Natale, si sa, è una stagione di buoni sentimenti ed è comprensibile che papa Francesco abbia scelto questo momento per entrare nelle case degli italiani, attraverso l’intervista che ha rilasciato il 18 dicembre a Canale 5 sul tema “Il Natale che vorrei”. I temi che ha toccato sono argomenti a cui ognuno è sensibile, come la guerra, la povertà, la fame, l’inverno demografico, lo sport, i bambini. Le sue osservazioni sono sembrate ispirate a un buon senso naturale, tralasciando però di toccare le questioni di fondo, in tema di fede e di morale, che pure interpellano ogni giorno la nostra vita quotidiana. Molti di questi problemi vengono affrontati in due libri, apparsi in questi giorni, che cercano di far chiarezza sul pontificato e sulla personalità di papa Francesco. Sono, va detto subito, studi rigorosi e non pamphlet. Il primo, dal titolo François, la conquête du pouvoir. Itinéraire d’un pape sous influences (Contretemps, Versailles 2022, pp. 386, 25 euro), è di Jean-Pierre Moreau, uno specialista francese della teologia della liberazione; il secondo, Super hanc petram. Il Papa e la Chiesa in un’ora drammatica della storia (Fiducia, Roma 2022, pp. 276, euro 22), si deve a padre Serafino Lanzetta, un valente teologo italiano, che esercita il suo ministero nel Regno Unito.
Moreau
va alla ricerca dei “maîtres à penser” di papa Francesco e li identifica
negli artefici della “Teologia del Popolo”, un ramo della teologia
latino-americana della liberazione ispirata al Patto delle Catacombe celebrato
a Roma il 16 novembre 1965, quando una quarantina di vescovi, tra i quali
monsignor Helder Câmara, proclamarono la necessità di tornare alla prassi del
Gesù storico attraverso “una Chiesa serva e povera”. In quello stesso anno fu
eletto generale della Compagnia di Gesù padre Pedro Arrupe, autore di un
progetto di riforma della Chiesa che ne stravolgeva le fondamenta. Sia di mons.
Câmara che di padre Arrupe è stata introdotta, sotto il pontificato di papa
Francesco, la causa di beatificazione suscitando l’indignata sorpresa di
conoscitori della teologia della liberazione, come Julio Loredo de Izcue, che
si è giustamente chiesto se non ci troviamo di fronte a una «beatificazione
del male».
Secondo
Moreau, l’arcivescovo di Buenos Aires Jorge Mario Bergoglio, divenuto nel 2013
papa Francesco, ispirandosi alla “teologia del Popolo”, si sarebbe proposto di
realizzare il piano politico-religioso di Arrupe, interrotto nel 1981 dalle sue
dimissioni e dal successivo commissariamento della Compagnia di Gesù da parte
di Giovanni Paolo II. Ma Moreau risale ancora più indietro e rintraccia il vero
mentore di Jorge Mario Begoglio nel dittatore argentino Juan Domingo Peron, che
giocò un ruolo decisivo nella politica del suo paese tra il 1940 e la sua
morte, nel 1975. Sotto questo aspetto papa Francesco sarebbe anzitutto un
“peronista”, non un ideologo, ma un uomo d’azione pragmatico e populista,
attratto dalla dimensione politica, prima che soprannaturale della fede
cattolica.
Se
l’approccio di Moreau è storico-politico, quello di padre Lanzetta è
squisitamente teologico. Le parole e gli atti di papa Francesco sono esaminati
nel suo libro con rigoroso spirito critico, ma anche con filiale devozione al
Papato, mostrando il pericolo di far precedere la pastorale alla dottrina,
l’agire all’essere, la persona del Papa all’istituzione della Chiesa. Molto
penetranti sono le pagine che l’autore dedica alla nuova forma di Nominalismo,
oggi diffuso, per cui le parole non corrispondono più alla realtà, ma sono
usate per dire un’altra cosa rispetto al loro significato originario e
autentico. Il Nominalismo è storicamente la strada maestra che porta al
pragmatismo, cioè alla dissoluzione del pensiero, attraverso la dissoluzione
del linguaggio. Gli stessi concetti di ortodossia ed eresia svaporano nel
nominalistico primato della prassi. Sotto questo aspetto, più che la diffusione
dell’eresia, il vero problema della Chiesa consiste oggi in quella che padre
Lanzetta definisce efficacemente un’«apostasia liquida», che affonda le
sue radici nel tentativo di separare «l’aspetto dottrinale della Rivelazione
da quello pastorale, vedendo il cominciamento della predicazione non nelle
verità da credere ma nel come credere, giudicandone l’opportunità e le modalità».
La
crisi religiosa è dunque profonda, ma lo stesso papa Francesco, nell’Angelus di
domenica 18 dicembre, ha affermato che nelle epoche di crisi Dio apre
prospettive nuove, che noi prima non immaginavamo, magari non come noi ci
aspettiamo, ma come Lui sa. Chi si sarebbe atteso, ad esempio le dichiarazioni
rilasciate quello stesso 18 dicembre al quotidiano spagnolo ABC ?
Il
Papa che all’epoca del Sinodo post-amazzonico del 2019 aveva contrapposto la
saggezza dei nativi all’arroganza dei conquistadores spagnoli,
oggi dice che: «L’ermeneutica per interpretare un evento storico deve essere
quella del suo tempo, non quella attuale. È ovvio che lì (in America
Latina, n.d.r.) sono state uccise delle persone, è ovvio che c’è stato
uno sfruttamento, ma anche gli indiani si sono uccisi a vicenda. L’atmosfera di
guerra non fu esportata dagli spagnoli. E la conquista apparteneva a tutti.
Distinguo tra colonizzazione e conquista. Non mi piace dire che la Spagna ha
semplicemente “conquistato”. È discutibile, quanto volete, ma ha colonizzato.
Se si leggono le direttive dei re spagnoli dell’epoca su come dovevano agire i
loro rappresentanti, nessun re di nessun altro Paese fece tanto. La Spagna
entrò nel territorio, gli altri Paesi imperiali rimasero sulla costa. La Spagna
non ha fatto pirateria. Bisogna tenerne conto. E dietro a questo c’è una
mistica. La Spagna è ancora la Madrepatria, cosa che non tutti i Paesi possono
dire». Ha ragione Marcello Veneziani quando dice che papa Francesco sta
cambiando da qualche tempo le sue posizioni (“La Verità”, 17 dicembre 2022) o
ci troviamo di fronte allo svolgimento di un programma politico ispirato a una
coerente filosofia della prassi?.
(Fonte:
Roberto de Mattei, Corrispondenza Romana, 28 Dicembre 2022)
https://www.corrispondenzaromana.it/nuovi-interrogativi-su-papa-francesco/