Non sono certo nella condizione di insegnare a un prete a fare il prete, ma posso insegnare qualche cosa a un prete che vorrebbe fare il marito. Ad esempio ascoltarsi la canzone di Brunori Sas Per due come noi, che tra l'altro è uno dei pochissimi recenti capolavori della canzone italiana perché fissa nel granito non l'amore a 20 anni - troppo facile -, ma quello dopo 20 anni, ma questi sono problemi miei.
Nel
ritornello dice:
"Non confondere l'amore e l'innamoramento che oramai non è più tempo". Don
Riccardo Ceccobelli è l'ultimo della schiatta dei sacerdoti che
lasciano la tonaca utilizzando un'intervista in
esclusiva al Corriere come pretesto per insegnare ai cattolici che è
la Chiesa a dover rivedere le sue dure regole sul celibato e non semmai
loro a doversi interrogare sul loro strappo.
A
lui, con tutto il rispetto umano,
ma anche la franchezza del battezzato dico che dalla sua intervista
traspare proprio una immaturità di fondo. E lo dico da padre e marito quale
indegnamente sono, sapendo di attirarmi le prediche delle
prefiche che «l'amore è amore» e quegli altri che «quando
c'è l'amore c'è tutto» (e no, direbbe, Troisi, quella era la
salute). Ma anche quelli che «chi sei tu per giudicare».
Liberissimo
di appendere la tonaca al chiodo e
di portare in tribunale i libri contabili della parrocchia, se tutto resta
nella riservatezza della propria storia. Ma quando si lascia la tonaca per una
donna (per una donna, non per amore, per una donna), guarda caso la notizia
viene sempre sbandierata sui giornali come se si avvertisse la necessità
di continuare a fare la predica al popolo di Dio e spiegargli quanto
sia imbecille a non capire e a non accettare. Ecco, in questi casi, e
questo è il caso, sento puzza. E allora, esprimere una critica è
possibile.
Non
giudico ovviamente lei, Dio
me ne scampi, ma giudico la facilità con la quale, a 42 anni - appena un
anno in meno di me - attraverso il più diffuso quotidiano d'Italia cerca
di spacciare l'abolizione del celibato come battaglia di bandiera, quando
altro non è che una sconfitta personale portata avanti con l'immaturità
dei sentimenti che si annidano nella mentalità del mondo che ormai è penetrata
dentro la Chiesa fino a riplasmarla.
Un'immaturità
di sentimenti,
reverendo, perché nell'intervista lei parla di «emozioni», di «benessere
al telefono», di «uscite mano nella mano da fidanzati» non ancora fatte, di
futuri emozionanti «pranzi dai genitori». Ma amare non sono le farfalline nello
stomaco. Amare è la ragione che confina il cuore nel suo recinto
pulsante per un bene più grande. Una ragione che si fa programma di vita,
vocazione, che si costruisce passo dopo passo nella conoscenza, nel sacrificio
e nel rispetto reciproco. E che trova nell'altro non un salto nel buio, non
solo un volto, ma il Volto, il cui sguardo da sostenere è difficile perché
rimanda ogni volta allo sguardo di Chi per noi si è fatto carne e poi
vittima.
Questo
è l'amore: un
costante e eterno sguardo nell'Altro, che cresce nella fatica e nella
consapevolezza che «i due saranno una sola carne» che a me fa sempre tanta
tenerezza e spavento e ricorda, appunto, quel «perché ci vuole passione/dopo
vent'anni a dirsi ancora di sì/e stai tranquilla sono sempre qui»
della canzone di prima.
Sicuramente
il suo vescovo avrà
vagliato con saggezza tutte le strade, però, don Riccardo, parliamoci chiaro:
le auguro di trovare davvero la sua strada, che può essere quella del
matrimonio o anche del ritorno alla vita consacrata, ma solo dopo aver chiarito
dentro di sé, e non a un cronista, che l'amore che cerchiamo per noi è sempre
riflesso dell'Amore di Cristo. Questo dalla sua intervista non traspare,
anzi traspare molto egoismo dei sentimenti e credo sia una mancanza che
prima o poi dovrà interrogarla.
Un'ultima
cosa: se dovesse
scegliere la via a due, però, sappia che dovrà rinunciare alle prediche, perché
quelle saranno prerogativa della sua dolce metà.
(Fonte:
Andrea Zambrano, LNBQ – Fuori Schema, 14 aprile 2021)