lunedì 26 marzo 2018

Benedetto XVI, un pontefice impossibile da "taroccare"


Nella vicenda Viganò c’è molto più di Viganò.
Riccardo Cascioli nella Nuova Bussola sostiene che dietro la vicenda Viganò c’è un attacco a Benedetto XVI, non solo una strumentalizzazione della sua persona, il che sarebbe ovviamente già molto grave, ma al suo pensiero e al suo magistero, nel tentativo di “strattonarlo” e di fargli dire ciò che non ha detto, allocandolo su posizioni da esso mai occupate. Il taroccamento mediatico sarebbe stato funzionale ad un taroccamento teologico o addirittura magisteriale, nel tentativo di cambiare i connotati percepiti del magistero di Benedetto e di trascinarlo verso altre interpretazioni.
Benedetto XVI, durante il suo pontificato, fu chiamato da “La Civiltà Cattolica” il “Papa scomodo”. Da Papa emerito, Benedetto continua, evidentemente, ad essere scomodo se, strattonandolo, lo si vuole normalizzare. Ma è difficile farlo in modo corretto, dato che il suo magistero sta lì davanti a tutti nella sua chiarezza. Quali sono, allora, gli aspetti “scomodi” di Benedetto XVI che la vicenda Viganò voleva accomodare?
In primo luogo l’impostazione della sua teologia e del suo insegnamento sulla Verità del Cristo-Logos, sull’incontro provvidenziale del cristianesimo col pensiero greco e quindi sulla conferma dell'importanza della metafisica e sul suo rilancio in teologia, conformemente anche alla Fides et ratio di Giovanni Paolo II.
Si tratta di una direttrice che taglia fuori molta parte della teologia progressista di ieri e di oggi, che invece ha ormai da molto tempo abbandonato la metafisica, optando per il paradigma ermeneutico. Alla conoscenza dell’essere ha sostituito l’interpretazione dell’esistenza. Questa linea di Benedetto XVI è molto scomoda anche perché impone il recupero della Sapienza creatrice e, quindi, della difesa del Creato secondo modalità non ideologiche, nonché l’assunzione piena della legge morale naturale e del diritto naturale. Cose che fanno accapponare la pelle a cardinali, vescovi e teologi ligi seguaci dei segni dei tempi.
Sul primo dei due punti, Benedetto XVI ha impegnato la Chiesa nella difesa del Creato non solo nella versione riduzionista dell’ONU e del movimentismo ecologista e popolare, ma nel senso dell’ecologia umana e sociale. Anche l’uomo e la società sono frutto della Sapienza creatrice e possiedono quindi un ordine. La vita, il matrimonio e la famiglia vanno difesi per questo. Anche altri lo fanno, si dirà. Sì, ma solo la Chiesa è in grado di tutelare fino in fondo il diritto naturale, riconoscendogli la sua autonomia, come Benedetto XVI spiegò al Parlamento tedesco, ma nello stesso tempo candidandosi a sua prima protettrice perché solo essa è capace di collegare il creato al Creatore, ponendolo così in sicurezza. La teologia della creazione è molto in disuso nelle scuole teologiche di oggi, viene considerata troppo fissista e metafisica, e proprio per questo è un discorso “scomodo”.
Quanto alla legge morale naturale, sono innumerevoli gli insegnamenti di Benedetto XVI sul tema, che è alla base degli insegnamenti della Humanae vitae di Paolo VI, della Familiaris concortio, Evangelium vitae e Veritatis splendor di Giovanni Paolo II. E’ difficile sostenere nella Chiesa novità in campo morale senza mettere in questione il concetto stesso di legge morale naturale e la teologia morale che lo assume in sé nel rapporto con la legge nuova. E’ evidente che anche questo è un insegnamento scomodo. Ne deriva immediatamente la scomodissima dottrina dei “principi non negoziabili”, insegnata da Benedetto, contestata fin da subito dalla teologia progressista ed oggi definitivamente messa da parte.
La corretta impostazione del rapporto di purificazione tra la ragione e la fede, che è stato senz’altro uno degli argomenti centrali nell’insegnamento di Benedetto XVI, era anche finalizzato a superare i molti errori dell’epoca postconciliare e a riconsiderare nella sua autentica realtà il Concilio stesso, restituendolo alla Chiesa dopo che molti teologi ne avevano permesso la strumentalizzazione da parte del mondo. Ciò perché rimetteva a posto il rapporto tra dottrina e pastorale, richiedeva implicitamente di rivedere la cosiddetta “svolta pastorale” e ricominciava ad insegnare che la verità precede la prassi. Non va dimenticato che il corretto rapporto tra fede e ragione è di importanza fondamentale affinché l’esegesi biblica possa andare oltre il metodo storico critico che Benedetto XVI rimise al suo posto.
Forse il punto più acuto della “scomodità” di Benedetto XVI è stato la pubblicazione del motu proprioSummorum pontificum” con il quale si ripristinava il vetus ordo nella celebrazione della Santa Messa, considerandolo una forma straordinaria dell’unico rito della Chiesa cattolica. Erano note le numerose critiche del cardinale Ratzinger all’origine e alla evoluzione della riforma liturgica postconciliare e le profonde riflessioni liturgiche del teologo Ratzinger. Così quel motu proprio voleva fare delle liturgia nuovamente un punto di rinnovamento generale della Chiesa nella fedeltà alla tradizione. Si è trattato senz’altro della disposizione più osteggiata di tutto il suo pontificato.
Benedetto XVI impostò il rapporto tra la Chiesa e il mondo senza cedimenti al secolarismo o alla confusione tra sacro e profano. Lavorò per ripristinare la centralità di Dio anche nella costruzione della società degli uomini, “Quaerere Deum” era la cosa più importante da cui sarebbero scaturiti anche benefici umani, le cose ultime illuminano anche le cose penultime. Egli insegnò con chiarezza l’impossibilità della neutralità rispetto a Dio e che un mondo senza Dio è un mondo contro Dio. Aiutò quindi a comprendere correttamente la secolarizzazione e la laicità. Questi insegnamenti contrastavano con le molte interpretazioni del Vaticano II come pariteticità tra il mondo e la Chiesa o con molte correnti teologiche contemporanee che tendono a ridurre la Chiesa a mondo.
Il pontificato di Benedetto XVI rimane “incompiuto”, ma ciò non significa che non sia stato chiaro e coerente nel combattere la gnosi anche dentro la Chiesa. Certamente un pontificato impossibile da strattonare senza taroccamenti.

(Fonte: Stefano Fontana, La nuova Bussola Quotidiana, 23 marzo 2018)
 http://www.lanuovabq.it/it/benedetto-xvi-un-pontefice-impossibile-da-taroccare




Viganò si dimette, ma niente scuse a Benedetto XVI


Dopo lo scandalo della lettera di Benedetto XVI manipolata, monsignor Dario Viganò si dimette ma il Papa gli chiede di affiancare il nuovo prefetto per la Comunicazione. E intanto il cerchio magico arriva in soccorso sparando su papa Ratzinger.

Alla fine la lettera di dimissioni di monsignor Dario Edoardo Viganò da prefetto della Segreteria per la Comunicazione è arrivata; ma dopo aver concordato con il Papa stesso (come si evince dalla lettera di Viganò e dalla risposta di Francesco) una exit strategy. Il Papa ha infatti creato ad hoc per monsignor Viganò l’ufficio di Assessore per il Dicastero della Comunicazione così che l’ormai ex prefetto possa «dare il suo contributo umano e professionale al nuovo Prefetto», per portare a termine il progetto di riforma di tutto il sistema dei media vaticani che, dice papa Francesco, è «ormai giunto al tratto conclusivo».
Dunque bisognerà attendere la nomina del nuovo prefetto e le sue prime mosse per capire meglio se si tratta solo di una uscita “morbida” oppure un semplice spostamento per placare le polemiche e rimediare alla figuraccia planetaria ma lasciando monsignor Viganò a dirigere da dietro le quinte. Per ora, il tono delle due lettere fa propendere per la seconda ipotesi. Per spiegare la sua decisione di «farmi in disparte» Viganò fa riferimento alle «molte polemiche per il mio operato», una sintesi decisamente benevola e autoassolutoria.
Tanto per riassumere velocemente, l’operato in questione infatti comprende: tentativo di raggiro ai danni del Papa emerito, truffa nei confronti dell’opinione pubblica, violazione della privacy tramite diffusione di lettera riservata, falsificazione di lettera e foto, menzogne reiterate. A fronte di tutto questo dire che il problema siano le polemiche è a dir poco riduttivo, tanto più che nella lettera non c’è traccia di scuse: solo una lunga lode a papa Francesco e al suo progetto di riforma che non deve essere fermato da contrattempi del genere.
La risposta di papa Francesco è in perfetta sintonia, e subito mette in chiaro che accoglie le dimissioni «non senza qualche fatica», affermazione che si comprende dalle lodi sperticate che riserva a monsignor Viganò. Da qui l’invito a restare a disposizione del Dicastero per la Comunicazione nella nuova posizione di cui sopra.
Insomma, il pasticcio creato aveva provocato nel mondo un così grave danno d’immagine alla Santa Sede che qualcosa andava fatto, ma evidentemente si è scelto per il minimo possibile. Del resto ricordiamo che non è mai stata resa nota la lettera con cui Viganò aveva chiesto a Benedetto XVI un contributo per la collana “La teologia di Francesco”, cosa che farebbe piena luce anche sulla risposta del Papa emerito.
La vicenda personale di monsignor Viganò rischia però di nascondere la vera questione in gioco, che questo scandalo ha rivelato con chiarezza e che riguarda il Magistero della Chiesa. E soprattutto ha ben altri protagonisti oltre a Viganò.
Da cosa nasce infatti tutto l’imbroglio? Dal tentativo di affermare una lettura teologica del pontificato di Francesco in aperta contrapposizione con il magistero di Benedetto XVI e Giovanni Paolo II facendola sponsorizzare proprio da papa Ratzinger, in nome di una presunta continuità. Un progetto perverso, che il Papa emerito ha immediatamente smascherato rifiutando di prestarsi all'operazione e facendo chiaro riferimento a uno dei protagonisti dei “volumetti” incriminati, quel Peter Hünermann del cui pensiero riferiamo nell’articolo di Luisella Scrosati (clicca qui). Ma certo non è il solo: basti ricordare che tra gli autori chiamati a celebrare il pontificato di Francesco c’è anche l’italiano Aristide Fumagalli, noto per le sue posizioni pro-gender.
Tutto perciò era stato costruito per poter annunciare al mondo che Benedetto non solo è il primo sostenitore di papa Francesco, ma ne condivide le linee teologiche secondo l’interpretazione data dai teologi chiamati a dar vita alla collana di 11 libretti al centro della vicenda. Sarebbe stato il delitto perfetto: Benedetto XVI che supporta una visione della morale e dei sacramenti in aperta contraddizione con quanto aveva sostenuto per decenni, prima da prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede e poi da Papa. Avesse firmato uno scritto secondo le intenzioni di Viganò, Benedetto XVI si sarebbe screditato da solo.
Si è trattato di un vero e proprio agguato, tanta è la considerazione e il rispetto per il Papa emerito. E infatti, nella lettera di dimissioni di monsignor Viganò neanche una parola di scuse nei confronti di papa Ratzinger, che è stato vergognosamente trascinato contro la sua volontà in questa tempesta mediatica. Al contrario, il “cerchio magico” è subito sceso in campo a sostegno di monsignor Viganò e soprattutto dell’operazione che punta a stravolgere la dottrina. Da Alberto Melloni ad Andrea Grillo (grande estimatore di Hünermann) è stato tutto uno sparare su Benedetto XVI; i puntuali appunti del Papa emerito all’attività anti-magistero di Hünermann ridotti a diatriba teologica, le bugie di Viganò elevate ad atto di carità nei confronti di Benedetto XVI. Una menzogna dopo l’altra. Il problema va ben oltre Viganò.

(Fonte: Riccardo Cascioli, La nuova Bussola Quotidiana, 22 marzo 2018)
http://lanuovabq.it/it/vigano-si-dimette-ma-niente-scuse-a-benedetto-xvi




sabato 17 marzo 2018

L'inevitabile irrilevanza dei cattolici


Cosa dire di cattolico sui cattolici in politica dopo che di cattolici in politica non ce ne sono più? Con queste elezioni sembrano finite molte cose: finita la seconda repubblica, finita la sinistra, finito il bipolarismo, finito il berlusconismo … finiti i cattolici in politica.  
Prima delle elezioni avevamo scritto (vedi qui) che i cattolici sarebbero andati a votare più sfarinati del solito, nudi e al buio. Purtroppo è andata veramente così. La loro insignificanza politica è ormai un dato acquisito e ha sostanzialmente vinto chi, dentro la Chiesa, la teorizza da tempo: la scomparsa dei cattolici dalla scena politica come esito della (provvidenziale, a loro dire) fine del regime costantiniano.
Oltre ad aver previsto lo sfarinamento della presenza cattolica, avevamo anche scritto che bisognava vivere il momento elettorale in modo disincantato, senza chiedere troppo, e pensare a ricominciare da lontano, prendendosi gli spazi dei tempi lunghi. Il momento politico in generale e quello elettorale in particolare sono il frutto di idee seminate, di culture sedimentate, di educazione dei cittadini e non solo di interessi.
I cattolici in politica non ci sono più per il semplice fatto che da molto tempo hanno cessato di esserci nella società e nella cultura. L’editoria cattolica è morente. La stampa cattolica è priva di identità. Di insegnanti cattolici nella scuola non se ne vedono. Gli intellettuali cattolici si beccano tra loro come i polli di Renzo, e chi dice che la legge sulle DAT è giusta e chi dice che è ingiusta. I movimenti cattolici non formano i loro aderenti ad una mentalità cattolica comprendente anche l’impegno politico e quando lo fanno sarebbe meglio che non lo facessero. Ben venga che Gianluigi Gigli, dopo aver sostenuto il governo Renzi nella passata legislatura, scopra che alle regionali del Lazio Parisi è meglio di Zingaretti, ma contemporaneamente Andrea Riccardi registra un video in appoggio ad un candidato della stessa giunta Zingaretti, quella che aveva bandito un concorso riservato a medici abortisti. E stiamo parlando nientemeno che di Movimento per la Vita e Comunità di Sant’Egidio.
Stante questa situazione ci si chiede perché mai i cattolici dovrebbero avere dei risultati in politica.
Queste elezioni hanno dimostrato che in politica vince chi semina idee e forma le menti. Vince chi prima delle elezioni ha educato, anche diseducando. Possono cambiare i candidati e i simboli dei partiti, ma le correnti culturali e ideologiche rimangono e si travestono in forme politicamente nuove.
La sinistra esce largamente sconfitta dalle elezioni politiche, ma quanti elementi della cultura della sinistra, e addirittura della cultura comunista, sono transitati nell’ideologia del Movimento 5 stelle, un partito statalista, centralista e collettivista? Vogliono requisire la terza casa, non vogliono più dare i soldi alle scuole cattoliche, vogliono il gender obbligatorio in tutte le scuole, hanno promesso il reddito di cittadinanza garantito senza lavorare … si potrebbe parlare di un comunismo pentastellato. Se gli uomini e perfino i partiti passano, le idee rimangono, si adattano alla nuova situazione e transitano sotto altre bandiere. L’importante è “informare” la società e la mentalità, poi verranno anche i risultati politici. Ed è ciò che i cattolici non fanno più ormai da molto tempo.
Anche Emma Bonino, pur essendo eletta ugualmente grazie alla coalizione, si può dire che abbia perduto in questa occasione elettorale: il suo partito non ha superato nemmeno la soglia del tre per cento. Eppure molte delle sue idee sono presenti ampiamente in tanti partiti usciti più o meno bene dalle elezioni: Forza Italia è piena di personaggi che la pensano come la Bonino e i Cinque Stelle pure, con perfino qualche posizione ancora più spinta. Se domani ci fosse una maggioranza 5 Stelle–Partito Democratico, la Bonino avrebbe vinto, anche se il 4 marzo ha perso, perché a vincere sarebbero state le sue idee. Solo chi semina raccoglie, in proprio o tramite altri. 
La stessa Lega ha ottenuto il suo successo dopo aver seminato a lungo. Seminato a suo modo, ma comunque seminato. I cattolici cosa hanno seminato? E perché ora dovrebbero raccogliere? Chi non lavora non mangi. Se non ci sono più in politica è perché non ci sono più in tanti altri settori della vita sociale e culturale e talvolta non ci sono nemmeno nelle proprie istituzioni, quelle che magari contengono ancora nella denominazione l’aggettivo cattolico.
La scomparsa dei cattolici dal parlamento è segno della fine del cattolicesimo sociale e culturale con presa sulla comunità. Quando la Chiesa non educa più – e proprio questo sta avvenendo in campo politico – succede che i laici cattolici spariscano dai parlamenti e che siano allora i vescovi a trattare direttamente con i partiti e i governi. È il nuovo clericalismo, che si limita ad ottenere risultati per patteggiamento, senza avere investito. È il contrario di quanto sta facendo la rete di Scuole di Dottrina sociale della Chiesa che anche la NBQ appoggia e sostiene. Se cinque anni fa si fosse iniziato un chiaro cammino in questo senso si poteva sperare qualcosa di meglio. Se a formare le teste sono solo gli altri non si possono pretendere risultati.

(Fonte: Stefano Fontana, La Nuova Bussola Quotidiana, 6 marzo 2018)
http://www.lanuovabq.it/it/linevitabile-irrilevanza-dei-cattolici




sabato 3 marzo 2018

Il Papa istituisce la festa di Maria madre della Chiesa


Un decreto del cardinale Sarah, prefetto del Culto divino, stabilisce la memoria obbligatoria nel rito romano per il lunedì dopo Pentecoste

«Il Sommo Pontefice Francesco, considerando attentamente quanto la promozione di questa devozione possa favorire la crescita del senso materno della Chiesa nei Pastori, nei religiosi e nei fedeli, come anche della genuina pietà mariana, ha stabilito che la memoria della beata Vergine Maria, madre della Chiesa, sia iscritta nel calendario romano nel lunedì dopo Pentecoste e celebrata ogni anno». È quanto si legge nel decreto pubblicato sabato 3 marzo 2018 e firmato dal cardinale prefetto della Congregazione del Culto divino, Robert Sarah. Il decreto porta la data dello scorso 11 febbraio, centosessantesimo anniversario della prima apparizione di Lourdes.  
Insieme al decreto sono stati pubblicati i relativi testi liturgici, in latino, per la messa, l’Ufficio divino e il Martirologio romano. Le Conferenze episcopali provvederanno ora ad approvare la traduzione dei testi. Il motivo della celebrazione, spiega in una nota di commento alla decisione papale il cardinale Sarah, è legato alla «maturazione della venerazione liturgica riservata a Maria a seguito di una migliore comprensione della sua presenza “nel mistero di Cristo e della Chiesa”, come ha spiegato il capitolo VIII della Lumen gentium del Concilio Vaticano II».  
Nel promulgare la costituzione conciliare sulla Chiesa, il 21 novembre 1964, Paolo VI «volle solennemente riconoscere a Maria il titolo di “Madre della Chiesa”» . Una decisione accolta dall’applauso dell’aula. «Il sentire del popolo cristiano - spiega Sarah - in due millenni di storia, aveva in vario modo colto il legame filiale che unisce strettamente i discepoli di Cristo alla sua santissima Madre».  
«L’acqua e il sangue sgorgati dal cuore di Cristo sulla croce, segno della totalità della sua offerta redentiva - si legge ancora nel commento del porporato Prefetto del Culto - continuano sacramentalmente a dar vita alla Chiesa attraverso il Battesimo e l’Eucaristia. In questa mirabile comunione, sempre da alimentare tra il Redentore e i redenti, Maria santissima ha la sua missione materna da svolgere». Una messa votiva dedicata a Maria madre della Chiesa era stata approvata dalla Congregazione nel 1973, in vista dell’Anno Santo del 1975.  
Durante il pontificato di Giovanni Paolo II vi era stata concessa la possibilità alle Conferenze episcopali di aggiungere il titolo di “Madre della Chiesa” nelle Litanie lauretane che si recitano al termine del Rosario. Inoltre nel corso degli anni era stato anche approvato l’inserimento della celebrazione della “Madre della Chiesa” nel calendario proprio di alcuni Paesi, come la Polonia e l’Argentina, proprio nel lunedì dopo Pentecoste. In altre date si celebrava in luoghi peculiari, come la Basilica di San Pietro, dove era avvenuta la proclamazione da parte di Paolo VI, come pure in alcuni ordini e congregazioni religiose.  
Ora Papa Francesco ha stabilito che, il lunedì dopo Pentecoste, la memoria di Maria Madre della Chiesa diventi obbligatoria per tutta la Chiesa di rito romano. «È evidente - osserva Sarah - il nesso tra la vitalità della Chiesa della Pentecoste e la sollecitudine materna di Maria nei suoi confronti... L’auspicio è che questa celebrazione, estesa a tutta la Chiesa, ricordi a tutti i discepoli di Cristo che, se vogliamo crescere e riempirci dell’amore di Dio, bisogna radicare la nostra vita su tre realtà: la croce, l’ostia e la Vergine». 

(Fonte: Andrea Tornielli, Vatican Insider, 3 marzo 2018)
http://www.lastampa.it/2018/03/03/vaticaninsider/ita/vaticano/il-papa-istituisce-nel-calendario-la-festa-di-maria-madre-della-chiesa-tEhE0tc1l3RxNZOIybTO0N/pagina.html