giovedì 31 dicembre 2015

Follia gender. A Madrid sfilano i Re Magi donna

A Madrid arrivano le Regine Maghe. Melchiorra e Gasparra sfileranno per le vie della capitale spagnola. Non è un anticipo di carnevale, bensì l’ultima trovata di Ahora Madrid, partito di area levantina che vuole introdurre le quote rosa anche nel famoso trio dei Re Magi. Dalla mascherata gender è scampato Baldassarre perché tradizione vuole che sia nero e quindi il politicamente corretto non poteva femminizzare anche costui. Gli asiatici e i caucasici invece posso anche darsi al transgender.
E così il prossimo 5 gennaio, una giorno prima dell’Epifania, nei distretti capitolini di Puente de Vallecas e San Blas-Canillejas la tradizionale Cabalgata de los Reyes Magos vedrà almeno uno dei Re Magi essere impersonato da una donna, seppur con abiti di foggia maschile. Se le Regine Maghe sono le benvenute, non così si può dire per gli 800 studenti del collegio cattolico Arenales che avrebbero voluto partecipare alla sfilata con un proprio carro e a proprie spese, ma che si sono visti rispondere picche dall’amministrazione comunale. Il motivo? Nell’istituto sono previste classi di soli maschi e classi di sole femmine. Poco importa poi che tale tipo di educazione divisa opportunamente per sessi riguardi solo il 10% di tutti gli studenti. Bastano dieci reprobi su cento giusti perché – secondo il principio rovesciato che determinò la distruzione di Sodoma e Gomorra -  un’intera scolaresca sia messa al bando. Le Regine Maghe non vengono mica per i baciapile. 
L’iniziativa dei trans Re Magi ha suscitato un bel polverone mediatico e politico soprattutto perché alla sfilata assistono molti bambini che potrebbero rimanere a dir poco confusi a vedere Melchiorra e Gasparra sui cammelli a posto dei loro omologhi maschi. Ma il sindaco Manuela Carmena tende a minimizzare: «Il bello del travestimento è che si tratta di un gioco, un gioco molto dignitoso». Provassero quelli della giunta comunale madrilena a giocare con i simboli e i personaggi dell’Islam. Nell’agone della polemica sulle Regine Maghe è sceso anche il sinistrorso quotidiano El Pais, elencando alcuni motivi per cui è bene che i Re Magi lascino spazio alle loro consorti durante la Cabalgata per le vie di Madrid. 
Il primo motivo fa riferimento al fatto che nei Vangeli non è esplicitato il sesso dei Magi. Forse è più cretino che falso sostenerlo, ma riguardo a quest’ultimo punto i Vangeli usano il sostantivo plurale maschile (e l’originale greco di Matteo usa “magoi”, appunto il nominativo plurale maschile), potendo usare il sostantivo plurale femminile se fossero state delle Regine a recarsi a Betlemme (cosa poi da escludere dato che per “magio” si intende una via di mezzo tra uno scienziato e un sacerdote, cariche a cui in linea di massima erano escluse le donne nel lontano Oriente). El Pais poi scrive che dato che nella sfilata compaiono un po’ di soggetti bizzarri, tra cui personaggi dei fumetti, fatine e bande musicali, non si vede perché scandalizzarsi per la presenza di donne nelle veci dei Re Magi. 
Insomma, dato che è una carnevalata possiamo buttarla in burla su tutta la linea. E infatti il sindaco Carmena ha tenuto a precisare che «il Natale è una festa sigillata da una cultura millenaria, una festa simultaneamente cristiana e pagana». Facile rispondere che il Natale è festa solo cristiana che sicuramente è stata paganizzata da chi cristiano non è, ma adora altre divinità come il consumismo con cui campa anche Madrid. Che la giunta comunale madrilena non nutra simpatie filo cristiane lo si era capito già ad ottobre quando il primo cittadino annunciò che voleva abolire il tradizionale allestimento del presepe a Plaza Cibeles perché «il Comune non è dei cattolici». Il Comune non sarà stato dei cattolici, ma dato che le tradizioni religiose invece sono dei cristiani, il sindaco dovette far marcia indietro di fronte alle proteste che suscitò la sua decisione e quindi fu costretta a dare il proprio placet al presepe seppur in forma ridotta. 
Ma la giunta presieduta dalla Carmena ha preso di mira anche la Settimana Santa, equiparandola al ramadam e al capodanno cinese. L’amministrazione comunale, infatti, sborserà l’anno prossimo 150 mila euro per contribuire ad ognuno di questi tre eventi, tanto per tentare di svilire nella coscienza collettiva l’importanza della Pasqua di Nostro Signore. Ma torniamo a Melchiorra e Gasparra. Come avevamo già appuntato da queste colonne, il presepe da anni è luogo di devastazione ideologica, opportunità da sfruttare per pubblicizzare le proprie idee a favore del femminismo, del gender, dell’omosessualità e così via. 
Dire che se ne fa un uso strumentale è bene poco. In realtà è un uso sacrilego, è fare violenza al sentimento religioso dei più, anche di chi non è frequentatore abituale della messa domenicale, perché insultare le statuine del presepio è offendere la sensibilità di tutti quelli che vedono, seppur in modo a volte solo epidermico, in questa popolare opera d’arte qualcosa comunque di sacro, di trascendente, di puro ed innocente. Nelle mani invece dei novelli Erode la strage dell’innocenza continua ancor oggi al fine di sfrattare dalla capanna la Sacra Famiglia e far entrare a suo posto la Dissacrata Famiglia composta da gay e travestiti.

(Fonte: Tommaso Scandroglio, La nuova bussola quotidiana, 31 dicembre 2015)


lunedì 28 dicembre 2015

La Chiesa che a Natale festeggia la nascita di Maometto ha scelto l'eutanasia

Per la prima volta da 457 anni la notte tra il 24 e il 25 dicembre ha visto coincidere la ricorrenza della nascita di Gesù e di Maometto. Ma è in assoluto la prima volta che, questa coincidenza, viene colta dalla Chiesa cattolica come un “segno di Dio” per legittimare Maometto e l'islam. 
La precedente coincidenza delle due date, nel 1558, era contrassegnata dalla realtà che ha storicamente caratterizzato il rapporto tra cristianesimo e islam, ossia dello scontro, culminato all'epoca nella battaglia di Lepanto il 7 ottobre 1571, con la netta vittoria della flotta cristiana della Lega Santa su quella musulmana dell'Impero Ottomano. 
Padre Vincent Feroldi, responsabile delle relazioni con i musulmani della Conferenza Episcopale Francese, ha scritto: “Comunità cristiane e musulmane avranno il cuore in festa. Renderanno grazie a Dio, ciascuna nella propria tradizione, per questa buona novella che è la nascita di Gesù o di Maometto, nascite che saranno fonte di incontro tra uomini e donne credenti e Colui che è fonte di vita, fonte della vita. In tale unità di data rarissima molti vogliono vedervi un segno di Dio”.
Don Cristiano Bettega, direttore dell’Ufficio della Cei (Conferenza Episcopale Italiana) per l’ecumenismo e il dialogo, ha detto: “È indubbio che quest’anno musulmani e cristiani si trovano a celebrare nello stesso giorno la nascita di due figure imprescindibili e preziose della storia. Come nessun cristiano può prescindere dal confronto con Cristo, Figlio di Dio fatto uomo, così nessun musulmano può prescindere dal confronto con Maometto, il Profeta della rivelazione coranica”.
Ebbene è arrivato il momento che la Chiesa sappia che se Maometto fosse vissuto oggi e avesse personalmente decapitato 600 o 900 ebrei maschi adulti così come fece nel 627 a Medina eliminando fisicamente la tribù ebraica dei Banu Qurayza, se oggi Maometto avesse ridotto in stato di schiavitù centinaia di donne e bambini da sfruttare e vendere come oggetto di prestazioni sessuali o lavorative, per depredare i loro beni e imporre ovunque la sua autorità e il culto esclusivo del dio Allah, senza alcun dubbio che sarebbe stato arrestato e condannato alla pena capitale perpetua per crimini contro l’umanità.  
C'è qualcuno nella Chiesa che è al corrente che Allah nel Corano ha condannato l'ebraismo e il cristianesimo come miscredenza e che tutti i non musulmani devono essere annientati?
«Dicono i giudei: “Esdra è figlio di Allah”; e i nazareni dicono: “Il Messia
è figlio di Allah”. Questo è ciò che esce dalle loro bocche. Ripetono le parole
di quanti già prima di loro furono miscredenti. Li annienti Allah (…)”. (9, 30)
Rispetto a 457 anni fa la Chiesa e l'Occidente stanno subendo la guerra scatenata dal terrorismo islamico di chi taglia le teste sia fisicamente sia allegoricamente, sottomettendoci comunque all'islam. All'epoca la Cristianità insorse, combatté e sconfisse l'islam. Oggi ci stiamo arrendendo persino dentro casa nostra, scegliendo l'eutanasia e affidando all'islam carnefice il compito di staccare la spina.

(Fonte: Magdi Cristiano Allam, Il Giornale, 27 dicembre 2015)


venerdì 11 dicembre 2015

Il Papa snobba Scola. Per la quarta volta salta l'incontro a Milano

Motivo ufficiale: "Troppi impegni". Ma i due non si amano. Visita spostata al 2017, quando l'arcivescovo sarà in pensione.

Il Papa annulla la visita a Milano. Ormai è quasi un'abitudine, perché non è la prima volta che Bergoglio dia forfait a un incontro con il cardinale Angelo Scola, tanto da diventare un caso.
La motivazione ufficiale è legata «all'intensificarsi degli impegni per il Giubileo».
«Il Papa - ha spiegato Scola - per l'incremento enorme degli impegni che l'Anno Santo sta portando, ha deciso di rinviare le visite pastorali in Italia durante il Giubileo. Il Santo Padre desidera in prima istanza accogliere i pellegrini a Roma», ha aggiunto l'arcivescovo di Milano. Eppure, se si analizza il calendario ufficiale delle celebrazioni previste per il Giubileo, per il sabato 7 maggio, al momento, non risulta nessun impegno. E non è nemmeno il sabato scelto per l'udienza generale che, durante l'Anno Santo, si terrà oltre che ciascun mercoledì, anche un sabato al mese.
«Accogliamo la decisione del Papa e ci impegniamo fin da ora a vivere bene il Giubileo, in attesa di accoglierlo a Milano», ha aggiunto Scola.
Il viaggio slitta al 2017, in data da definire. «È sempre molto difficile bloccare l'agenda del Papa con largo anticipo; per questo si parla di 2017, vedremo la data dopo Natale», ha precisato Scola. Ma nel gioco del calendario c'è un'altro elemento da non sottovalutare: è la data del 7 novembre 2016, quando il cardinale Scola compirà 75 anni e presenterà la sua rinuncia. «Dopo di che starò a quel che il Papa dice, come deve fare un bravo vescovo e prete, e quindi vediamo - ha aggiunto l'arcivescovo - la visita del Papa è la visita del Papa, chiunque sia il vescovo lo accoglierà a braccia aperte». Insomma l'incontro ufficiale a Milano tra i due potrebbe non avvenire mai. Pare l'ennesima conferma della poca sintonia tra Bergoglio e il cardinale Scola.
E in effetti è la quarta volta che il Pontefice argentino annulla un appuntamento con il porporato di Milano.
La prima fu la cancellazione, all'ultimo momento, di una udienza privata della delegazione di Expo in Vaticano. Il gruppo, guidato da Scola, era già nella sala privata dell'udienza, quando il Papa fece sapere che era troppo stanco, lasciando i suoi ospiti a bocca asciutta. La seconda volta fu la cancellazione della visita al Gemelli. «Per una improvvisa indisposizione disse il Vaticano - il Santo Padre non si recherà al Gemelli». Anche in quel caso, Bergoglio doveva essere accolto da Scola. E poi, il primo maggio, giorno dell'inaugurazione di Expo a Milano. Al centro della manifestazione temi legati all'Enciclica ecologica di Papa Francesco. Tutti i leader del mondo presenti. Bergoglio invia un messaggio.
Insomma, sarà un «caso». Fatto sta che molti osservatori sospettano che dietro la cancellazione della visita del Papa a Milano ci sia proprio uno «schiaffo» a Scola, porporato della frangia conservatrice della Chiesa, distante dalla linea di Papa Francesco.
Infine, appare molto strano che Bergoglio cancelli le visite pastorali in Italia (ma è probabile che si rechi a Genova a settembre 2016 per il XXVI Congresso Eucaristico Nazionale), ma non quelle all'estero, ben più lunghe. Confermati infatti i viaggi in Messico e quello in Polonia per l'incontro con i giovani. In un'intervista da arcivescovo, d'altronde, Bergoglio disse: «Se non voglio vedere una persona, preferisco dire che sto poco bene».

(Fonte: Serena Sartini, Il Giornale, 11 dicembre 2015)


L’attacco finale di Antonio Socci: “Che orrore il Giubileo-baracconata”

In genere non approvo il modo diretto con cui Socci critica polemicamente, spesso sopra le righe, l'operato del papa e del Vaticano: tuttavia questa volta trovo le sue considerazioni fondate e in gran parte condivisibili.

L’8 dicembre, in un brutto spettacolo, la Basilica di San Pietro e il Cupolone, cuore della cristianità, sono stati degradati a maxischermo (o meglio, “maxischerno”) su cui proiettare immagini relative a clima e ambiente, nuovi dogmi dell’ideologia dominante. «Uno spettacolo inconcepibile in piazza san Pietro, uno sfregio alla basilica simbolo della cattolicità», ha scritto Riccardo Cascioli, direttore del giornale cattolico online “Nuova Bussola quotidiana”.
Lo show era stato presentato, da parte vaticana, come una specie di lode al creato che richiamava l’enciclica «Laudato si’» e la Conferenza di Parigi sul clima e già così alimentava molti dubbi, visto che non c’entrava nulla con la Festa dell’Immacolata che si celebrava martedì, come pure con l’apertura del Giubileo e con l’imminenza del Natale. In realtà lo spettacolo poi è stato molto peggio di quanto si temeva.
Nessun simbolo cristiano, casomai l’allusione a qualche moschea islamica che, proiettata sulla Basilica di San Pietro, fa un certo effetto inquietante. È stato uno scorrere noioso e a volte lugubre (per gli effetti sonori) di immagini di animali, tipiche di una certa divinizzazione gnostica e neopagana della Terra. Così a San Pietro, nella festa dell’Immacolata Concezione, alla celebrazione della Madre di Dio è stata preferita la celebrazione della Madre Terra, per propagandare l’ideologia dominante, quella “religione climatista ed ecologista”, neopagana e neomalthusiana, che è sostenuta dai poteri forti del mondo. Una profanazione spirituale (anche perché quel luogo – ricordiamolo – è un luogo di martirio cristiano). E una profanazione culturale.
Infatti quella concentrazione di solennità cristiane (l’Immacolata, il Giubileo, il Natale), in uno scenario cattolico come la Basilica, il colonnato del Bernini e la cupola michelangiolesca, su un suolo sacro bagnato dal sangue di san Pietro e di tanti altri cristiani, avrebbe giustificato – casomai – una grande proiezione su maxischermo collocato in piazza (non sulla Basilica) delle bellissime immagini della nostra arte sacra, magari accompagnata dalla grande musica della tradizione cristiana. Non una sceneggiata gnostica e neopagana che aveva un preciso messaggio ideologico anticristiano.
Un messaggio sintetizzato nel titolo dello show, “Fiat lux”, che suona come beffarda sfida e come parodia della Sacra Scrittura nella quale l’espressione “Fiat lux” indica il gesto creatore di Dio e poi la Luce che è Cristo, venuto a illuminare le tenebre del mondo (come dice il Prologo del Vangelo di San Giovanni). E invece questo spettacolo rappresentava il contrario: il “mondo” che proietta luce sulla Chiesa immersa nelle tenebre. È la Chiesa che nello show riceve luce dal mondo. Quindi un simbolico e umiliante rovesciamento della fede cattolica.
Che proprio questa sia l’interpretazione da dare all’evento lo conferma un passo dell’intervista di papa Bergoglio ad Antonio Spadaro a proposito del Concilio, per il cui anniversario – che cadeva proprio l’8 dicembre – è stato indetto il Giubileo. Il pontefice infatti ha dichiarato: «Il Vaticano II è stato una rilettura del Vangelo alla luce della cultura contemporanea». Quindi per Bergoglio sarebbe il mondo (la cultura contemporanea) che illumina e giudica il Vangelo. Invece la Chiesa ha sempre affermato il contrario: è Cristo la vera luce che risplende sul volto della Chiesa e così illumina il mondo.
Non a caso uno dei fondamentali documenti del Concilio, la “Lumen Gentium”, inizia con queste precise parole: «Cristo è la luce delle genti: questo santo Concilio, adunato nello Spirito Santo, desidera dunque ardentemente, annunciando il Vangelo ad ogni creatura (cfr. Mc 16,15), illuminare tutti gli uomini con la luce del Cristo che risplende sul volto della Chiesa». Nella metafora della luce c’è tutta una visione delle cose che evidenzia l’opposta direzione del pontificato bergogliano rispetto al Concilio Vaticano II e al magistero costante della Chiesa. D’altronde c’è anche un linguaggio dei segni che è molto eloquente. Infatti la sera dell’8 dicembre, oltre alla Basilica, anche il grande Presepio di Piazza San Pietro, per l’occasione, era spento: non sia mai che la luce del Bambino Gesù disturbi la rituale messinscena della nuova religione neopagana.
Ci sarebbe poi da osservare che – applicando i criteri di giudizio di Bergoglio – quello show dovrebbe essere considerato dalla Chiesa un inaccettabile spreco di soldi che potevano più opportunamente essere spesi per i poveri. E non significa nulla che il costo dello spettacolo sia stato pagato da società private esterne, perché la Santa Sede avrebbe dovuto rifiutare il “regalo” e chiedere di donare quella cifra ai poveri. Peraltro solleva molti dubbi pure l’identità di coloro che hanno offerto questo “pacchetto” alla Santa Sede, che poi ha acriticamente messo in scena il tutto mettendo a disposizione la Basilica e la piazza.
Scrive Cascioli: «È stato infatti un “regalo” della Banca Mondiale (e del suo programma Connect4Climate) e di alcune associazioni e fondazioni particolarmente interessate all’ecologismo, la Vulcan Inc. del co-fondatore di Microsoft Paul Allen e la Okeanos-Fondazione per il mare, istituzioni che non a caso portano il nome di due divinità pagane. A realizzare l’installazione è stato lo studio Obscura, un nome che è un programma. Scopo di “Fiat Lux”, come si legge in un comunicato stampa degli sponsor, è “educare e ispirare cambiamenti intorno alla crisi del clima attraverso le generazioni, le culture, le lingue, le religioni e le classi”». Dunque «educare le religioni».
Ecco perché hanno “illuminato” le tenebre di San Pietro: una conferma del carattere ideologico dello show. Cascioli osserva peraltro che «la Banca Mondiale è anche l’istituzione che dagli anni ’70 è tra le principali responsabili» di quelle politiche verso i Paesi poveri – (prestiti in cambio di programmi per il controllo delle nascite) – che pure papa Francesco ha più volte denunciato. E sulla stessa lunghezza d’onda sono le altre associazioni per cui ecologismo e controllo delle nascite sono due facce della stessa medaglia».
Purtroppo l’insistito e acritico sostegno bergogliano alla Conferenza di Parigi (che non compete a un papa) finisce per identificare il messaggio del Giubileo sulla misericordia con la battaglia sul “cambiamento climatico” per cause umane, la cui fondatezza scientifica peraltro è del tutto discutibile. Il maggior fisico dell’atmosfera, “climate scientist” nel 2007, Richard Lindzen, ha dichiarato: «Le generazioni future si chiederanno, con perplesso stupore, come mai il mondo sviluppato degli inizi del XXI secolo è caduto in un panico isterico a causa di un aumento della temperatura media globale di pochi decimi di grado. Si chiederanno come, sulla base di grossolane esagerazioni di proiezioni altamente incerte di modelli matematici, combinate con improbabili catene di interferenze, è stata presa in considerazione la possibilità di ritornare all’era preindustriale».
È incredibile che Bergoglio – sempre distaccato e critico verso la dottrina cattolica e i dogmi della Chiesa – poi vada a sposare acriticamente questi dogmi ecologisti che non hanno nemmeno fondamenti scientifici certi. Ed è sconcertante che un papa indichi come emergenza quella del clima. L’apostasia di interi popoli dalla fede nel vero Dio non è un dramma che meriterebbe gli appelli più accorati? La guerra alla famiglia e alla vita? La dimenticanza di Cristo e la persecuzione e il massacro delle comunità cristiane? Non era il caso di dedicare a loro la prima enciclica scritta di suo pugno? Perché ha preferito occuparsi di rettili e spazzatura differenziata?
Bergoglio è un enigma. Dice di non credere nell’esistenza di un “Dio cattolico”, ma crede ai dogmi del politically correct. Alain Finkielkraut l’ha definito «Sommo Pontefice dell’ideologia giornalistica mondiale».
  
(Fonte: Antonio Socci, Libero, 10 dicembre 2015)


lunedì 7 dicembre 2015

«Caro Enzo Bianchi, Fatima non fu solo per i cattolici»

Mi capita di rivedere in rete l’articolo apparso su Le Monde nel maggio del 2000, quando Giovanni Paolo II fece rivelare al mondo quello che chiamano «terzo segreto» di Fatima. Il pezzo del giornale francese su questo evento è firmato da Jean Cardonnel, il domenicano morto alcuni anni fa, per tutta la vita l’intrattabile leader di ogni contestazione sia clericale sia politica, uno dei vedovi inconsolabili degli anni di piombo della Chiesa e della società. Uno per il quale non solo i soliti Mao, Che Gue­vara, Ho Chi Minh ma anche lo sterminatore del popolo cambogiano, Pol Pot, erano da venerare nell’Olimpo delle sacre rivoluzioni.
A Cardonnel si deve tra l’altro un precedente giuridico inedito e pericoloso. Era già molto vecchio, più vicino ai novanta che agli ottanta, insopportabile per la maggioranza dei confratelli per questa sua ossessione contestatrice, per il suo culto del «no» previo a tutto, ma si continuava a ospitarlo – data l’età – nel convento domenicano di Montpellier. Alla fine, il superiore di quella casa religiosa, non potendone più dei suoi costanti malumori, approfittò di uno dei suoi viaggi per sgomberare la sua cella, impacchettare con cura le cose e trovargli un posto in una casa di riposo per anziani. Al ritorno, l’ira di Cardonnel (egli pure, come da copione di ogni prete «adulto» che si rispetti, vietava a chiunque di chiamarlo «padre») esplose clamorosa e, dicendosi vittima di una violenza intollerabile, non pensò neanche un momento a confrontarsi con la legge della Chiesa, il diritto canonico.
Si rivolse invece alla legge della laicissima Repubblica francese, chiamando la Gendarmerie e denunciando il superiore per violazione di domicilio. Il tribunale, dopo lungo dibattito, gli diede ragione, condannò il superiore del convento che aveva proceduto allo sgombero e – per la prima volta, non solo in Francia – dichiarò che la cella di un religioso era un domicilio privato come ogni comune alloggio. Sentenza faziosa e pericolosa, dicevo, perché scavalca e in qualche modo imbavaglia l’autorità ecclesiastica anche all’interno dei suoi spazi.
Ma torniamo al Cardonnel commentatore di Fatima. Scriveva su Le Monde: «Quel presunto “segreto” è un falso, tanto falso quanto la donazione di Costantino con la quale si è voluto legittimare un diabolico controsenso: l’impero cristiano. Un grande teologo italiano – non si dimentichi il suo nome: Enzo Bianchi, fondatore di una nuova comunità monastica – si è subito reso conto della superstizione e della frode perpetrata dal Vaticano a Fatima. Sul quotidiano romano La Repubblica, fratel Bianchi mette implacabilmente il dito nella piaga. Scrive infatti: “Un Dio che, nel 1917, pensa di rivelare che i cristiani saranno perseguitati e che non parla della shoah e dei sei milioni di ebrei annientati non è un Dio credibile”». Continua l’articolo di Cardonnel: «Sì, bisogna scoprire la piaga: come non vedere la tara del presunto segreto di Fatima, la prova lampante che è un falso, che non può venire da Dio? Un falso che squalifica, che scredita l’Eterno. Un Dio, ripeto, non credibile: il Dio del razzismo cattolico, che si interessa solo dei suoi, della sua razza cattolica, nell’oblio del popolo di Gesù».
C’è da rimanere molto sorpresi da simili discorsi e soprattutto, per noi cattolici italiani, c’è da sorprendersi per la citazione (non smentita, anzi ribadita, dall’interessato) di fratel Bianchi. Circola ormai una convinzione, anche tra certi cristiani, secondo la quale la persecuzione degli ebrei da parte dei nazisti nei 12 anni tra 1933 e 1945 sarebbe, senza paragone possibile: il Male Assoluto, il Massimo Delitto della storia intera, l’Esempio Radicale della malvagità umana. Non a caso, la colpa nazista è considerata inespiabile e ancor oggi si braccano, per processarli e condannarli, dei novantenni se non dei centenari considerati in qualche modo responsabili di quello che viene detto, con termine religioso, «l’Olocausto» per eccellenza. Per un simile delitto, e solo per questo, non è prevista alcuna prescrizione. Stando al Cardonnel e al Bianchi, Dio stesso – se vuol parlarci attraverso Maria – deve, sottolineo deve, ricordare e ovviamente maledire la Shoah, altrimenti non sarebbe «un Dio credibile». Non è il vero Signore se non esecra esplicitamente Auschwitz.
Sia ben chiaro – è davvero inutile sottolinearlo – che non si tratta certo di sminuire la gravità del delitto perpetrato all’ombra di una croce uncinata, che fu il tragico rovesciamento della croce cristiana. Non c’è che da unirsi, ovviamente, alla condanna universale. Ma è davvero paradossale rifiutare Fatima perché nel 1917 la Madonna non avrebbe previsto e condannato – a nome del Figlio e della Trinità intera – quei lager tedeschi che sarebbero venuti una ventina d’anni dopo. Nel 1917, ripetiamo: proprio l’anno in cui Lenin prendeva il potere, dando inizio a quel mostro comunista che avrebbe fatto almeno 100 milioni di morti e che avrebbe praticato la più violenta e sanguinosa repressione religiosa della storia, in nome di un ateismo di Stato proclamato sin dalle Costituzioni dell’Unione Sovietica e dei suoi satelliti.
La ricerca storica più recente, capeggiata dal celebre docente tedesco Ernst Nolte, dimostra, documenti alla mano, che il nazionalsocialismo nasce come reazione al marx-leninismo: senza Lenin nel 1917, niente Hitler nel 1933. Senza il colpo di Stato di San Pietroburgo, l’ex imbianchino di Vienna avrebbe al massimo fatto l’ideologo in qualche stube di Monaco di Baviera per qualche oscuro gruppetto di fanatici. Mettere in guardia, a Fatima, dal comunismo che proprio allora nasceva, significava mettere in guardia dalle altre ideologie mortifere che sarebbero venute dopo di esso e per causa di esso. Il nazionalismo primo fra tutti.
Tra l’altro, Bianchi e Cardonnel sono incomprensibili anche quando denunciano che a Fatima si sarebbe manifestato «il Dio del razzismo cattolico, che si interessa solo dei suoi, della sua razza cattolica». Ma che discorso è mai questo? Per l’ateismo sovietico non c’erano zone franche, nel mondo religioso: a parte il fatto che la stragrande maggioranza delle vittime da Lenin sino a Gorbaciov (egli pure ebbe una giovinezza da persecutore) passando per Stalin, non furono cattoliche, ma ortodosse, i due dimenticano che nell’immensa Unione Sovietica erano presenti tutte le religioni. Così, i pope furono massacrati alla pari dei preti, dei rabbini, degli imam, dei maestri buddisti.
Lo stesso avvenne ovunque, nel mondo, il comunismo giunse al potere: nessuno scampo per chi non accettava il materialismo e non condannava la religione, tutte le religioni, come «oppio dei popoli». E questo cominciò proprio in quel fatale 1917, quando la Madonna diede l’allarme per una ideologia perversa, anche perché si presentava con un volto nobile, apparentemente evangelico (giustizia, liberazione, eguaglianza, fraternità), ma che avrebbe risvegliato tutti i dèmoni, compreso quel regime tedesco che si presenta, sin dal nome, come l’unione di nazionalismo e di socialismo. 
Le apparizioni di Fatima, come tutte le altre pur ufficialmente riconosciute, non sono de fide, possono essere criticate e magari non accettate anche dai credenti. Purché, però, lo si faccia su basi più presentabili di queste.
Visto che parliamo di Fatima e di comunismo: viene giusto a proposito ricordare quanto avvenne a Vienna nel decennio tra il 1945 e il 1955. Mentre gli inglesi, esperti e pragmatici, avrebbero voluto contenere l’Urss a Est, l’insipienza americana fermò i suoi carri armati in vista di Berlino per permettere a Stalin di dilagare nell’Europa orientale, occupando anche l’Austria. Il Paese fu diviso in quattro zone, sul modello della Ger­mania, ma quella riservata ai russi era la più importante e vasta, era quella dove stava la capitale stessa. Il ministro degli esteri, quel Molotov che aveva firmato il trattato con Hitler, permettendogli così di scatenare la guerra, disse e ripeté che Mosca mai si sarebbe ritirata da ciò che aveva occupato e tutti si aspettavano che, come a Praga e a Budapest, i comunisti organizzassero un colpo di Stato per andare da soli al potere nell’intera Austria. Le stesse cancellerie occidentali sembravano rassegnate. Opporsi significava quasi certamente una nuova guerra.
Ma non si rassegnò un francescano, padre Petrus che, tornato dalla prigionia proprio in Urss (e conoscendo quindi sulla sua pelle l’orrore di quel regime), andò in pellegrinaggio nel santuario nazionale austriaco, a Mariazell, per avere ispirazione sul che fare per la sua Patria. Lì, fu sorpreso da una voce interiore, una locuzione interna, che gli disse: «Pregate tutti, tutti i giorni, il rosario e sarete salvi». Buon organizzatore, oltre che sacerdote stimato, padre Petrus promosse una «Crociata nazionale del Rosario», nello spirito esplicito di Fatima, che in breve tempo raccolse milioni di austriaci, compreso lo stesso presidente della Repubblica, Leopold Figl. Giorno e notte, grandi gruppi si riunivano, spesso all’aperto, nelle città e nelle campagne recitando la corona e la stessa Vienna era percorsa da imponenti processioni mariane, sorvegliate con ostilità dall’Armata Rossa.
Gli anni passavano senza che l’occupazione cessasse, ma il popolo non si stancava di pregare la Madonna di Fatima. Ed ecco che nel 1955, all’improvviso, il Cancelliere austriaco fu con­vocato a Mosca, dove fu ricevuto al Cremlino dal Soviet Supremo. Qui, gli fu comunicato che l’Urss aveva deciso di ritirare le sue truppe e di ridare all’Austria la piena indipendenza. In cambio, si poneva una sola condizione, che le autorità del Paese che veniva liberato accettarono di buon grado: un impegno di neutralità che, tra l’altro, avrebbe portato grandi vantaggi a Vienna, facendola diventare la terza città delle Nazioni Unite dopo New York e Ginevra. I governi occidentali furono colti di sorpresa da una decisione del tutto inaspettata e unica, sia prima sia dopo: mai, come aveva ricordato Molotov dieci anni prima, mai l’Urss aveva accettato né avrebbe accettato di ritirarsi spontaneamente da un Paese occupato. 
Furono stupiti politici, diplomatici, militari, nel mondo intero. Ma non si stupirono coloro che da anni pregavano con la «Crociata del Rosario»: in effetti, il giorno in cui la notizia del ritiro fu annunciata a Mosca al Cancelliere era un 13 maggio, l’anniversario dell’inizio delle apparizioni di Fatima. Tanto per completare il quadro, lo sgombero totale dell’Armata Rossa fu fissato dal governo comunista per l’ottobre: tra i generali russi (dispiaciuti di lasciare un Paese così bello e strategicamente così importante) nessuno, ovviamente, sospettava che proprio ottobre è, per la tradizione cattolica che risale ai tempi della battaglia di Lepanto, il mese del rosario.

(Fonte: Vittorio Messori, La nuova bussola quotidiana, 6 dicembre 2015)


mercoledì 2 dicembre 2015

Il preside, il vescovo e un cane

Ha un che di surreale la polemica che va avanti da giorni sulla celebrazione del Natale nelle scuole. Del fatto all’origine abbiamo già parlato: a Rozzano (Mi) un preside ha deciso di abolire l’usuale festa di Natale, proponendo invece per gennaio una Festa d’inverno: «per rispetto di chi non è cattolico». Dopo le proteste di alcuni genitori, il caso è diventato nazionale, e la scuola di Rozzano è diventata il teatro di scontro fra giornali, politici, anche con punte di comicità involontaria, tra il leader della Lega Matteo Salvini che porta un presepe da introdurre nella scuola e Mariastella Gelmini che intona “Tu scendi dalle stelle”.
Perché surreale? Perché – seppure parzialmente giustificati dai recenti fatti di Parigi che costringono a farsi qualche domanda sull’immigrazione e sulle regole di convivenza – non si capisce come mai tanta reazione nei confronti di un preside che ha fatto né più né meno quello che altre decine e centinaia di dirigenti scolastici hanno fatto prima di lui. Nel caso nessuno se ne fosse accorto sono anni che cresce il numero di scuole di ogni ordine e grado in cui si vietano spettacoli natalizi. E le denunce, apparse su pochi giornali, sono sempre state ignorate dai “Signori dell’opinione e dell’informazione”. Si fossero mobilitati quando il fenomeno è cominciato forse non ci troveremmo a questo punto.
«Non è - ha dichiarato il preside di Rozzano - un passo indietro di fronte all’islam rispettare la sensibilità delle persone che appartengono ad altre culture ad altri credo religiosi, mi pare un passo in avanti rispetto all’integrazione e rispetto reciproco». Un’idiozia, certo, il dialogo si fa tra identità diverse e coscienti della propria diversità e non ci può essere accoglienza e integrazione se non c’è apertura a tutto ciò che l’altro è. 
Ma proprio mentre fai queste riflessioni, ecco che si fa avanti il solito immancabile prelato che afferma sostanzialmente le stesse cose. È il nuovo vescovo di Padova, monsignor Claudio Cipolla che, rispondendo a una tv locale, si è detto pronto a rinunciare alle proprie tradizioni natalizie pur di salvare la pace e la fraternità con i concittadini islamici. «Non dobbiamo presentarci – ha detto il vescovo - pretendendo qualsiasi cosa che magari anche la nostra tradizione e la nostra cultura vedrebbe come ovvio. Se fosse necessario per mantenere la tranquillità e le relazioni fraterne tra di noi io non avrei paura a fare marcia indietro su tante nostre tradizioni». Da non credere.
Più tardi monsignor Cipolla, davanti alle reazioni giustamente scandalizzate dei fedeli, ha cercato di correggere il tiro prendendosela con chi ha strumentalizzato le sue parole. Ma cosa c’è da strumentalizzare? È così chiaro quel che ha detto. E comunque ecco la precisazione: «Papa Francesco ci sollecita di continuo nell’obiettivo di costruire un mondo di pace, senza conflitti, in cui la relazione tra fratelli sia prioritaria e l’indifferenza non trovi casa. Per noi cristiani è un richiamo forte, costante, specie in questo tempo di Avvento che ci accompagna al Natale. Ed è per questo che non possiamo utilizzare le religioni per alimentare conflitti o inutili tensioni. Purtroppo le religioni spesso sono strumentalizzate per altri interessi. Non sono contro la presenza della religione nello spazio pubblico, né tantomeno contro le tradizioni religiose, ma né le religioni né le tradizioni religiose possono essere strumenti di separazioni, conflittualità, divisioni. Fare un passo indietro non significa creare il vuoto o assecondare intransigenze laiciste, ma trovare nelle tradizioni, che ci appartengono e alimentano la nostra fede, germi di dialogo».
In questi casi si usa dire che la toppa è peggio del buco. In che modo infatti un presepe può essere considerato un uso della religione «per alimentare conflitti o inutili tensioni»? E a proposito di separazioni e conflittualità, monsignore dovrebbe sapere che l’annuncio di Cristo sempre provoca separazioni, tra chi lo accoglie e chi no. È successo così a Gesù, il vescovo di Padova pensa di essere più furbo?
La verità è che da un po’ di tempo le priorità di tanti vescovi e sacerdoti – ma anche di laici - sembrano essere cambiate e si tende a dare un valore positivo e un bel nome (dialogo, integrazione) a quella che è la solita vecchia codardia. L’islam, quando arriverà in forze, non avrà neanche bisogno di combattere, i cattolici si saranno già autoliquidati.
Per mantenere almeno il ricordo delle tradizioni cristiane sembra dovremmo affidarci ai cani. Lo si capisce dal numero di Dicembre della rivista “Da noi”, distribuita nei supermercati Esselunga, dove a pagina 91 si spara il titolo “La ghirlanda dell’Avvento”. Ah, finalmente qualcuno che non si vergogna delle tradizioni cristiane, pensi mentre la foto di un cane, che correda il servizio, ti fa subito nascere qualche dubbio. E infatti, ecco cosa dice il sommario: «A Nuvola non bastano mai, così in casa c’è sempre una bella scorta dei suoi ossi preferiti da mordicchiare! A tal punto che di questi snack abbiamo fatto una ghirlanda. Così anche per lei il Natale sarà più goloso!». Insomma, una ghirlanda dell’Avvento, per cani. Il futuro ci viene incontro.

(Fonte: Riccardo Cascioli, La nuova bussola quotidiana, 2 dicembre 2015)