una trasmissione che al 99,9% è a favore di Hamas e contro Israele (giudizio di Lucia Annunziata) non sia informare, ma fare disinformazione. Quindi non capisco quale sia la libertà da difendere.
Stavolta, poi, la polemica è tutta a sinistra, perché Lucia Annunziata è una giornalista che fa parte della stessa parrocchia di Santoro. Quindi gli estimatori di questo campione della TV dittatura-spazzatura non se la possono nemmeno prendere con Berlusconi e con la cenbsura del centrodestra. La censura, stavolta, arriva proprio da sinistra, tra l’altro da una giornalista che ha dato in passato dimostrazione di faziosità, quando costrinse Berlusconi ad andarsene in diretta. Stavolta ha trovato qualcuno che è anche più fazioso di lei, qualcuno che si era anche selezionato accuratamente il pubblico in studio, che in blocco si è schierato con l’inamovibile guru. Come accade sempre, del resto, ad Alzo Zero.
E come ha reagito il Santoro ai rilievi di una sdegnata Annunziata che lo tacciava di partigianeria e di faziosità? Con insulti e sberleffi e con una domanda che ha scandalizzato molti: “Stai acquisendo dei meriti nei confronti di qualcuno?”. Commento di Aldo Grasso: “E’ un’insinuazione di basso livello, intollerabile”. Santoro risponde così a chi lo critica. Non si fa mai un esame di coscienza. Lui è immacolato, lui è sempre nel giusto. Lui, semmai, è una vittima di poteri occulti che cercano di censurarlo e, sembra di capire, anche l’Annunziata farebbe parte di questo colossale complotto.
Siamo alla pazzia. E non sono affatto d’accordo con coloro che mi invitano a tollerare questa situazione anomala e paradossale. Perché ho presente dei giovani (alcuni di quelli che incontro a scuola), che si abbeverano ad Alzo Zero e lo prendono come oro colato. Il giorno seguente la trasmissione, ti chiedono un giudizio sugli scontri tra Israele e Hamas e mentre tu, che hai studiato qualcosa in proposito e ti sei un po’ documentato, rispondi cosciente che non si può tranciare di netto la ragione e il torto, loro, invece, hanno già tutto molto chiaro in testa: la ragione ce l’hanno i palestinesi, che stanno sotto le bombe e che in Palestina ci stavano prima degli ebrei. L’ha detto Santoro, l’ha ribadito Vauro che gli israeliani sono cattivi e ammazzano i bambini.
Naturalmente non sanno che nello statuto di Hamas c’è, ai primi punti, la volontà di cancellare lo Stato d’Israele e che è stata Hamas a sparare per prima. Da Santoro non l’hanno capito, perché questo punto era rappresentato allo 0,01 % (stime di Lucia Annunziata).
E allora torna l’angosciosa domanda: ma perché dobbiamo sopportare questo signore e la sua cricca di demagoghi?

(Fonte: Gianluca Zappa, La Cittadella, 19 gennaio 2009)

venerdì 16 gennaio 2009

Annozero: La Annunziata lascia; Israele protesta: vergogna; Fini a Petruccioli: "Santoro indecente".

Se n'è andata anche Lucia Annunziata. Dopo alcuni scambi a colpi di "Cara Lucia", "Caro Michele" è scoppiata la lite in diretta con Michele Santoro: cinque minuti buoni di urla in falsetto. Poi, dalle luci che si abbassano alla telecamera che cambia campo furtiva fino allo strappo del microfono, è un tutto un deja vu. Con un altro ospite caduto nella lunga marcia di Michele Santoro verso la (sua) verità. Annozero, tornato in prima serata su Rai2 dopo le feste di fine anno, è dedicato al dramma israelo-palestinese.
Dopo essere intervenuta più volte per contestare i passaggi salienti della trasmissione, con gli interventi di testimoni sia palestinesi sia israeliani ("Non puoi affidare l'analisi della guerra a una lite tra due ragazzine troppo coinvolte nel conflitto") la Annunziata ha criticato esplicitamente la conduzione della trasmissione, giudicata a senso unico: "Al 99,9% - ha detto - è schierata dalla parte dei palestinesi". Veemente la replica del conduttore: "Non dire anche tu le scemenze che ci dicono in tanti, basta con questa volgarità. Sei qui per parlare di questo problema, non per contestare la trasmissione".
La Annunziata ha ribattuto dicendo che "essendo giornalista, posso contestare un programma che trovo sbilanciato", ma Santoro è esploso: "Lucia, con chi stai cercando di accreditarti con queste parole?". Al che l’ex presidente della Rai (editorialista della Stampa e conduttrice di Mezz'ora) si è alzata, ha bofonchiato ancora qualcosa dopo essersi tolta il microfono, e ha lasciato lo studio con qualche applauso dal pubblico.
Finale polemico poi per Santoro che si è lasciato andare, quasi gridando, a un veemente attacco alla politica, che "su queste tragedie non fa un tubo". Quindi un attacco personale a Veltroni: "Andasse a Gaza invece di andare in Africa". Santoro ha criticato anche il Pse, che "da anni non fa niente... perché non convoca una riunione e decide quali azioni politiche intraprendere? Non accetto - ha scandito Santoro - che questi bambini muoiano e i potenti della terra non fanno niente per fermare questo massacro".
«C’è una trasmissione e ognuno vedendola può farsi una sua opinione»: questa l'unica replica di Lucia Annunziata.
Interpellato in proposito, Maurizio Gasparri, presidente del Pdl al Senato, ha commentato:
«Se anche Lucia Annunziata ha ritenuto così fazioso Santoro, al punto di dover abbandonare la trasmissione Rai di unilaterale attacco ad Israele, l'azienda pubblica dovrebbe interrogarsi su questo modo di fare informazione. Siamo al fiancheggiamento di ogni estremismo. E la Annunziata, giornalista di sinistra e combattiva, non può essere certo sospettata di pregiudizi politici. La verità è che alcuni usano la tv per scopi politici che molte volte suscitano indignazione. Facendolo in questo modo danneggiano, per eccesso di faziosità, la parte a cui sono asserviti. La Rai però ha il dovere di mettere spazi a disposizione per esporre anche altri punti di vista, oltre a quelli dei fans dei terroristi di Hamas».
«Uno spettacolo vergognoso che speriamo non si ripeta più». Con questo duro giudizio si conclude una lunga lettera dell’ambasciatore israeliano in Italia, Gideon Meir, al presidente della Rai Claudio Petruccioli con la quale il diplomatico esprime la sua "protesta" e il suo "sconcerto" per la puntata di Annozero andata in onda ieri sera su Rai2. Meir afferma di non aver «mai visto sui mass media internazionali occidentali una trasmissione così poco accurata dal punto di vista professionale. Non soltanto - scrive - nella trasmissione di ieri non vi è stato alcun tentativo di spiegare agli spettatori che cosa stia accadendo nella Striscia di Gaza, ma anzi, i pochi e isolati tentativi di qualche partecipante in tal senso sono stati messi a tacere dal conduttore senza esitazione, con la motivazione che si trattasse di argomentazioni troppo complesse per quella trasmissione e che ciò che si voleva fare lì era solo occuparsi di ciò che sta accadendo a Gaza in questo momento». Meir osserva anche che «il tentativo di presentare Israele come uno stato assetato di sangue, che intenzionalmente e deliberatamente uccide bambini palestinesi, a quanto pare per punire Hamas, senza però fornire la minima spiegazione sulle guerre imposte a Israele negli ultimi 60 anni e sulle migliaia di attacchi terroristici palestinesi e sui lanci di 10mila missili contro Israele testimonia, a mio umile parere, non soltanto la mancanza di professionalità inappropriata e inadatta alla televisione pubblica italiana, ma anche la divulgazione di pregiudizi e preconcetti del peggior tipo sullo stato ebraico, mediante la deformazione della realtà e la manipolazione dei fatti, cosa inaccettabile - rimarca ancora l’ambasciatore - anche sotto le vesti di critica, che sarebbe di per sé legittima, alle azioni israeliane dei suoi cittadini».
Ànche il presidente della Camera, Gianfranco Fini, ha telefonato al presidente della Rai e nel corso del colloquio ha affermato che nella trasmissione Annozero di ieri sera «è stato superato il livello di decenza». Fini ha poi chiamato la giornalista Lucia Annunziata per esprimergli «solidarietà e apprezzamento».
Santoro dal canto suo replica al presidente della Camera: «In un paese normale - scrive il conduttore sul sito ufficiale della trasmissione di Rai2 - il livello della decenza lo supera un presidente della Camera che, travalicando i suoi compiti istituzionali, interviene per richiedere una censura nei confronti di un giornalista che sta compiendo il suo dovere di informare l’opinione pubblica». Santoro ricorda poi che «la determinazione dell’indirizzo generale e l’esercizio della vigilanza dei servizi radiotelevisivi competono alla commissione parlamentare di vigilanza sul servizio pubblico radiotelevisivo».
Ma alla fine tutto dipende, caro Santoro, con quale etica professionale il giornalista compia il suo dovere di informare l’opinione pubblica: si tratta di informare veramente o di volutamente disinformare?

(Fonti: Roberto Ionizzi, Il Giornale, 16 gennaio 2009, e Agi, 16 gennaio 2009)

Quei "cattolici adulti" scaricati dal Vaticano

Insomma, da ieri, molti di coloro che andavano per sacrestie a rastrellare voti in nome della loro coerenza di «credenti impegnati in politica», sono ufficialmente invitati a lasciare il campo a una «nuova generazione» di politici cattolici, che abbiano «rigore morale» e «competenza». Era dal 1976, anno in cui si era tenuto il convegno «Evangelizzazione e promozione umana», che la storia del cattolicesimo italiano era entrato nel cono della ferrigna egemonia dei cosiddetti «cattolici democratici».
A segnare quel passaggio un patto non scritto tra democristiani di sinistra e comunisti. Cosa potevano essere quei cattolici che non riconoscevano nell’asse che andò da Scoppola al cardinal Martini (fondatore del laboratorio politico da cui sono usciti il top dei politici prodiani) l’aura della profezia? Coloro i quali non si davano da fare per separare irrimediabilmente la testimonianza del cristiano dall’adesione alla persona di Cristo e quindi alla Chiesa, cominciarono ad essere marchiati di «integralismo», «tradizionalismo», «antimodernità». All’inizio fu la stagione dei catto-comunisti, alla fine, secondo la definizione che ha dato dell’ultima schiera di alleati del governo unionista il vescovo di San Marino Luigi Negri, quella dei «catto-laicisti». L’aporia era evidente: come si fa a dire «Signore, Signore», andare in giro col collo torto della devozione e poi muovere guerra alla identità, cultura e missione della propria Chiesa?
Si pensi al cardinal Camillo Ruini, ex capo della Cei, che per oltre vent’anni ha dovuto assaporare il calice amaro dell’intolleranza catto-democrat. La sua colpa? Aver tenuto la barra dritta, alla sequela del Papa, in tempi in cui la Chiesa, per dirla con Paolo VI, ha vissuto con lo «zolfo in seno» e con «un pensiero non cattolico» al suo interno che pretendeva dettare legge in pubblico e il modo di interpretare i sacramenti in chiesa. L’invito a cambiar musica ora viene dal capo supremo, il Papa. Mai era capitato di sentire un Pontefice pronunciare una richiesta così esplicita di ricambio di un’intera classe di cattolici impegnati in politica. Certo, è un dramma. Dev’essere un dramma sentirsi invitati a farsi da parte dalla massima autorità ecclesiale, dopo che si è già stati messi da parte dall’elettore, massima autorità popolare. Ma gli saranno fischiate le orecchie ai cosiddetti «cattolici adulti»? Chissà. È difficile che gli uomini imparino quello che già credono di sapere.
Analoghe riflessioni si potrebbero fare per politici autoproclamatisi cattolici d’antan, persone per bene come Rosy Bindi, Franco Monaco, Giuseppe Fioroni, Maria Pia Garavaglia, e tutta quella pars magna di protagonisti di una grande storia (a proposito, avete più sentito parlare di un certo Marco Follini?) cominciata sotto la parte sinistra dello scudo crociato. E finita sotto la parte destra dell’armata Brancaleone unionista e, oggi, partitodemocratica. Da cattolici avrebbero potuto comprendere le ragioni della difesa pubblica, gagliarda, volitiva, della scuola libera, della vita, della famiglia, dell’alleanza tra uomo e donna.
E invece li abbiamo visti perdersi nelle manfrine della politica politicante. Li abbiamo visti, ansiosi e presuntuosi, provare a spiegare al Papa e alla Chiesa, come capitò più volte alla povera Rosy Bindi, cosa c’è che non va nel pontificato e cosa si dovrebbe aggiornare nella dottrina sociale della Chiesa. Li si è visti impostare la sanità guardando al modello Cuba e chiedere di superare la legge 40 in nome delle prediche domenicali di Eugenio Scalfari. Li si è visti preoccupati di non scontentare il partito (ed ecco spiegata la necessità dei Dico) e attenti alle battaglie per la buona morte, più che a quelle per la buona vita.
Tutto ciò in nome di una equivoca idea di rispetto delle idee altrui. In nome di un cristianesimo che, come in un romanzo di Gogol, invoca i puri valori a parole. E poi, nei fatti, fa della politica commercio. Un cristianesimo che si condanna all’autoesclusione della società in cambio di una posizione dominante. Che tutto ciò fosse protesi, artificio, «fiore sulle catene» (come direbbe Marx), lo ha scoperto definitivamente un Papa. Nel cui sottotesto, io leggo che dovevano dargli il 6, altro che il 7 in condotta, a quei donmazzisti che hanno scambiato la fede per la postura buonista e, naturalmente, uno scranno scettrato nel pubblico agone. Accomunati da un’idea di laicità intesa come complesso di inferiorità ai laici a tutto tondo (quelli cioè senza remore religiose), i cattolici che hanno visto i loro Mosè nei leader della sinistra da Berlinguer in avanti, sono anche stati i protagonisti della messa in mora e della riduzione allo stato confusionale di tanto popolo cattolico. Questa è forse la responsabilità più grave e la spiegazione più seria a parole così epocali del Papa.
Ieri, alla fine di una messa in una parrocchia di Monza, tra gli avvisi dati dal parroco, mi ha colpito questo: «Domani, ore 15, riunione del gruppo adulti impegnati. Ex terza età». Chissà perché, dopo le parole sentite da Benedetto XVI, ho subito pensato a Romano Prodi e ai suoi aficionados.

(Fonte: Luigi Amicone, Il Giornale, 8 settembre 2008)