Il
quotidiano della Cei pubblica ampi stralci di un’intervista a padre Maurizio
Faggioni contenuta in un libro - edito dalla San Paolo e a firma di Luciano
Moia - che va verso la normalizzazione della transessualità nella Chiesa.
Nell’intervista manca un giudizio chiaro sulla transessualità e si affrontano
temi legati al battesimo, alla vita matrimoniale, all’educazione dei figli in
una prospettiva contraria alla morale naturale e al Codice di diritto canonico.
Luciano
Moia è la firma arcobaleno d’eccellenza di Avvenire, nel senso che
spesso si occupa di tematiche Lgbt. Moia ha recentemente dato alle stampe, per
i tipi della San Paolo, un libro dal titolo “Figli di un dio minore. Le
persone transgender e la loro dignità” in cui raccoglie storie e interviste
sul tema della transessualità, tra cui quella rilasciata da padre Maurizio
Faggioni, docente ordinario di bioetica presso l’Accademia Alfonsiana di Roma,
endocrinologo, consultore della Congregazione per la Dottrina della Fede, della
Congregazione delle Cause dei Santi e membro della Pontificia Accademia per la
Vita.
Ampi stralci
di questa intervista sono stati pubblicati su Avvenire. Faggioni
non esprime un giudizio chiaro sulla transessualità, limitandosi a riportare
che il dibattito in seno ai moralisti cattolici è molto vivo. Per il docente
dell’Alfonsiana si tratterebbe di “una questione che, in effetti, non permette
di tracciare confini netti di liceità e illiceità”. Come abbiamo già avuto modo
di spiegare da queste colonne tempo fa, accennando anche a fonti della
Sacra Scrittura e del Magistero, il transessualismo è condizione disordinata e
tutte quelle scelte che assecondano questa condizione, dai trattamenti ormonali
all’operazione chirurgica per la riassegnazione sessuale, sono contrarie alla
morale naturale. Ciò perché il sesso è condizione identitaria della persona e
dunque la sua psiche deve riconoscere e adeguarsi al dato della realtà
biologica cromosomica. Perciò non ci può essere scissione tra il sesso genetico
e il sesso psicologico, ossia la percezione di sé come appartenente al mondo
maschile o femminile, altrimenti si crea una spaccatura tra identità sessuale e
identità psicologica sessuale. I cromosomi XY o XX non possono essere
sbagliati, può invece errare la nostra mente che non vuole accettare la realtà
sessuata.
Poi
Faggioni affronta il tema del matrimonio canonico delle persone transessuali. Ora, se una donna volesse
sposare un’altra donna che si sente uomo, o un uomo volesse sposare un altro
uomo che si sente donna, il matrimonio ovviamente sarebbe nullo, ossia
inesistente, perché la differenza di sesso tra i nubendi è criterio dirimente
per la validità del sacramento. Sarebbe nei fatti un “matrimonio” omosessuale
(così la Congregazione per la Dottrina della Fede in una lettera del maggio del
1991 richiamata anche dallo stesso Faggioni). Qualora invece una donna volesse
sposare un uomo che si sente donna o un uomo volesse sposare una donna che si
sente uomo, anche senza sottoporsi ad operazione chirurgica, il matrimonio
sarebbe ugualmente nullo perché, come recita il canone 1095 del Codice di diritto canonico: “Sono
incapaci di contrarre matrimonio […] coloro che per cause di natura psichica,
non possono assumere gli obblighi essenziali del matrimonio” (se il disturbo
non fosse conosciuto dall’altro nubendo ciò potrebbe configurare una
scriminante del consenso che inciderebbe sulla validità matrimoniale). Il
matrimonio esige la complementarità tra uomo e donna, non solo sul piano
fisico, ma anche psicologico. La donna ha bisogno che l’uomo si doni a lei come
maschio e viceversa. Ciò comporta la piena consapevolezza e accettazione della
propria mascolinità/femminilità.
Inoltre
l’amore sponsale è donazione/accettazione totale vicendevole, ma per donarsi occorre prima
possedersi. Scrive il moralista Lino Ciccone: “Il patto matrimoniale è
essenzialmente un patto d’amore, tale da implicare il vicendevole dono totale
di sé. Ma di un simile amore il transessuale è incapace: in conflitto con sé
stesso, lacerato dal rifiuto di tutto quello che costituisce in lui la
sessualità maschile, o femminile, gli è sbarrata la via per un pieno possesso
di sé, e ciò che non si possiede pienamente non si può nemmeno pienamente
donare” (Etica sessuale, Ares, p. 222). Se poi, prima della
celebrazione del matrimonio, la donna o l’uomo si sottoponessero ad operazione
chirurgica, oltre alle motivazioni di nullità appena accennate se ne sommerebbe
un’altra: l’impotentia coeundi, ossia l’impossibilità di avere
un’autentica copula.
Qualora
infine il matrimonio fosse stato validamente celebrato, ma successivamente, ad esempio,
il marito volesse “cambiare” sesso, il matrimonio naturalmente rimarrebbe
valido (ciò detto, se il disturbo legato alla cosiddetta identità di genere
fosse comparso prima della celebrazione del matrimonio ci potrebbero essere gli
estremi per la dichiarazione di nullità per i motivi sopra esposti). Questo
anche il parere di Faggioni, il quale però aggiunge: “I vincoli di affetto, la
condivisione della vita, la comunione spirituale nella fede possono certamente
continuare anche dopo l’emergere della disforia e dopo gli interventi di
adeguamento del sesso corporeo alla identità di genere”. Non siamo proprio d’accordo.
In merito ai primi due aspetti, i vincoli di affetto e la condivisione (serena)
di vita esigono, come accennato prima, la capacità di donarsi in modo autentico
e un equilibrio psichico che difficilmente la persona transessuale, anche senza
sua colpa, potrà possedere. Il disturbo che riguarda l’identità psicologica
sessuale, sfociato addirittura nella volontà di sottoporsi ad intervento
chirurgico, è così profondo e radicato nella persona e investe in modo così
totalizzante la sua essenza che non può non ripercuotersi negativamente sulla
sfera affettiva e relazionale.
In
merito poi alla “comunione spirituale nella fede”, se la scelta di “cambiare”
sesso comporta peccato mortale la persona transessuale non può vivere la virtù
della fede. Qualora invece avesse commesso solo peccato veniale (la materia
grave rimarrebbe, ma potrebbe non esserci la piena avvertenza e/o il deliberato
consenso), l’esercizio della virtù della fede sarebbe assai compromesso dalla
scelta di “cambiare” sesso o di pensare e comportarsi in dissonanza con il
proprio sesso genetico. Infatti la fede, al pari delle altre virtù teologali,
presuppone l’esercizio adeguato anche delle virtù cardinali - tra cui qui
spiccano la temperanza e la fortezza - e di altre virtù umane, le quali virtù,
a loro volta, presuppongono uno stato psichico equilibrato, sereno, solido, non
scisso, fragile e conflittuale. Il santo si poggia sull’uomo. In altri termini:
come potrebbe essere praticata la virtù della fede in una persona che patisce
fortissimi squilibri interiori?
In
sintesi, l’esercizio della fede
sarebbe impedito in modo proporzionale al grado di disturbo. Non è un giudizio
discriminatorio, bensì una semplice constatazione, così come non
discriminerebbe chi criticasse un ingegnere che volesse costruire un
grattacielo sulla sabbia. Qualora infine la persona che sperimentasse in sé
questa scissione tra mente e corpo tentasse di superarla, ciò sarebbe fonte di
merito perché sarebbe una croce che potrebbe santificare la persona stessa e
dunque il cammino di fede non sarebbe compromesso, ma, in ipotesi, persino
agevolato.
Poi
Faggioni tocca anche il tema dell’educazione dei figli di coppie dove un genitore è
transessuale. Il teologo dichiara: “Una coppia ‘a geometria variata’ […] può
continuare a svolgere i suoi doveri educativi verso i figli, purché questo sia
il bene autentico dei figli e non l’imposizione di una scelta dei loro
genitori”. L’ultima frase è oscura. Faggioni ci sta dicendo che presentare il
transessualismo ai figli è un bene eccetto nel caso in cui si voglia imporre
loro il punto di vista dei genitori oppure che, in senso più generale,
un’educazione è efficace quando conduce i figli ad accettare in modo libero
alcuni valori, e tra questi non certo il transessualismo? (A margine: il bene autentico
dei figli a volte può essere imposto).
Comunque,
al di là dell’ambiguità della dichiarazione, ci pare assai criticabile la frase “una coppia ‘a
geometria variata’ […] può continuare a svolgere i suoi doveri educativi verso
i figli” per i motivi prima accennati: la scelta di essere transessuale avalla
e agevola un disordine psichico che di certo ridonda sull’educazione dei figli.
La stessa scelta è di cattivo esempio, anche solo per il fatto che i figli
hanno bisogno della figura paterna/maschile e materna/femminile. Ogni ambiguità
in questo campo è foriera di gravi danni per l’educazione dei figli.
Infine
Moia sollecita padre Faggioni ad esprimersi sull’ipotesi che un transessuale possa essere
il padrino di battesimo di un bambino. “In linea di principio - replica
Faggioni - se un credente o una credente hanno una bella vita cristiana possono
fare il padrino o la madrina”. In linea di principio dunque il moralista
Faggioni è possibilista, ma poi, data la “singolarità della situazione, ci si
potrebbe chiedere se non sarebbe meglio scegliere un altro padrino o un’altra
madrina per evitare incomprensioni o turbamento nella comunità cristiana”.
Dunque, per Faggioni un transessuale potrebbe lecitamente ricoprire questo
ruolo, ma sarebbe meglio evitarlo per meri motivi di opportunità.
Il
Codice di diritto canonico però la vede in modo diverso. Infatti al
canone 872 spiega che i padrini devono “cooperare affinché il battezzato
conduca una vita cristiana conforme al battesimo e adempia fedelmente gli
obblighi ad esso inerenti”. Ora, chi compie una scelta come quella di voler
essere transessuale assume una condizione e relative condotte contrarie gravemente
alla morale naturale. E dunque come potrebbe essere una guida sicura per il
battezzato nella vita cristiana? Infatti il Codice, al canone 874, indica, tra
gli altri, anche il seguente requisito affinché una persona possa assumersi
l’incarico di padrino: che “conduca una vita conforme alla fede e all’incarico
che assume”. Come può il transessualismo essere conforme alla fede? Come si
potrebbe affermare che chi sceglie di “cambiare” sesso conduca “una bella vita
cristiana”? Solo qualora la cosiddetta disforia di genere fosse osteggiata
dalla persona stessa si potrebbe ipotizzare una sua candidatura, sebbene altre
candidature sarebbero da preferirsi.
(Fonte:
Tommaso Scandroglio, LNBQ, 21 aprile 2022)
https://lanuovabq.it/it/trans-e-sacramenti-avvenire-co-guidano-la-rivoluzione