Lasciate stare l’indecente
demagogia nel ricordo della tragedia di Marcinelle, dove morirono nel 1956
duecentosessantadue lavoratori in miniera, di cui la metà italiani, quasi tutti
meridionali.
Lasciate stare,
gufi, sinistreria e autorità, inclusi voi presidenti Mattarella e Boldrini, il
paragone tra quei lavoratori morti sul lavoro e gli immigrati clandestini che
arrivano a fiumi sulle nostre sponde.
Il paragone è totalmente infondato: quei minatori andarono in
Belgio richiesti al nostro governo dalle autorità di Bruxelles e furono il
frutto di un accordo di dieci anni prima tra i due paesi. Carbone per l’Italia
a prezzi agevolati in cambio di 50mila lavoratori per le miniere del Belgio.
Uno scambio pattuito tra due paesi europei che necessitavano l’uno
di energia e l’altro di braccia-lavoro.
Non clandestini ma richiesti, non disoccupati ma lavoratori
dal primo giorno in cui arrivarono, non in fuga dal proprio paese ma costretti
a lasciarlo per aiutare casa, non manovalanza disperata per la criminalità o
business per Ong e centri di accoglienza, ma gente che partiva sapendo di
finire in miniera, non per strada.
E di sbarcare su richiesta dello Stato-ospite, in un paese che era pur
sempre figlio della stessa civiltà, della stessa religione, dello stesso
universo di valori.
Entrambe
sono tragedie, ma di tutt’altro tipo.
È una vergogna star lì appollaiati come sciacalli a cercare ogni occasione
per rilanciare l’ideologia dell’accoglienza, con relativo traffico di imbarchi,
sbarchi e con la prospettiva di lucrare qualcosa politicamente ed
elettoralmente per aver detto e fatto “una cosa di sinistra”.
Persino a teatro, da noi, rifanno l’Eneide e
attualizzano Enea come un immigrato ed
esule per ragioni politiche: con la trascurabile differenza che Enea secondo il
mito è un principe, proviene da una civiltà distrutta e viene a fondare una
civiltà, Roma; mentre i poveri migranti sui gommoni si affidano agli scafisti e
vengono qui per aggrapparsi a una civiltà, sfuggendo dalla barbarie e dalla
miseria.
In tema d’immigrazione, la sinistra in Italia cerca di coprire tutte le
posizioni e si presenta come un armadio quattrostagioni per tutti i gusti e i
climi: cavalca un giorno l’accoglienza, un giorno i respingimenti, un altro dice
che vuole aiutarli a casa loro, un altro ancora li carica sulle nostre spalle.
E adotta, da Crozza a Calabresi de la
Repubblica, lo stesso ragionamento capzioso. Isola un episodio, una storia o un singolo
sbarco per toccare l’emotività di ciascuno, per suggestionare con un’immagine
anziché far ragionare.
Per poi dire:
vedete che cento migranti in una città o centomila in una nazione sono una
percentuale irrisoria. Ma certo che è irrisoria quella fetta, se si paragona un
dato parziale e provvisorio a un dato generale e permanente, certo che non fa
impressione se si isola il fotogramma; se invece vedi il film per intero, in tutte le sequenze e in
prospettiva, se ti affacci davvero nella realtà, per le strade, per le piazze,
nei mezzi pubblici, allora ti accorgi che si tratta di un fiume e non di una
pozzanghera.
Prima che giungesse il freno alle Ong stavano sbarcando a
decine di migliaia a settimana, i nostri centri d’accoglienza sono pieni. Il
flusso non è una fallace “percezione” indotta dagli impresari della paura più
di quanto sia una fallace percezione indotta dagli impresari del traffico di
vite umane, l’impressione opposta, che sia una piccola, inerme minoranza di
casi umani che possiamo agevolmente contenere nel nostro Grande Paese.
E ora si attaccano pure a quella tragedia di 61anni
fa, al dolore di
una storia, per cercare tramite una tragedia di dar corso a un’altra. Siete voi
ad abusare del mercato delle emozioni, a speculare sui ricordi e sui lutti.
La tragedia di Marcinelle riemerse dopo anni di
oblio grazie
a Mirko Tremaglia che guidava i comitati per gli italiani all’estero. Fu una
tragedia che strinse tutto il nostro popolo attorno a loro; ricordo da bambino
un altro funerale di ragazzi che erano andati a lavorare dal mio paese nel nord
Europa ed erano morti sul lavoro.
Giorni fa in piazza Maggiore a Bologna ho visto uno splendido
documentario di Vittorio de Seta nei primi anni cinquanta sui lavoratori nelle
miniere sarde e siciliane. Sembra preistoria, ma quei lavoratori umili,
ignoranti, invecchiati precocemente, ti sembrano giganti rispetto a noi per i
sacrifici immani che facevano per portare il pane a casa e mantenere le loro
numerose famiglie, accontentandosi di poco.
E l’altra sera ho visto un film dedicato ai minatori
in Cile, The 33,
una storia vera, a lieto fine, di trentatrè minatori che furono salvati dopo un
lungo calvario nelle viscere della terra che durò due mesi.
Storie di umanità, di pietà, di dedizione. Di quelle che rendono
drammatico e non retorico l’articolo uno della costituzione, la repubblica
fondata sul lavoro.
Non sporcate quelle storie e quelle memorie con le vostre prediche
ideologiche, i vostri miserabili calcoli politici, le vostre insopportabili
tirate finto-moralistiche.
(Fonte:
Marcello Veneziani, Il Tempo, 9 agosto 2017)