sabato 30 novembre 2013

La “teoria del gender”, ovvero l’istigazione al suicidio

Come se l’Italia non avesse problemi economici gravi e urgenti da affrontare (disoccupazione, casa, scuola, sanità, calamità varie, immigrazione, ecc.) il governo Letta ha stanziato ben 10 milioni di euro per impartire sin dalle scuole primarie la “teoria del gender”, una teoria demenziale e assurda, priva di fondamento scientifico e molto pericolosa perché, privando il ragazzo della sua identità sessuale, lo getta nella confusione più grande, che con molta facilità diventa poi disperazione a tal punto da indurlo al suicidio. Si tratta in pratica di un crimine contro l’umanità, fatto passare come progresso e imposto nelle scuole fin dalle primarie, ma in modo così subdolo che la gente non si rende abbastanza conto della sua gravità.
L’iniziativa è partita dalla massonica Unione europea che sta irrompendo nella nostra vita personale e privata, oltre che nella nostra Costituzione Nazionale in modo violento e dispotico con leggi inique e perverse contro l’uomo, accolta con applauso in Italia dall’ex ministro Fornero che è passata, assieme a Monti, come un tornado di calamità generale per tutta l’Italia. Come se questo non bastasse, è tornato alla ribalta un documento dell’Organizzazione Mondiale per la Sanità (sezione Europa), l’OMS, “Standards for sexuality education in Europe”, finalizzato a fornire le linee guida per l’educazione sessuale dei bambini, programmi che incentivano le prime esperienze sessuali sin dai 4 anni, fornendo così l’alibi ai pedofili per dichiarare i bambini consenzienti e quindi “regolarizzare” anche questo loro criminale rapporto a norma di legge. A questo documento dell’OMS, elaborato nel 2010, fa riferimento la bozza di risoluzione dell’europarlamentare Edite Estrela dal titolo “Salute e diritti sessuali e riproduttivi”, bozza che di recente è stata rimandata dal Parlamento europeo alla Commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere. Il contenuto della risoluzione Estrela nella sezione che riguarda l’educazione dei minori deve molto all’apporto fornito dagli “Standards for Sexuality Education in Europe”. Sono le stesse lobby mondiali che, mentre da una parte denunciano l’aumento dell’Aids tra i giovani e delle baby-squillo che si prostituiscono per un cellulare, dall’altra spingono ipocritamente gli Stati a promuovere queste e altre aberrazioni sin dall’infanzia come obbligo scolastico, sostenendo apoditticamente che per impartire una educazione sessuale i  genitori “non sono all’altezza del compito” e poi questi spesso “si imbarazzano ad affrontare l’argomento”!
Sta emergendo infatti con prepotenza uno Stato despota e padrone che si vuole sostituire alla famiglia nel compito di educare i figli, decidendo ogni più piccola cosa, sottraendo anche fisicamente i figli ai genitori con dei pretesti, come già sta accadendo in molte parti anche in Italia, e obbligando tutti a subire, fin dall’infanzia, una visione della vita basata non tanto sulla responsabilità personale e sui valori, ma essenzialmente sul sesso libero, anche contro natura e ipocritamente presentato come la soluzione a tutti i problemi, quando invece vediamo che il vero problema è la mancanza di amore, di vera amicizia e delle relazioni interpersonali a iniziare dalla famiglia.
La teoria del gender si propone di insinuare nei bambini il dubbio circa la loro vera identità sessuale dicendo in pratica al bambino, con l’ausilio di opuscoletti colorati e graziosi: “Caro bambino, sei proprio sicuro di essere un maschietto?” E se quello ti addita il pisellino come segno della sua chiara identità sessuale, può sentirsi ribattere dal docente di turno che quello non centra nulla con le sue vere tendenze che potrebbero essere diverse dalla realtà in cui si trova, e che possono essere varie e interscambiabili con molta semplicità, come quando si cambia un paio di scarpe che fanno male ai piedi. Basta prendere degli ormoni durante l’adolescenza per bloccare lo sviluppo e così fermarsi alla soglia di una specie di limbo chiamato “genere neutro”, cioè né maschi, né femmine, per poi decidere con calma e libertà per quale optare, nella speranza che la scienza inventi anche altre possibilità di scelta, oltre ai soliti due “generi” vecchi e logori come l’Antico Testamento: “Maschio e femmina li creò”.
E se per caso il bambino rispondesse nel suo candore che lui vorrebbe essere né maschio né femmina, ma come il suo gattino che fa le fusa, o come l’angioletto che lo accompagna a letto, no problem! La sua richiesta sarà subito esaudita attraverso un abile chirurgo che gli farà spuntare, a seconda delle richieste, o la coda o le ali!
Non è fantascienza morbosa, ma è la pura verità sul gender. che si arrivi al punto da mettere in dubbio l’identità del bambino come obbligo scolastico, proprio nell’età in cui il bambino pensa solo a giocare, equivale a ucciderlo dentro perché questo dubbio insinuato con abilità luciferina nell’età delicata della prima adolescenza può avere conseguenze terribili, dalla schizofrenia, fino al suicidio, come accade in quei paesi dove si insegnano da anni queste idiozie fatte passare per verità scientifica mettendo a tacere in modo violento i contestatori.
Infatti con la trappola del gender si distrugge l’uomo, altro che libertà di scelta! Ma quale scelta! Uno può farsi modificare chirurgicamente anche cento volte i suoi genitali, ma si tratta di interventi di chirurgia plastica esterna, superficiale, perché dentro, sia nel corpo come funzione fisiologica, sia nella psiche, come modo di pensare, di relazionarsi, resterà sempre come è nato, o maschio o femmina, perché il DNA non mentisce e non cambia a seconda dei capricci degli uomini! La combinazione dei cromosomi X Y, che segnano le caratteristiche tipiche maschili o femminili resterà invariata, identica e uguale per tutta la vita, o maschio o femmina, e pertanto, nel caso di veri problemi di identità, è semmai più opportuno, a detta degli studiosi, aiutare la persona a riscoprire e amare il valore della propria sessualità naturale, piuttosto che prospettare l’utopia di altri orientamenti lesivi della sua persona che la porterebbero in un “ginepraio sessuale” fatto inevitabilmente di droghe e alcool per sopravvivere.
Infatti la prima conseguenza del gender è la distruzione delle tre facoltà più nobili dell’uomo: intelletto, sentimento e volontà, perché la persona, privata del dominio di sé, viene deresponsabilizzata e lasciata in balìa degli istinti che possono essere anche aggressivi e violenti, ma quel che è peggio distrugge il vero amore tra un solo uomo e una sola donna, l’unico da cui proviene la vita e la famiglia, quella famiglia voluta non dalla società, né dalla Chiesa, ma da Dio stesso quando creò l’uomo, quella famiglia che rappresenta l’unico vero baluardo di protezione in difesa dell’uomo nella sua integrità psico-fisica. Chi promuove il gender non può amare l’uomo perché il gender distrugge l’uomo nel corpo e nell’anima, peggio dell’aborto, ed è quello che vuole il diavolo che odia l’uomo perché fatto a immagine e somiglianza di Dio, e siccome non può toccare Dio, si rifà sull’uomo per distruggerlo, dopo aver distrutto la famiglia, culla vitale dell’uomo. Ma non dobbiamo temere perché noi abbiamo un “asso” vincente che è Gesù Cristo, purché ci crediamo fermamente.
Si è tenuto recentemente a Verona, ma avviene periodicamente anche in altre città d’Italia, il convegno sulle scuole paritarie ecc. e mentre si è messo per lo più l’accento, giustamente, sulla necessità che vengano fatte sopravvivere da parte dello Stato perché rappresentano una ricchezza culturale e anche un grosso risparmio per le casse statali, non si è accennato minimamente a questo gravissimo problema che verrà imposto anche alle scuole private a norma di legge, a quanto pare.
Io faccio un appello a tutti, ma in particolare ai legali consapevoli di questa gravità e illegalità, affinché studino un modo per far annullare tale insegnamento a norma di legge!
Inoltre faccio appello ai responsabili delle scuole paritarie, che sono per lo più cattolici, molti di loro sacerdoti e religiosi, affinché si oppongano a queste proposte criminali da parte del ministero. Che si sveglino e che scuotano anche i responsabili delle scuole pubbliche invitando i genitori a dissentire anche in maniera forte e decisa, con manifestazioni e altro.
Anche i vescovi devono uscire pubblicamente, tutta la chiesa deve essere in prima linea su questa battaglia, prima di vedere ridotti i nostri bambini a poveri idioti, o zombi o malati psichici che non sanno più chi sono!!!
Non possiamo più accettare che la Chiesa continui a fare la “chiesa da campo”, la crocerossina di turno, la buona samaritana nel curare le ferite che i nemici dell’uomo provocano nel cuore degli innocenti per il fatto che si interviene sempre troppo tardi!  Questo non è possibile.
Dobbiamo prevenire e agire tutti uniti e compatti adesso, guardare in faccia la realtà e studiare le mosse più opportune, nella certezza che il Signore Gesù è con noi, ci protegge e ci aiuta se noi facciamo i primi passi con fede e coraggio, nella consapevolezza che il rispetto che si deve avere per tutti non può farci tacere sulle terribili conseguenze di una simile teoria imposta fin dalle scuole primarie a delle creature innocenti. “Meglio sarebbe per voi buttarvi a mare con una pietra al collo, piuttosto di scandalizzare questi piccoli” ammoniva Gesù!
In molti casi si tratta di problemi relazionali e dissociativi, o di sofferenze e disagi interiori tali da indurre la persona a fuggire la realtà per cercare sollievo altrove, in uno spazio virtuale utopistico, immaginario, nel quale rinchiudersi, illudendosi di risolvere i suoi problemi con queste “ultime novità” spacciate per scienza. Ma quando uno ha cambiato sesso che fa? Ha risolto tutti i suoi problemi? Vive felice e contento? Ha fatto felici le persone che gli stanno accanto, la moglie, i figli, la mamma, il papà? Ah! Dimenticavo! Col gender è proibito usare i dolcissimi nomi di mamma e papà, tanto è criminale la trappola del gender. Col gender ne vedremo di tragedie, altro che i tornado, i terremoti e le inondazioni!
Dobbiamo avere il coraggio di chiamare le cose con il loro nome: chi diffonde queste teorie si rende gravemente responsabile di un crimine contro l’umanità, in particolare contro la parte più debole. 

(Fonte: Patrizia Stella, Riscossa cristiana, 29 novembre 2013)

 

venerdì 29 novembre 2013

Santa Maria Assunta di Praglia. Storia, arte, vita di un’abbazia benedettina

C’è una sorta di filo conduttore che si è dipanato per novecento anni nell’abbazia benedettina di Praglia (Padova) ai piedi dei Colli Euganei: il silenzio. Oggi, come nel 1107, perché qui, fra antichi chiostri e lunghi corridoi è ancora tempo di tacere, pregare, pensare alla propria anima, contemplare, nella comunione coi fratelli.
Uno spazio peraltro aperto anche alla gente: credenti e non credenti, dove, appunto, il silenzio rappresenta un recupero di valori (di modi di essere e di porsi): di fede in primis, ma poi anche di umanità. Alla ricerca di qualcosa, e/o di Qualcuno, se non altro di se stessi. Senza che quel silenzio debba impaurire, anzi.
Non aveva avvertito, del resto, una volta, don Giuseppe De Luca rivolgendosi al “problematico” Carlo Bo, di stare in chiesa in silenzio, magari anche senza pregare, ma in silenzio…
Ecco, è nella dimensione di questo atteggiamento che ci pare di poter sintetizzare il contenuto di un volume di ottocento pagine, che è poi la storia di quasi un millennio: una monografia articolata in ventinove saggi e quattro appendici, opera di paziente, approfondita ricerca di studiosi del mondo universitario e di quello ecclesiastico, a incominciare dall’abate di Santa Giustina (Padova) Francesco Trolese e dai benedettini di Praglia Mauro Maccarinelli (curatore con Chiara Ceschi e Paola Vettore Ferraro del libro) e Guglielmo Scannerini.
Questo volume in elegante veste tipografica e arricchito da immagini stupende, si presenta (ovviamente) con una completezza esemplare, anche perché questa realtà benedettina, nonostante varie traversie, è arrivata ai giorni nostri mantenendo una notevole vitalità – per così volerla chiamare.
Ecco allora che “Santa Maria Assunta di Praglia. Storia, arte, vita di un’abbazia benedettina”, sotto la direzione scientifica di Giordana Mariani Canova, Anna Maria Spiazzi e Francesco Trolese (Edizioni Scritti Monastici, Abbazia di Praglia) rappresenta non soltanto un documento di quasi un millennio di storia e di vita, come detto, ma si propone quale elemento di riflessione per credenti e non credenti, quale fatto di cultura e di fede a un tempo, dunque.
Gli aspetti salienti di questa storia si possono riassumere nei seguenti momenti: la fondazione nel 1107 da parte della famiglia padovana dei Maltraversi che dotò l’abbazia di poderi; il passaggio, nel 1444 alla Congregazione Cassinese, con susseguente ampliamento del complesso edilizio-architettonico; le soppressioni: da parte di Napoleone prima (1810) e del Regno d’Italia poi (1867). In entrambi casi, comunque, l’abbazia non deperì, per così dire, e una presenza dei monaci nella zona restò a livello di assistenza pastorale alla popolazione. Il ritorno nei primi anni del Novecento, anche per l’interessamento di un “importante” amico, Antonio Fogazzaro, costituì un evento significativo, soprattutto per la popolazione e per quella salvaguardia della cultura, costante elemento nella storia dei benedettini. Non poche opere d’arte, fra l’altro, trovarono rifugio a Praglia durante il secondo conflitto mondiale.
In questi secoli di attività, di vita, la comunità religiosa ha mostrato di saper mantenere e trasmettere il messaggio del santo padre Benedetto, confermando l’importanza di uno spazio dove sono (ancora) possibili la preghiera, la meditazione, il confronto di una vita ci contemplazione nella realtà quotidiana – come sottolineato dall’abate Norberto Villa. “Tradizione, casa, scuola della comunione: così si presenta l’abbazia”, secondo il religioso, e questa “monografia rappresenta un messaggio di speranza, di bellezza, di gioia, di luce”.
Quasi a rincalzo, ecco l’abate presidente della Congregazione Benedettina Sublacense, padre Bruno Marin, nato e cresciuto e fattosi monaco proprio a Praglia, riferendosi al volume: “E’ un’opera come una ‘verbalizzazione’ della storia di Dio con noi:  monaci e popolo. Perché il monastero non è semplicemente la casa dei monaci, appunto, ma una realtà storica dinamica, il ‘cuore di Dio’, segno, simbolo del ‘cuore di Dio’ che ci chiama tutti alla fedeltà alla terra, alla storia”, oltre che alla fede, nella consapevolezza che qui, la realtà di oggi, come di ieri, è appunto comunione di fede…
Percorrendo gli antichi chiostri, immergendosi nei lunghi corridoi dove il tacere è (quasi) regola, pare poi di riudire le parole di un vecchio monaco scritte in un precedente volume (1985): “Il monastero nel concetto di San Benedetto è prima di tutto la casa di Dio, il luogo cioè dove Dio è il primo cercato, il primo servito, amato, pregato, cantato nelle lodi quotidiane. Il resto è subordinato e finalizzato a questa meta…”.
Ecco: Dio innanzitutto; il resto viene dopo. E, di questi tempi, è un richiamo di indubbia forza.
 

(Fonte: Giovanni Luganesi, Riscossa cristiana, 28 novembre 2013)

 

mercoledì 27 novembre 2013

“Evangelii gaudium”, un manuale pastorale e il ritorno di alcuni temi postconciliari

Un testo personale scritto dopo il viaggio a Rio de Janeiro. La Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium è un ponderoso testo di circa 250 pagine, scritte in spagnolo da Papa Francesco. Una summa di quello che il Papa ha detto in questi nove mesi di pontificato, a partire da molti dei pensieri che Francesco ha ricordaro nelle omelie del mattino nella messa privata a Santa Marta. Pastoralità latinoamericana tipica di quella “teologia pastorale urbana” dell’ Argentina che Bergoglio ha praticato e seguito per anni come cardinale di Buenos Aires.Non sono idee nuove o rivoluzionarie, piuttosto si tratta di un manuale di pastorale che potrà essere utile nelle parrocchie.
Una delle vere novità è l’attenzione alle conferenze episcopali e quindi delle modalità dell’esercizio del Ministero Petrino. Il Papa dice che manca una vera applicazione della collegialità in questo ambito e scrive: “Non si è esplicitato sufficientemente uno statuto delle Conferenze Episcopali che le concepisca come soggetti di attribuzioni concrete, includendo anche qualche autentica autorità dottrinale”. Il Papa fa riferimento al Motu proprio di Giovanni Paolo II Apostolos suos, ma poi non approfondisce il tema. Forse per proporne il dibattito ai fedeli.
Da qui sicuramente verranno i dibattiti più accesi. Che si intende infatti per “autorità dottrinale”? E quali gli ambiti della dottrina che possono essere “gestiti” a livello di Conferenza episcopale?
Sono temi lasciati aperti e che dovranno essere approfonditi anche per quanto riguarda l’esercizio collegiale del Ministero Petrino.
Il testo pontificio va oltre il tema della Nuova Evangelizzazione e tocca un po’ tutti i temi della vita sociale del cristiano. Il filo rosso del testo è la missionarietà, l’uscire da se stessi per andare verso il resto del mondo.
Un tipo di lavoro che la Chiesa deve affrontare con una conversione alla pastoralità, senza indulgere in burocraticismi.
Il Papa usa un linguaggio a volte vivace a volte un po’ difficile con riferimenti a filosofie e teologie degli anni dell’immediato post Concilio, ma c’è davvero argomentazione per tutti.
Il Papa, ha ricordato Rino Fisichella, “indugia in espressioni ad effetto e crea neologismi per far cogliere la natura stessa dell’azione evangelizzatrice.”
Nel testo c’è spazio per i Sacramenti, per il dialogo ecumenico, per i problemi della povertà, per la pietà popolare, per la liturgia, per i problemi sociali.
I principi dottrinali rimangono quelli di sempre, ma si amplia l’area di interesse e il Papa guarda al sociale e alla società partendo dal basso.
Significativo anche lo spazio dedicato ad una vera “pastorale dello Spirito Santo” anche questo originario della teologia latinoamericana che affronta la aggressività delle sette con una attenta rilettura proprio dello Spirito.
Molte le citazioni dei documenti delle varie conferenze episcopali nel mondo.
Il Papa riporta nella Costituzione i temi principali del documento di Aparecida, da lui preparato alla conclusione della assemblea del 2007, e ritorna a mettere in guardia dal pericolo dello gnosticismo e del pelagianismo.
Ci sono nel testo alcuni passaggi che potranno essere “usati” per sostenere tesi che il Papa non presenta. Come il passaggio dedicato al Sacramento dell’ Eucaristia.
Tra le molte indicazioni pastorali anche una speciale per la attenzione alla omelia nelle messe. Un tema che era stato trattato nel Sinodo sulla Parola di Dio e che il Papa approfondisce e amplia.
Significativo anche che il Papa ricordi come la attività missionaria del cristiano non deve essere timida, e ricorda che l’identità cristiana è la strada per una vera evangelizzazione.
Nel testo ci sono gli echi dei tempi più classici del Concilio, dalla inculturazione alla opzione per i poveri del Documento di Puebla e della Populorum progressio e anche la Deus Caritas est con la sua attenzione al compito della Chiesa che “non può né deve rimanere ai margini della lotta per la giustizia”.
Il testo è chiaramente rivolto ai cristiani, non “a tutti gli uomini di buona volontà”, un testo ad intra che serve un po’ da manuale per le comunità e apre anche spazio al dibattito su temi che da decenni vengono usati all’interno della Chiesa cattolica per cercare di “forzare” il Vangelo.
Una nota sui media. Il Papa non esita ad affermare che: “ Nel mondo di oggi, con la velocità delle comunicazioni e la selezione interessata dei contenuti operata dai media, il messaggio che annunciamo corre più che mai il rischio di apparire mutilato e ridotto ad alcuni suoi aspetti secondari”.
Insomma il pericolo, come quello del progresso tecnologico, è quello di rendere tutto superficiale e mal interpretato.
Per il Papa quindi il rischio della “secolarizzazione” c’è ed è fortissima e dipende in gran parte dalla mancanza di formazione religiosa, ma anche dalla mancanza di veri rapporti, di una vera cultura dell’ incontro, di una pastorale “che scaldi il cuore”.
Colpa del clero o dei laici? La lettura del voluminoso testo del Papa che riassume i temi di sempre e ripropone interrogativi non ancora risolti è quanto meno una occasione per un buon esame di coscienza.
 

(Fonte: Angela Ambrogetti, korazim.org, 26 novembre 2013)
 

martedì 26 novembre 2013

Solidarietà con le donne, violentate da femminismo, relativismo ed egualitarismo idiota

In questo strano Paese in cui le cerimonie, gli anniversari, le commemorazioni, si susseguono a ritmo incalzante (mentre ci sarebbe un gran bisogno di commemorare un po’ meno e fare invece qualcosa di concreto per il disastro in cui si vive) oggi è d’obbligo essere pensosi e uniti nella fiera battaglia democratica contro la violenza sulle donne.
Beh, mi associo. Ero un giovane ventisettenne quando ho iniziato a veder esplodere la violenza sulle donne. In quel genocidio dei cervelli che fu il mitico “sessantotto” nacquero i primi concetti di emancipazione, di rivoluzione sessuale, di uguaglianza tra uomo e donna.
Ricordo una frase atroce, ma assai diffusa all’epoca, che suonava così: “Se non ci stai, sei fascista”. In altri termini, e mi scuseranno le orecchie più delicate, si nobilitava con ideologie abborracciate il normale turbinio ormonale dei caporioni del “Movimento”, esentandoli così dalla ricerca, magari a pagamento, di quel “conforto” (chiamiamolo così…) a pulsioni che peraltro in genere si sanno controllare se dotati di una sufficiente educazione e non di istinti animaleschi.
Quante ragazze si piegarono a queste vigliaccate, perdendo la loro dignità, convinte a colpi di ideologie di aver fatto chissà quale conquista! La conquista dell’uguaglianza! Un concetto cretino, perché un uomo e una donna, proprio perché uomo e donna, sono due creature distinte, con caratteristiche, interessi, temperamento, pulsioni, diversi.
In nome di una libertà falsa si spinsero le giovani a perdere la loro femminilità, per trasformarle, le più brutte in “pasionarie” da prima linea nei cortei, e le più avvenenti da pasionarie e amanti dei capetti di turno. Vite buttate al vento, dignità, freschezza, femminilità massacrate dall’egoismo e dalla menzogna.
Naturalmente il mito dell’ugualitarismo avrebbe poi continuato la sua opera. La donna doveva abbandonare il suo più prezioso compito, quella di custode della famiglia, di moglie e madre, e cercare nel lavoro il successo e la “gratificazione”. Un passo in più per sfasciare le famiglie, che avrebbero poi ricevuto il fiero colpo con la legge sul divorzio.
Ma una donna che ormai non vuole più essere donna, perché ha scoperto che può fare tutte le stesse fesserie che fanno gli uomini, può forse sopportare la fatica di una gravidanza? Non sia mai! Con fantastica raffinatezza le donne guidate da erinni come l’attuale Ministra degli Esteri venivano imbesuite con slogan tipo “l’utero è mio e me lo gestisco io”. Ovvio, del resto, perché la vita sessuale doveva essere libera e saltellante, come quella dei cani che si accoppiano ai giardini pubblici. Ergo, diamo alle donne la libertà della gestione uterina. L’aborto, da crimine abominevole diventa un diritto. L’alba radiosa della legge 194. Un massacro di bimbi che continua tuttora, ogni giorno, ma anche un massacro di mamme, che prima o poi, rendendosi conto dell’enormità del loro gesto, ma avendo perso il concetto di pentimento e perdono (anticaglie di una Chiesa cattolica che ai tempi predicava ancora la Fede cattolica…) hanno davanti solo la disperazione per il gesto sciagurato che hanno compiuto.
Sulla scia delle conquiste dei paradisi del socialismo reale, le donne possono fare i minatori, gli spazzini, i soldati, i poliziotti, e mille altri mestieri pesanti e pericolosi da sempre riservati all’uomo. Grande conquista. Se un po’ più spregiudicate, possono anche gettarsi nella politica.
Si inventano le “quote rosa”, misto tra idiozia, umorismo scadente e oltraggio alle donne, riducendo quest’ultime ad animali da proteggere, tipo Panda.
E si arriva a legioni di ultracinquantenni che si guardano indietro e vedono il vuoto, guardano all’oggi e vedono solo la loro profonda solitudine e la perdita di tutto ciò che avevano di grande e di bello e che le distingueva dall’uomo. Perché, ricordiamocelo, Dio li creò uomo e donna. Due persone distinte.
Le ultracinquantenni possono rifugiarsi in un malinconia senza vie d’uscita, o reagire con quella spocchia irosa e supponente che, ad esempio, caratterizza ogni gesto della nostra infelicemente regnante presidentessa della Camera.
Viva le donne libere, violentate dall’ideologia, private della loro identità, costrette a essere quelle che non sono.
Epilogo inevitabile. Ormai non esistono più i sessi, esistono i generi, magari a variabilità frequente. Il martedì ti percepisci come uomo, il mercoledì come donna, il giovedì ti prendi un giorno libero e il venerdì ti percepisci come uomo però omosessuale con una speciale attrazione per le donne purché lesbiche.
Certo, tutto ciò è pazzesco, ma la pazzia arriva da lontano, da decenni di menzogne.
E a tante donne che oggi sono costrette a non apparire politicamente scorrette, vorrei ricordare un momento fissato nella Storia, in cui la donna venne elevata a una dignità impensabile, meravigliosa. L’annuncio a Maria. Ave, piena di Grazia. È a una donna che Dio mise in mano la salvezza dell’umanità, ponendo nel suo grembo il miracolo della vita, di un bambino che era perfetto uomo e Perfetto Dio.
E vorrei ricordare le parole del grande Pio XII, che stupendamente sintetizzano la grandezza della donna: “La donna genera ciò che Dio crea”.
Ieri, la donna chiamata a partecipare all’opera di Dio e a salvare l’umanità. Oggi la donna chiamata ad ascoltare i deliri di una Bonino o di una Paola Concia e a diventare un mostro infelice. Basta, finiamola davvero con la violenza sulle donne!

(Adattamento da Paolo Deotto, Riscossa Cristiana, 25 novembre 2013)

Altro commento su questo tema:
Futuro abierto” è una rubrica domenicale di radio Nacional de España in cui si dibattono temi di attualità. Io la seguo anche dall’Italia. Per trattare il tema di domenica scorsa erano presenti quattro donne, fra cui anche una cattedratica universitaria, una progressista socialista e due che avevano esperimentato la violenza. Una si chiamava Maria José, l’altra Assumpción. Nomi molto cattolici, come vediamo. Anche lì si parla di “femminicidio” e di “violenza di genere”.
“Però guarda – mi sono detto – anche qui in Italia si parla dello stesso tema”. Non dubito del fatto che il problema esista, però mi chiedo: ci rendiamo conto che la cultura dominante, anche quella dei mercati in conflitto permanente, così come quella di una informazione che ci presenta principalmente le cattive notizie e raramente il bene che avanza, finisce col favorire questa violenza? Ci rendiamo conto che è dalla Rivoluzione degli anni Sessanta con il suo “proibito proibire”, che è iniziata – sotto un malinteso senso di libertà – la caduta dei valori? Ci rendiamo conto che, assieme al consumismo delle cose – voluto dalla logica dei mercati – abbiamo mercificato persino il sesso? Ci rendiamo conto che anche le donne – sotto la spinta di una falsa liberazione e autodeterminazione – hanno cambiato la loro vera essenza?
Oltretutto osservo che in terre di antica evangelizzazione, come la Spagna e l’Italia, sono davvero pochi gli uomini che frequentano la chiesa. Se lo facessero scoprirebbero che un Uomo, il Figlio di Dio, è stato oggetto di una grande violenza a causa dei nostri peccati: di quelli degli uomini e delle donne. Apprenderebbero da dove deriva il vero Amore e il perdono. Imparerebbero il rispetto per la donna e per tutti. Però purtroppo molti uomini pensano che la chiesa e la religione siano cose da donnicciole, così poi vediamo i risultati.
Come potremo allora uscire da questa violenza? Con le tavole rotonde, i proclami o magari con la educazione sessuale nelle scuole? Ma quale educazione? Forse con la “educazione di genere”, che la “religione” della cultura dominante vorrebbe imporre ai nostri figli? Se questo è l’intento, prepariamoci ad ulteriori violenze.
L’uomo non è un animale. L’uomo ha una grande dignità, come ci insegna il meglio della nostra tradizione. Non possiamo gettare con l’acqua sporca il Bambino che festeggeremo a Natale! Se lo faremo, ci perderemo! Questa non è solo la mia opinione, direi che è la Verità. Sappiamo però, purtroppo, che per la nostra cultura moderna non esiste verità, ma solo opinioni. Così, però, domina solo la confusione.

(Da: Claudio Forti, Trento, 25 novembre 2013)

 

domenica 24 novembre 2013

Da Roma a Trento, senza passare per Bologna

Il Concilio Tridentino si è concluso 450 anni fa, nel 1563. E per dare lustro alla ricorrenza, papa Francesco invierà a Trento il 1 dicembre, come proprio rappresentante ufficiale, il cardinale tedesco Walter Brandmüller, già presidente del pontificio comitato di scienze storiche e specialista nella storia dei concili.
Nell’interpretare il Concilio Vaticano II, Brandmüller è uno dei critici più duri delle tesi della “scuola di Bologna”, alla pari con quell’Agostino Marchetto che papa Francesco ha recentemente definito “il migliore ermeneuta” di quello stesso concilio, ma soprattutto in perfetto accordo con l’ermeneutica sostenuta da Benedetto XVI nel memorabile discorso alla curia del 22 dicembre 2005: quella della “riforma nella continuità dell’unico soggetto Chiesa”.
Ebbene, nella lettera in latino con cui affida al cardinale Brandmüller il compito di rappresentarlo a Trento, resa pubblica il 23 novembre, papa Francesco cita proprio quel discorso di Benedetto XVI per dire come vanno interpretati sia il Concilio di Trento che il Concilio Vaticano II, cioè i due concili che nella visione di “rottura” cara ai bolognesi rappresentano l’uno il vecchio e l’altro il nuovo che vi si sostituisce.
Con ciò papa Jorge Mario Bergoglio sembra fare un ulteriore passo nella rettifica dei giudizi da lui espressi sul Vaticano II nell’intervista a “La Civiltà Cattolica”, nel senso di una piena e dichiarata adesione all’ermeneutica di Benedetto XVI.
Ecco qui di seguito il passaggio chiave della lettera del papa a Brandmüller, tradotto dal latino:
«A Trento, i padri conciliari dedicarono ogni cura a che la fede cattolica apparisse più chiara e fosse meglio compresa. Su ispirazione e suggerimento dello Spirito Santo, fu loro somma premura che il sacro deposito della dottrina cristiana non solo fosse custodito ma risplendesse più luminoso all’uomo, affinché l’opera salvifica del Signore fosse diffusa in tutto il mondo e il Vangelo fosse propagato su tutta la terra. Ponendosi con certezza in ascolto obbediente del medesimo Spirito, la Santa Chiesa del nostro tempo ribadisce e medita anche oggi la ricchissima dottrina tridentina. Infatti ‘l’ermeneutica della riforma’ che il nostro predecessore Benedetto XVI illustrò nel 2005 alla curia romana si applica al concilio Vaticano non meno che al Tridentino. Senza dubbio questo tipo di ermeneutica pone in una luce più nitida l’inconfondibile ed eccelsa proprietà della Chiesa che il Signore stesso le conferisce: ‘Essa è un soggetto che nel trascorrere dei secoli cresce e si sviluppa, rimanendo però sempre il medesimo. Essa è infatti l’unico e identico soggetto del Popolo di Dio in cammino» (Discorso alla curia romana nel Natale del Signore).
 

(Fonte: Sandro Magister, Settimo Cielo, 24 novembre 2013)
 

venerdì 22 novembre 2013

Anche il papa fa autocritica. E corregge tre errori

Nel giro di pochi giorni papa Francesco ha corretto o fatto correggere alcuni tratti rilevanti della sua immagine pubblica. Almeno tre.
Il primo riguarda il colloquio da lui avuto con Eugenio Scalfari, messo per iscritto da questo campione del pensiero ateo su "la Repubblica" del 1 ottobre.
La trascrizione del colloquio aveva effettivamente generato un diffuso sconcerto, a motivo di alcune affermazioni sulla bocca di Francesco che suonavano più congeniali al pensiero laico dominante che alla dottrina cattolica. Tipo la seguente: "Ciascuno ha una sua idea del Bene e del Male e deve scegliere di seguire il Bene e combattere il Male come lui li concepisce".
Nello stesso tempo, però, l'intervista era stata da subito avvalorata da padre Federico Lombardi come "fedele al pensiero" del papa e "attendibile nel suo senso generale".
Non solo. Poche ore dopo l'uscita su "la Repubblica", l'intervista era stata riprodotta integralmente sia su "L'Osservatore Romano" che nel sito web ufficiale della Santa Sede, al pari degli altri discorsi e documenti del papa.
Nacque da ciò l'idea che Jorge Mario Bergoglio avesse scelto volutamente la modalità espressiva del colloquio, in questa come in altre occasioni, come nuova forma del suo magistero, capace di raggiungere più efficacemente il grande pubblico.
Ma nelle settimane successive il papa deve essersi reso conto anche del rischio che tale modalità comporta. Il rischio che il magistero della Chiesa scada al livello di una mera opinione offerta al libero confronto.
Ne è derivata infatti la decisione, il 15 novembre, di far sparire dal sito dello Santa Sede il testo del colloquio con Scalfari.
"Togliendolo – ha spiegato padre Lombardi – si è fatta una messa a punto della natura di quel testo. C'era qualche equivoco e dibattito sul suo valore".
Il 21 novembre, intervistato nella sede romana della stampa estera, Scalfari ha comunque rivelato altri particolari della vicenda.
Ha detto che il papa, al termine della conversazione, aveva consentito che la si rendesse pubblica. E alla proposta di Scalfari di mandargli il testo in anticipo aveva risposto: "Mi sembra una perdita di tempo, di lei mi fido".
In effetti, il fondatore di "la Repubblica" inviò il testo al papa, accompagnato da una lettera nella quale tra l'altro scriveva: "Tenga conto che alcune cose che Lei mi ha detto non le ho riferite. E che alcune cose che Le faccio riferire, non le ha dette. Ma le ho messe perché il lettore capisca chi è Lei".
Due giorni dopo – sempre stando a quanto riferito da Scalfari – arrivò per telefono dal secondo segretario del papa, Alfred Xuereb, l'ok per la pubblicazione. Che avvenne l'indomani.
Scalfari ha commentato: "Sono dispostissimo a pensare che alcune delle cose scritte da me e a lui attribuite il papa non le condivida, ma credo anche che egli ritenga che, dette da un non credente, siano importanti per lui e per l’azione che svolge".
Ma anche la calibrata e studiatissima intervista di papa Francesco a "La Civiltà Cattolica" – pubblicata il 19 settembre da sedici riviste della Compagnia di Gesù in undici lingue – è entrata nei giorni scorsi nel cantiere delle cose da correggere.
Su un punto chiave: l'interpretazione del Concilio Vaticano II.
Lo si è capito da un passaggio della lettera autografa scritta da Francesco all'arcivescovo Agostino Marchetto in occasione della presentazione di un volume in suo onore, il 12 novembre nella cornice solenne del Campidoglio. Lettera che il papa ha voluto fosse letta in pubblico.
Il passaggio è il seguente: "Questo amore [alla Chiesa] Lei lo ha manifestato in molti modi, incluso correggendo un errore o imprecisione da parte mia, – e di ciò La  ringrazio di cuore –, ma soprattutto si é manifestato in tutta la sua purezza negli studi fatti sul Concilio Vaticano II. Una volta Le ho detto, caro Mons. Marchetto, e oggi desidero ripeterlo, che La considero il migliore ermeneuta del Concilio Vaticano II".
Già la definizione di Marchetto come "il migliore ermeneuta" del Concilio ha del clamoroso. Marchetto è infatti da sempre il critico più implacabile di quella "scuola di Bologna" – fondata da Giuseppe Dossetti e Giuseppe Alberigo e oggi diretta dal professor Alberto Melloni – che ha il monopolio mondiale dell'interpretazione del Vaticano II, in chiave progressista.
L'ermeneutica del Concilio sostenuta da Marchetto è la stessa di Benedetto XVI: non "rottura" e "nuovo inizio", ma "riforma nella continuità dell'unico soggetto Chiesa". Ed è questa l'ermeneutica che papa Francesco ha voluto dar segno di condividere, nel tributare un così alto apprezzamento a Marchetto.
Ma se si va a rileggere il succinto passaggio che Francesco dedica al Vaticano II nell'intervista a "La Civiltà Cattolica", l'impressione che se ne ricava è diversa. "Sì, ci sono linee di ermeneutica di continuità e di discontinuità", concede il papa. "Tuttavia – aggiunge – una cosa è chiara": il Vaticano II è stato "un servizio al popolo" consistente in "una rilettura del Vangelo alla luce della cultura contemporanea".
Nelle poche righe dell'intervista dedicate al Concilio, Bergoglio ne definisce così l'essenza per ben tre volte, applicandola anche alla riforma della liturgia.
Un simile giudizio sul grandioso evento conciliare era apparso subito a molti così sommario che persino l'intervistatore del papa, il direttore de "La Civiltà Cattolica" Antonio Spadaro, confessò il suo stupore, nel trascriverlo dalla viva voce di Francesco.
Intanto, però, questo giudizio ha continuato s riscuotere largo consenso.
Ad esempio, nel ricevere in visita al Quirinale papa Francesco il 14 novembre, il presidente della repubblica italiana Giorgio Napolitano lo ha ringraziato proprio per far "vibrare lo spirito del Concilio Vaticano II come 'rilettura del Vangelo alla luce della cultura contemporanea'", citandone le precise parole.
E un plauso al papa per queste stesse parole è venuto – altro esempio – dal numero uno dei liturgisti italiani, Andrea Grillo, docente al Pontificio Ateneo Sant'Anselmo, secondo cui Francesco avrebbe finalmente inaugurato la vera e definitiva "ermeneutica" del Concilio, dopo aver "messo subito in secondo piano quella diatriba sulla 'continuità' e la 'discontinuità' che aveva lungamente pregiudicato – e spesso del tutto paralizzato – ogni efficace ermeneutica del Vaticano II".
In effetti non è un mistero che "servizio al popolo" e rilettura del Vangelo "attualizzata nell'oggi" sono concetti cari alle interpretazioni progressiste del Concilio e in particolare alla "scuola di Bologna", più volte dichiaratasi entusiasta di questo papa.
Ma evidentemente c'è chi ha fatto notare di persona a papa Bergoglio che ridurre il Concilio a tali concetti è per lo meno "impreciso", se non "errato".
Ed è stato proprio Marchetto a fare questo passo. Tra lui e Bergoglio c'è da tempo una grande confidenza, con reciproca stima. Marchetto abita a Roma nella casa del clero di via della Scrofa, nella stanza 204 che è adiacente alla 203 nella quale alloggiava l'allora arcivescovo di Buenos Aires nelle sue trasferte romane.
Papa Francesco non solo ha ascoltato le critiche dell'amico, ma le ha accolte. Al punto da ringraziarlo, nella lettera fatta leggere il 12 novembre, per averlo aiutato "correggendo un errore o imprecisione da parte mia".
C'è da presumere che in futuro Francesco si esprimerà sul Concilio in altro modo che come ha fatto nell'intervista a "La Civiltà Cattolica". Più in linea con l'ermeneutica di Benedetto XVI. E con grande delusione per la "scuola di Bologna".
La terza correzione è coerente con le due precedenti. Riguarda il timbro "progressista" che papa Francesco si è visto stampare addosso in questi primi mesi di pontificato.
Un mese fa, il 17 ottobre, Bergoglio era parso avvalorare un volta di più questo suo profilo quando nell'omelia mattutina a Santa Marta aveva diretto parole sferzanti contro i cristiani che trasformano la fede in "ideologia moralista", tutta fatta di "prescrizioni senza bontà".
Ma un mese dopo, il 18 novembre, in un'altra sua omelia mattutina il papa ha suonato tutt'altra musica.
Ha preso spunto dalla rivolta dei Maccabei contro le potenze dominanti dell'epoca per dare una tremenda lavata di capo a quel “progressismo adolescenziale”, anche cattolico, disposto a sottomettersi alla “uniformità egemonica” del “pensiero unico frutto della mondanità”.
Non è vero, ha detto Francesco, che "davanti a qualsiasi scelta sia giusto andare avanti comunque, piuttosto che restare fedeli alle proprie tradizioni". A forza di negoziare su tutto, finisce che i valori siano talmente svuotati di senso da restare soltanto “valori nominali, non reali”. Anzi, si finisce per negoziare proprio "la cosa essenziale al proprio essere, la fedeltà al Signore".
Il pensiero unico che domina il mondo – ha continuato il papa – legalizza anche “le condanne a morte”, anche “i sacrifici umani”. “Ma voi – ha chiesto – pensate che oggi non si facciano, i sacrifici umani? Se ne fanno tanti, tanti! E ci sono delle leggi che li proteggono”.
Difficile non vedere in questo grido di dolore di papa Francesco le innumerevoli vite umane falciate sul nascere con l’aborto, oppure stroncate con l'eutanasia.
Nel deprecare l’avanzata di “questo spirito di mondanità che porta all’apostasia” il papa ha citato un romanzo “profetico” d’inizio Novecento che è una delle sue letture preferite: “Il padrone del mondo” di Robert H. Benson, un sacerdote anglicano, figlio di un arcivescovo di Canterbury, che si convertì al cattolicesimo.
Con l'eccezione di rare testate cattoliche, i media di tutto il mondo hanno ignorato questa omelia di papa Francesco, che in effetti contraddice clamorosamente gli schemi progressisti, o addirittura rivoluzionari, con cui egli viene generalmente descritto.
Ma ora è agli atti. E lì resta.
Una curiosa coincidenza: alla messa in cui Francesco ha pronunciato questa omelia ha preso parte anche il nuovo segretario di Stato Pietro Parolin, nel suo primo giorno di servizio effettivo nella curia romana.
 

(Fonte: Sandro Magister, www.chiesa, 22 novembre 2013)

lunedì 18 novembre 2013

L’università degli Studi di Milano finanzia gli omosessuali per oltraggiare Benedetto XVI

C’è ancora qualcuno che pensa che le Università siano i sacri templi del sapere, dove docenti pensosi del bene dei giovani impartiscono loro dotte lezioni per fare di giovani virgulti, solide piante ben radicate nel terreno fertile della cultura. Cionondimeno, i docenti plasmano anche quelle giovani e inesperte menti per condurle sulle aspre ma fruttuose strade della virtù.
Vabbè, adesso smettiamo di scherzare e parliamo invece di quello che accade nella realtà. Nemmeno le Università possono sfuggire al clima oppressivo e grigio del pensiero unico, standardizzato, dominante e violento. Ognuno è libero di pensare ciò che vuole, purché pensi solo le cose giuste, e quali siano le cose giuste lo valuta il pensiero unico. Col che abbiamo chiuso il giro.
Può forse un’Università sottrarsi al dovere pedagogico di dare voce, e quattrini, a un gruppo studentesco che si fregia del nome, politicamente corretto, anzi, correttissimo, di “Gruppo Studentesco Gaystatale”? Ovviamente non può.
E adesso c’è da ridere. Poi ci sarà anche da incavolarsi, e non poco. Ma intanto ridiamo, perché se il Consiglio di Amministrazione dell’Università degli Studi deve deliberare l’utilizzo di un importo di euro 170.000, stanziati per “attività culturali”, ci sia concessa la risata quando leggiamo che un’associazione che raccoglie studenti che, poveretti, ci tengono tanto a far sapere di essere (o cercare di esserlo, per conformismo) omosessuali, partecipa a questo riparto. Ci è sempre sfuggito cosa c’entri la cultura col fatto di avere una grave anomalia comportamentale.
Non stiamo parlando a vuoto: è tutto scritto nel verbale di Consiglio di Amministrazione, che potete leggere per rendervi conto di come si usano i vostri soldi.
Orbene, i giovani che ci tengono tanto a far sapere di essere omosessuali (detto per inciso, ma cosa ce ne frega? Perché dobbiamo essere informati dei loro pruriti?) chiedono la somma di euro 4.436,95 per ciclo di conferenze e cineforum. Il consiglio si fa lo sconticino del 10% e quindi versa ai bravi figlioli euro 4.000, che non sono affatto quattro soldi nell’epoca dei risparmi, dei tagli, eccetera. Sono tre mesi di stipendio per tanti sottopagati impiegati e operai, che magari hanno anche una famiglia da mantenere. Potete leggere ciò al punto 8 del verbale; scorrendolo tutto potrete avere anche un chiaro panorama di chi è finanziato, e chi no…
A questo punto i bravi giovani fanno i loro manifesti per pubblicizzare le loro attività “culturali”. Tema immancabile: “Omosessualità e religione”. Illustrazione sul volantino/manifesto: un’oscena caricatura di Benedetto XVI, la cui foto, ritoccata, lo trasforma in un pagliaccio da “Gay-pride”.
E qui c’è la nostra legittima incavolatura. Sarebbe infatti interessante sapere:
- Il consiglio di Amministrazione dell’Università non si documenta su ciò che viene prodotto coi soldi stanziati, che sono soldi di tutti, di noi contribuenti?
- Nel caso si documenti, nessuno si è sentito in dovere di intervenire contro questa laida offesa a un grande Pontefice, contro questo idiota scherzo che offende anche i milioni di cattolici che hanno amato e amano Benedetto XVI?
- Chi ha ideato e realizzato questo capolavoro di pessimo gusto e di idiozia, si rende conto di quanto è vigliacco? È molto facile oltraggiare un uomo mite come Benedetto XVI, è molto facile oltraggiare i cattolici, che non hanno l‘abitudine di uccidere i loro oppositori. Ma, a furia di porgere l’altra guancia, arriva anche il momento in cui ci si stanca.
È vero che chiedere a un gruppo di omosessuali di comportarsi da uomini sarebbe una contraddizione in termini, però mi piacerebbe tanto sapere se qualcuno di loro abbia mai avuto il coraggio di prendere in giro simboli e volti, che so, dell’Islam o dell’ebraismo. Non credo, già, perché da quelle parti si incavolano sul serio, non solo a parole, come facciamo noi.
Concludiamo facendo i più vivi complimenti alle Autorità Accademiche. Almeno ci tolgono ogni illusione circa il fatto che in questo Paese, che olezza di fogna, esistano ancora la serietà, l’intelligenza, il rispetto, la difesa dei diritti e, dulcis in fundo, la cultura. Arrivederci tutti al prossimo “Gay-Student-Pride”. Con finanziamenti pubblici, ovviamente, e oltraggi alla religione cattolica, ovviamente. Va tutto bene. Complimenti!
 

(Fonte: Michele Majno, Riscossa Cristiana, 17 novembre 2013)
 

venerdì 15 novembre 2013

Melloni & C. in lutto, traditi dal “loro” papa

Un apprezzamento come questo nessuno se lo aspettava da papa Francesco. Eppure è arrivato. E ha del clamoroso:
“Una volta Le ho detto, caro Mons. Marchetto, e oggi desidero ripeterlo, che La considero il migliore ermeneuta del Concilio Vaticano II”.
A Bologna, nel santuario di quella “scuola” oggi diretta dal professor Alberto Melloni che ha il monopolio mondiale dell’interpretazione del Concilio Vaticano II, avranno listato le bandiere a lutto.
Perché Agostino Marchetto (foto) era la loro bestia nera, il loro critico più irriducibile, da sempre.
I “bolognesi” avevano annesso alla loro interpretazione del Concilio persino Benedetto XVI. Di papa Francesco fino a ieri dicevano entusiasti che “del Concilio parla poco perché lo attua nei fatti”, a modo loro, naturalmente. Mentre alle critiche di Marchetto non hanno mai puntualmente replicato. Semplicemente se ne facevano beffe, lo irridevano.
E ora se lo ritrovano davanti come “il migliore ermeneuta del Concilio”, insignito di ciò nientemeno che dal loro fu beniamino Jorge Mario Bergoglio.
Il riconoscimento del papa a Marchetto è stato reso pubblico il 12 novembre, in occasione della presentazione in Campidoglio di un volume in suo onore, edito dalla Libreria Editrice Vaticana.
Ecco il testo integrale della lettera del papa:
Caro Mons. Marchetto, Con queste righe desidero farmi a Lei vicino e unirmi all’atto di  presentazione del libro: “Primato pontificio ed episcopato. Dal primo millennio al Concilio ecumenico Vaticano II”. Le chiedo che mi senta spiritualmente presente.
La tematica del libro è un omaggio all’amore che Ella porta alla Chiesa, un amore leale e al tempo stesso poetico. La lealtà e la poesia non sono oggetto di commercio: non si comprano né si vendono, sono semplicemente virtù radicate in un cuore di figlio che sente la Chiesa come Madre; o per essere più preciso, e dirlo con ”aria” ignaziana di famiglia, come “la Santa Madre Chiesa gerarchica”.
Questo amore Lei lo ha manifestato in molti modi, incluso correggendo un errore o imprecisione da parte mia, – e di ciò La  ringrazio di cuore –, ma soprattutto si é manifestato in tutta la sua purezza negli studi fatti sul Concilio Vaticano II.
Una volta Le ho detto, caro Mons. Marchetto, e oggi desidero ripeterlo, che La considero  il migliore ermeneuta del Concilio Vaticano II. So che é un dono di Dio, ma so anche che Ella lo ha fatto fruttificare.
Le sono grato per tutto il bene che Lei ci fa con la sua testimonianza di amore alla Chiesa e chiedo al Signore che ne sia ricompensato abbondantemente.
Le chiedo per favore che non si dimentichi di pregare per me.
Che Gesù La benedica e la Vergine Santa La protegga.
Vaticano 7 Ottobre 2013
Fraternamente, Francesco.
Marchetto è un sostenitore indefesso di quell’ermeneutica del Concilio Vaticano II che Benedetto XVI ha definito come “riforma nella continuità dell’unico soggetto Chiesa”.
 

(Fonte: Sandro Magister, Settimo cielo, 14 novembre 2013)
 

giovedì 14 novembre 2013

Lettera aperta a Padre Livio Fanzaga di Radio Maria

Caro Padre Livio. Un’idea che lei oggi va diffondendo e difendendo quotidianamente dai microfoni di Radio Maria è la seguente: “Papa Francesco sarebbe pienamente cosciente che il mondo contemporaneo è ormai completamente scristianizzato. Egli però riterrebbe del tutto improduttivo insistere sulla Dottrina, sulla Morale, sul Catechismo ecc. ecc. Tutte cose che nessuno ascolterebbe più. Bisognerebbe pertanto tornare al “primo annuncio”.
Benissimo: ma cosa sarebbe questo primo annuncio?
Qui, in ottima compagnia su questo fronte, lei inizia a sciorinare formulette sentimentalistiche quanto apparentemente coinvolgenti: bisognerebbe, in altre parole, dire a tutti: “Dio ti ama…, Gesù ci ha salvato…, Apriti fratello alla Misericordia di Dio…, Dio perdona tutti…, Dio conosce i tuoi affanni…”, e via di questo passo; senza dogmi, senza appesantire il messaggio, senza sovrastrutture, senza puntualizzazioni fastidiose.
Lei segue quindi, come se fosse un’ovvietà, la battutina ripresa successivamente anche dall’ineffabile Antonio Socci: “Non si evangelizza brandendo il Denzinger ma portando il Vangelo!” E in questo modo tutti i critici sarebbero, secondo lei, messi a tacere per sempre.
Purtroppo però io ho il grave torto di pensare, di usare quel grande dono di Dio che è la ragione.
Eccole pertanto qualche semplice domanda:
A) In primis a proposito del Denzinger [per chi non lo sapesse, è la raccolta in ordine cronologico delle fonti patristiche e dei documenti del Magistero della Chiesa, partendo dai primi anni di vita cristiana]:
1 – Lei usa, in modo chiaramente spregiativo, il nome del “Denzinger” per intendere la Vera Dottrina della Chiesa Cattolica e la contrappone forzatamente al Vangelo. Ma io chiedo: che differenza c’è fra il Denzinger e il Vangelo? Non è forse il primo nient’altro che la semplice lettura e l’interpretazione magisteriale autentica del secondo?
2 – Anzi su questo punto direi ancor di più: il Vangelo non esisterebbe senza il Denzinger… È stata infatti la Chiesa a decidere, con il Suo Magistero e la Sua Tradizione, quali fossero da considerare le fonti ispirate della S. Scrittura.
3 – Ad evangelizzare utilizzando la “sola scriptura” ci ha già provato qualcun altro qualche secolo fa: i risultati li vediamo molto bene ancora oggi nella situazione comatosa in cui si dibatte il mondo protestante.
B) In secundis: a proposito di questo fantomatico “primo annuncio”, lei mi dovrebbe per favore spiegare una cosa molto semplice: “per quale motivo un certo nostro fratello contemporaneo, completamente digiuno di cultura religiosa, dovrebbe aderire a questo primo annuncio se questo non è accompagnato da un’argomentazione credibile, da un ragionamento sull’ordine che governa il mondo, da uno studio serio delle realtà naturali, della storia della Chiesa, dell’ordine dell’Universo, dell’incontestabile divinità di Cristo, della superiorità della Sua Dottrina ecc.?”.
Per quale motivo, se si prescinde dalla Dottrina, il nostro catechizzando dovrebbe preferire il “primo annuncio” cristiano rispetto alle migliaia di “primi annunci” che ci raggiungono nella vita di tutti i giorni? da “Allah è grande” a “lo yoga libera il tuo spirito”, da “il sesso libero ci può dare la felicità” a “La lotta per l’eguaglianza sociale porterà il paradiso su questa terra” ecc. ecc.?
È verissimo che la società contemporanea è completamente scristianizzata. Fin qui siamo d’accordo. Penso però che, se proprio bisogna ricominciare da capo, a ben poco possano servire formulette sentimentalistiche. I veri “primi annunci”, con qualche possibilità di successo, io li vedo più “apologetici”. Innanzitutto:
1) Dio esiste e possiamo conoscerne l’esistenza con la nostra ragione;
2) Gesù Cristo è davvero Dio perché ha fatto miracoli, è risorto, ha fondato la Sua Chiesa che si è diffusa nel mondo senza né armi né eserciti, ha insegnato agli uomini una Dottrina eterna, trascendente e non relativistica, ha suscitato legioni di Santi e Martiri che hanno testimoniato con la vita la Verità di questa Dottrina ecc.;
3) Da ciò discende che esiste una sola morale, in primo luogo naturale e poi, non in contrasto con questa, quella portataci dalla Rivelazione. Esistono quindi dei “valori non negoziabili” che, pur non essendo graditi a molti uomini, sono comunque Veri.
Questi sarebbero i “primi annunci” che servirebbero davvero oggi. Anche se il mondo non applaudirebbe certo quanti avessero il coraggio di proclamarli senza paura.
Già, caro padre Livio, queste stesse cose le diceva anche Lei, fino a qualche mese fa. Come mai oggi ha così vistosamente mutato stile pastorale?
Io rimango dell’idea che Il primo annuncio non può prescindere dalla ragione, dal legame tra Vangelo ed un modo di vivere ispirato a certi principi: altrimenti la conversione non ha senso. Se andassi da un non credente e gli dicessi che Gesù lo ha salvato, so per esperienza che mi sentirei rispondere: “Grazie dell’informazione. Ma da cosa mi ha salvato? E chi è questo Gesù? perché dovrei credere a queste favole? E se mi ha salvato, non sono già a posto così?” Il vero primo annuncio è pertanto quello di Gesù : “Convertitevi e credete al Vangelo”: convertitevi, cioè cambiate mentalità e vita; credete al Vangelo, cioè credete a quanto Gesù, gli apostoli, la Chiesa, su di loro fondata, ha insegnato e insegna. Purtroppo oggi, anche in ambiente ecclesiale, sembra verificarsi quanto lamentava il non credente Carducci: “Amore, amore, amore. Il mondo nuota tutto nel lattemiele…”. Ma una Chiesa al lattemiele, è veramente brutta e infedele!
 

(Liberamente tratto da: Marco Bongi e commenti, Riscossa Cristiana, 8 novembre 2013)
 

Pio XII, il Papa della carità

L’indegna, calunniosa commedia, messa in scena contro Pio XII da un mediocre commediante, al soldo del Kgb e applaudito dalla folla ubriacata dal buonismo di marca radical-chic, è andata in frantumi urtando la mole invincibile dei documenti storici e delle testimonianze autorevoli.
Il cardinale José Saraiva Martins, prefetto emerito della Congregazione della Cause dei Santi”, e autore dell’introduzione all’innovativo saggio di Emilio Artiglieri, “Pio XII Il Papa della carità“, dichiara finalmente scaduto il tempo in cui “la Chiesa cattolica si è affaticata a difendere la figura di Pio XII da attacchi ignobili, dettati più che da ignoranza, da vera e propri mistificazione”. Ha inizio adesso  una nuova fase storica, in cui la Chiesa sarà impegnata ad esaltare “uno dei più straordinari pontefici che la cristianità abbia mai avuto“.
Scritto con bello stile, il saggio di Artiglieri, edito da Velar, in Gorle (Bergamo), è un tempestivo segnale della svolta in atto nel cuore profondo e vitale della Cristianità.
L’autorevole prelato afferma, infatti, che l’autore “riesce a enucleare sapientemente gli aspetti più caratteristici e umani – e anche più trascurati – della poliedrica e ricchissima personalità di Papa Pacelli, offrendoci un ritratto particolareggiato di gran pregio di questo protagonista luminoso del recente passato“.
Quasi intenzionato a restaurare il veritiero ritratto del papa buono, dai media progressisti e massonici trasformato in matriosca contenente la caricatura di un inventato predecessore non buono, Artiglieri rievoca luminosi episodi della vita di Pio XII, che dissolvono la stucchevole dialettica, che ha avvelenato la storiografia ecclesiastica e propiziato le incaute e disastrose aperture ai fumi tossici emanati dell’agonizzante modernità.
Altra la verità storica e indenne dai fumi. Rammenta Artiglieri: “Era tale la fama di carità del nunzio [a Monaco di Baviera] che, come racconta suor Pasqualina, all’epoca già al servizio di Pacelli, una vecchietta lo attese all’uscita della Nunziatura per chiedergli aiuto. Fu il Nunzio stesso ad andarle incontro, chiedendo che cosa desiderasse. Conosciute le necessità della donna, la fece entrare e non solo le riempì due borse di vettovaglie, ma si offrì anche di portargliele fino a casa. Solo il tenace rifiuto della donna, ammirata da tanta bontà, glielo impedì”.
A proposito di carità non è inutile rammentare che buono non è il benefattore occasionale, l’elargitore di parole squillanti e inaudite, ma colui che vive secondo le virtù teologali, fede speranza e carità, e le virtù cardinali, prudenza, giustizia, fortezza e temperanza.
Eugenio Pacelli era autenticamente buono ossia virtuoso in senso eminente e integrale. Coraggioso, ad esempio: “nei giorni della rivoluzione spartachista a Monaco, egli fu l’unico membro del corpo diplomatico, che rimase al suo posto, anticipando così quel contegno che da Pontefice terrà nei giorni non meno terribili, della Seconda Guerra Mondiale, allorché, dopo l’armistizio, fu l’unica autorità a restare a Roma”.
Della temperanza del venerabile parla la severità della sua giornata: “Lavoratore instancabile, Eugenio Pacelli iniziava la giornata poco dopo le 6 del mattino e la concludeva non prima delle 2 di notte”.
La giustizia di Pio XII rifulse durante la guerra fredda, allorché “mantenne l’indipendenza della Chiesa nella contrapposizione dei due blocchi, rinnovando le preghiere per la pace e mettendo in guardia i governanti da qualsiasi tentazione di ricorso all’arma atomica; neppure mancò di avvertire contro i rischi che la vera libertà poteva incontrare nel mondo occidentale, che attraverso la tecnica e i mezzi di comunicazione, già tendeva all’omologazione del pensiero“.
L’incontrastata corruzione oggi diffusa dall’ideologia liberale mediante una martellante propaganda che trionfa sulle ceneri del comunismo, dimostra quanto fosse lungimirante l’equanime giudizio di Pio XII.
La prudenza di Pio XII rifulge nell’insistenza con cui raccomandava agli educatori di instillare nei giovani studenti l’orrore per ogni forma di doppiezza. Quando si considera la doppia, drammatica e sciagurata vita delle studentesse parioline e delle loro madri, non si fa fatica a comprendere la verità e l’attualità della pedagogia di Pio XII
La luminosa fede di Eugenio Pacelli si legge nei documenti che confutano gli errori e le sciocchezze gorgoglianti nella nouvelle théologie. L’intrepida fede di Pio XII si legge specialmente nella proclamazione del dogma dell’Assunzione di Maria Santissima al Cielo in corpo e anima: “dogma, nota Artiglieri, che nella mente del Pontefice rappresentava un motivo di forte rafforzamento della fede nell’Aldilà e nei valori eterni, in contrapposizione ad una visione materialista ed edonista dell’esistenza che si faceva sempre più diffusa”.
Fugate le ombre addensate dalla calunnia orchestrata dai malvagi, la figura di Pio XII, esempio di vita eroica, capace di resistere alle malsane suggestioni esalate dal sottosuolo, si propone ai fedeli, impauriti e angosciati dalla potente offensiva scatenata dall’alleanza dei tanatofili con i libertini e i cravattari, e sconcertati dagli sbandamenti del clero conciliare.
La figura di Pio XII esce dalla matriosca attiva sulla scena dell’avanspettacolo anticattolico e antistorico, per diventare il simbolo della rivincita cristiana contro gli attori recitanti, nel fumo di satana, nel cadaverico teatro del modernità e rifugio della stupidità neomodernista e del rancore degli apostati.
 

(Fonte: Piero Vassallo, Riscossa Cristiana, 8 novembre 2013)
 

giovedì 7 novembre 2013

Che significa “cattolico eticista” e “cattolico alla Denzinger”? Evitiamo le etichettature!

Il nostro è il tempo in cui si esalta la bio-diversità. Vi è la convinzione che “diverso” è bello, che più c’è e meglio è, che più è varia la realtà e più essa sarebbe affascinante … insomma, un po’ come si dice dalle mie parti per la pizza piena: più ci metti e più ci trovi!
Anche nella Chiesa in un certo qual modo si vive questa atmosfera. Ma fosse l’atmosfera della sinfonia, non ci sarebbe nulla da ridire, perché la sinfonia è l’“unità nella diversità”, diversità nei modi ma unità nella dottrina. Questo c’è sempre stato nella Chiesa, anzi è stata la sua caratteristica principale. Ciò che però c’è adesso non è questo. Non prendiamoci in giro: non è questo. Domina non l’esaltazione della sinfonia ma della contraddizione, che è ben altra cosa.
Da qualche giorno abbiamo scoperto che esiste anche il cattolico ideologico ed eticista.
In realtà, se proprio volessimo dare la giusta interpretazione alle parole, una simile scoperta doveva essere fatta da tempo. Se infatti le parole hanno un senso, il cattolico ideologico dovrebbe essere colui che deforma il proprio credo in ideologia, e l’ideologia è la pretesa di ridurre il reale in costruzione intellettuale e soggettiva. D’altronde il padre dell’ideologia fu il razionalista Cartesio. E – sempre se le parole hanno un senso – il cattolico eticista dovrebbe essere colui che trasforma la morale naturale e soprannaturale in etica umana, ovvero che opera il passaggio dalla Legge (con la “L” maiuscola) alle regole, quelle regole fondate solo sulla debolezza delle opinioni umane e dei contesti socio-culturali.
Ma invece abbiamo scoperto, in questi giorni, non solo l’esistenza del cattolico ideologico ed eticista come se fosse una novità, ma anche che con questa etichetta (cattolico ideologico ed eticista) deve intendersi tutt’altra cosa rispetto al vero significato delle parole, deve intendersi il cattolico fedele alla Tradizione (che è il Dio vivente ed immutabile nella storia, quindi tutt’altro che ideologia) e alla morale di sempre (che è la sequela al Dio vivente e immutabile nella storia, quindi tutt’altro che eticismo).
Ma perché questa confusione? Per un motivo molto semplice: perché si è persa la bussola, né più né meno. Venendo meno la consapevolezza della verità e di quanto soprattutto la verità debba “in-formare” tutto (“in-formare” nel senso di dare forma) non solo la diversità diventa fine a se stessa, ma lo stesso significato dei termini va a carte quarantotto.
E così si trascura il problema e ci si concentra sul metodo e sulla forma. Prendiamo il caso Gnocchi-Palmaro. Non voglio entrare nella questione del metodo, dove posso anch’io avere idee poco chiare a riguardo, se cioè Gnocchi-Palmaro abbiano fatto bene o meno a scrivere certe cose. Ciò che però rifiuto è che le discussioni in atto vertano sul fatto se siano stati irriverenti o meno, senza che nessuno – dico nessuno – si prenda la briga di dimostrare che ciò che hanno scritto sia sbagliato.
L’ultimo intervento di Socci su Il foglio del 24 ottobre scorso ha complicato ancora più le cose. Ha scritto molto ma di fatto non ha scritto nulla. Ci ha informato che Benedetto XVI è stato un maestro del Logos. Bene. Ci ha informato che Paolo VI scrisse delle cose molto interessanti in merito alla fedeltà alla Tradizione. Benissimo. Ci ha informato che tutti sono nella continuità. Speriamo. Ha condito il tutto con una tirata di orecchi ai vari intellettuali e teologi gnostici alla moda, in stile salotto scalfariano. Ci fa piacere. Ci ha informato di tante cose belle … ma non ha risolto il problema. Non ci ha spiegato, per esempio, perché le affermazioni sulla coscienza di papa Francesco nei suoi colloqui con il fondatore de La Repubblica siano in linea, non dico con tutto il Denzinger, ma almeno con la Veritatis splendor di Giovanni Paolo II. Apoditticamente ci ha detto che così è, ma non lo ha spiegato. E se ne è convinto solamente perché papa Francesco è figlio di sant’Ignazio, beh’ non  è poi un argomento così forte… se è vero, come è vero, che anche il cardinale Martini era un gesuita. Se poi ne è convinto perché ciò che dice papa Francesco è sempre in linea con il Logos, quel Logos che, salvaguardato, evita – lo ha scritto lo stesso Socci – qualsiasi riduzione del Cristianesimo a emozione e sentimento così come – a detta dello stesso Socci – sono soliti fare i movimenti carismatici, allora è bene che Socci si vada ad informare che opinione papa Francesco abbia sui movimenti carismatici cattolici. Sua Santità li ha sempre lodati e sostenuti.
Ma torniamo alla “bio-diversità”, che tutto accorda, che tutto armonizza nella dialettica e anche nella lotta, come il lupo con l’agnello e la gazzella con il ghepardo. Una “bio-diversità” che in termini logici si traduce in negazione del principio di non-contraddizione.
Ma torniamo all’intervento di Socci. Definire il lefebvriano (chi scrive non è un lefebvriano né tantomeno si riconosce in particolari etichette) un cattolico alla Denzinger non so se sia davvero un’offesa. Lasciamo stare l’eleganza dell’espressione e soffermiamoci sulla sostanza: cattolico alla Denzinger vuol un dire un cattolico che guarda all’interezza del Magistero, che, e Socci lo dovrebbe sapere molto bene, non è un guardare facoltativo del cattolico ma obbligato, perché il Magistero è continuità; quella stessa continuità che Socci tanto apprezzava e dice di continuare ad apprezzare citando Ratzinger/Benedetto XVI. Siamo alle solite: si dà una definizione più o meno suggestiva per colpire ed evitare di spiegare.
Veniamo adesso ad un altro punto. Il cattolico eticista insisterebbe troppo sulla morale. Ma ci siamo mai chiesti cosa è la morale nell’ambito della teologia cattolica? Il Dio Logos è un Dio che non è al di là del bene e del male, ma che è costitutivamente buono; per cui la legge morale non è una decisione arbitraria di Dio ma la sua stessa natura. I Dieci Comandamenti, per esempio, altro non sono che la natura stessa di Dio codificata per la vita quotidiana dell’uomo. Dunque, rispettare la legge di Dio vuol dire aderire alla Sua natura, abbracciare Dio; per cui, di converso, non è possibile scegliere e convivere con Dio se non si rispetta la Sua Legge. In questo non c’è nulla di moralistico, perché il moralismo è un’accettazione senza motivi persuasivi della legge morale, convincendosi tutto sommato che la morale è una pura astrazione e decisione intellettuale che è in un modo, ma poteva anche essere in tutt’altro modo. I Santi invece hanno capito che non c’è Dio senza Legge morale e non c’è Legge morale senza Dio. Definire eticista il comportamento di chi è attento alla Legge morale e invita tutti a fare altrettanto significa contraddire il comportamento dei Santi. Che dire, per esempio, di un San Pio da Pietrelcina e della sua risaputa intransigenza. Gesù parla chiaro: Chi dunque trasgredirà uno solo di questi precetti, anche minimi, e insegnerà agli uomini a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà agli uomini, sarà considerato grande nel regno dei cieli. (Matteo 5,19)
In questo senso Benedetto XVI insisteva molto sui cosiddetti principi non-negoziabili, perché dal giudizio concreto sulla vita, da come ci si rapporta a quelle grandi questioni che danno il tono del tempo attuale (per esempio Benedetto XVI definì l’ideologia del gender come la più grave sfida a cui la Chiesa di oggi deve fare fronte) si esprime la testimonianza e l’amore del cristiano a Colui che è l’unica Via, l’unica Verità, l’unica Vita.
E allora faccio un appello. Vogliamo sì o no ragionare sui contenuti, invece che sparare definizioni offensive di catalogazione dei cattolici, a mo’ di entomologia ecclesiale? Vogliamo risolvere sì o no i problemi? Dire che basterebbe seguire la percezione soggettiva del bene e del male per salvarsi, dire che si può non perdere la Fede prescindendo dalla fede in Cristo, dire che Dio non è cattolico, dire che lo scopo del cristiano non sarebbe quello principalmente di convertire … tutto questo dire pone o no dei problemi? La questione è qui.
Nella favola di Pinocchio fu un semplice grillo a parlare (a proposito di entomologia), fu schiacciato, parlò ma fece il suo dovere. Pose delle giuste questioni. Pinocchio disse che doveva stare zitto perché era solo un misero grillo, lo schiacciò, ma non risolse i problemi … né i suoi né del babbo.
 

(Fonte: Corrado Gnerre, Il giudizio cattolico, 3 novembre 2013)