giovedì 21 febbraio 2019

Abusi sessuali, un vertice con troppe censure e ambiguità


Si apre stamattina in Vaticano il vertice sugli abusi sessuali nella Chiesa che sta suscitando molte attese. Ma malgrado la retorica della “tolleranza zero” e della “trasparenza”, non c’è proprio aria di andare al fondo della questione. Intanto è "scomparso" anche il cardinale O'Malley che, formalmente, è ancora a capo della Pontificia Commissione per la tutela dei minori. Non è nel comitato organizzatore né risulta fra i relatori, un segnale molto negativo.

Quando lo scorso 12 settembre papa Francesco ha annunciato che l’incontro dei presidenti delle Conferenze episcopali di tutto il mondo sul tema degli abusi dei minori sarebbe iniziato oggi, 21 febbraio, sicuramente non si sarà accorto che questa data coincide con la memoria di san Pier Damiani. Il monaco e dottore della Chiesa, vissuto nell’XI secolo, è famoso per il suo Liber Gomorrhianus (Libro di Gomorra); sottotitolo di una edizione moderna: “Omosessualità ecclesiastica e riforma della Chiesa” (clicca qui).
È una coincidenza molto significativa, ancor più se si considera che quel libro era indirizzato al papa Leone IX, perché intervenisse in maniera drastica contro questa «turpe pratica». «Nelle nostre regioni – scriveva san Pier Damiani - cresce un vizio assai scellerato e obbrobrioso. Se la mano della severa punizione non lo affronterà al più presto, certamente la spada del furore divino infierirà terribilmente, minacciando la sventura di molti. Ah, mi vergogno a dirlo! (…) La sozzura sodomitica si insinua come un cancro nell’ordine ecclesiastico, anzi, come una bestia assetata di sangue infuria nell’ovile di Cristo con libera audacia». Seppure il linguaggio crudo mal si adatta ai nostri tempi, il giudizio e l’avvertimento riguardano la Chiesa di ogni epoca.
È in fondo lo stesso tipo di messaggio contenuto nella lettera aperta pubblicata ieri dei cardinali Raymond L. Burke e Walter Brandmüller i quali - nel denunciare «l’agenda omosessuale» diffusa nella Chiesa e «promossa da reti organizzate e protetta da un clima di complicità e omertà» - ricordano ai loro confratelli vescovi che la radice di questa crisi morale «che corrompe certi ambienti della Chiesa» sta «in quell’atmosfera di materialismo, di relativismo e di edonismo, in cui l’esistenza di una legge morale assoluta, cioè senza eccezioni, è messa apertamente in discussione». In altre parole la vera colpa del clero «sta nell’essersi allontanato dalla verità del Vangelo», è una crisi di fede.
Non sembra però che finora questo messaggio abbia fatto breccia nella cabina di regia del vertice che inizia oggi. La linea è dettata: «Il problema è il clericalismo», e da qui non ci si sposta. Di positivo c’è l’ascolto delle vittime degli abusi, che tutti possano rendersi conto dei danni che questi abusi comportano, che tutti tocchino con mano le conseguenze di questi crimini e delle complicità di chi, pur sapendo, non interviene. Ma malgrado la retorica della “tolleranza zero” e della “trasparenza”, non c’è proprio aria di andare al fondo della questione, alle radici del problema. Vediamo brevemente alcuni di questi elementi critici, che non fanno ben sperare:
1) Il tema omosessualità è rigorosamente lasciato fuori dalla porta. Non è certo l’unico problema, ma se l’80% e oltre degli abusi sono in realtà atti omosessuali una qualche domanda bisognerà pur farsela se si vuole davvero risolvere la questione. È quello che ha detto il cardinale Müller nell’intervista che ci ha dato alcune settimane fa, ma è anche una semplice questione di buon senso. Non si tratta di marchiare le persone che hanno tendenze omosessuali o di lanciare una caccia alle streghe. Piuttosto è necessario che si ribadisca il giudizio sull’omosessualità, viste le spinte e le pressioni che puntano a una revisione del Catechismo (vedi la vicenda Avvenire). Questa ostinazione a non voler affrontare il tema lancia un sinistro segnale di ambiguità.
2) A questo proposito, non è certo un buon segno che alla conferenza stampa di presentazione del vertice, lunedì il cardinale Blase Cupich, arcivescovo di Chicago, abbia clamorosamente contraddetto il Catechismo, come ha giustamente sottolineato Costanza Miriano. «Gli abusi non hanno a che fare con un particolare orientamento sessuale», ha risposto a una delle domande che gli sono state fatte sull’argomento. Ma questo è già una inaccettabile assunzione del linguaggio Lgbt, che al sesso biologico sostituisce i vari orientamenti che ognuno liberamente sceglie. In realtà il progetto creatore di Dio prevede solo maschi e femmine, tra loro complementari; orientamenti diversi da questo costituiscono un “disordine”, che non potrà mai diventare “ordine” anche se lo decidesse la maggioranza del popolo.
3) Non solo si vuole evitare di definire la questione omosessualità, anche per quel che riguarda la vocazione sacerdotale, ma questa “neutralità” fa chiaramente il gioco di chi vuole usare di questa occasione per legittimare l’omosessualità. Il caso Avvenire ne è un esempio, le parole di Cupich un altro esempio; il lancio del libro Sodoma, un altro ancora. E certamente ne sentiremo ancora nei prossimi giorni. Il ritornello è: per i sacerdoti non è importante l’orientamento sessuale, ma che si resti fedeli alla castità. Pazientare un po’ di tempo, almeno fino a quando faremo saltare anche il celibato sacerdotale: allora ognuno potrà sposarsi secondo il proprio orientamento.
4) La “scomparsa” del cardinale O’Malley. Formalmente l’arcivescovo di Boston, cardinale Sean Patrick O’Malley, è ancora il presidente della Pontificia Commissione per la tutela dei minori, ma il suo nome non compare né nel comitato organizzatore né fra i relatori del vertice. Come mai? Probabilmente è la “vendetta” del Papa per la sua presa di distanza sul caso abusi in Cile. Quando nella conferenza stampa in aereo di ritorno dal Cile, il Papa difese a spada tratta il vescovo Barros, tacciando di pettegolezzi le denunce delle vittime, O’Malley non nascose il suo disappunto. Nel giro di pochi giorni papa Francesco dovette fare pubblica ammenda per i suoi giudizi temerari, ma da allora l’arcivescovo di Boston è praticamente scomparso. Come è nel suo stile, il Papa non lo ha destituito, semplicemente lo aggira dando ad altri il suo compito. E infatti ha nominato il cardinale Cupich nel comitato organizzatore.
5) Ancora a proposito di Cupich, non si può non restare sconcertati da certe nomine. Si è deciso di far pagare all’ex cardinale McCarrick il conto per tutti, ma i suoi “protetti” continuano a fare carriera come se niente fosse. Cupich è un esempio, ma recentemente proprio nei giorni della sentenza che ha ridotto McCarrick allo stato laicale, il cardinale Kevin Farrell, che con McCarrick ha convissuto quattro anni, è stato addirittura nominato Camerlengo di santa Romana Chiesa, ovvero colui che prende possesso dei palazzi apostolici alla morte del Papa e organizza il conclave per eleggere il successore.
6) Si parla molto di trasparenza, ma dal Vaticano non sta certo arrivando l’esempio. Sul caso McCarrick è arrivato lo stop direttamente dal Papa a una inchiesta a 360 gradi per capire quale rete di coperture e complicità abbia permesso all’ex cardinale di vivere per molti anni una doppia vita facendo una brillante carriera ecclesiastica. Al proposito ci sono ancora le domande poste al Papa da monsignor Carlo Maria Viganò che aspettano una risposta. E il Papa è anche investito direttamente da queste situazioni in Argentina: prima il caso del prete abusatore don Julio Cesar Grassi, condannato dalla giustizia civile a 15 anni di carcere; secondo le accuse l’allora arcivescovo Bergoglio cercò in tutti i modi di evitargli la condanna. Ora sta scoppiando il caso di monsignor Zanchetta, nominato vescovo da papa Francesco, travolto dalle accuse in patria e quindi chiamato a importanti incarichi nella Curia romana per evitargli il processo. Troppe nubi che si addensano proprio sulla testa del Papa e che necessiterebbero un chiarimento, necessiterebbero quella trasparenza che tanto si invoca ma che qui latita.

(Fonte: Riccardo Cascioli, LNBQ, 21 febbraio 2019)
http://www.lanuovabq.it/it/abusi-sessuali-un-vertice-con-troppe-censure-e-ambiguita




Avvenire e i gay, la dottrina recente meglio della vecchia


La strategia di Avvenire sull'omosessualità da sdoganare è mutuata dal pacchetto Office di Microsoft: più è recente, meglio è. Infatti si cita Amoris Laetitia e tutto il resto, Catechismo compreso, è anticaglia. L'importante è sfumare e dissimulare. Per scovare nel male il bene.

Un ottimo compendio per comprendere come alcuni, in casa cattolica, vogliano sdoganare l’omosessualità è dato dall’articolo, a firma di Luciano Moia pubblicato martedì scorso su Avvenire, dal titolo “Omosessualità e pedofilia. Spunti per capire”. In questo pezzo, scritto alla vigilia del Summit vaticano dedicato agli abusi su minori, viene condensata buona parte della strategia per far digerire l’omosessualità al cattolico della Domenica.
In primo luogo è bene essere obliqui nella prosa: mai affermare che l’omosessualità è condizione buona, mai scrivere esplicitamente che gli atti omosessuali esprimono vero amore. L’incedere deve essere sfumato, nebbioso, ambiguo, implicito, mai assertivo, altrimenti anche il lettore più distratto ti coglie subito in fallo. Per farlo basta semplicemente ricorrere alla forma dubitativa, perché la nuova Chiesa, secondo alcuni, non insegna la verità ma il dubbio, non dà risposte, ma pone solo domande. E così si passa dal “dubbio secondo cui si considera omosessualità e pedofilia comportamenti devianti frutto della stessa radice” al “rapporto irrisolto tra norma, coscienza e discernimento”, passando dal dovere “di interrogarsi e di interrogare” e infine approdare ad una gragnola di domande: “Fino a che punto spingere l’accoglienza? Accogliere non comporta il rischio di approvare anche implicitamente uno stile di vita? Quando si parla di dovere della castità cosa si intende? Rispetto, fedeltà e impegno di aiuto reciproco nella relazione o astinenza assoluta? […] Cosa intendiamo quando parliamo di omosessualità?”. La sintesi è questa: “Le domande potrebbero continuare a lungo ma le risposte al momento non ci sono, comunque non sono agevoli”. 
E dunque occorre studiare, approfondire, discernere, investigare, analizzare, soppesare, valutare sempre con prudenza. Tutte cose giuste, si badi bene, ma nella Chiesa cattolica da una parte vi sono alcune questioni che sono ancora avvolte dal mistero, ma non è questo il caso dell’omosessualità, e su altro fronte esistono alcune verità di fede e di morale ormai acquisite una volta per tutte, verità che possono e devono essere approfondite per capirle meglio – dato che la verità ha una profondità infinita – non per confutarle. L’approfondimento serve per aggiungere verità a verità, non per  trasformare la verità in errore. Forse che se ci interroghiamo e investighiamo a lungo un giorno potremmo scoprire che l’aborto e la pedofilia sono atti buoni? Quindi la strategia è chiara e procede per gradi: non negare esplicitamente che l’omosessualità è condizione intrinsecamente disordinata e le condotte omosessuali atti moralmente riprovevoli, ma porre il dubbio e dunque essere possibilisti sulla bontà dell’omosessualità. Esaurita questa fase, domani si potrà tranquillamente affermare che l’omosessualità è certamente cosa buona.
Dunque ad Avvenire ci si domanda se l’omosessualità sia una condizione moralmente accettabile oppure no (tenendo però a sottolineare che tra omosessualità, pedofilia ed efebofilia ci sono “enormi ed esplicite divergenze”). Eppure la dottrina è limpida e tutte le domande prima indicate hanno già ottenuto risposta esaustiva da tempo. Nel mazzo peschiamo a caso la carta del Catechismo della Chiesa Cattolica: “Appoggiandosi sulla Sacra Scrittura, che presenta le relazioni omosessuali come gravi depravazioni, la Tradizione ha sempre dichiarato che «gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati». Sono contrari alla legge naturale. Precludono all'atto sessuale il dono della vita. Non sono il frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale. In nessun caso possono essere approvati. […] Le persone omosessuali sonoo chiamate alla castità.” (2357, 2359). Più chiari di così si muore. Curioso che in un pezzo che si intitola “Spunti per capire” non si citi la fonte cattolica più autorevole.
Perché Moia non lo fa? La risposta rimanda alla seconda tattica gay friendly: la dottrina muta. Infatti l’autore dell’articolo appunta: “«La dottrina parla chiaro», direbbero coloro che usano le norme come pietre da scagliare nella vita delle persone. Già, ma quale norma? In Amoris laetitia – che rimane il più recente documento magisteriale sul tema – dopo aver ricordato l’esigenza della vicinanza pastorale alle persone omosessuali da parte della Chiesa, Francesco non aggiunge alcuna condanna etica, non ricorda il passaggio del Catechismo a proposito del «disordine morale oggettivo», come avevano fatto i precedenti documenti del magistero”. Dunque la dottrina è come le versioni del pacchetto Office: la più recente è migliore delle precedenti e le sostituisce. Per Moia il Catechismo quando parla di omosessualità è anticaglia perché Papa Francesco non ha condannato esplicitamente l’omosessualità. E allora perché il Papa ha approvato la Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis del 2016 in cui si nega l’accesso ai seminari alle persone con tendenze omosessuali e perché nel libro intervista del 2018 La forza della vocazione il Pontefice ha ribadito la validità di tale divieto?
Terzo trucchetto: scovare nel male il bene. Moia a questo proposito parla “di coppia stabile, fedele, reciprocamente oblativa, [che] è omosessuale”. Dunque se come dice l’ormai superato Catechismo l’omosessualità è una condizione intrinsecamente disordinata, va da sé che tutti gli atti, non solo sessuali, che promanano da tale condizione sono anch’essi disordinati. E dunque anche la relazione di coppia è ovviamente censurabile dal punto di vista morale, perché è essa stessa una relazione disordinata. La fedeltà nel disordine non è da benedire, ma da censurare perché consolida una realtà contraria a natura. Inoltre l’oblatività, inteso come dono reciproco, non è predicabile nelle relazioni omosessuali perché l’affetto omosessuale è anch’esso disordinato e quindi non c’è vero dono. Però se la dottrina cattolica sull’omosessualità, ormai ammuffita, è da smaltire in qualche isola ecologica e teologica, va da sé che queste riflessioni siano parimenti spazzatura.
Infine c’è una quarta strategia, la più gettonata: accoglienza misericordiosa verso le persone omosessuali. E qui il pezzo di Moia ricorda le varie iniziative pastorali a riguardo. L’accoglienza ovviamente è cosa giusta e doverosa, ma, come si domanda Moia, “accogliere non comporta il rischio di approvare anche implicitamente uno stile di vita?”. Non nascondiamoci dietro un dito: con il pretesto dell’accoglienza si vogliono spalancare le porte delle chiese all’omosessualità. E poi in realtà, spesso, è un’accoglienza non limpida nelle motivazioni. La pastorale gay friendly oggi di moda abbraccia la persona omosessuale solo per motivi di ingiusta discriminazione (o forse anche per scusarsi di quello che dice il Catechismo?), non perché consci che questa persona è prigioniera di una condizione che la rende infelice. L’abbraccio serve per nasconderlo dagli sguardi malevoli degli altri, non per liberarlo dai lacci dell’omosessualità.

(Fonte: Tommaso Scandroglio, LNBQ, 21 febbraio 2019)
http://lanuovabq.it/it/avvenire-e-i-gay-la-dottrina-recente-meglio-della-vecchia


Il prete no-global: Don Vitaliano ci ricasca e profana la Sacra Liturgia


Ha creato scandalo la notizia che don Vitaliano Della Sala abbia fatto cantare prima della Messa la canzone “Soldi” di Mahmood. Il Festival, fiera del politicamente corretto, non dovrebbe essere avvicinato alla Sacra Liturgia per ridurre tutto al sociale. 
L’introito ha infatti il fine di «favorire l’unione dei fedeli riuniti, introdurre il loro spirito nel mistero del tempo liturgico».

Ha destato scalpore la notizia che don Vitaliano Della Sala, sacerdote in passato sospeso a divinis ma da qualche tempo reintegrato nella sua funzione di parroco, abbia fatto cantare prima della Messa nella ‘sua’ chiesa di Avellino la canzone vincitrice di Sanremo, Soldi, del cantante Mahmood. Lo ammetto, non ho visto il Festival di Sanremo. Non per essere snob o per fare il musicista impegnato, ma mi sembrava proprio la solita fiera dell’ovvio, la liturgia del politically correct.
Oramai il politically correct, che regola le cose umane, non è più un contenuto ma un contenitore, un modo di vedere la vita da cui non si può sfuggire. Eugenio Capozzi, nel suo bel libro Politicamente corretto. Storia di un’ideologia (Marsilio, 2018) dice bene nella sua premessa: «Politicamente corretto: in questa formula oggi abusata e logora è racchiuso un potente luogo comune, uno stereotipo tenace. Come tutte le forme di ipocrisia, è un omaggio che il vizio rende alla virtù, secondo la celebre massima di La Rochefoucauld. E, potremmo aggiungere, che la menzogna rende alla verità. Essa ci introduce sui generis a un nucleo di realtà che avvertiamo come solido, resistente. Che ci interroga, chiede di essere chiarito. Ancor più perché negli ultimi tempi si sostanzia in una strana forma di schizofrenia».
E questa schizofrenia Sanremo la rappresenta veramente bene, con inviti all’adorazione delle varie incarnazioni del politically correct, come i #MeToo, i migranti e il pauperismo (problemi veri ma a cui vengono date soluzioni sbagliate) da una parte e l’idolatria per l’apparenza, il commerciale più sfrenato, i sentimentalismi più decadenti e deleteri dall’altro.
Quindi, ritengo che il Festival di Sanremo non dovrebbe essere un esempio, ma soprattutto non dovrebbe essere avvicinato alla Sacra Liturgia. E il canto è stato usato come introito della Messa, visto che il sacerdote, don Vitaliano, era vestito con i paramenti all’altare. Ho letto che don Vitaliano avrebbe affermato che spesso usano canti non religiosi prima della Messa, ma spero sia un’esagerazione dei giornalisti. «Nessuna polemica, è stata l'occasione di discutere di argomenti che forse non saremmo riusciti a fare entrare nel nostro programma dell’oratorio», ha detto don Vitaliano. Veramente? Cioè, per parlare dell’uso del denaro non ha trovato un testo nella Bibbia e ha dovuto attingere a Sanremo?
Ecco allora una parte del testo: «Mi chiede come va, come va, come va/ Sai già come va, come va, come va/ Penso più veloce per capire se domani tu mi fregherai/ Non ho tempo per chiarire perché solo ora so cosa sei/ È difficile/ stare al mondo quando perdi l’orgoglio/ Lasci casa in un giorno/ Tu dimmi se/ pensavi solo ai soldi, soldi/ Come se avessi avuto soldi, soldi/ Dimmi se ti manco o te ne fotti, fotti/ Mi chiedevi come va, come va, come va/ Adesso come va, come va, come va».
Era necessario parlare di soldi, di uso del denaro, usando questo testo? Non devo insegnare certo a un sacerdote che l’Ordinamento generale del Messale Romano così dice dell’introito: «La funzione propria di questo canto è quella di dare inizio alla celebrazione, favorire l’unione dei fedeli riuniti, introdurre il loro spirito nel mistero del tempo liturgico o della festività, e accompagnare la processione del sacerdote e dei ministri». Non è un’occasione per profanare la Messa e ridurre tutto al sociale. E poi mostrare come esempi sempre i soliti personaggi promossi dalla grancassa della narrativa dominante. Infatti Mahmood, per fare un esempio del tipo di messaggio, ha tra l’altro dichiarato: «Io non ho mai detto di essere gay. La mia è una generazione che non rileva differenze se hai la pelle di un certo colore o se ami qualcuno di un sesso o di un altro. Io sono fidanzato, ma troverei poco educata la domanda se ho una fidanzata o un fidanzato. Specificare significa già creare una distinzione».
Don Vitaliano vuole invitare Mahmood a parlare con i giovani, ai “ragazzi del coro” che hanno insistito per cantare il successo sanremese come introito della Messa (ma il sacerdote cosa ci sta a fare se non sa dire un giusto “no”?). Ma dirà ai giovani che per la dottrina cattolica se un uomo è fidanzato con un uomo o con una donna fa differenza?
Poi, basta con questa retorica dei soldi. I soldi servono anche alla Chiesa, altrimenti non potrebbe spedire missionari per evangelizzare, mantenere scuole, ospedali, parrocchie come quella di don Vitaliano. Il problema è l’idolatria del denaro, non i soldi in se stessi. Se la Chiesa fosse povera renderebbe i poveri ancora più poveri perché non li potrebbe assistere. Questo non significa vivere nello sfarzo o comprarsi auto lussuose. Certo, il denaro è una tentazione ma come il cibo o il sesso. Non sono mali in se stessi. E poi, ora che il cantante i soldi li sta facendo, chissà come dimostrerà il suo distacco da ciò che nella sua canzone esecrava così tanto. Se verrà invitato nella parrocchia di don Vitaliano a cantare con il coro (!?) spero qualcuno gli faccia questa domanda.

(Fonte: Aurelio Porfiri, LNBQ, 20 febbraio 2019)
http://www.lanuovabq.it/it/don-vitaliano-ci-ricasca-e-profana-la-sacra-liturgia