Sul
quotidiano Avvenire di mercoledì 24 gennaio, a pagina 23, vi è un lungo
articolo a tutta pagina, a firma di Alessandra De Luca, su un film appena
lanciato del regista italiano Luca Guadagnino intitolato “Chiamami con il
tuo nome”. L’enfasi data a tale film sembrerebbe derivare dal fatto che lo
stesso ha ricevuto quattro nomination agli Oscar (miglior film,
sceneggiatura, attore protagonista, canzone originale).
I
problemi e i dubbi sorgono se si considera la trama del film, che si può
brevemente così riassumere: un diciassettenne vive con la famiglia in una
grande villa vicino a Crema in Lombardia; siamo nel 1983. Il padre è docente
universitario e ogni estate ospita uno studente straniero che deve svolgere uno
stage in Italia per completare una tesi di dottorato. Giunge così un americano
di 24 anni sicuro di sé, molto bello e disinibito. Fra il giovane italiano,
studioso di musica, un po’ insicuro e dedito ai primi tentativi sentimentali
con una ragazza, e il misterioso e affascinante ospite si manifesta
un’attrazione omosessuale crescente che il film racconta in tutti i suoi
aspetti.
Questa
la trama, in realtà banalissima e scontata, del film. Ormai sembra impossibile
vincere un premio cinematografico internazionale senza pagare pegno alla
dittatura omosessualista che sta instaurandosi in tutto il mondo occidentale, e
non si contano più i film con la trama centrale, o almeno episodi e personaggi
secondari, che ruotano intorno a tematiche omosessuali.
È
evidente ormai da anni che i poteri forti anticristiani che mirano, con
crescente furia e violenza, alla dissoluzione di ogni vita di fede e di anche
solo ogni ricordo della morale tradizionale, hanno scelto cinema, programmi
televisivi e musica leggera come canali privilegiati per traghettare
l’Occidente verso l’omosessualismo di massa.
Dunque
non ci stupisce scoprire l’ennesimo caso di un regista pieno di furbizia, e al
tempo stesso moralmente vuoto, assetato di successo facile e bisognoso dei
finanziamenti di un produttore (la Warner), che sceglie la scontatissima
trama, falsamente trasgressiva - non si sa cosa infatti possa risultare più
conformista oggi - di una storiella d’ “amore” fra due giovani omosessuali!
Ciò che
stupisce e scandalizza è il tono complessivo dell’articolo di Avvenire,
oltre al fatto in sé che l’unico giornale cattolico italiano scelga di parlare
di simile immondizia.
Infatti,
come si può già notare, è partita - e crescerà con il tempo - la campagna per
lanciare il film in questione e tutta la stampa laicista e anticristiana ne
parlerà abbondantemente e, ovviamente, in modo favorevole vista l’insonne
sforzo di propaganda pro-gay che è in corso anche nel nostro paese da anni.
Dunque
il giornale della Conferenza episcopale dovrebbe avere la decenza di non
nominare nemmeno un film così indegno, ma se proprio ne vuole parlare dovrebbe
farlo per condannarlo, non certo per elogiarlo. Invece l’articolo della De Luca
è un vero e proprio inno celebrativo della bellezza del film e delle capacità
del regista: sembra insomma che il fine sia spingere il più ampio numero di
cattolici a incuriosirsi e ad andare a vederlo.
Leggiamo
qualche passo dell’articolo:
“Ma
questa volta il regista (…) sembra ispirato da una compostezza, un’eleganza
stilistica e un equilibrio narrativo mai raggiunti prima”.
“…Guadagnino
mette da parte la maniacale ricerca di un’estetica che nei film precedenti
rischiava di raffreddare tutto e, dando prova di una raggiunta maturità, ci
mette il cuore, la propria anima, con una serenità e una leggerezza mai
riscontrate prima nel suo cinema”.
Sono
elogi davvero sperticati che stonano totalmente con il vergognoso contenuto
della trama: infatti, stante l’immoralità e la turpitudine del racconto (cosa
di più squallido di un’avventuretta estiva di due finocchi, cosa di meno
poetico!) è da deprecare, più che elogiare, l’eventuale bontà artistica della realizzazione
del film, poiché rende il contenuto ancora più insidioso e velenosamente capace
di corrompere gli spettatori più ingenui e impreparati. La De Luca (fedele qui
a papa Bergoglio e al suo celeberrimo e colpevole: “Chi sono io per
giudicare?”) non solo non esprime alcun giudizio critico sul film, ma ne
attenua o nasconde i tratti peggiori, scrivendo, ad esempio:
“Alcune
scene sono esplicite, ma mai volgari, e la passione che cresce tra i due
giovani si inserisce nel riuscitissimo affresco di una città di provincia dove
la noia estiva si sposa al languore e dove le atmosfere, i tempi dilatati, le
attese sono più importanti e suggestive della storia d’amore”.
Ora, a
parte l’errore grammaticale di scrivere “suggestive”, anziché “suggestivi”,
si noti il tono non solo non di condanna, ma di compiaciuta approvazione delle
frasi appena citate, non esclusa la ridicola nota che le scene che ritraggono
gli atti sessuali che i due giovani sodomiti compiono fra di loro sono sì
esplicite, ma mai “volgari”. Sembra quasi un estremo tentativo di
rassicurare i più sospettosi fra cattolici (pochi, per fortuna) che ancora
leggono Avvenire e che potrebbero evitare la visione del film, temendo,
giustamente, di trovarsi di fronte a spiacevoli rappresentazioni di atti contro
natura.
Ma gli
elogi del film e del regista non sono finiti, tanto che l’articolo finisce
così:
“Il
Guadagnino di Chiamami con il tuo nome (…) è insomma un regista in stato
di grazia, adorato ora più che mai dagli americani, conquistati dalla sua
raffinatezza, e pronti a evocare la candidatura agli oscar con la convinzione
che all’Italia è mancata. Al Golden Globe non è andata bene, ma il prossimo 4
marzo potrebbe essere tutta un’altra storia”.
Quindi
la giornalista di Avvenire sembra augurarsi che il film, che di fatto
non può che contribuire a diffondere il vizio sodomitico fra i giovani del
nostro paese, abbia il massimo successo e riesca magari vincitore di qualche
Oscar.
Ora
credo sia possibile fare qualche considerazione di ampio respiro; la prima è la
seguente:
Avvenire, come ogni altro quotidiano, ha
una redazione e un direttore che vigilano attentamente sulla composizione delle
diverse pagine del giornale stesso. Dunque la De Luca non ha fatto una simile
recensione se non perché qualcuno gliela ha chiesta. I toni celebrativi sono
stati approvati da chi ha chiuso il giornale, cioè, essenzialmente, dal
Direttore.
Il film
si può immaginare che celebri ed esalti, in modo gravemente diseducativo, il
darsi di due giovani a quello che il catechismo di San Pio X chiamava giustamente
“peccato impuro contro natura”, uno dei quattro peccati che gridano
vendetta al cospetto di Dio. Ora a chi può sfuggire la gravità del fatto che il
giornale dei vescovi italiani, voce ufficiosa quindi, ma significativa della
chiesa italiana, approva un film così avverso al sentire e alla morale
cattolici?
Di fatto
questo articolo facendo conoscere ed elogiando un film che è un inno poetico
all’omosessualità contribuisce al male, spinge al vizio i più piccoli e
semplici, dà cioè scandalo e si allinea satanicamente ai poteri forti che da
molti anni ormai sembrano cavalcare questo unico cavallo di battaglia per
dissolvere ciò che resta dei costumi e della società cristiana. Di un film così
turpe sarebbe grave e colpevole fare una recensione severamente critica, perché
si contribuirebbe a renderlo noto e a incuriosire il pubblico, ma che la
recensione sia positiva è cosa davvero indegna di un cristiano che abbia
conservato anche solo un briciolo di fede e di buon senso.
È
sicuramente impossibile, come già dicevamo sopra, che un articolo così ampio
passi senza essere attentamente valutato dai responsabili del giornale e
costoro, a loro volta, non autorizzano un simile articolo se non perché sanno
che i vescovi loro referenti lo dovrebbero approvare. Da questo quadro mi
sembra si possa dedurre che i vescovi italiani, o almeno coloro che hanno un
più diretto rapporto con la gestione di Avvenire e con la Presidenza
della C.E.I., sono indifferenti o favorevoli alla diffusione crescente di una
cultura omosessualista sempre più aggressiva: in altre parole l’episcopato
italiano, almeno nella sua parte preponderante, schiacciato passivamente sulle
strategie e sulle idee di papa Bergoglio, sta accettando di sdoganare
l’omosessualismo in salsa cattolica, come emerge da molti segnali, oltre che da
questo articolo. I pochi vescovi che probabilmente dissentono da quanto sta
accadendo, non parlano, si presume soffocati dalla paura di cadere vittima di
qualche purga o punizione.
Ma chi
avendone l’autorità e i mezzi per paura non interviene per cercare di fermare
l’errore, manca gravemente ai suoi doveri e pecca, contribuendo allo scandalo
pubblico col suo complice silenzio.
(Fonte: Matteo
D’Amico, in Blondet & Friends, 25 gennaio 2018)