Analisi di una strategia di
marketing. La Chiesa trasforma se stessa in un brand commerciale e diventa un
prodotto di largo consumo; tra jeans, filmetti, cellulari e caffè, nasce la
fede low cost.
Il cristianesimo costa troppo e nessuno lo vuole più comprare, è
troppo faticoso vivere da cattolici e nessuno vuole più esserlo. Le esigenze
della Chiesa impongono l’arresto della continua emorragia di fedeli che pare
irreversibile. Come insegnano le regole del mercato s’impone l’aggiornamento di
un prodotto diventato obsoleto: essere cattolici oggi è come pretendere di
essere alla moda girando per strada con parrucconi settecenteschi.
Nasce così una strategia di marketing all’insegna dell’innovazione:
semplificare, aggiornare, bonificare la fede significa facilitarne l’ingresso
nel circuito commerciale e renderla più invitante per i fedeli. Tuttavia per
rilanciare la fede occorre prima svalutarla. Il cristianesimo costa troppo, è
necessario diventi più economico, quindi occorre privarlo della sua aura sacra,
renderlo non più faticosa conquista, ma preteso diritto di tutti e trasformarlo
in un prodotto di facile accesso come si farebbe con qualsiasi altro prodotto
di largo consumo.
Occorre creare un nuovo brand o marchio che riqualifichi la Chiesa: in
primo luogo occorre profanare il sacro, poi dissacrare il profanato, infine
sottoporre il dissacrato a una campagna pubblicitaria di marketing. Il
risultato è un cristianesimo trasformato in prodotto, in un articolo di largo
consumo con tutte le caratteristiche necessarie per conquistare il mercato: un
prodotto universale, low cost, aggiornabile e con un packaging adeguato cui si
può accedere in modo facile, semplice, veloce.
Esistono molte strategie per rendere il
cristianesimo
un’esperienza comune: non esiste solo la persuasione occulta tesa a trasmettere
un messaggio sottotraccia che sia fruito in modo più o meno inconsapevole.
Esiste anche una persuasione manifesta, alla luce del sole, chiarissima nei
suoi intenti, ma non per questo meno efficace e pervasiva. Anzi.
Nascita
di un brand
Già Romano Guardini parlava di chiesa devastata.”Noi
viviamo in un’epoca devastata. Le cose dello spirito e le cose della salvezza
non hanno più una propria sede. Tutto è buttato sulla strda” (La Coscienza, Introduzione
all’edizione italiana, Morcelliana -
Brescia 1977 ).
Profanare significa rendere profano ciò che è sacro. L’etimologia
stessa del termine “profano” deriva da “pro” (=davanti) e “fanum” (=tempio)
ossia porre innanzi al tempio o fuori di esso alla mercé del pubblico, a
disposizione di tutti. Ciò che è sacro deve quindi essere profanato ossia
essere semplificato e reso alla portata di tutti, deve trasformarsi da
esperienza di pochi a faccenda di molti.
La dissacrazione blasfema del laicume che ride sgangheratamente
delle vignette di Charlie è stata preparata e anticipata dalle tendenze
profananti inaugurate dalle correnti progressiste della Chiesa. Senza la previa
profanazione della liturgia, del papa, del sacerdozio, senza l’abolizione del
giuramento antimodernista e la deposizione della tiara, oggi non avremmo
probabilmente la dissacrazione laicista che dilaga ovunque.
Questa profanazione clericale che ha facilitato la
dissacrazione laicista ha potuto giustificarsi agli orecchi delle folle grazie a
uno dei tanti slogan collettivi propagati dai mass media, cioè nel nome
immortale della libertà.
Alcuni interpreti della Chiesa postconciliare (per comodità chiameremo in
seguito Chiesa progressista l’insieme di questi interpreti) per rilanciarsi
hanno deciso di accodarsi al laicismo in ascesa e di rinfrescare l’ immagine
della Catholica. Per farlo occorreva dotarsi di un nuovo brand che
richiedeva innanzitutto quel processo di profanazione / desacralizzazione che i
mass media stavano chiedendo a gran voce col pretesto che l’uomo moderno aveva
bisogno di una Chiesa moderna. Come dice Vito Mancuso dopo Auschwitz non si può
più credere come si credeva nel Seicento!
Queste
profanazioni hanno un’origine: la desacralizzazione progressista.
Il progressismo cattolico pensava così di saldare il conto del “ritardo
culturale” che separava la cattolicità così retriva dal resto del mondo così
avanzato. Come se la Chiesa, vergognandosi della sua tradizione davanti alla
modernità, avesse maturato un penoso complesso d’ inferiorità per risolvere il
quale è ricorsa alla cosiddetta modalità adattiva: ha scimmiottato il
laicismo per rendersi un po’ più uguale a lui così come certe femministe
scimmiottano l’uomo nei suoi aspetti peggiori vergognandosi della propria
femminilità.
La Chiesa progressista si è illusa di poter
ricondurre a
equilibrio una relazione squilibrata a causa di un latente complesso di
inferiorità e per giunta, in quanto inconfessato a se stessi, di matrice
schizoide. Succede quando si afferma di credere a qualcosa che nei fatti si
dimostra di non credere più; pensiero e azione si contraddicono perché l’azione
non è più la proiezione coerente del pensiero.
La guarigione allora consiste nel conformare il pensiero alla parola e
questa all’azione. E’ circa quello che è avvenuto: il pensiero teso a profanare
ha trovato riscontro in discorsi tesi a profanare che sono sfociati infine in
azioni tese a profanare. Così finalmente il pensiero liberato dal fardello dei
secoli si è sincronizzato all’azione.
Ma come sempre la Chiesa progressista è in ritardo di decenni rispetto alle
conquiste laiciste. Infatti una volta profanata/desacralizzata la liturgia, il
papa, il sacerdozio e forse la famiglia la Chiesa progressista si è accorta
dell’inganno in cui è caduta perché nel frattempo il laicismo si è spinto molto
più avanti, ha già superato un’altra linea di demarcazione non prevista: quella
che separa la profanazione dalla dissacrazione.
Non è la stessa cosa: mentre profanare o desacralizzare significa
rendere ordinario qualcosa di straordinario, dissacrare significa volgere in
ridicolo l’ordinario rendendolo grottesco. Accade che la Chiesa progressista,
che si era cullata nell’illusione di aver recuperato la salute, ossia la stima
di se stessa, colmando il divario che la separava dal mondo, si trovi
nuovamente a soffrire di quel complesso d’inferiorità che pensava di aver
superato.
E’ solo desacralizzante mentre il mondo è già
dissacrante.
Inserimento
del sacro nel circuito commerciale
La dissacrazione laicista inizia dove la
profanazione catto
progressista finisce. La profanazione scandalizza, la dissacrazione deride:
consiste nel tradurre in termini contorti, deformi, ridicoli ciò che una volta
era stato sacro e poi profanato. Impadronirsi di qualcosa, un’idea, un concetto
e denudarlo, mostrare le sue vergogne a un pubblico guardone che ammicca
sogghignando eccitato.
La televisione, ancora lei, ha rotto il ghiaccio per prima: non ha fatto altro
che dare visibilità alle dicerie popolari sulla corruzione del clero
divulgandone l’idea. Corruzione che c’era e che c’è, beninteso, ma che non
riguarda la maggior parte degli uomini di chiesa. Occorreva dare la percezione
al pubblico che la corruzione clericale emersa alle cronache fosse solo la
punta dell’iceberg e che la lussuria e l’avidità del clero fossero generalmente
diffusi.
E’ stato possibile rappresentare tutto questo con i famosi filmetti
anni 70 che fin dal titolo invitano a spiare dal buco della serratura per
vedere cosa succede dietro le mura di un monastero o l’ingresso di un chiostro.
Storia di una monaca di clausura, Le monache di Sant’Arcangelo, La bella
Antonia prima monaca e poi dimonia, La Novizia, Confessioni proibite di una
monaca adolescente, etc. Titoli così ridicolmente riusciti che anch’io rido
mentre li scrivo.
Fino a questo punto grazie ai filmetti a essere dissacrata erano gli
ordini religiosi. Tema non nuovissimo in verità perché riprendeva alcune
suggestioni boccaccesche. Tuttavia ora la dissacrazione della vita religiosa
esce dalla reticenza e dall’ allusione e si fa proclama manifesto.
Un secondo aspetto consiste nel ridicolizzare l’eternità: con le pubblicità
della Tim e della Lavazza ambientate in un inferno e un paradiso
macchiettistico gli stessi destini eterni dell’uomo sono stati deformati in
modo grottesco. Non più così trascendenti e misteriosi, ma finalmente alla
portata di un pubblico infantilizzato, ridotto alla psiche di un adolescente
grasso, pigro e un po’ beota così come deve essere il consumatore ideale:
capriccioso, volubile, disarmato e possibilmente single.
Ossia deresponsabilizzato cioè senza obblighi familiari che
lo inducano a risparmiare anziché spendere per una quantità immane di beni
voluttuari.
Dopo i religiosi e l’escatologia cristiana a essere dissacrati sono stati
i simboli della religione trasformati in accessori moda che potessero conferire
un’identità posticcia a chi ne è privo. I simboli religiosi anche tatuati sono
stati travisati in oggetti cool per un certo tipo di cultura dark diafana,
amebica e fondamentalmente priva di vitalità esattamente come le scarpe Doc
Martens qualificano orientamenti punk e anarchici o il Monclair
l’atona e cinica gioventù dorata.
Nel settore cinematografico le tendenze desacralizzanti dei filmetti
anni 70 evolvono nella dissacrazione a tutto campo, totalizzante e
totalitaria la cui summa è condensata nel film Religious di Bill Maher
un ebreo ex cattolico diventato ateo. Il dissacrante Bill incontra una serie di
persone normali dalla fede semplice e solida, spesso di umile condizione
sociale e pone delle domande al fine di ridicolizzare la loro religione: com’ è
possibile Giona sia rimasto tre giorni nel ventre di una balena? Com’ è
possibile partorire restando vergine? Perché fino al IV secolo i preti potevano
sposarsi mentre ora non possono? Perchè i gay sembrano così felici di essere
tali mentre i cristiani sembrano così malinconici ?
I cristiani così provocati, privi di istruzione filosofica
o teologica restano imbarazzati non sapendo cosa rispondere. E Bill Maher
rivolgendosi al pubblico chiede se non è veramente ridicola questa religione
che chiede di credere in cose assurde.
Psicologismo
e complottismo
Collaterali alla dissacrazione sono lo psicologismo
riduzionista e il complottismo.
Lo psicologismo applicato alla fede tende a ridurre a fenomeni
intrapsichici con qualche sfumatura residuale di mistero l’esperienza
religiosa. Su questo fronte ha conosciuto larga fortuna l’editoria legata al
tema dell’evoluzione spirituale come emancipazione dalla fede tradizionale.
I campioni di questo trend psicologista sono autori come Carlos
Castaneda, Anthony de Mello, Isabella Allende, Paulo Coelho: nei loro libri
tutto ciò che appartiene alla sfera dello spirito assume i caratteri di
un’esperienza intima in cui entrano in gioco teorie esoteriche di derivazione
gnostica, la sapienza attinta grazie alla riscoperta di antiche e sepolte
conoscenze, l’intuizione irrazionale colta grazie al ricorso a facoltà
medianiche.
La pseudo storiografia complottista ha conosciuto enorme successo grazie a una
serie di prodotti audiovisivi come il documentario Zeitgeist, lo spirito del
tempo largamente diffuso su You Tube e i libri di autori come David Icke
attraversati da suggestioni ufologiche e soprattutto quelli di Dan Brown la cui
caratteristico stilistica principale peraltro è quella di essere di una noia
mortale.
In tutte queste ricognizioni pseudo scientifiche la tesi portante è che la
chiesa cattolica abbia secretato per secoli la vera storia dell’umanità il cui
sviluppo è stato conculcato tramite la leggenda cristiana inventata ad arte da
un’oscura centrale di potere guidata e diretta principalmente dalle gerarchie
religiose. Per attingere alla conoscenza della vera natura dell’uomo occorre
rimuovere l’ostacolo costituito dalla chiesa cattolica la quale a questo punto
è parificata a una struttura anticristica che ha mineralizzato con le sue
menzogne lo sviluppo spirituale dell’uomo al fine della conservazione del
potere.
Strategie
di brand marketing
Una volta profanato e poi dissacrato tramite il
grottesco, il
riduzionismo psicologista e il complottismo, il cristianesimo è pronto per
uscire dalle nicchie specialistiche e diventare un prodotto di largo consumo.
Occorre organizzare prima una campagna di brand marketing che conferisca
al nuovo prodotto che sta per essere lanciato sul mercato le caratteristiche
necessarie per avere successo. Occorre informare il pubblico che il nuovo
prodotto è di facile, semplice e veloce accesso. Facile, perché è friendly ossia
di agevole utilizzo; semplice perché è immediatamente comprensibile senza
troppi misteri; veloce, ossia non richiedere più lunghi e penosi processi di
conversione.
Sul fondamento di questi presupposti il prodotto deve quindi avere
almeno altri quattro requisiti “tecnici”: deve essere universale, low cost,
soggetto a periodici restyling e avere un buon packaging.
Per essere universale deve essere
transculturale, incontrare
i gusti dei consumatori del sacro sempre e ovunque. Deve quindi perdere le sue
caratteristiche peculiari che lo rendono troppo legato alla cultura cattolica.
Deve essere poco papista per compiacere protestanti e ortodossi, poco
trascendente per compiacere i laicisti, poco dogmatico per adattarsi alle
esigenze di tutti.
Inoltre deve essere low cost, cioè acquistabile a una cifra
modesta. Il che significa che non deve impegnare troppo in lunghi e
difficoltosi cammini di conversione e revisioni dello stile di vita che
implichino una dolorosa messa in discussione delle proprie precedenti certezze.
Queste possono ora permanere perché sono perfettamente conciliabili col nuovo
prodotto.
Deve essere soggetto a periodici restyling per evitare
che diventi obsoleto e quindi passi di moda. Deve mettersi alla scuola della
storia umana, leggerne le tendenze e adattarsi alle nuove congiunture culturali
o mode che di volta in volta si affermano.
Infine deve presentarsi con un packaging
adatto, cioè deve
avere una confezione che identifichi immediatamente il prodotto. Il suo
involucro deve quindi essere attraente, accattivante, deve sedurre il
consumatore. Al contempo deve essere sobrio, austero, quasi squallido per non
apparire il prodotto di lusso che non è e scoraggiare gli acquirenti. Tutto ciò
che rimanda alla maestà deve quindi diventare spartano, la solennità deve
essere spogliata dagli orpelli, le chiese stesse assomigliare più a un
fabbricone dismesso che a un luogo di culto.
E
com’è il nuovo tipo di credente?
In definitiva abbiamo ora un prodotto flessibile a buon mercato che può essere
fruito in tempi brevi: i sacramenti possono essere assunti anche senza previa
confessione, i matrimoni senza vincoli sacrali troppi impegnativi, l’esperienza
religiosa deve appiattirsi a livello di produzione nel sociale. Soprattutto il
“prodotto cristianesimo” per essere appetibile dal cliente/consumatore non deve
intralciare la propria visione del mondo e dell’uomo: gli affari sono affari e
Dio è Dio. E’ bene questi due aspetti siano ben distinti e separati: si potrà
quindi essere cristiani e abortisti, cristiani e divorzisti, cristiani e
laicisti, cristiani atei perfino.
Modellato il prodotto religioso occorre poi modellare il consumatore
del prodotto stesso: occorre trasmettere la convinzione secondo la quale è
perfettamente legittimo pretendere dalla fede tutto e subito. Il credente deve
diventare una sorta di adolescente piagnucoloso e ostinato che non fa altro che
volere un prodotto religioso che si adatti non alle sue esigenze, ma alle sue
voglie.
Il credente moderno deve essere accontentato qualsiasi cosa chieda, non
educato, né tanto meno responsabilizzato; occorre dargli subito ciò che gli si
insegna a chiedere e non educarlo a domandare ciò che sarebbe opportuno
chiedere. Non deve volersi impegnare al fine di soddisfare un bisogno reale, ma
deve pretendere l’immediata soddisfazione di un bisogno indotto.
Comunione
per tutti.
Se vuole accedere ai sacramenti in stato di peccato grave, se
vuole perseverare negli eccessi, se vuole essere corrisposto in tutte le sue
voglie, deve essere soddisfatto. L’autentica coscienza che si esplicita nel
chiedere ciò che sarebbe opportuno chiedere per la propria salute spirituale
deve essere oscurata e scalzata dalla falsa coscienza di una volontà
capricciosa ed eterodiretta, che si placa solo se viene saturata in modo
effimero e senza sforzi ogni voragine esistenziale.
Un modo per sopravvivere ancora un po’ in attesa della prossima
crisi, un farmaco che serve solo a superare le fasi acute della malattia senza
guarirla. Del resto come insegna uno dei più celebri slogan di mercato “il
cliente ha sempre ragione”.
Un cristianesimo artefatto si sovrappone così al cristianesimo autentico,
un cristianesimo di facile accesso scalza il cristianesimo che passa per la
porta stretta, il cristianesimo mass mediatico rimpiazza il cristianesimo del
catechismo. Un cristianesimo liscio, levigato e smussato deve sostituire il
cristianesimo ruvido, esigente e fastidioso che pretende di porsi non come
diritto, ma come conquista.
Quell’assordante
silenzio
Nel 1973 le città italiane furono tappezzate dai manifesti della pubblicità
dei jeans “Jesus” accompagnati dallo slogan “Non avrai altro jeans al di fuori
di me”. I manifesti furono tolti dall’autorità pubblica dopo un articolo di
lamentela apparso sull’“Osservatore Romano”.
Allora Pier Paolo Pasolini scrisse uno dei suoi più efficaci articoli
dal titolo “Analisi linguistica di uno slogan” in cui lo scrittore denunciava
l’errore storico compiuto dalla Chiesa la quale pensava di potersi servire del
regime liberale come si era servita del fascismo. Cioè, secondo Pasolini, la
Chiesa aveva concluso con lo stato borghese una specie di baratto: in cambio
dell’avallo morale al regime liberale, questo stesso regime, tramite l’autorità
pubblica, si impegnava a difendere la religione.
E infatti prontamente i manifesti furono rimossi. Astutamente
peraltro lo stato liberale poté eseguire la rimozione senza subire troppe
critiche dal momento che la colpa di tanta arretratezza culturale venne fatta
ricadere sulla Chiesa e il suo vecchio e anchilosato moralismo.
Tuttavia, concludeva Pasolini, il ghiaccio era ormai rotto:
lo stato liberal borghese ormai era pronto per reggersi sulle sue gambe senza
necessità di appoggiarsi alla stampella della Chiesa. La rimozione dei
manifesti era solo uno degli ultimi gesti di tutela della religione tramite vecchi
uomini d’apparato ormai in declino che stavano per essere scalzati dai rampanti
“tecnici” della nuova società industriale come Oliviero Toscano, ideatore della
campagna dei jeans “Jesus”.
Quella profezia si è avverata: nessun organo di stampa
cattolico si è minimamente scandalizzato, ad esempio, per la pubblicità della Tim
o della Lavazza. E’ stato pacificamente accettato da parte cattolica che
si potessero trasformare i cardini della fede in articoli di largo consumo
esattamente come molti altri prodotti che intasano il mercato.
D’altra parte anche a livello di omelie il tema della trascendenza è
stato discretamente accantonato come si farebbe con un oggetto di cattivo gusto
in un salotto di prestigio. Il capitalismo commerciale del resto, almeno per ora,
ha ancora un residuo d’interesse per il sacro a fini di sfruttamento
lucrativo più o meno come si fa con una miniera in via di esaurimento da cui
sia ancora possibile estrarre un po’ di minerale.
Entrati
nel circuito commerciale non se ne esce
La Chiesa peraltro non ha scelta: nemmeno se volesse ora è in
grado di attivare quei vecchi magistrati o poliziotti o politici cattolici che
una volta l’avrebbero difesa per l’ottimo motivo che quei vecchi esponenti che
vicariavano il potere temporale della Chiesa, cui la Chiesa stessa ha
rinunciato, non ci sono più. La Chiesa ora, nuda e indifesa, è costretta a
giocare a carte col diavolo e accettare il ruolo subalterno in quella che
possiamo definire una brutale amicizia col regime consumistico, ossia uno di
quei rapporti dalla vaga connotazione sado – maso o vittima – carnefice che
lega un soggetto dominante a uno soggiacente.
Una volta fatta entrare la vita religiosa, l’eternità, i simboli sacri e
perfino la vita biologica nel circuito commerciale tramite la profanazione e la
dissacrazione, l’ultima battaglia che il consumismo deve vincere prima di
commercializzare definitivamente la fede in tutti i suoi aspetti e quindi
massimizzare il profitto è quella contro la famiglia.
Si tratta di una strategia liquidatoria odiosa, ma non irragionevole: il
consumismo deve stimolare ai consumi il segmento potenziale di mercato
costituito da coloro che fino a ieri disponevano di una visione del mondo
alternativa, almeno in occidente, modellata dal cristianesimo.
L’ethos cristiano, infatti, sia nella sua confessione
cattolica che protestante, ha sempre promosso la sobrietà nello stile di vita,
la capacità di compiere rinunce e sacrifici, un certo distacco dai beni
materiali. Inoltre la famiglia cristianamente configurata implica sacrificio,
risparmio, riduzione dei consumi per i beni voluttuari (ossia quasi tutti),
accantonamento delle risorse economiche per progetti a lungo termine.
Mentre il mercato ha bisogno di edonismo, prodigalità, incremento dei
consumi e quindi di single capricciosi e immaturi che vogliono spendere quello
che risparmierebbero se avessero famiglia, guidati dall’impulso
compulsivo a fare shopping, perfettamente omologati in un eterno presente
caratterizzato dal mito giovanilistico costruito artificiosamente per cui occorre
essere arroganti, aggressivi, goderecci, stracolmi di status symbol spesso
costosi da esibire per avere una identità sociale. Identità sociale non più
conferita dalla religione, ma dal brand cui si aderisce il quale non è più un
semplice logo, ma un sistema di valori che si decide di sposare.
Il nuovo totalitarismo
del brand lascia libero il corpo e imprigiona direttamente l’anima.
Insomma i cristiani, più di un miliardo di
potenziali e
renitenti consumatori, devono diventare come tutti gli altri, adeguarsi allo
shopping per noia e disperazione. Per raggiungere questo obiettivo la strategia
di marketing più performante consisteva nel dissacrare la religione e
provocarne il declino nella sua forma storica e brandizzare in sua
sostituzione una versione accomodante e funzionale alle esigente del mercato
ossia dei consumatori.
Depotenziato
l’antidoto anche ai cristiani mancano gli anticorpi.
E l’infezione dilaga.
(Fonte:
Marco
Sambruna, Papalepapale, 29 aprile 2015)
http://www.papalepapale.com/develop/il-marchio-della-bestia-la-fede-low-cost-la-religione-commercializzata/