Il cattivo gusto non va in vacanza e non si ferma davanti a nulla. Nemmeno a Natale. In Messico, per la copertina dell'edizione locale di Playboy, per festeggiare il giorno santo per i Cristiani, hanno pensato di mettere una modella nuda, naturalmente, con un velo bianco in testa. Se questo particolare non fosse chiaro, il titolo non lascia equivoci:"Ti adoriamo, Maria". Come se non bastasse, la rivista è stata fatta uscire, in occasione straordinaria, il giorno prima della ricorrenza del luogo dedicata alla vergine della Guadalupa.
Non può essere messo come al solito nella classica discussione tra cattivo gusto e libertà di satira, tra blasfemia e tolleranza. Ci deve essere un limite a questa campagna becera e intollerante nei confronti della fede cristiana. Si, dobbiamo dirlo senza vergogna, esiste un razzismo culturale nei confronti dei cristiani e della Chiesa Cattolica. Lo hanno detto i vescovi europei un mese fa, ma è sotto gli occhi di tutti senza nessun scandalo, anzi, quasi come emblema di libertà e di laicismo.
Emblematico quello che hanno deciso in Gran Bretagna, dove la Bbc bandisce tutte le battute sull'Islam, perché si rischia di irritarli, mentre per il cristianesimo, i cattolici e il Papa continueranno ad essere ammesse e pubblicizzate. Thompson, direttore generale della rete, motiva questa scelta con la tiepidezza e la non reattività dei cristiani inglesi.
Pare proprio che il proverbio "scherza con i fanti, ma lascia stare i santi" sia sacrosanto solo per le religioni non cristiane. Mentre in Daminarca c'è una vera e propria rivolta contro la satira a vignette su Maometto, "un abuso di libertà, un gesto provocatorio e superficiale, che non ha valutato possibili gravi conseguenze" secondo l'iman Khaldi, nel web il Papa viene beffeggiato in ogni modo e contro ogni rispetto. Mentre l'autore dei "Versetti Satanici" continua il suo esilio blindato, le librerie si riempiono sempre più di saggi contro la Chiesa Cattolica con falsi scoop e inchieste a dir poco ridicole e lacunose.
Non è una questione di religione e nemmeno di fantomatica censura; non è ingerenza o tentativo di ostacolare la libertà di espressione e di pensiero, ma se vogliamo percorrere la via della convivenza, della diversità, del rispetto, della libertà, della pace, partiamo subito dalle cose più importanti e grandi, da quello che per qualche miliardo di persone è un valore significativo per la loro vita. (© L'italoEuropeo, 16 dicembre 2008)
sabato 20 dicembre 2008
Dittatura televisiva
Dunque, l'altra sera, facendo zapping, m'imbatto in Fabio Fazio su Raitre. Giro immediatamente, ed ecco il tribunale di Travaglio-Robespierre, con Santoro che incombe: è Anno Zero, su Raidue.
A quell'ora, se vado su La7, so che c'è Lilli Gruber, che conduce Otto e mezzo al posto del compianto Ferrara. Quindi evito.
Le cose non vanno meglio il giorno dopo: su Raitre ecco Augias che intervista il direttore di Repubblica Ezio Mauro: se la cantano e sa la suonano da soli. Mezz'ora a spiegare la morale laicista e a criticare i pronunciamenti della Chiesa cattolica in materia di morale. Non c'è contraddittorio.
Torno da Fazio: c'è un'intervista a Gad Lerner. Torno su La7: c'è Gad Lerner che conduce L'infedele. Su Raitre, intanto, è arrivato Floris con il suo Ballarò. Nel pomeriggio c'era stato Neri Marcorè che aveva fatto un giochino col pubblico di casa: bisognava indovinare chi era il "comunista censurato" (risposta, Faust, cioè Bertinotti senza la o). Ma ecco che mi sintonizzo con la Bignardi delle Invasioni barbariche; pare che la tizia si appresti a fare il grande salto in Rai, tanto per completare l'opera.
Intanto da Fazio è arrivato (ancora una volta) Augias, a dare addosso alla Chiesa cattolica.
Poi ci sono anche i comici, quelli impegnati, quelli che fanno satira politica: la Littizzetto, Crozza, quell'altra, lì, che fa l'imitazione della Gelmini (non ricordo nemmeno il nome). Da qualche parte viaggia ancora la Serena Dandini.
Chissà se questi signori, ora che anche i compagni del PD sono stati più volti beccati con le mani nella marmellata, si lanceranno in una pesante satira sulle malefatte della sinistra negli enti locali? Difficile crederlo: il cuore è il cuore.
Per ora c'è Blob che imperversa con la classica presa per i fondelli di Berlusconi.
Mi potrei consolare con Matrix, se non fosse che Mentana è anche lui un uomo della sinistra, come tutti quelli citati sopra.
Per respirare un po', per tirare fuori la testa da tanta aria stagnante, l'unica alternativa che mi resta è la democristiana Porta a Porta di Vespa, o il telegiornale di Emilio Fede (che, a questo punto, fortuna che c'è, nonostante tutti i limiti del personaggio). Un po' poco, un po' troppo poco.
Il panorama è impressionante! La televisione, negli orari che contano e con le trasmissioni che contano, è completamente lottizzata da un'unica matrice culturale.
E' una vera e propria dittatura mediatica. L'Italia è davvero un Paese anormale! L'anomalia non è Berlusconi e le sue televisioni, perchè lì girano soprattutto programmi demenziali, quiz, roba leggera e d'intrattenimento. Tutti programmi che sottostanno al diktat del mercato, che hanno bisogno di audience. Sulle reti pubbliche il discorso è diverso, perchè s'investe sul format impegnato anche se fa bassi ascolti, tanto c'è chi paga.
L'elettore di centrodestra, soprattutto nelle reti pubbliche, quelle per le quali anche lui paga il suo bravo canone, non ha una trasmissione di riferimento. Non ha un programma aggressivo, anche politicamente scorretto, come quello di Santoro, da guardare e da seguire. Non c'è un contenitore di prima serata dove un uomo di pensiero opposto (un politico, un intellettuale, un giornalista) abbia lo spazio enorme e inconcepibile che è concesso ad un Travaglio. Non c'è una tribuna quotidiana, senza contraddittorio, come quella assegnata a quella gente lì. La stessa satira politica è a senso unico.
Con una televisione così, con un tale quotidiano lavaggio del cervello, si stenta a comprendere come abbia fatto la sinistra a perdere le elezioni. O meglio, si comprende quale colossale spot a suo sfavore siano stati quei due anni al governo dell'Italia. Resta però il fatto che la sinistra laica (pur sconfessata dagli elettori) ha un peso enorme nell'informazione televisiva. E questa è una grave anomalia.
E se un elettore intellettualmente onesto ed imparziale si trova in forte imbarazzo davanti a questa televisione, le cose non vanno meglio, anzi peggiorano, se è anche cattolico, e si deve sorbire i vari Augias, Scalfari e Odifreddi che ripetono, senza contraddittorio e senza replica alcuna, che Cristo, la Chiesa, i sacramenti, il Vangelo sono tutti un imbroglio. O, peggio, che decantano la religione laicista.
C'è qualcosa che manca, e che avremmo il diritto di chiedere. Abbiamo bisogno (mi rendo conto che è in qualche modo paradossale, ma è così) che il centrodestra si occupi di più della televisione, di una presenza culturale in TV. Abbiamo bisogno di uno spazio televisivo in cui i rappresentanti del governo possano spiegare, illustrare con tutta serenità quello che stanno facendo. Abbiamo bisogno di divertirci con qualche comico che non sia per forza di sinistra. Abbiamo bisogno di uno spazio importante che dia voce alla posizione, alla cultura, all'azione della Chiesa nella società italiana e di fronte alle sfide della società intera. Ma non ci sono segnali incoraggianti in vista. E dobbiamo dire che su questo argomento l'azione delle forze di governo è del tutto fallimentare. In vista c'è solo il prossimo pagamento del canone Rai, con relativo aumento. (Gianluca Zappa, La Cittadella, 15 dicembre 2008)
A quell'ora, se vado su La7, so che c'è Lilli Gruber, che conduce Otto e mezzo al posto del compianto Ferrara. Quindi evito.
Le cose non vanno meglio il giorno dopo: su Raitre ecco Augias che intervista il direttore di Repubblica Ezio Mauro: se la cantano e sa la suonano da soli. Mezz'ora a spiegare la morale laicista e a criticare i pronunciamenti della Chiesa cattolica in materia di morale. Non c'è contraddittorio.
Torno da Fazio: c'è un'intervista a Gad Lerner. Torno su La7: c'è Gad Lerner che conduce L'infedele. Su Raitre, intanto, è arrivato Floris con il suo Ballarò. Nel pomeriggio c'era stato Neri Marcorè che aveva fatto un giochino col pubblico di casa: bisognava indovinare chi era il "comunista censurato" (risposta, Faust, cioè Bertinotti senza la o). Ma ecco che mi sintonizzo con la Bignardi delle Invasioni barbariche; pare che la tizia si appresti a fare il grande salto in Rai, tanto per completare l'opera.
Intanto da Fazio è arrivato (ancora una volta) Augias, a dare addosso alla Chiesa cattolica.
Poi ci sono anche i comici, quelli impegnati, quelli che fanno satira politica: la Littizzetto, Crozza, quell'altra, lì, che fa l'imitazione della Gelmini (non ricordo nemmeno il nome). Da qualche parte viaggia ancora la Serena Dandini.
Chissà se questi signori, ora che anche i compagni del PD sono stati più volti beccati con le mani nella marmellata, si lanceranno in una pesante satira sulle malefatte della sinistra negli enti locali? Difficile crederlo: il cuore è il cuore.
Per ora c'è Blob che imperversa con la classica presa per i fondelli di Berlusconi.
Mi potrei consolare con Matrix, se non fosse che Mentana è anche lui un uomo della sinistra, come tutti quelli citati sopra.
Per respirare un po', per tirare fuori la testa da tanta aria stagnante, l'unica alternativa che mi resta è la democristiana Porta a Porta di Vespa, o il telegiornale di Emilio Fede (che, a questo punto, fortuna che c'è, nonostante tutti i limiti del personaggio). Un po' poco, un po' troppo poco.
Il panorama è impressionante! La televisione, negli orari che contano e con le trasmissioni che contano, è completamente lottizzata da un'unica matrice culturale.
E' una vera e propria dittatura mediatica. L'Italia è davvero un Paese anormale! L'anomalia non è Berlusconi e le sue televisioni, perchè lì girano soprattutto programmi demenziali, quiz, roba leggera e d'intrattenimento. Tutti programmi che sottostanno al diktat del mercato, che hanno bisogno di audience. Sulle reti pubbliche il discorso è diverso, perchè s'investe sul format impegnato anche se fa bassi ascolti, tanto c'è chi paga.
L'elettore di centrodestra, soprattutto nelle reti pubbliche, quelle per le quali anche lui paga il suo bravo canone, non ha una trasmissione di riferimento. Non ha un programma aggressivo, anche politicamente scorretto, come quello di Santoro, da guardare e da seguire. Non c'è un contenitore di prima serata dove un uomo di pensiero opposto (un politico, un intellettuale, un giornalista) abbia lo spazio enorme e inconcepibile che è concesso ad un Travaglio. Non c'è una tribuna quotidiana, senza contraddittorio, come quella assegnata a quella gente lì. La stessa satira politica è a senso unico.
Con una televisione così, con un tale quotidiano lavaggio del cervello, si stenta a comprendere come abbia fatto la sinistra a perdere le elezioni. O meglio, si comprende quale colossale spot a suo sfavore siano stati quei due anni al governo dell'Italia. Resta però il fatto che la sinistra laica (pur sconfessata dagli elettori) ha un peso enorme nell'informazione televisiva. E questa è una grave anomalia.
E se un elettore intellettualmente onesto ed imparziale si trova in forte imbarazzo davanti a questa televisione, le cose non vanno meglio, anzi peggiorano, se è anche cattolico, e si deve sorbire i vari Augias, Scalfari e Odifreddi che ripetono, senza contraddittorio e senza replica alcuna, che Cristo, la Chiesa, i sacramenti, il Vangelo sono tutti un imbroglio. O, peggio, che decantano la religione laicista.
C'è qualcosa che manca, e che avremmo il diritto di chiedere. Abbiamo bisogno (mi rendo conto che è in qualche modo paradossale, ma è così) che il centrodestra si occupi di più della televisione, di una presenza culturale in TV. Abbiamo bisogno di uno spazio televisivo in cui i rappresentanti del governo possano spiegare, illustrare con tutta serenità quello che stanno facendo. Abbiamo bisogno di divertirci con qualche comico che non sia per forza di sinistra. Abbiamo bisogno di uno spazio importante che dia voce alla posizione, alla cultura, all'azione della Chiesa nella società italiana e di fronte alle sfide della società intera. Ma non ci sono segnali incoraggianti in vista. E dobbiamo dire che su questo argomento l'azione delle forze di governo è del tutto fallimentare. In vista c'è solo il prossimo pagamento del canone Rai, con relativo aumento. (Gianluca Zappa, La Cittadella, 15 dicembre 2008)
Una bella notizia, finalmente!
Un uomo politico che antepone il rispetto della retta coscienza e della verità all'opportunismo e alla viltà è una notizia. Una bella notizia. Mentre su una ragazza indifesa e innocente si allunga l'ombra della menzogna e dell'omicidio – organizzato "gratuitamente" dai soliti nemici della vita – ecco che irrompe sulla scena politica il coraggio di Maurizio Sacconi. A quanto sappiamo, sostenuto e ispirato dal sottosegretario Eugenia Roccella. A entrambi va il plauso e la solidarietà di Verità e Vita.
L'atto del Ministro Sacconi si segnala per la sua ragionevolezza per nulla dogmatica, come si evince da questo passaggio decisivo e motivato del provvedimento: "La negazione della nutrizione e dell'alimentazione (ai soggetti in stato vegetativo persistente) può configurarsi come una discriminazione fondata su valutazioni circa la qualità della vita di una persona con grave disabilità e in situazione di totale dipendenza … è fatto divieto di discriminare la persona in stato vegetativo rispetto alla persona non in stato vegetativo".
Queste parole strappano la maschera che gli ambienti radicali e antivita stanno tentando di frapporre tra l'opinione pubblica e questo omicidio. Siamo di fronte non certo all'attuazione di una sua volontà di rifiutare le cure o, più semplicemente, di morire: Eluana questa volontà non l'ha mai espressa né prima dell'incidente né tanto meno dopo. Senza dimenticare che, anche in presenza di tale domanda da parte di un malato, uccidere l'innocente rimane sempre illecito e ingiustificabile.
Ma in questo caso è piuttosto la volontà e la condotta del padre – che considera la figlia morta dal giorno dell'incidente – a determinare la morte di Eluana; e con quella di Beppino Englaro la volontà di quello stuolo di avvoltoi che attendono speranzosi che l'esecuzione della giovane abbia luogo, per segnare un altro punto nella battaglia contro la vita e la dignità umana, che ormai da più di trent'anni uccide milioni di persone in Italia e in tutto il mondo.
Sarebbe – e forse sarà – l'uccisione di una innocente ideata ed attuata su motivazioni di stampo eugenetico. Un ultimo pensiero: colpisce il fatto che questa azione "pro-life" sia stata assunta formalmente da un uomo politico che ha una "storia" estranea al mondo cattolico. (Mario Palmaro, Comitato Verità e Vita)
L'atto del Ministro Sacconi si segnala per la sua ragionevolezza per nulla dogmatica, come si evince da questo passaggio decisivo e motivato del provvedimento: "La negazione della nutrizione e dell'alimentazione (ai soggetti in stato vegetativo persistente) può configurarsi come una discriminazione fondata su valutazioni circa la qualità della vita di una persona con grave disabilità e in situazione di totale dipendenza … è fatto divieto di discriminare la persona in stato vegetativo rispetto alla persona non in stato vegetativo".
Queste parole strappano la maschera che gli ambienti radicali e antivita stanno tentando di frapporre tra l'opinione pubblica e questo omicidio. Siamo di fronte non certo all'attuazione di una sua volontà di rifiutare le cure o, più semplicemente, di morire: Eluana questa volontà non l'ha mai espressa né prima dell'incidente né tanto meno dopo. Senza dimenticare che, anche in presenza di tale domanda da parte di un malato, uccidere l'innocente rimane sempre illecito e ingiustificabile.
Ma in questo caso è piuttosto la volontà e la condotta del padre – che considera la figlia morta dal giorno dell'incidente – a determinare la morte di Eluana; e con quella di Beppino Englaro la volontà di quello stuolo di avvoltoi che attendono speranzosi che l'esecuzione della giovane abbia luogo, per segnare un altro punto nella battaglia contro la vita e la dignità umana, che ormai da più di trent'anni uccide milioni di persone in Italia e in tutto il mondo.
Sarebbe – e forse sarà – l'uccisione di una innocente ideata ed attuata su motivazioni di stampo eugenetico. Un ultimo pensiero: colpisce il fatto che questa azione "pro-life" sia stata assunta formalmente da un uomo politico che ha una "storia" estranea al mondo cattolico. (Mario Palmaro, Comitato Verità e Vita)
Fini, le leggi razziali e la chiesa. Che pena!
È veramente inconcepibile che un Gianfranco Fini, con la storia che ha, con la matrice culturale che ha, oggi si permetta di fare la lezione alla Chiesa cattolica sul razzismo fascista in Italia.
Io capisco che, da Fiuggi in poi, stia cercando di rifarsi una propria verginità politica ed ideologica, ed è anche apprezzabile che abbia in qualche modo aiutato la destra italiana a riconoscere i propri peccati (cosa che non è affatto avvenuta con ugual decisione sul fronte comunista).
Capisco molto meno che senso abbia tirare in ballo la Chiesa, tra l'altro in modo piuttosto dilettantesco. Mi sfugge la strategia sottostante a quelle parole che, dette da un'importante carica istituzionale dello Stato, pesano come macigni.
Possibile che Fini non abbia mai letto, che so, il diario di Galeazzo Ciano? Cito alcuni passi che risalgono proprio all'anno 1938, quello del varo delle leggi razziali in Italia (i corsivi che trovate sono miei).
30 Luglio: "In seguito al discorso del Papa, violentemente antirazzista, convoco il Nunzio e lo metto sull'avviso; se si continua su questa strada, l'urto è invitabile, perché il Duce considera la questione razziale come fondamentale, dopo avvenuta la conquista dell'Impero".
8 Agosto: "Il Duce è molto montato sulla questione della razza e contro l'Azione Cattolica. E' violento contro il Papa. Dice: "Io non sottovaluto le sue forze, ma lui non deve sottovalutare la mia. Basterebbe un mio cenno per scatenare tutto l'anticlericalismo di questo popolo, il quale ha dovuto faticare non poco per ingurgitare un Dio ebreo".
4 Settembre: Il Duce aggiunge: "Sto abituando gli italiani a convincersi che si può fare a meno di un'altra cosa: il Vaticano. L'apporto che ci dà è minimo materialmente: denaro non ne entra. Certe montagne sono soltanto delle vesciche".
6 Novembre: Il Consiglio dei Ministri approverà la legge sulla razza. In essa vi è l'articolo che proibisce i matrimoni misti. Il Papa vorrebbe che venisse accordata la deroga anche per i convertiti al cattolicesimo. Il Duce ha respinto tal richiesta che trasformerebbe la legge da razzista in confessionale. Allora il Papa gli ha scritto una lettera autografa, che è rimasta senza risposta. Indignato, il Pontefice si è rivolto al Re e gli ha indirizzato una lettera nella quale accusa il Duce di voler far saltare il Concordato. Il Re, benchè ne sia in possesso da ieri sera, non l'ha ancora trasmessa. Naturalmente la legge, che è molto dura contro gli ebrei, passerà domani, com'era in programma.
Una testimonianza eccezionale, quella di Ciano, che la dice lunga sul drammatico conflitto che era in corso tra Stato e Chiesa proprio sulla questione delle leggi razziali. E che tra l'altro fa riflettere sulle pesanti responsabilità di un'istituzione ben più importante per l'Italia, la Corona stessa.
Lo scontro non si verificava solo all'interno dei palazzi, ma raggiungeva l'opinione pubblica, se è vero che l'Osservatore Romano, a metà novembre di quell'anno, quindi subito dopo l'approvazione del decreto legge contenente le leggi razziali, scriveva parole inequivocabili: "Le razze non hanno mai costituito una discriminante tra i fedeli cattolici. La Chiesa si è rivolta agli uomini di qualsiasi razza". E più avanti, a proposito delle disposizioni che dichiaravano nullo qualsiasi matrimonio tra cittadini italiani di razza ariana e persone appartenenti ad altre razze, rilevava "il contrasto tra la recentissima legge italiana e la legge canonica". E aggiungeva: "Quando due fedeli di razza diversa, decisi a contrar matrimonio, si presentano a Lei, la Chiesa non può (per il solo fatto della diversità di razza) negare la sua assistenza. Lo esige la sua missione santificatrice".
Opposizione dura, netta, chiara. Datata 15 novembre 1938, cinque giorni dopo l'approvazione del decreto. Giusto il tempo di scrivere e di andare in stampa. Ancora nel suo messaggio natalizio del 24 dicembre di quell'anno, Papa Pio XI tornò a denunciare la ferita inferta al concordato "proprio in ciò che va a toccare il santo matrimonio". E si capiva benissimo a cosa alludeva.
Come faccia Fini a dire quello che dice, e che senso abbia il farlo, resta un mistero. Perché se è vero e storicamente certo che la Chiesa si accordò con il Fascismo (in quanto vide in esso il baluardo contro il comunismo ateo, definito come "male più estremo" e come il "peggiore sovvertimento della civiltà e religione"), è anche storicamente certo che tale accordo fu sempre una sorta di tregua armata e che proprio la questione delle leggi razziali provocò un notevole raffreddamento tra le due parti e scavò anzi un fossato incolmabile.
Ne sono un esempio le parole della Civiltà cattolica del novembre 1937 (circa un anno prima di quel famigerato decreto legge), che nel commentare quanto accadeva in Spagna, sosteneva la necessità di una soluzione di giusto mezzo - il giusto mezzo dell'etica sociale cristiana - "fra gli estremi opposti dell'errore, fra l'anarchia cioè e la dittatura, fra la tirannide e l'assolutismo, fra la barbarie atea insomma del comunismo russo e quella pagana del razzismo o nazismo tedesco o di qualsiasi altro paese".
Vale la pena di estrapolare queste parole: barbarie pagana del razzismo o nazismo tedesco o di qualsiasi altro paese. Più chiaro di così…
Da quel momento in poi la Chiesa si mobilitò per salvare, in modo clandestino, quanti più ebrei poteva. Mentre gli amici di Fini si davano un gran da fare in senso opposto.
Non so a chi dovesse pagare pegno Fini con quella sua dichiarazione.
So che avrebbe fatto più bella figura a starsene zitto. (Gianluca Zappa, La Cittadella, 17 dicembre 2008)
Io capisco che, da Fiuggi in poi, stia cercando di rifarsi una propria verginità politica ed ideologica, ed è anche apprezzabile che abbia in qualche modo aiutato la destra italiana a riconoscere i propri peccati (cosa che non è affatto avvenuta con ugual decisione sul fronte comunista).
Capisco molto meno che senso abbia tirare in ballo la Chiesa, tra l'altro in modo piuttosto dilettantesco. Mi sfugge la strategia sottostante a quelle parole che, dette da un'importante carica istituzionale dello Stato, pesano come macigni.
Possibile che Fini non abbia mai letto, che so, il diario di Galeazzo Ciano? Cito alcuni passi che risalgono proprio all'anno 1938, quello del varo delle leggi razziali in Italia (i corsivi che trovate sono miei).
30 Luglio: "In seguito al discorso del Papa, violentemente antirazzista, convoco il Nunzio e lo metto sull'avviso; se si continua su questa strada, l'urto è invitabile, perché il Duce considera la questione razziale come fondamentale, dopo avvenuta la conquista dell'Impero".
8 Agosto: "Il Duce è molto montato sulla questione della razza e contro l'Azione Cattolica. E' violento contro il Papa. Dice: "Io non sottovaluto le sue forze, ma lui non deve sottovalutare la mia. Basterebbe un mio cenno per scatenare tutto l'anticlericalismo di questo popolo, il quale ha dovuto faticare non poco per ingurgitare un Dio ebreo".
4 Settembre: Il Duce aggiunge: "Sto abituando gli italiani a convincersi che si può fare a meno di un'altra cosa: il Vaticano. L'apporto che ci dà è minimo materialmente: denaro non ne entra. Certe montagne sono soltanto delle vesciche".
6 Novembre: Il Consiglio dei Ministri approverà la legge sulla razza. In essa vi è l'articolo che proibisce i matrimoni misti. Il Papa vorrebbe che venisse accordata la deroga anche per i convertiti al cattolicesimo. Il Duce ha respinto tal richiesta che trasformerebbe la legge da razzista in confessionale. Allora il Papa gli ha scritto una lettera autografa, che è rimasta senza risposta. Indignato, il Pontefice si è rivolto al Re e gli ha indirizzato una lettera nella quale accusa il Duce di voler far saltare il Concordato. Il Re, benchè ne sia in possesso da ieri sera, non l'ha ancora trasmessa. Naturalmente la legge, che è molto dura contro gli ebrei, passerà domani, com'era in programma.
Una testimonianza eccezionale, quella di Ciano, che la dice lunga sul drammatico conflitto che era in corso tra Stato e Chiesa proprio sulla questione delle leggi razziali. E che tra l'altro fa riflettere sulle pesanti responsabilità di un'istituzione ben più importante per l'Italia, la Corona stessa.
Lo scontro non si verificava solo all'interno dei palazzi, ma raggiungeva l'opinione pubblica, se è vero che l'Osservatore Romano, a metà novembre di quell'anno, quindi subito dopo l'approvazione del decreto legge contenente le leggi razziali, scriveva parole inequivocabili: "Le razze non hanno mai costituito una discriminante tra i fedeli cattolici. La Chiesa si è rivolta agli uomini di qualsiasi razza". E più avanti, a proposito delle disposizioni che dichiaravano nullo qualsiasi matrimonio tra cittadini italiani di razza ariana e persone appartenenti ad altre razze, rilevava "il contrasto tra la recentissima legge italiana e la legge canonica". E aggiungeva: "Quando due fedeli di razza diversa, decisi a contrar matrimonio, si presentano a Lei, la Chiesa non può (per il solo fatto della diversità di razza) negare la sua assistenza. Lo esige la sua missione santificatrice".
Opposizione dura, netta, chiara. Datata 15 novembre 1938, cinque giorni dopo l'approvazione del decreto. Giusto il tempo di scrivere e di andare in stampa. Ancora nel suo messaggio natalizio del 24 dicembre di quell'anno, Papa Pio XI tornò a denunciare la ferita inferta al concordato "proprio in ciò che va a toccare il santo matrimonio". E si capiva benissimo a cosa alludeva.
Come faccia Fini a dire quello che dice, e che senso abbia il farlo, resta un mistero. Perché se è vero e storicamente certo che la Chiesa si accordò con il Fascismo (in quanto vide in esso il baluardo contro il comunismo ateo, definito come "male più estremo" e come il "peggiore sovvertimento della civiltà e religione"), è anche storicamente certo che tale accordo fu sempre una sorta di tregua armata e che proprio la questione delle leggi razziali provocò un notevole raffreddamento tra le due parti e scavò anzi un fossato incolmabile.
Ne sono un esempio le parole della Civiltà cattolica del novembre 1937 (circa un anno prima di quel famigerato decreto legge), che nel commentare quanto accadeva in Spagna, sosteneva la necessità di una soluzione di giusto mezzo - il giusto mezzo dell'etica sociale cristiana - "fra gli estremi opposti dell'errore, fra l'anarchia cioè e la dittatura, fra la tirannide e l'assolutismo, fra la barbarie atea insomma del comunismo russo e quella pagana del razzismo o nazismo tedesco o di qualsiasi altro paese".
Vale la pena di estrapolare queste parole: barbarie pagana del razzismo o nazismo tedesco o di qualsiasi altro paese. Più chiaro di così…
Da quel momento in poi la Chiesa si mobilitò per salvare, in modo clandestino, quanti più ebrei poteva. Mentre gli amici di Fini si davano un gran da fare in senso opposto.
Non so a chi dovesse pagare pegno Fini con quella sua dichiarazione.
So che avrebbe fatto più bella figura a starsene zitto. (Gianluca Zappa, La Cittadella, 17 dicembre 2008)
venerdì 12 dicembre 2008
Analisi della dichiarazione “stoppata” dal vaticano
Ecco svelato lo scherzetto mascherato da depenalizzazione dell’omosessualità.
La Santa Sede ha ragione e la Francia ha torto (e ha torto anche Yasha Reibman che sulle pagine di Tempi scrive di un fantomatico “autogol” della Chiesa a questo proposito).
Al contrario di quanto sostiene il portavoce del ministro degli Esteri francese, la Dichiarazione sull’orientamento sessuale e l’identità di genere proposta da Parigi al voto dell’Assemblea delle Nazioni Unite non si limita a creare una dinamica a favore della depenalizzazione dell’omosessualità a livello mondiale, ma istituisce una nuova regola di diritto che costringerebbe tutti gli Stati del mondo a cambiare le proprie leggi in materia di diritto familiare e matrimoniale. La richiesta di rimuovere tutte le sanzioni penali contro omosessuali e tran-sessuali compare solo al punto 11 (il terzultimo) della Dichiarazione.
Al punto 3 invece si afferma «il principio di non discriminazione, che esige che i diritti umani si applichino allo stesso modo ad ogni essere umano senza considerazione dell’orientamento sessuale o dell’identità di genere». Ora, si dà il caso che fra i diritti affermati dalla Dichiarazione universale dei diritti umani ci sia, all’articolo 16, quello «di sposarsi e di fondare una famiglia, senza alcuna limitazione di razza, cittadinanza o religione».
Come si può notare, l’articolo ammette implicitamente limitazioni fondate sull’orientamento sessuale e l’identità di genere. Il testo della Dichiarazione francese, se approvato, impone invece l’estensione del diritto al matrimonio, in quanto diritto umano, a omosessuali e transessuali. In nome della non discriminazione. Ma nel fatto che il matrimonio sia riservato agli eterosessuali non c’è discriminazione nei confronti di nessuno. Semplicemente, cose diverse si trattano in maniera differente. Chi pensa di far fessi i diplomatici della Santa Sede, fra i meglio preparati del mondo, o è un ingenuo o è un presuntuoso.
In proposito si è espresso anche Padre Lombardi, portavoce della Sala Stampa della Santa Sede: “È fuori discussione che la Chiesa cattolica sia favorevole ad una legislazione che criminalizza l’omosessualità” ma “non condivide che tutti gli orientamenti sessuali vengano messi sullo stesso piano ed equiparati ad una famiglia tra uomo e donna”. “Prima di tutto bisogna chiarire di che documento si tratta – ha precisato riferendosi alla proposta francese – perché mi pare si stia parlando di un oggetto misterioso che non è stato ancora presentato all’Assemblea dell’Onu, né penso sarà presentato. Per cui non è il caso di costruire polemiche su un oggetto non ancora chiaro”. Padre Lombardi ha quindi ricordato la posizione della Santa Sede già espressa nei giorni scorsi da mons. Celestino Migliore, Osservatore permanente all’Onu. “La Chiesa è contro ogni ingiusta discriminazione, anche degli omosessuali – ha detto -, quindi è fuori discussione che sia favorevole a legislazioni che criminalizzano l’omosessualità. Ma una cosa è dire che non ci sia criminalizzazione, una cosa è aggiungere altri punti per cui gli orientamenti sessuali differenti vengono messi sullo stesso piano, per cui se ci si oppone si diventa avversari dei diritti dell’uomo”. “Se si dice che il matrimonio tra uomo e donna è il vero matrimonio e non si accetta il matrimonio tra persone dello stesso sesso – ha chiarito – si può rischiare di essere considerati come chi manca nel riconoscimento dei diritti”. “Si vorrebbe che la Chiesa mettesse sullo stesso piano i matrimoni tra uomo e donna e quelli tra gay – ha chiosato anche il card. Renato Raffaele Martino, presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e pace; ma questo non avverrà”.
La Santa Sede ha ragione e la Francia ha torto (e ha torto anche Yasha Reibman che sulle pagine di Tempi scrive di un fantomatico “autogol” della Chiesa a questo proposito).
Al contrario di quanto sostiene il portavoce del ministro degli Esteri francese, la Dichiarazione sull’orientamento sessuale e l’identità di genere proposta da Parigi al voto dell’Assemblea delle Nazioni Unite non si limita a creare una dinamica a favore della depenalizzazione dell’omosessualità a livello mondiale, ma istituisce una nuova regola di diritto che costringerebbe tutti gli Stati del mondo a cambiare le proprie leggi in materia di diritto familiare e matrimoniale. La richiesta di rimuovere tutte le sanzioni penali contro omosessuali e tran-sessuali compare solo al punto 11 (il terzultimo) della Dichiarazione.
Al punto 3 invece si afferma «il principio di non discriminazione, che esige che i diritti umani si applichino allo stesso modo ad ogni essere umano senza considerazione dell’orientamento sessuale o dell’identità di genere». Ora, si dà il caso che fra i diritti affermati dalla Dichiarazione universale dei diritti umani ci sia, all’articolo 16, quello «di sposarsi e di fondare una famiglia, senza alcuna limitazione di razza, cittadinanza o religione».
Come si può notare, l’articolo ammette implicitamente limitazioni fondate sull’orientamento sessuale e l’identità di genere. Il testo della Dichiarazione francese, se approvato, impone invece l’estensione del diritto al matrimonio, in quanto diritto umano, a omosessuali e transessuali. In nome della non discriminazione. Ma nel fatto che il matrimonio sia riservato agli eterosessuali non c’è discriminazione nei confronti di nessuno. Semplicemente, cose diverse si trattano in maniera differente. Chi pensa di far fessi i diplomatici della Santa Sede, fra i meglio preparati del mondo, o è un ingenuo o è un presuntuoso.
In proposito si è espresso anche Padre Lombardi, portavoce della Sala Stampa della Santa Sede: “È fuori discussione che la Chiesa cattolica sia favorevole ad una legislazione che criminalizza l’omosessualità” ma “non condivide che tutti gli orientamenti sessuali vengano messi sullo stesso piano ed equiparati ad una famiglia tra uomo e donna”. “Prima di tutto bisogna chiarire di che documento si tratta – ha precisato riferendosi alla proposta francese – perché mi pare si stia parlando di un oggetto misterioso che non è stato ancora presentato all’Assemblea dell’Onu, né penso sarà presentato. Per cui non è il caso di costruire polemiche su un oggetto non ancora chiaro”. Padre Lombardi ha quindi ricordato la posizione della Santa Sede già espressa nei giorni scorsi da mons. Celestino Migliore, Osservatore permanente all’Onu. “La Chiesa è contro ogni ingiusta discriminazione, anche degli omosessuali – ha detto -, quindi è fuori discussione che sia favorevole a legislazioni che criminalizzano l’omosessualità. Ma una cosa è dire che non ci sia criminalizzazione, una cosa è aggiungere altri punti per cui gli orientamenti sessuali differenti vengono messi sullo stesso piano, per cui se ci si oppone si diventa avversari dei diritti dell’uomo”. “Se si dice che il matrimonio tra uomo e donna è il vero matrimonio e non si accetta il matrimonio tra persone dello stesso sesso – ha chiarito – si può rischiare di essere considerati come chi manca nel riconoscimento dei diritti”. “Si vorrebbe che la Chiesa mettesse sullo stesso piano i matrimoni tra uomo e donna e quelli tra gay – ha chiosato anche il card. Renato Raffaele Martino, presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e pace; ma questo non avverrà”.
Cinema: Lucini e le scommesse della paternità
Va segnalato un film italiano. Si tratta di “Solo un padre”, quarta prova di Luca Lucini, nato a Milano nel 1967. Carlo, trentacinquenne, si dedica ogni giorno al lavoro di dermatologo con una inguaribile ansia dentro. Deve infatti accudire sua figlia Sofia, di appena dieci mesi, inventandosi ogni giorno la capacità di andare incontro ai bisogni della piccolina. L’aiuto dei genitori è importante ma Carlo vuole provare a fare tutto da solo, trasmettendo anche calore affettivo. La conoscenza occasionale di Camille lo aiuterà nei momenti difficili, e tuttavia fare il padre diventa la scommessa da superare. Ispirato al romanzo di Nick Earls “Avventure semiserie di un ragazzo padre”, il racconto affronta con bella grinta un tema difficile e risolto dalle fiction nostrane in forme sbrigative e prevedibili, spesso al negativo. Qui il regista ha il coraggio di recuperare il significato della paternità nei suoi aspetti etici, mettendo in primo piano l’amore per la vita che comincia. Lucini aggredisce la vicenda con una scrittura incisiva e originale, riuscendo ad equilibrare dramma e commedia e a superare qualche caduta nel melodrammatico. Molti elementi interni alla storia (il ruolo della mamma che non sveliamo) rendono il film vedibile anche a livello di riflessione. (Massimo Girali, RomaSette, 1 dicembre 2008)
Il Diavolo esiste: l’ho sperimentato come psichiatra!
Scrive il Prof. Simone Morabito, psichiatra: «Era l'inizio di un pomeriggio d’estate e sono venute due donne per farsi visitare. Ho compreso solo dopo che sono entrate che erano sorelle: la più anziana accompagnava la più giovane. Ho visitato migliaia di ammalati negli ospedali e nel mio studio in cinquant'anni che esercito Psichiatria e Neurologia.
Quel pomeriggio, quando entrarono le due donne, nel mio studio la temperatura dell'ambiente si abbassò repentinamente: sembrava di essere in una cella frigorifera. Indipendentemente da questo fenomeno improvviso ed inspiegabile, mi assalì un terrore panico che non mi spiegavo. Lo stesso fenomeno succedeva a due miei assitenti che si trovavano con me. E senza che ci dicessimo niente, uno di loro sbiancò come un lenzuolo "supercandido". Ho cercato una soluzione scientifica nel campo della Psichiatria per superare il mio terrore: fu tutto inutile. Quando nella mia mente mi misi a pregare, il fenomeno agghiacciante ebbe termine. Ricordo chiaramente che cercavo di ripetere il "Pater noster", ma non riuscivo: avevo stranamente dimenticato la Preghiera?!?
Allora, con tutta la mia Fede, ripetevo: "Padre nostro che sei nei cieli": Dopo alcune ripetizioni, il fenomeno ebbe termine. Nessuno in quel contesto aveva parlato di "demoni", ma noi tre Specialisti Cattolici ci eravamo arrivati per esclusione o, meglio, per "discernimento". La sorella dell'ammalata ci raccontò la storia della congiunta e di quello che le succedeva a casa: racconto che ci fece rabbrividire e propendere che si trattasse di una "possessione satanica".
Tra coloro che soffrono di disturbi mentali, la presenza del demonio è più frequente di quanto si creda. Io diagnostico la possessione satanica in base a tre sintomi che il malato presenta: l'odio verso il Sacro; fenomeni psicopatologici; fenomeni paranormali.
Riassumo: i malati di mente non odiano Dio, i posseduti dal demonio lo odiano, e odiano i simboli della Fede Cristiana. Se a questo sintomo si aggiungono atteggiamenti di agitazione e fenomeni paranormali, allora la diagnosi è certa.
Ho visto pazienti assatanati alzarsi in aria (levitare), parlare lingue antiche mai studiate (latino, greco, aramaico), scoprire cose occulte e tantissimi altri fenomeni che non basterebbe un libro per enumerarli. Si diventa posseduti dal demonio perchè non si prega, non si frequenta la Santa Messa, non ci si accosta alla Confessione e alla Santissima Eucaristia. L'azione che viene impiegata contro il posseduto per farlo disturbare dal demonio è la cosiddetta fattura (per ingestione, con il "volt", per putrefazione, per legatura ecc., ecc.). Chiunque viene colpito da possessione, per liberarsi deve incontrare un "Uomo di Fede", sia esso Sacerdote o Laico Cattolico con esperienza in tale campo. Il satanismo si sta estendendo sempre di più, e quelli che ne restano drammaticamente colpiti, fino a che non vengono liberati "In Nome di Gesù Cristo", diventano a tutti gli effetti degli invalidi e, solo apparentemente, dei malati di mente. Ho visto tanti ammalati curati per schizofrenia essere in realtà dei "posseduti dal demonio"; sarebbe bastata un po’ di Fede in più per non sbagliare diagnosi». (Simone Morabito, Petrus, 4 dicembre 2008)
Quel pomeriggio, quando entrarono le due donne, nel mio studio la temperatura dell'ambiente si abbassò repentinamente: sembrava di essere in una cella frigorifera. Indipendentemente da questo fenomeno improvviso ed inspiegabile, mi assalì un terrore panico che non mi spiegavo. Lo stesso fenomeno succedeva a due miei assitenti che si trovavano con me. E senza che ci dicessimo niente, uno di loro sbiancò come un lenzuolo "supercandido". Ho cercato una soluzione scientifica nel campo della Psichiatria per superare il mio terrore: fu tutto inutile. Quando nella mia mente mi misi a pregare, il fenomeno agghiacciante ebbe termine. Ricordo chiaramente che cercavo di ripetere il "Pater noster", ma non riuscivo: avevo stranamente dimenticato la Preghiera?!?
Allora, con tutta la mia Fede, ripetevo: "Padre nostro che sei nei cieli": Dopo alcune ripetizioni, il fenomeno ebbe termine. Nessuno in quel contesto aveva parlato di "demoni", ma noi tre Specialisti Cattolici ci eravamo arrivati per esclusione o, meglio, per "discernimento". La sorella dell'ammalata ci raccontò la storia della congiunta e di quello che le succedeva a casa: racconto che ci fece rabbrividire e propendere che si trattasse di una "possessione satanica".
Tra coloro che soffrono di disturbi mentali, la presenza del demonio è più frequente di quanto si creda. Io diagnostico la possessione satanica in base a tre sintomi che il malato presenta: l'odio verso il Sacro; fenomeni psicopatologici; fenomeni paranormali.
Riassumo: i malati di mente non odiano Dio, i posseduti dal demonio lo odiano, e odiano i simboli della Fede Cristiana. Se a questo sintomo si aggiungono atteggiamenti di agitazione e fenomeni paranormali, allora la diagnosi è certa.
Ho visto pazienti assatanati alzarsi in aria (levitare), parlare lingue antiche mai studiate (latino, greco, aramaico), scoprire cose occulte e tantissimi altri fenomeni che non basterebbe un libro per enumerarli. Si diventa posseduti dal demonio perchè non si prega, non si frequenta la Santa Messa, non ci si accosta alla Confessione e alla Santissima Eucaristia. L'azione che viene impiegata contro il posseduto per farlo disturbare dal demonio è la cosiddetta fattura (per ingestione, con il "volt", per putrefazione, per legatura ecc., ecc.). Chiunque viene colpito da possessione, per liberarsi deve incontrare un "Uomo di Fede", sia esso Sacerdote o Laico Cattolico con esperienza in tale campo. Il satanismo si sta estendendo sempre di più, e quelli che ne restano drammaticamente colpiti, fino a che non vengono liberati "In Nome di Gesù Cristo", diventano a tutti gli effetti degli invalidi e, solo apparentemente, dei malati di mente. Ho visto tanti ammalati curati per schizofrenia essere in realtà dei "posseduti dal demonio"; sarebbe bastata un po’ di Fede in più per non sbagliare diagnosi». (Simone Morabito, Petrus, 4 dicembre 2008)
Tutti in coro, contro il degrado della musica liturgica
Il servizio di Sandro Magister, riportato anche da noi nelle News di Kenosis del 7 dicembre, con il titolo “Grande musica nelle chiese di Roma. Ma in Vaticano sono sordi” ha suscitato numerosi commenti. Nella quasi totalità concordi con quanto scritto in quel servizio.
I commenti sono arrivati da vari paesi del globo, in più lingue e persino in latino. Alcuni hanno segnalato chiese in cui le celebrazioni sono accompagnate da musiche degne. Altri hanno espresso severe critiche ai cori che accompagnano le liturgie papali, e in particolare ai loro direttori.
Ecco qui di seguito un piccolo saggio, riportato per puro dovere di cronaca, che comunque esprime un giudizio strettamente personale degli estensori, che può essere ovviamente più o meno condivisibile:
1) «Appartengo all’Associazione Italiana Organisti di Chiesa. Premesso che non è possibile pensare che una santa messa oggigiorno sia accompagnata solo ed esclusivamente dalla grande musica del passato – essendo invece più che mai urgente pensare ad una nuova musica di vera qualità a servizio del culto divino – è comunque preoccupante registrare che ancora a più di quarant’anni dalla riforma liturgica conciliare nessun organismo nella curia vaticana sia specificamente preposto a sovrintendere alla musica per la liturgia. Nemmeno in seno alla congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti è costituita una sottocommissione per la musica sacra. Il risultato è sotto gli occhi, anzi, le orecchie di tutti, soprattutto in Italia: la pressoché totale anarchia liturgico-musicale!».
2) «Sono un pianista concertista, cattolico, e occasionalmente mi sono occupato degli aspetti musicali nella celebrazione della liturgia. L’articolo di Magister ha sollevato una questione che negli ultimi tempi appare scivolata in un silenzio imbarazzante. Mentre non tacciono, al contrario, esecrabili pratiche musicali che in modo endemico hanno contaminato la liturgia attuale, con esiti che appaiono sovente irreversibili. Financo a raggiungere veri e propri esiti paradossali, contrari anche alle regole teoriche: mi riferisco a quello stile “musical” che ha in Marco Frisina il suo principale artefice e che, a mio avviso pericolosamente, sta sovvertendo il giudizio estetico di molte persone. Si presume di proporre un canto “colto” che sappia toccare la sensibilità comune attraverso una mistura di testi sacri e moduli musicali orecchiabili, benché miseramente stilizzati: il risultato armonico è assolutamente deprecabile, quasi offensivo. Stupisce, peraltro, che il fulcro e centro d’irradiazione di questa pratica sgrammaticata sia la “madre e capo di tutte le chiese del mondo”, ovvero la basilica di San Giovanni in Laterano. Quanto alla Cappella Sistina e al suo attuale direttore, da musicista mi interrogo su chi possa aver concesso titoli accademici a una persona che sembra mancare non solo di freschezza nell’invenzione (ascolti un canto, li hai ascoltati tutti) ma dell’abc dei principi compositivi».
I commenti sono arrivati da vari paesi del globo, in più lingue e persino in latino. Alcuni hanno segnalato chiese in cui le celebrazioni sono accompagnate da musiche degne. Altri hanno espresso severe critiche ai cori che accompagnano le liturgie papali, e in particolare ai loro direttori.
Ecco qui di seguito un piccolo saggio, riportato per puro dovere di cronaca, che comunque esprime un giudizio strettamente personale degli estensori, che può essere ovviamente più o meno condivisibile:
1) «Appartengo all’Associazione Italiana Organisti di Chiesa. Premesso che non è possibile pensare che una santa messa oggigiorno sia accompagnata solo ed esclusivamente dalla grande musica del passato – essendo invece più che mai urgente pensare ad una nuova musica di vera qualità a servizio del culto divino – è comunque preoccupante registrare che ancora a più di quarant’anni dalla riforma liturgica conciliare nessun organismo nella curia vaticana sia specificamente preposto a sovrintendere alla musica per la liturgia. Nemmeno in seno alla congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti è costituita una sottocommissione per la musica sacra. Il risultato è sotto gli occhi, anzi, le orecchie di tutti, soprattutto in Italia: la pressoché totale anarchia liturgico-musicale!».
2) «Sono un pianista concertista, cattolico, e occasionalmente mi sono occupato degli aspetti musicali nella celebrazione della liturgia. L’articolo di Magister ha sollevato una questione che negli ultimi tempi appare scivolata in un silenzio imbarazzante. Mentre non tacciono, al contrario, esecrabili pratiche musicali che in modo endemico hanno contaminato la liturgia attuale, con esiti che appaiono sovente irreversibili. Financo a raggiungere veri e propri esiti paradossali, contrari anche alle regole teoriche: mi riferisco a quello stile “musical” che ha in Marco Frisina il suo principale artefice e che, a mio avviso pericolosamente, sta sovvertendo il giudizio estetico di molte persone. Si presume di proporre un canto “colto” che sappia toccare la sensibilità comune attraverso una mistura di testi sacri e moduli musicali orecchiabili, benché miseramente stilizzati: il risultato armonico è assolutamente deprecabile, quasi offensivo. Stupisce, peraltro, che il fulcro e centro d’irradiazione di questa pratica sgrammaticata sia la “madre e capo di tutte le chiese del mondo”, ovvero la basilica di San Giovanni in Laterano. Quanto alla Cappella Sistina e al suo attuale direttore, da musicista mi interrogo su chi possa aver concesso titoli accademici a una persona che sembra mancare non solo di freschezza nell’invenzione (ascolti un canto, li hai ascoltati tutti) ma dell’abc dei principi compositivi».
La Spagna senza Croce
Vorrei tornare su un fatto che risale a qualche giorno fa, sul quale non abbiamo avuto ancora la possibilità di riflettere. Ci aggiungiamo buoni ultimi a commentare la notizia, anche perché notizie come quella di cui trattiamo non perdono di attualità.
Mi riferisco alla vicenda di Valladolid: un giudice del locale tribunale ha costretto una scuola spagnola a rimuovere i crocifissi appesi alle pareti, sebbene il consiglio dei docenti si fosse espresso in modo contrario. Il giudice ha accolto la richiesta del genitore di uno studente e di una associazione locale per la difesa della scuola laica.
Dunque, attenzione, non c'entrano niente i musulmani. L'opposizione al crocifisso in uno spazio pubblico non viene da fanatici di una religione rivelata, ma da quelli di un'altra, pericolosissima, religione: il laicismo. La notizia conferma quello che abbiamo sempre creduto, anzi saputo: nell'Occidente la lotta al cristianesimo vede coinvolti i laici, più che gli adepti di altre religioni.
Non sono le coscienze dei musulmani a sentirsi turbate, ma quelle degli esponenti di un pensiero laico che aspira a diventare pensiero unico. Costoro chiamano in causa i credenti musulmani o ebrei o indù solo per nascondere il proprio imbarazzo, o il proprio livore.
La motivazione del giudice di Valladolid lascia letteralmente di stucco: la presenza di simboli come il crocifisso laddove "ci sono minori in piena fase di formazione della personalità" potrebbe provocare nei ragazzi la sensazione che "lo Stato è più vicino alla religione cattolica rispetto alle altre confessioni". Il che condizionerebbe la loro condotta, in una "società che aspira alla tolleranza delle altre opinioni e ideali che non necessariamente coincidono con i propri".
Dobbiamo supporre, a questo punto, che un docente che osasse entrare in quella scuola portando un crocifisso al collo, in quanto funzionario di stato, potrebbe essere ripreso, multato, addirittura sospeso, perché si sbilancia troppo di fronte ai propri studenti, condizionandone la condotta.
Questo, signori, è totalitarismo. Non c'è altra parola per definirlo e vi prego di riflettere molto seriamente sulla questione, perché se la sentenza di Valladolid venisse esportata e se a qualche altro giudice "illuminato" venisse la voglia di trattare la stessa materia, magari calcando un po' più la mano, magari su denuncia o delazione di qualche benefica associazione per la "difesa della scuola laica", potremmo assistere a casi di vera e propria discriminazione. O a una nuova persecuzione.
Due riflessioni. La prima. Il provvedimento è preso nel sacro nome della tolleranza.
Io devo ancora capire com'è possibile che Locke sia stato il primo a scrivere un trattato sulla tolleranza impalcandosi a suo campione, in un'Inghilterra in cui i cattolici erano sistematicamente esclusi da tutte le cariche politiche e statali, errano pesantemente discriminati e nella vicina Irlanda addirittura sterminati.
Io devo ancora capire come il pontefice della tolleranza sia stato ritenuto un Voltaire, che ha parole di fuoco per Mosè, Cristo e Maometto e i loro seguaci; un Voltaire che definisce "infame" il cristianesimo e ha espressioni di un antisemitismo becero e orribile.
Cos'è questa tolleranza? Cosa vuol dire? O meglio, quando lor signori ritengono di doverla applicare? E nei confronti di chi? La risposta è semplice: nei confronti di chi si assesta sulle loro stesse posizioni relativiste e indifferenti rispetto alla verità. Chi dice di possedere (come nel caso di ebrei e musulmani), o di avere incontrato la verità (come nel caso dei cristiani) è di per sé un violento, un elemento socialmente anomalo e pericoloso. Nei confronti di costui nessuna tolleranza è possibile. Questa gente va schiacciata, perché è capace solo di creare mali, oppressioni e superstizioni.
E' un'interpretazione del tutto ideologica, settaria e unilaterale, se si considera, per esempio, tutto il bene che i seguaci di quel Crocifisso hanno fatto lungo la storia degli uomini. Un bene di gran lunga più profondo e grande del male, soprattutto per il fatto che ne sappiamo molto poco, giacchè, ieri come oggi, il bene non fa notizia.
E siamo così venuti alla seconda riflessione. L'astrattismo ideologico e totalitario della sentenza di Valladolid si sente in quella concezione di Stato super partes, che fa a cazzotti con la storia, con l'arte, con la cultura, con le tradizioni, col sentire degli spagnoli. La Spagna (come l'Italia, del resto) è stata segnata, marchiata a fuoco da quel Crocifisso.
La cosa potrà forse non andare bene ai fanatici del laicismo che vogliono sbattezzarsi, che vorrebbero cancellare con furia ideologica e dissacrante quel marchio di fabbrica, specie ora che hanno la maggioranza politica. Ma questa è una loro pretesa, una loro violenta imposizione, che non incontra affatto l'anima della nazione (nello specifico, basta considerare il voto dei docenti di quella scuola).
Scuola laica vuol dire scuola che emargina il fatto religioso. Non è una scuola, perché non nobilita e non tiene nella giusta considerazione le proprie radici. Non è una scuola, perché esclude una dimensione importantissima dell'essere umano. Non è una scuola, perché è avulsa dalla vita vera, dalla tradizione, dalle aspirazioni della società.
Il crocifisso esce dalle aule, ma vi entra l'ora di educazione civica voluta da Zapatero, quella che insegna agli studenti la nuova morale laica imposta agli spagnoli dagli ideologi di un partito che solo oggi (e non è detto domani) ha la maggioranza nel Paese.La Spagna caccia il crocifisso e precipita nella crisi. Che sia l'inizio della fine del becero laicismo? (Gianluca Zappa, La Cittadella, 6 dicembre 2008)
Mi riferisco alla vicenda di Valladolid: un giudice del locale tribunale ha costretto una scuola spagnola a rimuovere i crocifissi appesi alle pareti, sebbene il consiglio dei docenti si fosse espresso in modo contrario. Il giudice ha accolto la richiesta del genitore di uno studente e di una associazione locale per la difesa della scuola laica.
Dunque, attenzione, non c'entrano niente i musulmani. L'opposizione al crocifisso in uno spazio pubblico non viene da fanatici di una religione rivelata, ma da quelli di un'altra, pericolosissima, religione: il laicismo. La notizia conferma quello che abbiamo sempre creduto, anzi saputo: nell'Occidente la lotta al cristianesimo vede coinvolti i laici, più che gli adepti di altre religioni.
Non sono le coscienze dei musulmani a sentirsi turbate, ma quelle degli esponenti di un pensiero laico che aspira a diventare pensiero unico. Costoro chiamano in causa i credenti musulmani o ebrei o indù solo per nascondere il proprio imbarazzo, o il proprio livore.
La motivazione del giudice di Valladolid lascia letteralmente di stucco: la presenza di simboli come il crocifisso laddove "ci sono minori in piena fase di formazione della personalità" potrebbe provocare nei ragazzi la sensazione che "lo Stato è più vicino alla religione cattolica rispetto alle altre confessioni". Il che condizionerebbe la loro condotta, in una "società che aspira alla tolleranza delle altre opinioni e ideali che non necessariamente coincidono con i propri".
Dobbiamo supporre, a questo punto, che un docente che osasse entrare in quella scuola portando un crocifisso al collo, in quanto funzionario di stato, potrebbe essere ripreso, multato, addirittura sospeso, perché si sbilancia troppo di fronte ai propri studenti, condizionandone la condotta.
Questo, signori, è totalitarismo. Non c'è altra parola per definirlo e vi prego di riflettere molto seriamente sulla questione, perché se la sentenza di Valladolid venisse esportata e se a qualche altro giudice "illuminato" venisse la voglia di trattare la stessa materia, magari calcando un po' più la mano, magari su denuncia o delazione di qualche benefica associazione per la "difesa della scuola laica", potremmo assistere a casi di vera e propria discriminazione. O a una nuova persecuzione.
Due riflessioni. La prima. Il provvedimento è preso nel sacro nome della tolleranza.
Io devo ancora capire com'è possibile che Locke sia stato il primo a scrivere un trattato sulla tolleranza impalcandosi a suo campione, in un'Inghilterra in cui i cattolici erano sistematicamente esclusi da tutte le cariche politiche e statali, errano pesantemente discriminati e nella vicina Irlanda addirittura sterminati.
Io devo ancora capire come il pontefice della tolleranza sia stato ritenuto un Voltaire, che ha parole di fuoco per Mosè, Cristo e Maometto e i loro seguaci; un Voltaire che definisce "infame" il cristianesimo e ha espressioni di un antisemitismo becero e orribile.
Cos'è questa tolleranza? Cosa vuol dire? O meglio, quando lor signori ritengono di doverla applicare? E nei confronti di chi? La risposta è semplice: nei confronti di chi si assesta sulle loro stesse posizioni relativiste e indifferenti rispetto alla verità. Chi dice di possedere (come nel caso di ebrei e musulmani), o di avere incontrato la verità (come nel caso dei cristiani) è di per sé un violento, un elemento socialmente anomalo e pericoloso. Nei confronti di costui nessuna tolleranza è possibile. Questa gente va schiacciata, perché è capace solo di creare mali, oppressioni e superstizioni.
E' un'interpretazione del tutto ideologica, settaria e unilaterale, se si considera, per esempio, tutto il bene che i seguaci di quel Crocifisso hanno fatto lungo la storia degli uomini. Un bene di gran lunga più profondo e grande del male, soprattutto per il fatto che ne sappiamo molto poco, giacchè, ieri come oggi, il bene non fa notizia.
E siamo così venuti alla seconda riflessione. L'astrattismo ideologico e totalitario della sentenza di Valladolid si sente in quella concezione di Stato super partes, che fa a cazzotti con la storia, con l'arte, con la cultura, con le tradizioni, col sentire degli spagnoli. La Spagna (come l'Italia, del resto) è stata segnata, marchiata a fuoco da quel Crocifisso.
La cosa potrà forse non andare bene ai fanatici del laicismo che vogliono sbattezzarsi, che vorrebbero cancellare con furia ideologica e dissacrante quel marchio di fabbrica, specie ora che hanno la maggioranza politica. Ma questa è una loro pretesa, una loro violenta imposizione, che non incontra affatto l'anima della nazione (nello specifico, basta considerare il voto dei docenti di quella scuola).
Scuola laica vuol dire scuola che emargina il fatto religioso. Non è una scuola, perché non nobilita e non tiene nella giusta considerazione le proprie radici. Non è una scuola, perché esclude una dimensione importantissima dell'essere umano. Non è una scuola, perché è avulsa dalla vita vera, dalla tradizione, dalle aspirazioni della società.
Il crocifisso esce dalle aule, ma vi entra l'ora di educazione civica voluta da Zapatero, quella che insegna agli studenti la nuova morale laica imposta agli spagnoli dagli ideologi di un partito che solo oggi (e non è detto domani) ha la maggioranza nel Paese.La Spagna caccia il crocifisso e precipita nella crisi. Che sia l'inizio della fine del becero laicismo? (Gianluca Zappa, La Cittadella, 6 dicembre 2008)
venerdì 5 dicembre 2008
La Talpa e l'Isola, Karina e Vladimir, Perego e Ventura tra "trash" e ascolti da record
Gli ultimi due reality show dell’anno, L’isola dei Famosi e La Talpa hanno finalmente chiuso i battenti, e con mio sommo dispiacere i due direttori di rete, Marano per Rai 2 e Tiraboschi per Italia 1, hanno esultato per i dati di ascolto. A dire il vero, dopo il calo degli ascolti dell’ultimo Grande Fratello tutti i critici si aspettavano che anche questi due programmi perdessero telespettatori, ma così non è stato.
L’Isola della Ventura ha avuto una media nel prime time del 22,6% con picchi fino al 31%, per la fascia d’età dai 15 ai 34 anni al 21%. Per la stessa fascia, La Talpa della Perego ha registrato il 30 % mentre ha avuto una media generale del 18,9% con punte del 26%.
Italia 1 esulta perché proprio ai giovani puntava (target commerciale) e quel 30% è stato di gran lunga un exploit.
Io però sono comunque rammaricato per questi buoni ascolti: sono trasmissioni urlate, pruriginose, inutili, in cui l’uomo perde coscienza di ciò che è, e si avvicina agli istinti animaleschi. È chiaro che è tutto un business, su questo non ci piove, ma il messaggio che traspare è negativo e diseducativo, gente più o meno famosa che gioca e cazzeggia, tradisce, piange, etc., buttando via del tempo. Aggiungiamo che molte situazioni sono create ad hoc dagli autori ed alla fine i telespettatori bevono tutto quello che viene proposto come fosse acqua fresca.
Sull’ Isola, che il vincitore fosse l’ex uomo ed ex parlamentare Vladimir Luxuria, era già stato scritto e lo sapevano anche i muri, ma che si arrivasse a dire, come Maurizio Costanzo ha articolato sul Riformista, che “Tutto ciò è positivo, perché vuol dire che con un ritardo imbarazzante, anche il nostro paese è cresciuto. … Bisogna avere fiducia: piano piano questo diventerà un paese civile e non razzista nei confronti delle diversità qualunque esse siano”, mi sembra incredibilmente pericoloso perchè fa perdere e travisare i punti fermi della natura e della coscienza umana, altro che razzismo! Tralascio il fatto che il naufrago fosse pure comunista, visto che ci hanno giocato molto i giornali di parte (Es. Liberazione ) facendo per lui un tifo ineguagliabile.
Passiamo alla Talpa.
La banda della conduttrice Paola Perego (scuderia del potente Lucio Presta, quello di Bonolis, della Clerici, di Amadeus e delle serate di Benigni per capirci) capeggiata dall’intramontabile autore Cesare Lanza, ha confezionato più un reality game che un reality show, viste le innumerevoli gare che i concorrenti hanno dovuto sostenere. Nel cast hanno prevalso Pasquale ex Grande Fratello 3, Melita ex Grande Fratello 7 e poi Lucignolo, l’argento olimpico Clemente Russo e il porno attore Franco Trentalance ("il più richiesto d’Europa” puntualizza lui). Ha vinto Karina Cascella opinionista ad Uomini e Donne mentre la talpa era il porno divo. Inguardabile l’inviata in Sudafrica Paola Barale, impacciata, e non all’altezza della situazione: tra l’altro si vedeva chiaramente che leggeva i gobbi degli interventi, provati, riprovati e montati per lo spettacolo
Anche questo programma è da bocciare per gli stessi motivi dell’Isola anche se i giochi (artefatti) erano il valore aggiunto e la variabile alla noiosa farsa dei litigi e delle urla.
Un trans ed un porno attore hanno prevalso: forse Costanzo ha ragione, visto gli ascolti? Forse quello che lui afferma è la mentalità comune? Possibile che i telespettatori siano così inebetiti? (Da: Il Sussidiario, 4 dicembre 2008)
L’Isola della Ventura ha avuto una media nel prime time del 22,6% con picchi fino al 31%, per la fascia d’età dai 15 ai 34 anni al 21%. Per la stessa fascia, La Talpa della Perego ha registrato il 30 % mentre ha avuto una media generale del 18,9% con punte del 26%.
Italia 1 esulta perché proprio ai giovani puntava (target commerciale) e quel 30% è stato di gran lunga un exploit.
Io però sono comunque rammaricato per questi buoni ascolti: sono trasmissioni urlate, pruriginose, inutili, in cui l’uomo perde coscienza di ciò che è, e si avvicina agli istinti animaleschi. È chiaro che è tutto un business, su questo non ci piove, ma il messaggio che traspare è negativo e diseducativo, gente più o meno famosa che gioca e cazzeggia, tradisce, piange, etc., buttando via del tempo. Aggiungiamo che molte situazioni sono create ad hoc dagli autori ed alla fine i telespettatori bevono tutto quello che viene proposto come fosse acqua fresca.
Sull’ Isola, che il vincitore fosse l’ex uomo ed ex parlamentare Vladimir Luxuria, era già stato scritto e lo sapevano anche i muri, ma che si arrivasse a dire, come Maurizio Costanzo ha articolato sul Riformista, che “Tutto ciò è positivo, perché vuol dire che con un ritardo imbarazzante, anche il nostro paese è cresciuto. … Bisogna avere fiducia: piano piano questo diventerà un paese civile e non razzista nei confronti delle diversità qualunque esse siano”, mi sembra incredibilmente pericoloso perchè fa perdere e travisare i punti fermi della natura e della coscienza umana, altro che razzismo! Tralascio il fatto che il naufrago fosse pure comunista, visto che ci hanno giocato molto i giornali di parte (Es. Liberazione ) facendo per lui un tifo ineguagliabile.
Passiamo alla Talpa.
La banda della conduttrice Paola Perego (scuderia del potente Lucio Presta, quello di Bonolis, della Clerici, di Amadeus e delle serate di Benigni per capirci) capeggiata dall’intramontabile autore Cesare Lanza, ha confezionato più un reality game che un reality show, viste le innumerevoli gare che i concorrenti hanno dovuto sostenere. Nel cast hanno prevalso Pasquale ex Grande Fratello 3, Melita ex Grande Fratello 7 e poi Lucignolo, l’argento olimpico Clemente Russo e il porno attore Franco Trentalance ("il più richiesto d’Europa” puntualizza lui). Ha vinto Karina Cascella opinionista ad Uomini e Donne mentre la talpa era il porno divo. Inguardabile l’inviata in Sudafrica Paola Barale, impacciata, e non all’altezza della situazione: tra l’altro si vedeva chiaramente che leggeva i gobbi degli interventi, provati, riprovati e montati per lo spettacolo
Anche questo programma è da bocciare per gli stessi motivi dell’Isola anche se i giochi (artefatti) erano il valore aggiunto e la variabile alla noiosa farsa dei litigi e delle urla.
Un trans ed un porno attore hanno prevalso: forse Costanzo ha ragione, visto gli ascolti? Forse quello che lui afferma è la mentalità comune? Possibile che i telespettatori siano così inebetiti? (Da: Il Sussidiario, 4 dicembre 2008)
Quando il lupo si veste da agnello
Abbiamo letto recentemente sull'Espresso on line un commento del "teologo" Leonardo Boff su Papa Benedetto XVI: "I credenti non possono avere paura delle novità. Sanno che il mondo è stato salvato in Gesù Cristo", dice convinto: "E un vero pastore sa che la barca di Pietro non corre il rischio di affondare anche se affronta il mare aperto perché è assistita dallo Spirito Santo. Invece questo papa non è un pastore, è solo un professore. Si preoccupa di fare ogni genere di appunto critico alla modernità, ma non ha irradiazione spirituale, non ha carisma, non mostra il cristianesimo come una cosa buona, una fonte di gioia per l'umanità. In una parola, non fa la cosa più evangelica, quella che Ernst Bloch riteneva la più importante per ogni religione: suscitare speranza. Una Chiesa così, che non è fonte di fiducia nella vita e nel futuro, tutta ripiegata su se stessa, sulla propria identità e sul potere sacrale della gerarchia, completamente paralizzata dalla paura di ciò che sta 'fuori', non è più una Chiesa. È una 'ecclesìola', una piccola chiesa, con forti tendenze fondamentaliste".
E il commentatore avalla l'affermazione di Boff con: “Di Chiesa, Boff se ne intende: al suo interno ha passato quasi 40 anni. E conosce bene anche Benedetto XVI: quando Leonardo era solo un promettente dottorando alla Facoltà teologica di Monaco di Baviera, il giovane professor Ratzinger era stato suo mentore e protettore...
Dai tempi di Monaco tanti anni sono trascorsi. E le traiettorie di vita si sono divaricate. Boff, insieme a Gustavo Gutierrez e altri, ha fondato la Teologia della liberazione, la corrente di pensiero che tra gli anni Sessanta e Settanta ha cambiato il volto della Chiesa latinoamericana, trasformandola da pilastro della società feudale in avvocata dei poveri, degli emarginati e degli oppressi. Ratzinger, invece, ha messo radici nella cittadella fortificata della Curia vaticana, la Congregazione per la dottrina della fede. E una volta prefetto dell'ex Sant'Uffizio, ha preso di mira il suo pupillo di un tempo. Le sue colpe? Aver 'inquinato' la ricerca teologica con l'utilizzo degli strumenti di analisi sociale di scuola marxista e aver ricordato troppo chiaramente che la Chiesa è, come dicevano i Padri dell'antichità, "casta meretrix", santa ma anche profondamente peccatrice”.
Purtroppo non solo non è così riguardo al Santo Padre ma neanche riguardo alla Chiesa Latino Americana la quale è cresciuta e rimane salda sull'azione (meno da gossip rispetto a quella di Boff) di migliaia di suoi missionari (anche francescani al pari del suddetto) obbedienti a Cristo e alla Chiesa, che hanno pagato e pagano con la propria vita la fedeltà al Vangelo e alla Chiesa e rimanendo saldamente fedeli alla gente.
La logica esistenziale di Boff è noiosamente ripetitiva. Ci si avviluppa attraverso il proprio pensiero fino a staccarsi dalla vita e dalla vigna del Signore perseguendo quello che Francesco chiamava "il male della propria volontà". Francesco è stato un cultore della liberta personale, e dunque non si fraintenda, il poverello di Assisi non desiderava "frati automi" ma "frati minori", cioè battezzati capaci di vivere la radicalità del'obbedienza al vangelo nella conferma della Chiesa, del Papa e dei suoi pastori. Sempre Francesco diceva ai suoi frati: "non voglio predicare contro la volontà di un parroco... neanche se fosse il più "poverello" di questa terra". Francesco, vero agnello del Signore, evidentemente era di un'altra pasta: quealla disarmata dalle ideologie e soprattutto da se stesso.
Il Signor Boff, purtroppo, incartato nella sua personalissima teologia ideologica, impastata di marxismo e di messianismo immanente, continua a presentare un sorriso che nasconde la ferocia del lupo e dell'errore. E l'errore, in certi casi, è molto ma molto peggio del peccato. Davanti alla chiarezza pastorale dell'umile servo del Signore, nostro santo padre, papa Benedetto XVI, evidentemente si sente in difficoltà e per amplificare uno sterile dissenso si usa "strumenti" giornalistici come il prurito di qualcuno de l'Espresso. Solo chi è radicalmente ferito nel "proprio vedere" non coglie la grandezza pastorale carica di gioia e di speranza di Papa Benedetto XVI. Curioso che la teologia della liberazione non abbia liberato Leonardo Boff ma lo abbia sempre più radicato nell'errore, nelle sue paure e nelle sue fughe. Un altro fratello per cui pregare.
E il commentatore avalla l'affermazione di Boff con: “Di Chiesa, Boff se ne intende: al suo interno ha passato quasi 40 anni. E conosce bene anche Benedetto XVI: quando Leonardo era solo un promettente dottorando alla Facoltà teologica di Monaco di Baviera, il giovane professor Ratzinger era stato suo mentore e protettore...
Dai tempi di Monaco tanti anni sono trascorsi. E le traiettorie di vita si sono divaricate. Boff, insieme a Gustavo Gutierrez e altri, ha fondato la Teologia della liberazione, la corrente di pensiero che tra gli anni Sessanta e Settanta ha cambiato il volto della Chiesa latinoamericana, trasformandola da pilastro della società feudale in avvocata dei poveri, degli emarginati e degli oppressi. Ratzinger, invece, ha messo radici nella cittadella fortificata della Curia vaticana, la Congregazione per la dottrina della fede. E una volta prefetto dell'ex Sant'Uffizio, ha preso di mira il suo pupillo di un tempo. Le sue colpe? Aver 'inquinato' la ricerca teologica con l'utilizzo degli strumenti di analisi sociale di scuola marxista e aver ricordato troppo chiaramente che la Chiesa è, come dicevano i Padri dell'antichità, "casta meretrix", santa ma anche profondamente peccatrice”.
Purtroppo non solo non è così riguardo al Santo Padre ma neanche riguardo alla Chiesa Latino Americana la quale è cresciuta e rimane salda sull'azione (meno da gossip rispetto a quella di Boff) di migliaia di suoi missionari (anche francescani al pari del suddetto) obbedienti a Cristo e alla Chiesa, che hanno pagato e pagano con la propria vita la fedeltà al Vangelo e alla Chiesa e rimanendo saldamente fedeli alla gente.
La logica esistenziale di Boff è noiosamente ripetitiva. Ci si avviluppa attraverso il proprio pensiero fino a staccarsi dalla vita e dalla vigna del Signore perseguendo quello che Francesco chiamava "il male della propria volontà". Francesco è stato un cultore della liberta personale, e dunque non si fraintenda, il poverello di Assisi non desiderava "frati automi" ma "frati minori", cioè battezzati capaci di vivere la radicalità del'obbedienza al vangelo nella conferma della Chiesa, del Papa e dei suoi pastori. Sempre Francesco diceva ai suoi frati: "non voglio predicare contro la volontà di un parroco... neanche se fosse il più "poverello" di questa terra". Francesco, vero agnello del Signore, evidentemente era di un'altra pasta: quealla disarmata dalle ideologie e soprattutto da se stesso.
Il Signor Boff, purtroppo, incartato nella sua personalissima teologia ideologica, impastata di marxismo e di messianismo immanente, continua a presentare un sorriso che nasconde la ferocia del lupo e dell'errore. E l'errore, in certi casi, è molto ma molto peggio del peccato. Davanti alla chiarezza pastorale dell'umile servo del Signore, nostro santo padre, papa Benedetto XVI, evidentemente si sente in difficoltà e per amplificare uno sterile dissenso si usa "strumenti" giornalistici come il prurito di qualcuno de l'Espresso. Solo chi è radicalmente ferito nel "proprio vedere" non coglie la grandezza pastorale carica di gioia e di speranza di Papa Benedetto XVI. Curioso che la teologia della liberazione non abbia liberato Leonardo Boff ma lo abbia sempre più radicato nell'errore, nelle sue paure e nelle sue fughe. Un altro fratello per cui pregare.
Giornalisti bugiardi e falsari: cambino mestiere
Martedì titoli bugiardi e falsari! Ecco Repubblica (pp. 1 e 6) menzogna doppia: “Il Vaticano all’Onu: l’omosessualità resti reato”. Corriere della sera (pp. 1, 18 e 19): “il Vaticano all’Onu: non depenalizzate l’omosessualità”. Stampa (p. 1): “Il Vaticano sfida l’Onu: sarebbe sbagliato depenalizzare l’omosessualità”. Unità (p. 1): “Omosessuali perseguitati: il Vaticano approva”. Manifesto (p. 1) titolo e vignetta sghignazzo: “Omosessualità. Vaticano all’Onu: no alla depenalizzazione”. Liberazione (p. 1) apertura e grande foto: “Vaticano: lasciateli penzolare”. Dunque il Papa applaudirebbe l’impiccagione!Tutto falso, con commenti conseguenti e insulti di serie.
In realtà, visti certi lanci d’agenzia, già alle 19:30 di lunedì la Santa Sede aveva chiarito il senso delle parole del rappresentante vaticano all’Onu: sì (N.B.: Sì!) alla depenalizzazione, ovviamente, ma avvertendo che ciò non deve voler dire che matrimonio e unioni gay siano la stessa cosa. Invano: chi non vuole capire insiste, e ancora ieri spudoratamente così Augias su Repubblica, in risposta ad un lettore: “Se la Chiesa difende il reato di omosessualità”. È il titolo, ma il testo è peggio, e accusa la Chiesa di incoraggiare «la forca» per gli omosessuali!
Ho scritto martedì che anche gli uomini di Chiesa debbono stare attenti alle parole per evitare equivoci, ma chi scrive nei giornali e, comunque e sempre, cerca «il nemico» di tutto nella Chiesa, si dovrebbe vergognare.
Concludendo: difficile dare torto a chi afferma che qualche giornalista dovrebbe cambiare mestiere. (Gianni Gennari © Copyright Avvenire, 4 dicembre 2008)
L’arcigay manifesta davanti all’arcivescovado
Piccola folla, grande bugia in quel sit-in di Genova. Si sono radunati per protestare contro un «martirio». Così era scritto, ieri, sugli striscioni che hanno portato davanti all’Arcivescovado di Genova. Una ventina di persone o poco più, iscritti all’Arcigay fiancheggiati da alcuni militanti di organizzazioni anticlericali. E quel grido, se rivolto ai Paesi nei quali l’omosessualità è causa di feroci persecuzioni penali e persino di morte, poteva risuonare laicamente comprensibile e, nella denuncia di fondo, anche condivisibile.
Del tutto incomprensibili, insostenibili e ingiustificabili sono invece risultati lo slogan completo «Vaticano complice del nostro martirio», e il luogo del sit-in: la casa del cardinal Angelo Bagnasco, presidente della Cei, uomo e pastore di grande serenità e gentilezza.
Quei manifestanti genovesi non potevano non sapere che il luogo della contestazione era assolutamente senza senso.Così come – nonostante continui ad aleggiare l’eco dell’incredibile e addirittura violenta disinformazione operata da una parte della stampa italiana – non potevano fingere di ignorare che la Chiesa non ha mai detto “no” a una dichiarazione dell’Onu «per la depenalizzazione dell’omosessualità». La Santa Sede ha semplicemente e fermamente chiarito di negare il consenso a una bozza di testo, quella proposta dalla Francia a nome della Ue, attualmente segnata anche da ambiguità lessicali e politiche. Una dichiarazione che, così com’è, potrebbe essere usata dai ben noti gruppi di pressione che dal rifiuto delle discriminazioni nei confronti delle persone omosessuali puntano a far discendere l’imposizione agli Stati (e alle comunità civili e religiose) della cosiddetta «teoria del genere» e delle sue conseguenze sul piano sociale. Un “no” preciso, circostanziato, netto. Proprio come il “sì” a ogni coraggiosa e limpida difesa della vita e della dignità di tutti gli esseri umani. Chi anche ieri ha sostenuto il contrario ha sbagliato due volte. E due volte ha mentito. (© Copyright Avvenire, 4 dicembre 2008)
In realtà, visti certi lanci d’agenzia, già alle 19:30 di lunedì la Santa Sede aveva chiarito il senso delle parole del rappresentante vaticano all’Onu: sì (N.B.: Sì!) alla depenalizzazione, ovviamente, ma avvertendo che ciò non deve voler dire che matrimonio e unioni gay siano la stessa cosa. Invano: chi non vuole capire insiste, e ancora ieri spudoratamente così Augias su Repubblica, in risposta ad un lettore: “Se la Chiesa difende il reato di omosessualità”. È il titolo, ma il testo è peggio, e accusa la Chiesa di incoraggiare «la forca» per gli omosessuali!
Ho scritto martedì che anche gli uomini di Chiesa debbono stare attenti alle parole per evitare equivoci, ma chi scrive nei giornali e, comunque e sempre, cerca «il nemico» di tutto nella Chiesa, si dovrebbe vergognare.
Concludendo: difficile dare torto a chi afferma che qualche giornalista dovrebbe cambiare mestiere. (Gianni Gennari © Copyright Avvenire, 4 dicembre 2008)
L’arcigay manifesta davanti all’arcivescovado
Piccola folla, grande bugia in quel sit-in di Genova. Si sono radunati per protestare contro un «martirio». Così era scritto, ieri, sugli striscioni che hanno portato davanti all’Arcivescovado di Genova. Una ventina di persone o poco più, iscritti all’Arcigay fiancheggiati da alcuni militanti di organizzazioni anticlericali. E quel grido, se rivolto ai Paesi nei quali l’omosessualità è causa di feroci persecuzioni penali e persino di morte, poteva risuonare laicamente comprensibile e, nella denuncia di fondo, anche condivisibile.
Del tutto incomprensibili, insostenibili e ingiustificabili sono invece risultati lo slogan completo «Vaticano complice del nostro martirio», e il luogo del sit-in: la casa del cardinal Angelo Bagnasco, presidente della Cei, uomo e pastore di grande serenità e gentilezza.
Quei manifestanti genovesi non potevano non sapere che il luogo della contestazione era assolutamente senza senso.Così come – nonostante continui ad aleggiare l’eco dell’incredibile e addirittura violenta disinformazione operata da una parte della stampa italiana – non potevano fingere di ignorare che la Chiesa non ha mai detto “no” a una dichiarazione dell’Onu «per la depenalizzazione dell’omosessualità». La Santa Sede ha semplicemente e fermamente chiarito di negare il consenso a una bozza di testo, quella proposta dalla Francia a nome della Ue, attualmente segnata anche da ambiguità lessicali e politiche. Una dichiarazione che, così com’è, potrebbe essere usata dai ben noti gruppi di pressione che dal rifiuto delle discriminazioni nei confronti delle persone omosessuali puntano a far discendere l’imposizione agli Stati (e alle comunità civili e religiose) della cosiddetta «teoria del genere» e delle sue conseguenze sul piano sociale. Un “no” preciso, circostanziato, netto. Proprio come il “sì” a ogni coraggiosa e limpida difesa della vita e della dignità di tutti gli esseri umani. Chi anche ieri ha sostenuto il contrario ha sbagliato due volte. E due volte ha mentito. (© Copyright Avvenire, 4 dicembre 2008)
Il Vaticano e la depenalizzazione dell’omosessualità
Ci risiamo. Visto che l'Isola dei Famosi è finita, che lo sciopero è previsto tra qualche giorno e che nel frattempo è un po' difficile difendere una multinazionale come Sky che sfrutta il proletariato e che arricchisce i borghesi, è necessario che i compagni trovino un obiettivo per sentirsi vivi. E allora quale migliore occasione per creare un polverone intorno al nemico di sempre, Santa Romana Chiesa? E così eccoci di nuovo di fronte a strumentalizzazioni e a gente che pecoronescamente costruisce trincee, barricate, spara a destra e a manca e poi si chiede di cosa si sta parlando. Questo evidenzia che l’importante non è il pretesto ma l’obiettivo. Quelli di Liberazione, cioè quelli che hanno esaltato la vittoria di Luxuria all’Isola come la vittoria di Obama negli States, hanno indetto il boicottaggio al Vaticano, proteste e quant’altro. Riporto qui di seguito un pezzo dell’articolo di Andrea Tornielli su il Giornale con le parole di mons. Migliore, Osservatore permanente della Santa sede presso le Nazioni Unite:
«Tutto ciò che va in favore del rispetto e della tutela delle persone fa parte del nostro patrimonio umano e spirituale», ha risposto monsignor Migliore, citando il Catechismo della Chiesa cattolica «che dice, e non da oggi, che nei confronti delle persone omosessuali si deve evitare ogni marchio di ingiusta discriminazione». «Ma qui - ha aggiunto - la questione è un’altra. Con una dichiarazione di valore politico, sottoscritta da un gruppo di Paesi, si chiede agli Stati e ai meccanismi internazionali di attuazione e controllo dei diritti umani di aggiungere nuove categorie protette dalla discriminazione, senza tener conto che, se adottate, esse creeranno nuove e implacabili discriminazioni. Per esempio, gli Stati che non riconoscono l’unione tra persone dello stesso sesso come “matrimonio” verranno messi alla gogna e fatti oggetto di pressioni».
Queste parole sono state prese a pretesto per far credere che la Santa sede sia favorevole alla galera se non addirittura alla pena di morte per le persone omosessuali, come previsto in alcuni Paesi fondamentalisti. Le cose, ovviamente, non stanno affatto così. In Segreteria di Stato c’è preoccupazione per il progetto della Francia: la depenalizzazione, infatti, «non è l’oggetto del documento» spiegano Oltretevere. La dichiarazione «non cerca tanto di combattere la discriminazione dell’orientamento sessuale quanto di promuovere ogni orientamento sessuale e a questo fine di creare una nuova categoria di discriminazione, senza definirla, in modo da applicarla a tutti i diritti umani». Si vuole dunque, dicono Oltretevere «rileggere tutta le legislazione sui diritti umani alla luce dell’orientamento sessuale, introducendo nuove categorie protette e grazie a questa dichiarazione garantire a qualunque orientamento sessuale un trattamento identico a quello riservato alle persone eterosessuali, ad esempio in materia di matrimonio e di possibilità di adottare bambini». Insomma, un progetto che si propone ben altro rispetto alla depenalizzione e che cerca di far passare un principio al quale si possano poi riferire gli organismi di controllo delle Nazioni Unite, senza che questo sia in realtà mai stato discusso e approvato in aula. «Sulla base di quella nuova categoria di discriminazione - spiegano in Vaticano - si potrà cercare di restringere altri diritti e libertà, come quello alla libertà di espressione e di libertà religiosa».
Insomma, in quel documento c’è di tutto e di più e approvarlo in toto, anche se en passant c’è anche la depenalizzazione, significherebbe approvare e promuovere ciò che la Chiesa ha sempre considerato un grave errore. In pratica si chiede alla Chiesa di essere ciò che non è e la si accusa di dire ciò che non ha detto. Niente di nuovo. (2 Dicembre 2008)
«Tutto ciò che va in favore del rispetto e della tutela delle persone fa parte del nostro patrimonio umano e spirituale», ha risposto monsignor Migliore, citando il Catechismo della Chiesa cattolica «che dice, e non da oggi, che nei confronti delle persone omosessuali si deve evitare ogni marchio di ingiusta discriminazione». «Ma qui - ha aggiunto - la questione è un’altra. Con una dichiarazione di valore politico, sottoscritta da un gruppo di Paesi, si chiede agli Stati e ai meccanismi internazionali di attuazione e controllo dei diritti umani di aggiungere nuove categorie protette dalla discriminazione, senza tener conto che, se adottate, esse creeranno nuove e implacabili discriminazioni. Per esempio, gli Stati che non riconoscono l’unione tra persone dello stesso sesso come “matrimonio” verranno messi alla gogna e fatti oggetto di pressioni».
Queste parole sono state prese a pretesto per far credere che la Santa sede sia favorevole alla galera se non addirittura alla pena di morte per le persone omosessuali, come previsto in alcuni Paesi fondamentalisti. Le cose, ovviamente, non stanno affatto così. In Segreteria di Stato c’è preoccupazione per il progetto della Francia: la depenalizzazione, infatti, «non è l’oggetto del documento» spiegano Oltretevere. La dichiarazione «non cerca tanto di combattere la discriminazione dell’orientamento sessuale quanto di promuovere ogni orientamento sessuale e a questo fine di creare una nuova categoria di discriminazione, senza definirla, in modo da applicarla a tutti i diritti umani». Si vuole dunque, dicono Oltretevere «rileggere tutta le legislazione sui diritti umani alla luce dell’orientamento sessuale, introducendo nuove categorie protette e grazie a questa dichiarazione garantire a qualunque orientamento sessuale un trattamento identico a quello riservato alle persone eterosessuali, ad esempio in materia di matrimonio e di possibilità di adottare bambini». Insomma, un progetto che si propone ben altro rispetto alla depenalizzione e che cerca di far passare un principio al quale si possano poi riferire gli organismi di controllo delle Nazioni Unite, senza che questo sia in realtà mai stato discusso e approvato in aula. «Sulla base di quella nuova categoria di discriminazione - spiegano in Vaticano - si potrà cercare di restringere altri diritti e libertà, come quello alla libertà di espressione e di libertà religiosa».
Insomma, in quel documento c’è di tutto e di più e approvarlo in toto, anche se en passant c’è anche la depenalizzazione, significherebbe approvare e promuovere ciò che la Chiesa ha sempre considerato un grave errore. In pratica si chiede alla Chiesa di essere ciò che non è e la si accusa di dire ciò che non ha detto. Niente di nuovo. (2 Dicembre 2008)
venerdì 28 novembre 2008
Il vizio comunista della Luxuria
L'ultima edizione de L’isola dei famosi è stata vinta da Vladimir Luxuria. “Liberazione”, il giornale di Rifondazione Comunista ha festeggiato la vittoria asserendo che il trionfo dell’ex deputato transessuale comunista, è paragonabile all’elezione di Barak Obama in America. Il paragone fa sbellicare dalle risate, ma almeno non si potrà più dire che i nostalgici dell’impero rosso e della fame non abbiano il senso dell’umorismo.
Comicità in "Casa Marx" a parte, ci si chiede: ma fino al giorno prima della consacrazione dell’unica forma di comunismo vincente (Luxuria in bikini), i paladini del potere operaio non amavano unicamente disoccupati, precari, extracomunitari ed irregolari e aborrivano la TV spazzatura e i suo strapagati prezzolati VIP di cartapesta? Vuoi vedere che l’ebbrezza della ribalta mediatica e la sensualità esplosiva di Luxuria hanno convertito al capitalismo anche gli ultimi irriducibili nipotini di Stalin? (Gianni Toffali, La voce di don Camillo, 26 novembre 2008)
Comicità in "Casa Marx" a parte, ci si chiede: ma fino al giorno prima della consacrazione dell’unica forma di comunismo vincente (Luxuria in bikini), i paladini del potere operaio non amavano unicamente disoccupati, precari, extracomunitari ed irregolari e aborrivano la TV spazzatura e i suo strapagati prezzolati VIP di cartapesta? Vuoi vedere che l’ebbrezza della ribalta mediatica e la sensualità esplosiva di Luxuria hanno convertito al capitalismo anche gli ultimi irriducibili nipotini di Stalin? (Gianni Toffali, La voce di don Camillo, 26 novembre 2008)
Se ci si indigna a intermittenza
Per diventare cadaveri eccellenti bisogna morire in buona compagnia: come a dire che se a Mumbai non ci fossero state le vittime occidentali, inglesi tedesche italiane, ad affiancarsi ai cadaveri indiani, anche questa volta la tragedia sarebbe passata quasi inosservata. E invece è esplosa sul sempre più choccante mercato della comunicazione del terrore anche grazie a una strategia diversa che andava a cercare bersagli occidentali e portava l’attacco ai lussuosi indirizzi del turismo internazionale.
E’ dunque questo il misero bilancio etico della strage di Mumbai: vittime di serie A e di serie B, doppio standard in materia di diritti umani, due pesi e due misure anche nel momento estremo della verità? Insomma i morti si pesano e non si contano? «I morti purtroppo non sono eguali, ci identifichiamo di più con il connazionale a rischio perché proprio la globalizzazione ha scatenato nuovi giochi di identità. E poi ci angosciamo di più a vedere assediato quell’albergo dove magari siamo stati o dove volevamo andare a Natale, e ora ci tocca pure cambiare le vacanze, e scegliere la più sicura Sicilia».
Così Andrea Riccardi professore di Storia contemporanea che nel ’68 è andato controcorrente, ha riletto il Vangelo e ha fondato la comunità di Sant’Egidio. Mentre un altro professore di Storia contemporanea, il laico Giovanni Sabbatucci, risponde alla domanda enunciando una specie di legge al riguardo: «C’è sempre una correlazione inversa fra il grado di coinvolgimento nella tragedia e la distanza, sia essa fisica o culturale. Non si giustifica eticamente, ma è innegabile che sia così».
Anche se, continua Sabbatucci, questa legge sembrerebbe contraddetta dallo scarso rilievo dato dai media europei alle persecuzioni cristiane in India: anche qui una congiura della distrazione perché soltanto quest’estate, in Orissa, stato dell’India orientale, sarebbero stati massacrati (secondo il partito comunista del luogo) cinquecento cristiani: «A Kandhamal siamo stati trattati peggio degli animali: ogni cosa indegna, ogni tortura è stata possibile contro di noi» secondo la testimonianza di padre Bernard Dighal ad AsiaNews . Ma in realtà — continua Sabbatucci — questa scarsa attenzione mediatica ai martiri non contraddice la legge di cui sopra, perché ormai «non sussiste più la comune appartenenza alla cristianità come un dato primario». Insomma, secondo lo storico, è un altro dato di fatto che le radici cristiane, nonostante i tentativi di ravvivarle anche da parte di grandi laici politici (per esempio Nicolas Sarkozy) e intellettuali (Jürgen Habermas e Bernard-Henri Lévy), sono, nella percezione comune, meno forti di un tempo.
In realtà il cristiano perseguitato fa «un po’, ma solo un po’ notizia se è italiano» aggiunge Riccardi. «Anche se spesso gli rinfacciano di essersela andata a cercare mettendosi a rischio. E invece io penso che queste persone disorientino perché sono testimonianze conturbanti per il nostro mondo europeo infragilito». Martiri così diversi — continua Riccardi — da quelli musulmani perché danno la vita e non la tolgono, portano spesso nuove aperture e sono segno di contraddizione. In Orissa, per esempio, i cristiani indiani «avevano grande capacità attrattiva perché in nome dell’eguaglianza evangelica volevano far uscire i paria dalle caste». E i cristiani iracheni, che erano in Mesopotamia molto prima dell’Islam, sono stati combattuti come agenti dello straniero e visti come avamposti dell’Occidente: «motivi speciosi: in realtà osteggiati in quanto unica presenza non armata nel caos tribale dell’Iraq».
Cattolico e medievalista, gran conoscitore dell’universo musulmano Franco Cardini sostiene che il clima contro i cristiani negli ultimi anni è molto peggiorato e mette in guardia contro l’idea un po’ edulcorata che abbiamo delle religioni in India che «non sono pacifiche ma piuttosto militari come il buddismo, o persecutorie come i sik e gli indù. Siamo di fronte a una religionizzazione della politica e il modo migliore per neutralizzarla è quello su cui ha insistito il Santo Padre, mai abbassare la guardia sul dialogo». Ma, visto che l’Islam è una fede distinta in un numero indefinito di comunità autocefale — il che vuol dire che ogni comunità risponde solo a se stessa — trovare l’interlocutore non sarà facile. (Maria Luisa Agnese, Corriere della sera, 28 novembre 2008)
E’ dunque questo il misero bilancio etico della strage di Mumbai: vittime di serie A e di serie B, doppio standard in materia di diritti umani, due pesi e due misure anche nel momento estremo della verità? Insomma i morti si pesano e non si contano? «I morti purtroppo non sono eguali, ci identifichiamo di più con il connazionale a rischio perché proprio la globalizzazione ha scatenato nuovi giochi di identità. E poi ci angosciamo di più a vedere assediato quell’albergo dove magari siamo stati o dove volevamo andare a Natale, e ora ci tocca pure cambiare le vacanze, e scegliere la più sicura Sicilia».
Così Andrea Riccardi professore di Storia contemporanea che nel ’68 è andato controcorrente, ha riletto il Vangelo e ha fondato la comunità di Sant’Egidio. Mentre un altro professore di Storia contemporanea, il laico Giovanni Sabbatucci, risponde alla domanda enunciando una specie di legge al riguardo: «C’è sempre una correlazione inversa fra il grado di coinvolgimento nella tragedia e la distanza, sia essa fisica o culturale. Non si giustifica eticamente, ma è innegabile che sia così».
Anche se, continua Sabbatucci, questa legge sembrerebbe contraddetta dallo scarso rilievo dato dai media europei alle persecuzioni cristiane in India: anche qui una congiura della distrazione perché soltanto quest’estate, in Orissa, stato dell’India orientale, sarebbero stati massacrati (secondo il partito comunista del luogo) cinquecento cristiani: «A Kandhamal siamo stati trattati peggio degli animali: ogni cosa indegna, ogni tortura è stata possibile contro di noi» secondo la testimonianza di padre Bernard Dighal ad AsiaNews . Ma in realtà — continua Sabbatucci — questa scarsa attenzione mediatica ai martiri non contraddice la legge di cui sopra, perché ormai «non sussiste più la comune appartenenza alla cristianità come un dato primario». Insomma, secondo lo storico, è un altro dato di fatto che le radici cristiane, nonostante i tentativi di ravvivarle anche da parte di grandi laici politici (per esempio Nicolas Sarkozy) e intellettuali (Jürgen Habermas e Bernard-Henri Lévy), sono, nella percezione comune, meno forti di un tempo.
In realtà il cristiano perseguitato fa «un po’, ma solo un po’ notizia se è italiano» aggiunge Riccardi. «Anche se spesso gli rinfacciano di essersela andata a cercare mettendosi a rischio. E invece io penso che queste persone disorientino perché sono testimonianze conturbanti per il nostro mondo europeo infragilito». Martiri così diversi — continua Riccardi — da quelli musulmani perché danno la vita e non la tolgono, portano spesso nuove aperture e sono segno di contraddizione. In Orissa, per esempio, i cristiani indiani «avevano grande capacità attrattiva perché in nome dell’eguaglianza evangelica volevano far uscire i paria dalle caste». E i cristiani iracheni, che erano in Mesopotamia molto prima dell’Islam, sono stati combattuti come agenti dello straniero e visti come avamposti dell’Occidente: «motivi speciosi: in realtà osteggiati in quanto unica presenza non armata nel caos tribale dell’Iraq».
Cattolico e medievalista, gran conoscitore dell’universo musulmano Franco Cardini sostiene che il clima contro i cristiani negli ultimi anni è molto peggiorato e mette in guardia contro l’idea un po’ edulcorata che abbiamo delle religioni in India che «non sono pacifiche ma piuttosto militari come il buddismo, o persecutorie come i sik e gli indù. Siamo di fronte a una religionizzazione della politica e il modo migliore per neutralizzarla è quello su cui ha insistito il Santo Padre, mai abbassare la guardia sul dialogo». Ma, visto che l’Islam è una fede distinta in un numero indefinito di comunità autocefale — il che vuol dire che ogni comunità risponde solo a se stessa — trovare l’interlocutore non sarà facile. (Maria Luisa Agnese, Corriere della sera, 28 novembre 2008)
Donna lapidata in Somalia nel silenzio del mondo
Chisimaio, porto sulla costa somala a pochi Km dal Kenia, era un nome esotico ed evocativo per i nostri nonni e bisnonni. Sulla foce del fiume Giuba era uno dei pochi angoli tropicali del nostro “impero coloniale”, una delle poche terre senza sabbia e pietraie. Era anche “capitale” della stravagante colonia d’Oltregiuba, una striscia di terra che prolungava a sud la Somalia, magra consolazione per i morti della prima Guerra Mondiale.
Qualche km quadrato di bananeti e di palmeti lungo la costa e steppe semidesertiche nell’interno, fu ceduto dall’Inghilterra all’Italia in base al protocollo di Londra del 15 luglio 1924, così da far sembrare meno amara la frustrazione dei progetti espansionistici italiani in Dalmazia e nell’Egeo.
Nel periodo coloniale italiano Chisimaio divenne la terza città per importanza politica, economica e sociale della Somalia; dal suo porto partivano le bananiere verso la madrepatria, quando il regime fascista impose che in Italia si potessero vendere solo banane somale. Oggi Chisimaio e il suo hinterland sono terra di nessuno e forse molti dei suoi abitanti, ascoltando i racconti dei vecchi, rimpiangono quegli anni e il “monopolio bananiero”.
Da anni la Somalia intera è teatro di scontri tra le bande armate dei “signori della guerra”. In particolare nel sud dettano legge i miliziani delle “Corti islamiche”, la versione somala dei Talebani, ed è la dura legge della “Sharia”. Lo scorso 28 ottobre la Sharia è stata applicata a Chisimaio. Ne ha fatto le spese Aisha Ibrahim Duhulow, accusata di fornicazione e quindi lapidata. Tradizionale velo verde sul capo, il volto coperto da un panno nero, Aisha è stata sepolta sino al collo in una buca e poi uccisa a colpi di pietra.
Aveva 23 anni, addirittura 13 secondo le fonti di Amnesty International. Eppure è passata tra le brevi di cronaca, qualche accenno in tv, qualche trafiletto sui giornali – non tutti – pochi commenti, la maggior parte sulla stampa cattolica, da sempre abituata ad uno sguardo che va oltre il balcone di casa. Niente “sit-in”, nessuna delle “fiaccolate” di rito, nessuna manifestazione, nessun corteo, nessun slogan, nessuno striscione. Semplicemente non interessa o come si dice oggi non fa “odiens”.
Ad Aisha è andata male! Purtroppo per lei, è stata uccisa in Somalia a sassate e non in una prigione dal Texas: eggià i morti ammazzati non sono tutti uguali! Purtroppo per lei, è morta in un periodo di crisi finanziaria: si sa che la borsa val ben più della vita! Purtroppo per lei, è stata uccisa in osservanza ai dettami della legge islamica: l’islam non si tocca né si critica perché fa troppa paura all’Occidente codardo; con l’islam vige il comandamento del dialogo, ma rigorosamente con la “coda tra le gambe” e le “braghe calate”!
Per togliersi, ogni tanto, qualche sassolino dalle scarpe, verrebbe da chiedersi dove son finiti tutti quegli sbraitanti giornalisti, uomini di cultura, liberi pensatori, quelli che fanno le pulci a Pio XII e, falsamente, lo accusano di complici silenzi. Perché tacciono davanti a tanta barbarie? Perché non pretendono pubbliche condanne, inchini e scuse almeno dagli imam di casa nostra? Perché non chiedono ad Arabia Saudita ed Emiri del Golfo di prendere la distanza e di rigettare tali pratiche? Forse hanno paura che qualche sasso di rimbalzo colpisca anche loro o forse, abituati a criticare il passato, han finito per estraniarsi del tutto dal presente.
E poi c’è la politica internazionale che ha abbandonato la Somalia, fintanto da far diventare le sue coste, in pieno 2008, covi di pirati che assaltano le navi, come ai tempi dei Bucanieri dei Carabi. Interessi, strategie, equilibri, che ci sfuggono tanto sono più grandi di noi, ma che pure ci inquietano e ci fanno indignare, tanto lontani dall’umanità e dal diritto sono a volte i criteri della politica mondiale. Angoli del mondo sui quali i riflettori dei notiziari fanno fatica a posarsi, ma dove un’umanità desolata continua a soffrire e a morire. Una storia tutta da riscrivere, compreso il mito della decolonizzazione africana che proprio nel Corno d’Africa, Somalia, Etiopia ed Eritrea, ha registrato uno dei suoi più clamorosi fallimenti.
Chisimaio, deriva il suo nome da due vocaboli kibajuni, la lingua dei suoi fondatori, “Kisima”, cioè “pozzo”, e “yu”, cioè “profondo”, cosicché il nome della città significa “pozzo profondo”. Il pozzo in Africa è vita; se è profondo significa acqua sempre, anche nella stagione secca, quando la pioggia non cade per mesi. Significa allevamento, agricoltura, raccolti, gioia, festa, colori, danze e suoni. Il silenzio e l’indifferenza del mondo non lo condanni a diventare un’ennesima foiba di orrore. (don Maurizio Cerini, Rassegna stampa, 27 novembre 2008)
Qualche km quadrato di bananeti e di palmeti lungo la costa e steppe semidesertiche nell’interno, fu ceduto dall’Inghilterra all’Italia in base al protocollo di Londra del 15 luglio 1924, così da far sembrare meno amara la frustrazione dei progetti espansionistici italiani in Dalmazia e nell’Egeo.
Nel periodo coloniale italiano Chisimaio divenne la terza città per importanza politica, economica e sociale della Somalia; dal suo porto partivano le bananiere verso la madrepatria, quando il regime fascista impose che in Italia si potessero vendere solo banane somale. Oggi Chisimaio e il suo hinterland sono terra di nessuno e forse molti dei suoi abitanti, ascoltando i racconti dei vecchi, rimpiangono quegli anni e il “monopolio bananiero”.
Da anni la Somalia intera è teatro di scontri tra le bande armate dei “signori della guerra”. In particolare nel sud dettano legge i miliziani delle “Corti islamiche”, la versione somala dei Talebani, ed è la dura legge della “Sharia”. Lo scorso 28 ottobre la Sharia è stata applicata a Chisimaio. Ne ha fatto le spese Aisha Ibrahim Duhulow, accusata di fornicazione e quindi lapidata. Tradizionale velo verde sul capo, il volto coperto da un panno nero, Aisha è stata sepolta sino al collo in una buca e poi uccisa a colpi di pietra.
Aveva 23 anni, addirittura 13 secondo le fonti di Amnesty International. Eppure è passata tra le brevi di cronaca, qualche accenno in tv, qualche trafiletto sui giornali – non tutti – pochi commenti, la maggior parte sulla stampa cattolica, da sempre abituata ad uno sguardo che va oltre il balcone di casa. Niente “sit-in”, nessuna delle “fiaccolate” di rito, nessuna manifestazione, nessun corteo, nessun slogan, nessuno striscione. Semplicemente non interessa o come si dice oggi non fa “odiens”.
Ad Aisha è andata male! Purtroppo per lei, è stata uccisa in Somalia a sassate e non in una prigione dal Texas: eggià i morti ammazzati non sono tutti uguali! Purtroppo per lei, è morta in un periodo di crisi finanziaria: si sa che la borsa val ben più della vita! Purtroppo per lei, è stata uccisa in osservanza ai dettami della legge islamica: l’islam non si tocca né si critica perché fa troppa paura all’Occidente codardo; con l’islam vige il comandamento del dialogo, ma rigorosamente con la “coda tra le gambe” e le “braghe calate”!
Per togliersi, ogni tanto, qualche sassolino dalle scarpe, verrebbe da chiedersi dove son finiti tutti quegli sbraitanti giornalisti, uomini di cultura, liberi pensatori, quelli che fanno le pulci a Pio XII e, falsamente, lo accusano di complici silenzi. Perché tacciono davanti a tanta barbarie? Perché non pretendono pubbliche condanne, inchini e scuse almeno dagli imam di casa nostra? Perché non chiedono ad Arabia Saudita ed Emiri del Golfo di prendere la distanza e di rigettare tali pratiche? Forse hanno paura che qualche sasso di rimbalzo colpisca anche loro o forse, abituati a criticare il passato, han finito per estraniarsi del tutto dal presente.
E poi c’è la politica internazionale che ha abbandonato la Somalia, fintanto da far diventare le sue coste, in pieno 2008, covi di pirati che assaltano le navi, come ai tempi dei Bucanieri dei Carabi. Interessi, strategie, equilibri, che ci sfuggono tanto sono più grandi di noi, ma che pure ci inquietano e ci fanno indignare, tanto lontani dall’umanità e dal diritto sono a volte i criteri della politica mondiale. Angoli del mondo sui quali i riflettori dei notiziari fanno fatica a posarsi, ma dove un’umanità desolata continua a soffrire e a morire. Una storia tutta da riscrivere, compreso il mito della decolonizzazione africana che proprio nel Corno d’Africa, Somalia, Etiopia ed Eritrea, ha registrato uno dei suoi più clamorosi fallimenti.
Chisimaio, deriva il suo nome da due vocaboli kibajuni, la lingua dei suoi fondatori, “Kisima”, cioè “pozzo”, e “yu”, cioè “profondo”, cosicché il nome della città significa “pozzo profondo”. Il pozzo in Africa è vita; se è profondo significa acqua sempre, anche nella stagione secca, quando la pioggia non cade per mesi. Significa allevamento, agricoltura, raccolti, gioia, festa, colori, danze e suoni. Il silenzio e l’indifferenza del mondo non lo condanni a diventare un’ennesima foiba di orrore. (don Maurizio Cerini, Rassegna stampa, 27 novembre 2008)
Dio e le prove matematiche della sua inesistenza
Se l'evoluzionista Charles Dawkins (quello del "gene egoista") mi ripete in modo ossessivo che Dio non esiste e mi dipinge la religione come una droga (quando va bene) o come una malattia mentale (quando va peggio), un virus of the mind, per dirla come lui, il suo parere conta quanto quello del mio barbiere sullo stesso argomento (ma vi assicuro che dal barbiere, quelle rare volte che ci vado, parliamo d'altro).
Se scorgo sullo scaffale di una libreria un libretto di un professore inglese con prefazione di Piergiorgio Odifreddi, dal titolo Le prove matematiche dell'inesistenza di Dio, non me ne curo più di quanto non faccia con un articolo di Novella 2000 sul sesso degli angeli.
Non prendete questo mio atteggiamento per un dogmatico oscurantismo medievale o per un'innata avversione nei confronti degli scienziati. Che, anzi, sono letteralmente affascinato da questi investigatori instancabili dell'ignoto. E' solo che Dawkins, Odifreddi e il suo collega inglese, e molti altri, nel momento in cui cominciano a parlare "scientificamente" di Dio, addirittura "matematicamente", ne sanno quanto il barbiere o la cronista di Novella 2000, anzi, forse anche meno, in quanto il modello scientifico non è in grado di decidere l'ipotesi di Dio, né positivamente, né negativamente.
Di fronte a tali argomenti, uno scienziato serio, invece di scrivere libretti di sicuro impatto, ma di scarso valore, dovrebbe pronunciarsi per un sano e prudente (perché quando si parla di Dio non si sa mai) agnosticismo. Una sospensione di giudizio. Questo è l'atteggiamento non solo più sano, ma più corretto, perché le acquisizioni scientifiche sono sempre parziali e provvisorie e, soprattutto, si applicano ad oggetti misurabili, quantificabili. Per cui quando Dawkins sostiene che l'evoluzionismo obbliga ad essere atei, dice una sostanziale, colossale idiozia. Inoltre, sta abbandonando i confini del sentiero scientifico e si sta addentrano in quello della filosofia. Insomma, è fuori tema.
L'impostura è che questi signori, invece, ci tengono a presentarsi come scienziati.
In questi giorni si parla di Dawkins, perché il vecchione se ne va in pensione e pare che sia piuttosto disincantato e deluso: nonostante i molti libri che ha scritto contro la fede, la gente continua a credere. I suoi seguaci intanto si danno un gran da fare. C'è una bella e giovane giornalista, Ariane Sherine, che ha lanciato addirittura l'idea di una campagna pubblicitaria a favore dell'ateismo a Londra.
E così può capitare di vedere su uno di quei tipici bus londinesi il cartellone con su scritto (la traduzione è mia): "Probabilmente Dio non c'è. Ora smettete di disperarvi e cominciate a godervi la vita". Ovviamente il nemico numero uno da abbattere è il cristianesimo (pare che esistano diverse sette in giro che hanno proprio l'obiettivo principale di distruggerlo), e ancora una volta l'offensiva viene dal Regno Unito: l'ultima notizia è che ad Oxford stanno tentando di abolire il Natale e di sostituirlo con una più generica festa della luce invernale.
La battaglia in favore dell'ateismo è dunque combattuta in nome di una scienza che scienza non è. Semmai è scientismo, cioè un'ideologia, una filosofia, una specie di religione alternativa.
Recentemente Benedetto XVI ha evocato Galileo durante il suo saluto all'Accademia Pontificia, riunita in un convegno sull'evoluzione dell'universo alla presenza del cosmologo Stephen Hawking. Bene, il Papa ha ribadito che il "processo" è ormai definitivamente superato e che religione e scienza devono entrare (fatta salva la loro specifica autonomia) in un dialogo costruttivo. Ma se rispetto al suo predecessore Urbano VIII (quello della condanna di Galileo) Benedetto XVI (come già Giovanni Paolo II prima di lui) dimostra di aver imboccato la giusta strada del rispetto e del dialogo, gli scientisti dimostrano, invece, di essere rimasti bloccati nell'assurda pretesa di definire "come si va", o come non si va, in cielo. Cosa di cui invece non dovrebbero proprio occuparsi.
Forse Urbano VIII aveva già intravisto il pericolo di una scienza che diventa religione e che giudica la religione, tra l'altro senza nemmeno avere le prove di quel che sostiene (come nel caso di Galileo).
Pare che Hawkins abbia concluso il suo intervento confidando che tra breve la scienza, da sola, darà la risposta alle domande primordiali: Perché siamo qui?, Da dove veniamo?
"Non si accorge - commenta l'astrofisico Piero Benvenuti - che qualora questa sua profezia si avverasse, da quel momento in poi la Scienza e la Ricerca terminerebbero e non avrebbero più senso: come scienziato mi sembra una prospettiva molto triste e senza speranza".
Io penso che sia Hawkins, che Dawkins, che Odifreddi farebbero bene ad avere più senso della realtà, unito a un pizzico di umiltà. E a rileggersi continuamente (visto che tra l'altro, il Natale, quello vero, si avvicina) l'ammonimento saggio di Dante: «State contenti, umana gente, al quia; chè, se possuto aveste veder tutto, mestier non era parturir Maria». (Gianluca Zappa, La Cittadella, 24 novembre 2008)
Se scorgo sullo scaffale di una libreria un libretto di un professore inglese con prefazione di Piergiorgio Odifreddi, dal titolo Le prove matematiche dell'inesistenza di Dio, non me ne curo più di quanto non faccia con un articolo di Novella 2000 sul sesso degli angeli.
Non prendete questo mio atteggiamento per un dogmatico oscurantismo medievale o per un'innata avversione nei confronti degli scienziati. Che, anzi, sono letteralmente affascinato da questi investigatori instancabili dell'ignoto. E' solo che Dawkins, Odifreddi e il suo collega inglese, e molti altri, nel momento in cui cominciano a parlare "scientificamente" di Dio, addirittura "matematicamente", ne sanno quanto il barbiere o la cronista di Novella 2000, anzi, forse anche meno, in quanto il modello scientifico non è in grado di decidere l'ipotesi di Dio, né positivamente, né negativamente.
Di fronte a tali argomenti, uno scienziato serio, invece di scrivere libretti di sicuro impatto, ma di scarso valore, dovrebbe pronunciarsi per un sano e prudente (perché quando si parla di Dio non si sa mai) agnosticismo. Una sospensione di giudizio. Questo è l'atteggiamento non solo più sano, ma più corretto, perché le acquisizioni scientifiche sono sempre parziali e provvisorie e, soprattutto, si applicano ad oggetti misurabili, quantificabili. Per cui quando Dawkins sostiene che l'evoluzionismo obbliga ad essere atei, dice una sostanziale, colossale idiozia. Inoltre, sta abbandonando i confini del sentiero scientifico e si sta addentrano in quello della filosofia. Insomma, è fuori tema.
L'impostura è che questi signori, invece, ci tengono a presentarsi come scienziati.
In questi giorni si parla di Dawkins, perché il vecchione se ne va in pensione e pare che sia piuttosto disincantato e deluso: nonostante i molti libri che ha scritto contro la fede, la gente continua a credere. I suoi seguaci intanto si danno un gran da fare. C'è una bella e giovane giornalista, Ariane Sherine, che ha lanciato addirittura l'idea di una campagna pubblicitaria a favore dell'ateismo a Londra.
E così può capitare di vedere su uno di quei tipici bus londinesi il cartellone con su scritto (la traduzione è mia): "Probabilmente Dio non c'è. Ora smettete di disperarvi e cominciate a godervi la vita". Ovviamente il nemico numero uno da abbattere è il cristianesimo (pare che esistano diverse sette in giro che hanno proprio l'obiettivo principale di distruggerlo), e ancora una volta l'offensiva viene dal Regno Unito: l'ultima notizia è che ad Oxford stanno tentando di abolire il Natale e di sostituirlo con una più generica festa della luce invernale.
La battaglia in favore dell'ateismo è dunque combattuta in nome di una scienza che scienza non è. Semmai è scientismo, cioè un'ideologia, una filosofia, una specie di religione alternativa.
Recentemente Benedetto XVI ha evocato Galileo durante il suo saluto all'Accademia Pontificia, riunita in un convegno sull'evoluzione dell'universo alla presenza del cosmologo Stephen Hawking. Bene, il Papa ha ribadito che il "processo" è ormai definitivamente superato e che religione e scienza devono entrare (fatta salva la loro specifica autonomia) in un dialogo costruttivo. Ma se rispetto al suo predecessore Urbano VIII (quello della condanna di Galileo) Benedetto XVI (come già Giovanni Paolo II prima di lui) dimostra di aver imboccato la giusta strada del rispetto e del dialogo, gli scientisti dimostrano, invece, di essere rimasti bloccati nell'assurda pretesa di definire "come si va", o come non si va, in cielo. Cosa di cui invece non dovrebbero proprio occuparsi.
Forse Urbano VIII aveva già intravisto il pericolo di una scienza che diventa religione e che giudica la religione, tra l'altro senza nemmeno avere le prove di quel che sostiene (come nel caso di Galileo).
Pare che Hawkins abbia concluso il suo intervento confidando che tra breve la scienza, da sola, darà la risposta alle domande primordiali: Perché siamo qui?, Da dove veniamo?
"Non si accorge - commenta l'astrofisico Piero Benvenuti - che qualora questa sua profezia si avverasse, da quel momento in poi la Scienza e la Ricerca terminerebbero e non avrebbero più senso: come scienziato mi sembra una prospettiva molto triste e senza speranza".
Io penso che sia Hawkins, che Dawkins, che Odifreddi farebbero bene ad avere più senso della realtà, unito a un pizzico di umiltà. E a rileggersi continuamente (visto che tra l'altro, il Natale, quello vero, si avvicina) l'ammonimento saggio di Dante: «State contenti, umana gente, al quia; chè, se possuto aveste veder tutto, mestier non era parturir Maria». (Gianluca Zappa, La Cittadella, 24 novembre 2008)
Finalmente c'è un giudice anche a Roma
La buona educazione imporrebbe di non esultare per una condanna, perché quando qualcuno finisce in galera si usa dire che è una sconfitta per tutti. Ma siccome a volte, per non dire sempre, è meglio essere maleducati che ipocriti, ci rallegriamo pubblicamente per i dieci anni che il gup Marina Finiti ha inflitto a tale Stefano Lucidi, un signore che nel maggio scorso a Roma aveva investito e ucciso due ragazzi che viaggiavano su uno scooter. Investiti, si badi bene, in queste condizioni: 1) era drogato; 2) era ubriaco; 3) andava a velocità folle; 4) era passato con il rosso; 5) era interdetto alla guida; 6) dopo aver travolto i due ragazzi, era scappato.
È la condanna più pesante mai comminata in Italia per un incidente stradale: il precedente «record» era di sei anni e mezzo, e spettava a Marco Ahmetovic, il giovane rom che il 23 aprile 2007 aveva ammazzato quattro ragazzi ad Appignano del Tronto guidando - pure lui ubriaco - un furgone. Ma, soprattutto, ieri per la prima volta in Italia il responsabile di un incidente stradale è stato riconosciuto colpevole di omicidio volontario.
Ed è questa la vera novità. Con la sentenza di ieri il gup Marina Finiti ha non solo fatto giustizia, ma spazzato via tutta la retorica auto-giustificazionista di legioni di suoi colleghi i quali, ogni volta che si contesta loro di usare la mano morbida, rispondono che questa è la legge, e loro non possono farci nulla. Dicono: il codice ha le sue norme, e noi quelle dobbiamo applicare; se non si fa giustizia, la colpa è dei politici che non cambiano le leggi.
In realtà in Italia la legge già riconosce ai magistrati - molto più che altrove - un ampio potere discrezionale. Nel caso degli incidenti, è vero che quasi sempre si tratta di colpa e non di dolo, perché non c'è la volontà di uccidere. Ma il Codice - il Codice che c'è già: non quello fantasticato da giudici che allargano le braccia in segno di impotenza - prevede il cosiddetto «dolo eventuale», cioè l'aver «agito nonostante la previsione dell'evento». Ad esempio: se vado ai giardinetti in pieno giorno e sparo contro una siepe, posso ragionevolmente mettere in conto l'elevata possibilità di far secco qualcuno che non vedo, ma che è probabile stia dall'altra parte. Allo stesso modo, chi guida nelle condizioni in cui guidava Lucidi, non può dire, se ammazza qualcuno, che non l'ha fatto apposta.
Non sappiamo se la sentenza del giudice Finiti resisterà ai successivi gradi di giudizio. Conoscendo la giustizia italiana, ne dubitiamo. Ma intanto un giudice ha finalmente avuto il coraggio di far prevalere il buon senso sui cavilli. Ha rotto un tabù, insomma, e fissato un precedente. Per questo ci rallegriamo. A costo di passare per rozzi forcaioli. (Michele Brambilla, 27 novembre 2008)
È la condanna più pesante mai comminata in Italia per un incidente stradale: il precedente «record» era di sei anni e mezzo, e spettava a Marco Ahmetovic, il giovane rom che il 23 aprile 2007 aveva ammazzato quattro ragazzi ad Appignano del Tronto guidando - pure lui ubriaco - un furgone. Ma, soprattutto, ieri per la prima volta in Italia il responsabile di un incidente stradale è stato riconosciuto colpevole di omicidio volontario.
Ed è questa la vera novità. Con la sentenza di ieri il gup Marina Finiti ha non solo fatto giustizia, ma spazzato via tutta la retorica auto-giustificazionista di legioni di suoi colleghi i quali, ogni volta che si contesta loro di usare la mano morbida, rispondono che questa è la legge, e loro non possono farci nulla. Dicono: il codice ha le sue norme, e noi quelle dobbiamo applicare; se non si fa giustizia, la colpa è dei politici che non cambiano le leggi.
In realtà in Italia la legge già riconosce ai magistrati - molto più che altrove - un ampio potere discrezionale. Nel caso degli incidenti, è vero che quasi sempre si tratta di colpa e non di dolo, perché non c'è la volontà di uccidere. Ma il Codice - il Codice che c'è già: non quello fantasticato da giudici che allargano le braccia in segno di impotenza - prevede il cosiddetto «dolo eventuale», cioè l'aver «agito nonostante la previsione dell'evento». Ad esempio: se vado ai giardinetti in pieno giorno e sparo contro una siepe, posso ragionevolmente mettere in conto l'elevata possibilità di far secco qualcuno che non vedo, ma che è probabile stia dall'altra parte. Allo stesso modo, chi guida nelle condizioni in cui guidava Lucidi, non può dire, se ammazza qualcuno, che non l'ha fatto apposta.
Non sappiamo se la sentenza del giudice Finiti resisterà ai successivi gradi di giudizio. Conoscendo la giustizia italiana, ne dubitiamo. Ma intanto un giudice ha finalmente avuto il coraggio di far prevalere il buon senso sui cavilli. Ha rotto un tabù, insomma, e fissato un precedente. Per questo ci rallegriamo. A costo di passare per rozzi forcaioli. (Michele Brambilla, 27 novembre 2008)
giovedì 20 novembre 2008
Dialogo? No! Solitudine sul servizio pubblico
Lupus extra: Gianni Gennari, giornalista di Avvenire a firma Rosso Malpelo, non è stato accettato da “La 7” come interlocutore in un confronto diretto con Corrado Augias.
Lo stesso giornalista ce ne dà notizia: «Ieri giustamente tante pagine su religioni e "dialogo", ma su "Repubblica" (p. 30) Corrado Augias risponde ad una lettrice ripetendo secco che Chiesa e cattolici "tradiscono" alla grande "il messaggio evangelico". Lui non "dialoga": in due recenti libri di radicale accusa a cristianesimo e Chiesa cattolica ha voluto due comodi interlocutori e soprattutto nel secondo, "Inchiesta sul cristianesimo", ha avuto campo libero per demolire tutto; poi, alla valanga di critiche argomentatissime, tra esse anche qui su "Avvenire", non ha degnato risposta. Non basta: ha portato i suoi libri in Tv, servizio pubblico, nelle varie trasmissioni da lui condotte, e anche altrove più volte: "almeno due dal docilissimo Fabio Fazio" e mai in dialogo serio con altri. Era la premessa. Lunedì 10 novembre mi informano che "La 7", in vista del programma "Le invasioni barbariche", ha chiesto alla Santa Sede un nome per un dialogo-confronto con Augias, sul suo libro, e che il nome suggerito è stato il mio. Ebbene: in trasmissione, il 14 scorso, Augias parla a lungo a Daria Bignardi tutta complimenti, ma in beata solitudine e coi soliti spunti: Gesù? Mai detto di essere Dio, mai pensato a una religione e tanto meno ad una Chiesa, pura invenzione successiva di secoli, e quindi gigantesco falso giunto per disgrazia fino a noi e che ancora rovina l'Italia e il mondo. Tutto da solo! Sì, c'era il giovane Tobia Zevi, di religione ebraica, ma per un breve sipario giustamente critico sulle risse tra cristiani al Santo Sepolcro.
A "La 7" giustificano: sentito quel nome [Gennari], immediato rifiuto: bell'esempio di dialogo... (© Copyright Avvenire, 20 novembre 2008)
Lo stesso giornalista ce ne dà notizia: «Ieri giustamente tante pagine su religioni e "dialogo", ma su "Repubblica" (p. 30) Corrado Augias risponde ad una lettrice ripetendo secco che Chiesa e cattolici "tradiscono" alla grande "il messaggio evangelico". Lui non "dialoga": in due recenti libri di radicale accusa a cristianesimo e Chiesa cattolica ha voluto due comodi interlocutori e soprattutto nel secondo, "Inchiesta sul cristianesimo", ha avuto campo libero per demolire tutto; poi, alla valanga di critiche argomentatissime, tra esse anche qui su "Avvenire", non ha degnato risposta. Non basta: ha portato i suoi libri in Tv, servizio pubblico, nelle varie trasmissioni da lui condotte, e anche altrove più volte: "almeno due dal docilissimo Fabio Fazio" e mai in dialogo serio con altri. Era la premessa. Lunedì 10 novembre mi informano che "La 7", in vista del programma "Le invasioni barbariche", ha chiesto alla Santa Sede un nome per un dialogo-confronto con Augias, sul suo libro, e che il nome suggerito è stato il mio. Ebbene: in trasmissione, il 14 scorso, Augias parla a lungo a Daria Bignardi tutta complimenti, ma in beata solitudine e coi soliti spunti: Gesù? Mai detto di essere Dio, mai pensato a una religione e tanto meno ad una Chiesa, pura invenzione successiva di secoli, e quindi gigantesco falso giunto per disgrazia fino a noi e che ancora rovina l'Italia e il mondo. Tutto da solo! Sì, c'era il giovane Tobia Zevi, di religione ebraica, ma per un breve sipario giustamente critico sulle risse tra cristiani al Santo Sepolcro.
A "La 7" giustificano: sentito quel nome [Gennari], immediato rifiuto: bell'esempio di dialogo... (© Copyright Avvenire, 20 novembre 2008)
Ebrei. Sospesa la collaborazione con la Chiesa cattolica nella giornata dell'ebraismo
La giornata dell'ebraismo, celebrata dagli ebrei italiani ogni 17 gennaio, non prevede, quest'anno, iniziative comuni con la Chiesa cattolica. Lo rende noto il rabbino Giuseppe Laras, presidente dell'Assemblea rabbinica italiana. Una "sospensione" della collaborazione, spiega, motivata dall'irrisolta questione della preghiera del venerdì santo che, nonostante la riformulazione voluta dal Papa proprio per andare incontro alla sensibilità ebraica, è finita, invece, col riattizzare le tensioni. "Quest'anno la giornata dell'ebraismo non verrà fatta insieme, come si è sempre fatto. Ci sarà una sospensione della collaborazione, dato che non è stata ancora risolta la 'vertenza' nata lo scorso febbraio sulla cosiddetta preghiera del venerdì santo", afferma Laras a margine di una tavola rotonda interreligiosa alla Camera dei deputati. Sul tema, con i vertici della Chiesa cattolica c'è stato un "dialogo", conferma Laras, "ma non si è arrivati a nessun risultato soddisfacente dal nostro punto di vista. Per il momento abbiamo deciso la sospensione, poi nella vita si supera tutto...". Non vi sarà, dunque, una 'giornata della riflessione ebraico-cristiana' targata Cei, ma solamente una giornata dell'ebraismo. Dopo le critiche ebraiche alla preghiera del venerdì santo tornata in uso con il messale preconciliare liberalizzato da Ratzinger (la cosiddetta messa in latino), la Santa Sede ha deciso di modificarne il testo. Già Giovanni XXIII, nel 1959, aveva 'ammorbidito' la preghiera, eliminando sia il 'perfidis' attribuito agli ebrei che il successivo riferimento alla "perfidia" giudaica. Ma nella preghiera erano rimasti riferimenti all'"accecamento" e alle "tenebre" del popolo ebraico, eliminati da Ratzinger. La nuova formula di preghiera per gli ebrei, introdotta lo scorso 6 febbraio, invoca Dio perché "illumini" i cuori degli ebrei "perché riconoscano Gesù Cristo salvatore di tutti gli uomini. Dio onnipotente ed eterno, che vuoi che tutti gli uomini si salvino e giungano alla conoscenza della verità - prosegue la nuova preghiera - concedi nella tua bontà che, entrando la pienezza dei popoli nella tua Chiesa, tutto Israele sia salvo. Per Cristo nostro Signore. Amen". La controversia su Pio XII beato ha influito nella decisione di sospendere la giornata ebraico-cristiana? "Ho detto in passato e ora ribadisco che il problema della beatificazione è interno alla Chiesa e su di esso noi non dobbiamo assolutamente intervenire", risponde Laras. "Però rivendichiamo il diritto di formulare un giudizio storico critico. Si poteva protestare di più (nei confronti dei regimi nazifascisti, ndr.)". (© Copyright Apcom). Commenta giustamente Raffaella, curatrice di “Papa Ratzinger blog”: Sapete che vi dico? Allargo le braccia e pronuncio un sonoro: pazienza!La Chiesa non puo' vivere sempre sotto pressione per uno o l'altro motivo.Mi pare che gli sforzi del Papa per portare avanti il dialogo siano lodevoli, ma non possiamo strapparci i capelli se l'altra parte non apprezza.Da notare che questo atteggiamento si riscontra solo nel mondo ebraico italiano.Ricordo agli amici Ebrei che per anni la preghiera del Venerdi' Santo e' rimasta in vigore, senza modifiche, grazie all'indulto di Giovanni Paolo II, ma, allora, nessuno ebbe nulla da dire.Come mai? E' la preghiera che disturba o un Papa in particolare?Il processo di beatificazione di Pio XII? Inizio' sotto Paolo VI e continuo' sotto il Pontificato di Papa Wojtyla, ma allora le polemiche non era cosi' accese. Come mai?Da segnalare anche che i giornaloni riportano con molta enfasi questa notizia privilegiando, ovviamente, la voce ebraica.Non una parola sulle dichiarazioni di Laras a proposito del "caso" Eluana.Enno'! Che cosa c'e'? E' politicamente-religiosamente-mediaticamente corretto attaccare solo la Chiesa Cattolica? (18 novembre 2008)
L'ombra del materialismo sul premio negato a Cabibbo
Non è raro che l'assegnazione del premio Nobel susciti polemiche di vario tipo. Il premio è accompagnato da una ricca aneddotica, ad esempio riguardo l'assenza di una sezione per la Matematica accanto a quelle per le altre discipline scientifiche, o la coincidenza che ha visto scrittori premiati non appena le loro opere erano tradotte in svedese (con relativa corsa ad assicurarsi i favori delle case editrici scandinave) o le ragioni per cui uno scrittore come Borges non fu mai premiato.In realtà, troppo spesso i membri dell'Accademia sono stati permeabili a pressioni politiche di vario genere. L'Italia ha il poco invidiabile privilegio di essere il paese che ha subito l'ultima scelta controversa. Il premio Nobel per la Fisica è stato assegnato, come è usuale da diversi anni, ad una terna di studiosi. Due di loro sono fisici teorici giapponesi che nel mondo della ricerca sono famosi per il contributo dato allo sviluppo del Modello Standard della fisica delle particelle: si tratta di Kobayashi e Maskawa. Il terzo è un altro fisico teorico giapponese, Nambu, premiato - dettaglio che potrebbe essere sfuggito al grande pubblico - per una ricerca differente da quella dei primi due. Tra i premiati manca quindi la lettera "C" della matrice "CKM", iniziale del cognome di uno dei più brillanti fisici italiani: Nicola Cabibbo. Di Cabibbo fu l'intuizione originaria (nel 1963), che fu poi estesa e portata a compimento dai due giapponesi. La matrice CKM riguarda il comportamento dei quark. Non c'è dubbio comunque che il contributo dei tre sia inscindibile e in tutto il mondo scientifico la matrice è nota come CKM. In un caso come questo, premiare solo le due "lettere finali" sembra una vera forzatura. La motivazione ufficiale recita che in realtà solo la matrice finale spiega un particolare fenomeno. Questo però non sminuisce il fatto che la giusta impostazione iniziale, da tutti riconosciuta, sia stata quella dovuta a Cabibbo. Fatte le debite proporzioni, sarebbe come avere di fronte Newton ed Einstein.. e premiare solo il secondo, perché la meccanica classica non spiega importanti fenomeni. La vicenda pare più che mai una forzatura, soprattutto se si considera che il terzo premio Nobel, Nambu, è anche lui un fisico teorico giapponese, ma è stato premiato per una ricerca diversa. Per quella che pare l'ultima ironia, il secondo firmatario del lavoro di Nambu è un altro italiano, Giovanni Jona Lasinio; il modello era solitamente citato, nell'ambiente, come "modello Nambu-Jona Lasinio". Il voler premiare tre nomi non ha aiutato, come doveva, Cabibbo, e insieme ha sacrificato l'altro italiano, producendo questa strana terna "ibrida". Perché escludere Cabibbo? L'ambiente scientifico italiano è compatto nel deplorare la scelta di Stoccolma, ma non si pronuncia ufficialmente. Non si ha notizia di alcuna polemica mai intercorsa tra Kobayashi, Maskawa e Cabibbo. Secondo alcuni c'è una spiegazione possibile, almeno parziale, ma avrebbe ben poco di scientifico. Qualcuno avrà letto che Stephen Hawking, il più illustre astrofisico vivente, è venuto in questi giorni a Roma per partecipare ai tre giorni della Pontificia Accademia delle Scienze, dedicati al dialogo tra scienza e fede. Ha partecipato Papa Ratzinger, che ha citato Galilei e l'accordo tra la sua concezione della Natura come "libro" scritto da Dio e creazione (non "creazionismo" antiscientifico). Ebbene, il presidente della Pontificia Accademia delle Scienze è proprio Nicola Cabibbo. In quanto tale, negli ultimi 15 anni ha avuto un ruolo nella riabilitazione di Galilei e nella posizione cattolica di ritenere la teoria di Darwin non in sostanziale contrasto con la Creazione (mentre lo è l'evoluzionismo materialista propugnato oggi da alcuni studiosi). Cabibbo è spesso intervenuto sulla necessità di una scienza che non dimentichi i problemi etici, ad esempio nella prolusione da lui tenuta per il Giubileo degli scienziati nel 2000. Il sospetto è quindi che qualcuno possa essere stato influenzato (anche inconsciamente) da vecchi pregiudizi positivisti e scientisti, o dai nuovi pregiudizi del "politically correct". I pregiudizi, di qualunque tipo e origine, sono i peggiori nemici della scienza; quelli citati sono tra i più pericolosi, perché inficiano l'obiettività della scienza dal suo interno, apparentemente con l'obiettivo di difenderla. Se Cabibbo fosse stato davvero danneggiato dalle sue convinzioni personali o religiose (in modo estremamente accorto e difficilmente "dimostrabile") sarebbe un segnale molto negativo, indice di una progressiva ristrettezza di vedute laddove meno dovrebbe trovarsi. Già nel secolo scorso l'astrofisica "ufficiale" perse vent'anni di tempo rifiutandosi di accettare l'idea di un universo in espansione, perché questa sembrava implicare una "Creazione" troppo simile a quella della Genesi; era preferibile un universo ciclico, eterno. Solo l'evidenza sperimentale fece superare tali pregiudizi. Non resta quindi che augurarsi che i "sospetti" sul Nobel 2008 siano infondati. (© Copyright Il Tempo, 19 novembre 2008)
Se “Amici” è più avanti, forse nelle scuole statali c’è qualcosa che non va.
C’è già una scuola ambitissima dai giovani, severissima, che costringe a una disciplina sfiancante, che dopo massacranti prove e giudizi aguzzini sforna vincitori e vinti. è Amici, di Maria de Filippi. Lo studente Domenico Primotici ne è stato sospeso per un mese per aver insultato l’insegnante, con la possibilità di esservi riammesso solo dopo aver superato un regolare esame di ammissione. Esattamente quello che è stato sottratto alla scuola di tutti: eliminare e demonizzare selezioni, impegno, disciplina, rispetto, competizione, valutazioni, è stato presentato come una vittoria. Il risultato è che troppi ragazzi sono oggi smarriti e arrabbiati. In genere non si sanno neppure descrivere: non si conoscono. La conversazione, arte che in adolescenza dava forma alle tensioni ideali, è pressoché ignota, a furia di sentire e pronunciare sentenze non motivate. Resi incapaci di guardare, vedere, sentire, ascoltare, descrivere, pensare, i giovani, poveri di vocaboli, sono diventati poveri di pensieri e sensazioni. Le sfumature sono ingoiate dal sistema binario dei contrari e tutto diventa uguale, uno scivolo per la droga. Così, chiedendo a un ragazzino perché sia bello il videogioco a base di massacri, mi sento rispondere che è bello perché è bello. Ma perché? Perché dà emozioni forti. Quali? Uccidere e scappare. Ti piacciono i cadaveri? Ma no, che c’entra! E fare una scoperta, salvare qualcuno, compiere un viaggio avventuroso? Boh. Non parliamo della cultura. Mai sentito nominare Quasimodo (corso universitario)? Quelli, diligenti, alzano la mano: è il gobbo di Notre Dame. Per maggiori informazioni, chiedere alle Iene. L’intelligenza è uno scrigno di talenti. Li sotterri, e li perdi tutti. I becchini, facile vederli, stanno sfilando in corteo. (Federica Formando, psichiatra, Tempi, 4 novembre 2008)
lunedì 17 novembre 2008
Un orrore che ci divorerà
Per la prima volta, dopo mesi, oggi mi fa paura il foglio bianco. Non riesco a scrivere. Osservo la foto di Eluana e penso che dentro quegli occhi che ti guardano e non ti vedono c'è tutto il mistero della vita e della morte. C'è il senso della nostra esistenza. Ci sono i nostri ricordi, il passato, il futuro, c'è il nostro credo e la nostra speranza. Ho conosciuto da vicino il dramma del coma, sono entrato in quelle stanze piene di scienza e vuote di speranza, ho accarezzato mani vive sapendo che quelle mani non avrebbero potuto accarezzarmi mai più. So cosa significa fissare un volto caro sapendo che è lo stesso eppure ormai non ti riguarda, so cosa vuol dire il dramma di quei tratti che restano così vicini eppure diventano immensamente lontani, sempre familiari eppure come già in un altro mondo.So che tutto questo lacera le coscienze, ci interroga nel profondo. Meriterebbe un po' di silenzio, anziché la solita gazzarra. Ieri, dopo la sentenza della Cassazione, c'era chi esultava. Come si faccia a esultare per una giornata che profuma di angoscia e di morte, Dio solo lo sa. Verrebbe voglia di chiedere la moratoria delle dichiarazioni. Sono stato 50 giorni a interrogarmi di fronte al coma di mio padre, e mi sembrava impossibile da reggere. Dunque m'inchino di fronte al dolore disumano del papà di Eluana che da 16 anni vive immerso in un'angoscia che si rinnova. Daremo voce nel Giornale, come sempre, alla sua posizione. E daremo conto nei prossimi giorni delle opinioni di chi crede che di fronte al progredire della scienza è diventata irrinunciabile una legge sull'eutanasia. Ma io oggi, ve lo devo confessare, ho paura di questo foglio bianco. Scusate, ma lo penso: di una condanna a morte non avevo scritto mai.Dicono che Eluana morirà dolcemente, e non è vero: morirà dopo una lunga agonia. Dicono che a Eluana staccheranno le spina, e non è vero: in realtà smetteranno di nutrirla. Dicono che era accanimento, e non è vero: non si accaniscono, le danno solo il cibo per vivere. Dicono che Eluana voleva così, e magari è vero: ma di quante Eluana dovremo occuparci d'ora in poi? Il fatto è che da ieri si può, con una sentenza di tribunale, smettere di dare da mangiare e da bere a una persona che non può nutrirsi da sola. Quanti malati gravi può riguardare? E se vale per Eluana perché non per Maria o Giovanna o Antongiulia? E se vale per chi è in coma perché non per un disabile psichico, incapace di intendere e di volere? Chi stabilisce qual è la vita che vale la pena di essere vissuta e quale invece può essere interrotta? Un giudice? E in base a quali codici?Eluana mi commuove, la sua fine mi sgomenta, ma il «caso» mi atterrisce. Se penso a quello che accadrà alla ragazza rabbrividisco: saranno giorni di tormenti, come per Terri Schiavo. Ma se penso a quello che accadrà a noi, se possibile, rabbrividisco ancora di più. Perché il «caso» singolo, circondato da umana comprensione e ovvia pietà, rischia di diventare il grimaldello del liberatutti, il lasciapassare per ogni esagerazione. È sempre stato così. Quando si parlava dell'aborto, per esempio, spesso si citavano casi limite: ragazze stuprate, minorenni, magari in condizioni di disagio. Non volete ammettere l'interruzione di gravidanza in queste situazioni? Poi, una volta ammessa, se n'è fatta una pratica consueta, un'abitudine, il surrogato del preservativo. Succederà così anche con l'eutanasia? Durante quei 50 giorni attorno al letto di mio padre, sono stato tentato più volte di chiedere ai medici di interrompere l'agonia. Non escludo che l'abbiano fatto, non escludo che lo facciano regolarmente. In cuor mio, forse, l'approvo pure: la disperazione merita sempre comprensione. Ma usare la disperazione per scavalcare il Parlamento e introdurre, via tribunale, il diritto di uccidere chi non si può nutrire da solo non è comprensione. È un errore e un orrore. Anzi, di più: è un orrore mostruoso, che ci divorerà. (Mario Giordano, il Giornale, 14 novembre 2008)
giovedì 13 novembre 2008
Vescovo episcopaliano lancia crociata gay
È Gene Robinson, episcopaliano statunitense, che ha condotto un ritiro segreto con 75 preti gay cattolici per promuovere i diritti della cultura omosessuale nella Chiesa cattolica.
“Catholic Online”, un sito particolarmente seguito negli Stati Uniti, pubblica questo articolo, che vi offriamo nella nostra traduzione, e che è rappresentativo di come alcuni temi siano avvertiti con particolare forza e provochino, naturalmente, controversia, proprio mentre la Congregazione per la Dottrina della fede conferma la volontà di non permettere l’accesso agli ordini sacri di persone omosessuali. Ecco il testo: “Per anni, il vescovo episcopaliano apertamente attivista omosessuale Gene Robinson non si è accontentato di informare il mondo intero delle sue pratiche omosessuali. Invece ha cercato di condurre una crociata all’interno della sua stessa comunità cristiana per cambiare l’insegnamento della cristianità vecchio di duemila anni. Il vescovo ha posto la Chiesa Episcopaliana e l’intera Comunione Anglicana nello stato di turbolenza attuale quando fu consacrato all’episcopato nel 2003 come un omosessuale apertamente attivo. Non ha assunto il celibato, ma ha continuato a vivere il suo rapporto omosessuale. Fra le molte azioni apertamente intese a promuovere la sua eresia e la sua chiara agenda, è andato alla televisione nazionale e ha annunciato i suoi piani di ottenere un’Unione Civile con il suo partner maschio. Ha annunciato con fierezza: “Voglio essere una sposa di giugno”. ….Nell’intervista televisiva si è dipinto come un nuovo genere di “martire”. Con condiscendenza ha definito i fedeli cristiani ortodossi che si oppongono alla sua relazione omosessuale attiva – così come ai suoi appelli allo stato e alla chiesa di dare equivalenza legale e morale alle relazioni omosessuali e ai matrimoni eterosessuali – come non illuminati, bigotti e discriminatori. Il vescovo predica quello da cui San Paolo, nella lettera ai Galati, metteva in guardi, come “un altro Vangelo”. Sostiene di seguire lo Spirito Santo nel chiedere una revisione radicale dell’ortodossia cristiana…. E’ entrato pubblicamente in un’Unione Civile con il suo partner maschile, Mark Andrei, in una cerimonia privata condotta da un Giudice di Pace il 7 giugno 2008. E subito l’ha resa pubblica con una campagna stampa….E’ anche autore di un libro che crede sia una specie di “manifesto” per un nuovo ordine, “Nell’occhio della tempesta”. Ora il vescovo Robinson vuole fare della chiesa cattolica il nuovo campo di missione per la sua crociata. Dalla notizia data dall’Associated Press e confermata da numerose fonti di agenzia e di stampa, si è venuto a spaere che il vescovo Robinson ha guidato un “ritiro confidenziale” di 75 preti cattolici romani nel 2005, che ha incoraggiato a dissentire apertamente dall’insegnamento della loro chiesa e a rinnegare apertamente il loro impegno al celibato. La sue intenzione sembra essere quella di promuovere la sua rivoluzione di stile libertino nella chiesa cattolica. Il “ritiro” è avvenuto senza approvazione da parte di nessun vescovo o superiore di ordine religioso per gli uomini che vi hanno preso parte. Fra le molte istruzioni e suggerimenti che ha dato ai sacerdoti presenti c’era questo: ‘E’ troppo pericoloso per voi andare allo scoperto come gay davanti ai vostri superiori, ma credo che se lavorate per l’ordinazione delle donne nella vostra chiesa, farete un bel pezzo di strada per aprire la porta verso l’accettazione di sacerdoti gay’”. (Marco Tosatti, San Pietro e dintorni, 11/11/2008)
“Catholic Online”, un sito particolarmente seguito negli Stati Uniti, pubblica questo articolo, che vi offriamo nella nostra traduzione, e che è rappresentativo di come alcuni temi siano avvertiti con particolare forza e provochino, naturalmente, controversia, proprio mentre la Congregazione per la Dottrina della fede conferma la volontà di non permettere l’accesso agli ordini sacri di persone omosessuali. Ecco il testo: “Per anni, il vescovo episcopaliano apertamente attivista omosessuale Gene Robinson non si è accontentato di informare il mondo intero delle sue pratiche omosessuali. Invece ha cercato di condurre una crociata all’interno della sua stessa comunità cristiana per cambiare l’insegnamento della cristianità vecchio di duemila anni. Il vescovo ha posto la Chiesa Episcopaliana e l’intera Comunione Anglicana nello stato di turbolenza attuale quando fu consacrato all’episcopato nel 2003 come un omosessuale apertamente attivo. Non ha assunto il celibato, ma ha continuato a vivere il suo rapporto omosessuale. Fra le molte azioni apertamente intese a promuovere la sua eresia e la sua chiara agenda, è andato alla televisione nazionale e ha annunciato i suoi piani di ottenere un’Unione Civile con il suo partner maschio. Ha annunciato con fierezza: “Voglio essere una sposa di giugno”. ….Nell’intervista televisiva si è dipinto come un nuovo genere di “martire”. Con condiscendenza ha definito i fedeli cristiani ortodossi che si oppongono alla sua relazione omosessuale attiva – così come ai suoi appelli allo stato e alla chiesa di dare equivalenza legale e morale alle relazioni omosessuali e ai matrimoni eterosessuali – come non illuminati, bigotti e discriminatori. Il vescovo predica quello da cui San Paolo, nella lettera ai Galati, metteva in guardi, come “un altro Vangelo”. Sostiene di seguire lo Spirito Santo nel chiedere una revisione radicale dell’ortodossia cristiana…. E’ entrato pubblicamente in un’Unione Civile con il suo partner maschile, Mark Andrei, in una cerimonia privata condotta da un Giudice di Pace il 7 giugno 2008. E subito l’ha resa pubblica con una campagna stampa….E’ anche autore di un libro che crede sia una specie di “manifesto” per un nuovo ordine, “Nell’occhio della tempesta”. Ora il vescovo Robinson vuole fare della chiesa cattolica il nuovo campo di missione per la sua crociata. Dalla notizia data dall’Associated Press e confermata da numerose fonti di agenzia e di stampa, si è venuto a spaere che il vescovo Robinson ha guidato un “ritiro confidenziale” di 75 preti cattolici romani nel 2005, che ha incoraggiato a dissentire apertamente dall’insegnamento della loro chiesa e a rinnegare apertamente il loro impegno al celibato. La sue intenzione sembra essere quella di promuovere la sua rivoluzione di stile libertino nella chiesa cattolica. Il “ritiro” è avvenuto senza approvazione da parte di nessun vescovo o superiore di ordine religioso per gli uomini che vi hanno preso parte. Fra le molte istruzioni e suggerimenti che ha dato ai sacerdoti presenti c’era questo: ‘E’ troppo pericoloso per voi andare allo scoperto come gay davanti ai vostri superiori, ma credo che se lavorate per l’ordinazione delle donne nella vostra chiesa, farete un bel pezzo di strada per aprire la porta verso l’accettazione di sacerdoti gay’”. (Marco Tosatti, San Pietro e dintorni, 11/11/2008)
Iscriviti a:
Post (Atom)