venerdì 26 giugno 2015

Antonio Socci stronca l’enciclica “Laudato sì” di papa Francesco

Il noto giornalista cattolico Antonio Socci stronca la nuova enciclica di papa Francesco, Laudato sì. Dopo aver messo in discussione la validità dell’elezione del pontefice nel suo ultimo libro “Non è Francesco” ed essersi attirato critiche da ogni parte per queste sue posizioni, nelle scorse ore, con un articolo pubblicato su Libero, Socci ha sostenuto che l’enciclica sembra il “cantico di frate sòla” utilizzando una parola romanesca che vuol dire “truffa”.
“La situazione della Chiesa è drammatica, con un’Europa che abbandona in massa la fede e l’altra metà del pianeta che perseguita i cristiani o li massacra. Davanti a tutto questo papa Bergoglio che fa? Un’enciclica sulla presenza dei cristiani nel mondo, sulla loro dura condizione e sulla libertà di coscienza? No. Un’enciclica ecologica sulla spazzatura differenziata e la pulizia dei fiumi” attacca Socci, che incolpa papa Francesco di aver scritto una enciclica in cui si occupa di alghe, vermi, piccoli insetti e rettili piuttosto che scrivere parole a difesa dei cristiani perseguitati nei punti più caldi del pianeta e che sono “massacrati senza che nessuno alzi la voce”.
“Prendiamo Asia Bibi, la povera madre pakistana che da sei anni è rinchiusa in una lurida cella buia con una condanna a morte sulle spalle solo perché cristiana. Papa Bergoglio non ha mai voluto fare nemmeno una dichiarazione per lei, per chiederne la liberazione o anche solo per invocare preghiere in suo favore” attacca ancora Socci, il quale sostiene che il pontefice nobiliti “tesi ambientaliste molto discutibili dal punto di vista scientifico, come la causa umana del riscaldamento globale. – prosegue il famoso scrittore – Consacrando queste tesi l’enciclica rischia di ricadere nell’errore del “caso Galileo”, cioè dare investitura teologica a quella che è solo un’ipotesi scientifica, anche molto dubbia.”
Secondo Socci, l’enciclica “Laudato Sì” ribalta una prospettiva bimillenaria della Chiesa, per la quale al centro dell’universo creato da Dio, c’è l’uomo, mentre ora si afferma che “lo scopo finale delle altre creature non siamo noi”. Secondo il giornalista e scrittore “con questa enciclica papa Bergoglio rischia di dare un terribile segnale di resa all’agenda Obama, l’agenda del pensiero dominante che ha un netto connotato neopagano, anticristiano e antiumano.
“Non so – conclude – se Bergoglio si renda conto della confusione in cui sta portando la Chiesa (non solo col Sinodo). Ci sono stati, infatti, nelle ultime settimane, anche degli interventi molto belli del papa sul tema della famiglia, sull’uomo e la donna, sulla colonizzazione imperialistica dell’ideologia Gender. Sarebbero state considerazioni perfette per questa enciclica, sulla linea dell’ “ecologia umana” di Benedetto XVI. Purtroppo si è presa un’altra strada. Speriamo sia una moda passeggera”.
 

(Fonte: Michele M. Ippolito, LaFedeQuotidiana.it, 18 giugno 2015)
http://www.lafedequotidiana.it/antonio-socci-stronca-lenciclica-laudato-si-di-papa-francesco/

 

Family Day 2015: un milione di persone con un messaggio chiaro a politici e vescovi

Clamoroso successo per la manifestazione contro le proposte di legge sulle unioni civili (Cirinnà), sul reato di omofobia (Scalfarotto) e sul gender nelle scuole (Fedeli).
Contro tutto e contro tutti. Contro il maltempo che a due ore dall'evento ha scatenato un nubifragio che ha fatto temere l'annullamento della manifestazione; e contro i Galantini di ogni specie che hanno tentato in tutti i modi di sabotare questo evento di popolo.
Ma alla fine il popolo, un popolo formato da famiglie, dai nonni ai bambini più piccoli, ha risposto ben oltre le più rosee previsioni: un milione di persone che hanno riempito piazza San Giovanni e le vie limitrofe soltanto per dire «Ci siamo, e siamo decisi a difendere con le unghie e con i denti i nostri figli, e con essi il futuro della nostra società». In decine di migliaia, che erano arrivati presto in piazza, hanno sopportato stoicamente anche il nubifragio, miracolosamente cessato poco prima dell'inizio previsto e ripreso violento appena cessate le ultime parole del portavoce di "Difendiamo i nostri figli" Massimo Gandolfini. È come se anche il Cielo si fosse commosso davanti a questa voglia insopprimibile di esserci e avesse infine ceduto sospendendo il diluvio per consentire che questa voce si sentisse forte e facesse tremare anche i sordi palazzi della politica.

UNA MOBILITAZIONE INCREDIBILE
Del resto, miracoloso è stato anche l'evento in sé. Deciso il 2 giugno, in soli 18 giorni si è realizzata una mobilitazione incredibile: da ogni parte d'Italia, dalla Val d'Aosta fino alla Sicilia e alla Sardegna decine e decine di migliaia di famiglie hanno organizzato e realizzato il viaggio a Roma nel silenzio dei media, nella discreta ostilità di una parte dei vertici dell'episcopato italiano, nella mancanza di sostegni istituzionali, nella assoluta assenza di finanziamenti da qualsivoglia organizzazione e istituzione. Un popolo si è davvero autoconvocato: non per esprimere rabbia, non per reclamare privilegi, ma consapevole di rappresentare il fondamento della nostra società e per riaffermare quindi con decisione la propria esistenza contro i tentativi di distruggerla. Tentativi - lo abbiamo detto tante volte - che si chiamano disegno di legge sulle Unioni civili (Cirinnà), riforma della scuola con l'inserimento obbligatorio di lezioni sul genere, progetto di legge contro l'omofobia (Scalfarotto). Il dialogo può ripartire solo riconoscendo la dovuta dignità a questo popolo, che - la piazza lo dimostra - non è affatto minoranza. Si può anzi dire che quello di ieri sia stato un successo ancora maggiore del Family Day del 2007, che bloccò i Di.Co proposti da Rosy Bindi: sia quantitativamente sia qualitativamente visto che è nato tutto dal basso.
Se ieri un messaggio è stato lanciato forte e chiaro dalla piazza è stato il no assoluto al disegno di legge Cirinnà, la prima minaccia da affrontare (in ordine di tempo). E no assoluto anche all'introduzione dell'ideologia di genere nelle scuole. Ieri, la prima reazione degli esponenti dei partiti di sinistra è stata di irritazione e di rabbia: una folla così, difficile ignorarla, mette quel granellino di sabbia nell'ingranaggio che potrebbe bloccare quella "gioiosa macchina da guerra" che è la lobby gay. D'altra parte la semplice convocazione della manifestazione ha provocato la nascita di un gruppo di lavoro di parlamentari sulla famiglia, e tanti di loro ieri erano in piazza mescolati in gran parte nel pubblico. Otterrà dei risultati politici? Difficile dirlo, e però è un fatto nuovo che non va sottovalutato.
C'ERA UNA VOLTA LA CEI
Ma un messaggio chiaro deve essere arrivato anche alla Conferenza episcopale italiana (Cei): per la prima volta, finalmente, si è realizzato un evento voluto e gestito da laici senza l'ingombrante presenza di "vescovi-pilota", come li ha definiti papa Francesco. Anzi, il principale "vescovo-pilota", il segretario della Cei Nunzio Galantino, ha fatto di tutto per impedire che l'evento si realizzasse e che poi, una volta deciso, non avesse successo. Ha "pilotato" il Forum delle Associazioni Familiari verso la non adesione, ha "pilotato" Avvenire - il quotidiano di proprietà della Cei - verso il silenzio-stampa: minimo il risalto dato alla preparazione della manifestazione, scandaloso il tentativo di mitigarne gli effetti.
Mentre tutti i giornali oggi danno ampio risalto in prima pagina al Family Day, l'Avvenire oggi in edicola (e nelle chiese) apre il giornale con questa sconvolgente notizia: «Lotta all'azzardo: il "bluff" del governo» (visto ieri sera in tv nell'anteprima delle prime pagine dei giornali). Ebbene sì, le polemiche intorno alla legge sul gioco d'azzardo sono la notizia del giorno per il quotidiano dei vescovi: neanche la Pravda dei tempi d'oro raggiungeva vette simili per nascondere le vere notizie. Ma non basta, la «folla grande e bella» di Roma è solo la terza notizia, dopo anche l'annuncio - che va avanti da giorni - della visita del Papa a Torino, che avverrà soltanto oggi. Una vergogna che non rende purtroppo ragione dell'impegno di quei vescovi - seppur minoranza - che invece hanno da subito sostenuto la manifestazione non facendo mancare il loro giudizio di pastori.
Certo è che la Cei nel suo insieme non ha proprio dato l'idea di «pastori che sentono l'odore del gregge», per usare l'efficace espressione di papa Francesco; il gregge è andato per la sua strada e i pastori l'hanno abbandonato. Una mancanza di direzione che coinvolge anche i movimenti ecclesiali: per la manifestazione di ieri si deve un grande grazie a Kiko Arguello (che ieri dal palco non ha mancato di lanciare una freccia appuntita a mons. Galantino) e al suo movimento Neocatecumenale, ma per il resto nessuno ha voluto metterci la faccia e si è arrivati ad esempio a situazioni paradossali, come quella di Comunione e Liberazione: tantissimi i militanti in piazza ieri malgrado il parere contrario dei vertici. È una ulteriore dimostrazione che, nel suo insieme, se fosse dipeso dai vertici della Chiesa e dei gruppi ecclesiali, ieri piazza San Giovanni sarebbe stata semideserta. E invece il popolo si è mosso, percependo con chiarezza la gravità del momento storico che stiamo vivendo. In tanti, ai piani alti della Chiesa dovrebbero riflettere.
 

(Fonte: Riccardo Cascioli, Bastabugie, 24 giugno 2015)
http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=3773

 

Il peccato del vicino è sempre più “verde” del nostro

I tempi sono sempre più cupi. Avremmo bisogno di unità piuttosto che di divisione. Eppure troviamo sempre il modo di puntare il dito contro il peccato degli altri, e con maggior soddisfazione se si tratta di altri cattolici. Perché Gesù, come è noto, nel Vangelo, parla sempre degli altri, mai di noi…
Pare che, negli ultimi anni, il nostro sport prediletto sia diventato la caccia all’eretico e/o al peccatore. Parlo di noi, cattolici italiani: sembra sia così anche all’estero ma ognuno guardi al suo praticello. Nonostante le atroci stragi dei migranti, la ripresa-ma-anche-no dalla crisi e le notizie tagliagoliste che arrivano da luoghi sempre più prossimi, l’unica prossimità di cui ci importa è il peccatore della porta (e del profilo social) accanto, tanto più se in odor di eresia. A lui (o lei: qui la parità è pienamente raggiunta) cerchiamo di estrarre evangelicamente la pagliuzza dall’occhio, e chissenefrega della limpidezza del nostro sguardo. Gesù, da sapiente conoscitore dell’animo umano, trovò un termine sublime da opporre a pagliuzza: trave. Noi, dunque, quasi del tutto ciechi, l’altro invece con un minimo di fastidio all’occhio. Però il Nazareno, si sa, quando predica, anche se sembra proprio riferirsi a noi, in realtà allude sempre agli altri…
Così, sgranando nomi come fosse un rosario – marcionismo, gnosticismo, etc. fino alle moderne deviazioni – da parte nostra è tutto un cercare indizi di traviamento e colpa nei comportamenti e nelle parole altrui.
Accade sempre più spesso che, brandendo come un’arma il Vangelo o il Catechismo o i Dieci Comandamenti o il Codice di Diritto Canonico o chissà che altro, mettiamo il prossimo con le spalle al muro. Con versetti della Scrittura assolutizzati che nemmeno i protestanti, canoni del Diritto Canonico ad hoc che nemmeno i canonisti, encicliche a menadito che nemmeno i Pontefici che le hanno scritte. Parafrasando (e stravolgendo) San Paolo, tutto concorre… ad inchiodare il fratello alle sue responsabilità. Senza dimenticare, come corollario, un proferire di insulti, minacce più o meno apocalittiche, ban reali o virtuali come se piovesse. Soprattutto se il malcapitato è ritenuto eretico. Lo stesso, però, succede per il comune peccatore, quello che, nella nostra magnanimità, non tacciamo anche d’eresia: il suo peccato è sempre più peccato del nostro.
Pazienza, se poi, tra noi, zelanti difensori del cattolicesimo apostolico romano, ci sono impenitenti lussuriosi, iracondi professionali, seriali bugiardi, invidiosi cronici (solo per citare alcuni tra i vizi capitali). O se è probabile che il male, come scriveva Gadda, possa affiorare “a schegge, imprevisto, orribili schegge da sotto il tegumento, da sotto la pelle delle chiacchiere… da sotto la copertura delle decenti parvenze, come il sasso, affiora…“. Tanto che San Giovanni Climaco ci ammonisce: “Non ti dimenticare di questo, e certamente starai bene attento a non giudicare chi pecca: Giuda faceva parte della cerchia dei discepoli, e il buon ladrone della schiera degli assassini; ma è straordinario come in un solo istante essi si sono scambiati di posto!. No, niente di tutto questo ci importa. L’importante per noi è esercitare le nostre grandiose capacità mnemoniche. Che siano a corrente alternata – ricordano solo quello che della Dottrina e della Scrittura fa comodo a noi – è solo un volgare dettaglio. Il nostro compito è troppo vitale per perdersi in sottigliezze. Alla nostra trave penserà poi il Giusto Giudice. Sempre se ci degneremo di farLo parlare.
Perché, diciamolo, il Giusto Giudice dovrà pure stare ad ascoltare noi, efficienti ricercatori di miscredenza, infaticabili scopritori di perversioni, quando Gli spiegheremo il bene che abbiamo fatto al mondo. Con i nostri Luminol dottrinali, i nostri radar scritturistici, i nostri rilevatori catechistici, siamo in grado di scoprire anche il più nascosto “atomo opaco di male”, il più infinitesimale filamento di paganesimo. Stranamente, però, non scorgiamo in noi le tracce di manicheismo, l’antica religione persiana che suddivide in bene e male tutta la realtà. Tanto che manicheismo oggi vuol dire anche: “tendenza a contrapporre in modo rigido e dogmatico principî, atteggiamenti o posizioni ritenuti inconciliabili, come fossero opposte espressioni di bene e male, di vero e falso” (dizionario Treccani). Che non è roba attinente al Cristianesimo.
Perché ai servi che subito vorrebbero separare il grano dalla zizzania, il padrone della parabola (cfr. Mt 13, 24-30) risponde: «Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Cogliete prima la zizzania e legatela in fastelli per bruciarla; il grano invece riponetelo nel mio granaio». Noi no, siamo furbi e portiamo avanti il lavoro: è meglio allontanare prima la zizzania, estirparla subito, raderla al suolo. Che non contamini la nostra presunta purezza.
Del resto, in nostro soccorso arriva la seconda lettera di Giovanni: “Chi va oltre e non si attiene alla dottrina del Cristo, non possiede Dio. Chi si attiene alla dottrina, possiede il Padre e il Figlio. Se qualcuno viene a voi e non porta questo insegnamento, non ricevetelo in casa e non salutatelo; poiché chi lo saluta partecipa alle sue opere perverse” (2 Gv 1, 9-11). C’è poi anche il brano sulla correzione evangelica (Mt 18, 15-17). Ma a parte, dicevamo, la discutibile capacità di ognuno di noi di giudicare colpe e deviazioni altrui, la nostra non dovrebbe essere una lettura di tipo protestante, per cui i versetti vanno presi separatamente.
Deve essere invece una lettura cattolica, che tenga insieme tutto. Per esempio, perché non considerare anche quello che viene detto nella Prima Lettera di Giovanni? “Da questo sappiamo d’averlo conosciuto: se osserviamo i suoi comandamenti. Chi dice: «Lo conosco» e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo e la verità non è in lui” (1Gv 2, 3-4). Oppure la già citata parabola del grano e della zizzania, che non è stata certo raccontata a caso. Forse perché Qualcuno aveva già previsto i nostri furori nel perseguire errori&mancanze degli altri e lo stupefacente aplomb con cui sorvoliamo sui nostri? Probabile: ci conosce bene. Fin dall’eternità, dice.
E ha ragione a diffidare di noi se si considera il modo in cui dimentichiamo, più o meno regolarmente, che non ci muoviamo nell’ambito della verità umana, citata nel film L’attimo fuggente, come di coperta che ti lascia scoperti i piedi, per cui possiamo continuare a peccare allegramente, lapidando l’altro per i suoi peccati.
No, si tratta, invece, della Verità con la maiuscola, cioè Cristo, che ci investe totalmente, e non a compartimenti stagni. Perciò coltivare, più o meno privatamente, i nostri vizi e pretendere, contemporaneamente, di condannare gli altri è tutto fuorché cristiano. Lo ha da poco ribadito anche il Papa: “Possiamo portare il Vangelo agli altri se esso permea profondamente la nostra vita”. E la Scrittura? Il Catechismo? Tutto il Magistero? Il Codice di Diritto Canonico? Come utilizzarli ora che li abbiamo imparati così bene? Nessun problema. Abbiamo un campo vastissimo su cui applicarli: noi stessi. Poi penseremo anche agli altri.
 

(Fonte: Claudia Cirami, Papalepapale, 27 aprile 2015)
http://www.papalepapale.com/develop/il-peccato-del-vicino-e-sempre-piu-verde-del-nostro/
 

mercoledì 17 giugno 2015

Le tendenze sessuali morbose

La dimensione animale della nostra persona, come animal rationale, comporta alcune tendenze finalizzate a mantenere il soggetto sano e in vita, come le funzioni accrescitive e l’alimentazione, a difenderlo dalle forze nocive, come i sistemi fisiologici di difesa e l’istinto di aggressività, fondato sull’istinto di conservazione; inoltre, c’è l’istinto sessuale, per il quale il soggetto socializza e riproduce la specie.
A seguito del peccato originale, queste inclinazioni naturali in se stesse buone in quanto create da Dio, ed anzi necessarie alla conservazione e alla sopravvivenza dell’individuo e della specie, diventano facilmente morbose, cattive o difettose, tendono a perdere la giusta direzione, a contravvenire alla loro regola e a mancare della loro misura corrispondente alla vera felicità e sanità del soggetto. Questo succede anche per l’istinto sessuale, il quale può o per motivi innati o per spinte acquisite, avere un orientamento in vari modi contrastante con la sua finalità naturale.
Abbandonate a se stesse, nello stato di natura decaduta dopo il peccato originale o per una mancata disciplina o educazione, le tendenze istintive ed emotive umane, quindi, dette anche “passioni”, non sono affatto sufficienti ad assicurare all’uomo il loro buon uso, se, col soccorso della grazia divina, non sono controllate, purificate, disciplinate, governate e moderate dalla retta ragione e dalla buona volontà, che alla luce della norma morale, le guidano al loro vero fine e quindi al loro vero bene.
Mentre infatti l’animale, almeno quello sano, è sufficientemente guidato dall’istinto al conseguimento dei suoi fini naturali, nell’uomo l’istinto, per esempio la tendenza o affettività sessuale, da sola non è tale da guidare l’uomo al conseguimento dei fini della sua natura, che è una natura razionale dotata di libero arbitrio, per cui ciò che nell’agire umano deve giocare in ultima istanza affinchè l’uomo si veda assicurata la sua felicità, è la guida esercitata dalla retta ragione e dalla buona volontà col soccorso della grazia divina, che sana la natura corrotta dal peccato.
Le forze dell’uomo non hanno perduto del tutto il loro orientamento a Dio e al bene, in seguito al peccato originale. Contrariamente a quanto pensava Lutero, la ragione naturale è ancora capace di conoscere la legge morale naturale e di sapere che Dio esiste e il libero arbitrio non ha perduto del tutto il suo funzionamento. Per questo, la vita morale non è solo l’effetto della fede (sola fides) nell’azione della grazia, ma suppone e richiede l’uso saggio delle forze residue e un costante impegno ascetico per l’acquisto della virtù e l’eliminazione del vizio. L’agire cristiano non è solo effetto della grazia, ma suppone l’agire naturale, che prepara il dono della grazia. Per essere in grazia non basta aver fede di essere in grazia, se la ragione e la volontà non collaborano con le buone opere. L’uomo deve collaborare con l’opera della grazia. Il confidare solo nella grazia (sola gratia), come sostiene Lutero, senza il concorso delle opere umane, non corrisponde per nulla al piano della salvezza. Gratia non tollit naturam, sed perficit.
È vero che col peccato la ragione facilmente erra e si illude, e si è introdotto nella volontà e negli appetiti sensibili, compreso quindi l’appetito sessuale, un principio di malvagità o di cattiveria, per il quale, se il bene continua ad esercitare la sua attrattiva naturale e insopprimibile, tuttavia anche il peccato sotto le apparenze del bene, del ragionevole e del piacevole, esercita una forte attrattiva, per la quale il soggetto cade periodicamente ed inevitabilmente nel peccato.
È falsa l’idea luterana che tutte le azioni umane siano peccati, per cui per essere giustificati basterebbe la fede (sola fides) che Dio è misericordioso; in realtà l’uomo alterna l’azione buona all’azione cattiva, per cui con l’azione buona in grazia può meritare il paradiso e può ricevere da Dio misericordia solo se si pente e ripudia il peccato. Questa mentalità luterana oggi ha generato il buonismo rahneriano, per il quale tutti sono in grazia di Dio, per cui il peccato, ammesso che esista, non ostacola la salvezza, la quale comunque è dono di Dio assicurato a tutti. Così capita che vengono in confessionale persone — non oso chiamarle “penitenti” —, le quali invece di accusarsi dei propri peccati, assicurano con spavalderia di non aver peccato e, se il confessore si azzarda di far notar loro con tutta delicatezza che è impossibile, si offendono.
Continuando le nostre costatazioni sulle conseguenze del peccato originale, dobbiamo aggiungere che, mentre nella ragione emerge una eccessiva autostima — quella che gli idealisti chiamano “autocoscienza” — per la quale il soggetto, rigettando il proprio statuto creaturale, aspira a pareggiare la propria ragione a quella divina (la “autotrascendenza” rahneriana), la volontà è presa da una brama di illimitata e sregolata libertà e da una smania di esagerato potere (concetto rahneriano di “libertà“). Appare nella volontà una tendenza all’autoreferenzialità, all’esibizionismo, alla superbia, all’ipocrisia, all’empietà, alla prepotenza, all’egoismo e al disprezzo o addirittura all’odio e all’invidia verso il prossimo, col desiderio di emergere su di esso e di strumentalizzarlo alle proprie voglie e ai propri interessi. Qui abbiamo il principio dei peccati spirituali, che sono i più gravi, perchè sono i più coscienti, calcolati e deliberati in materia grave, come può essere la salute spirituale propria e del prossimo, nonchè l’onore di Dio.
Quanto invece al mondo degli istinti, delle emozioni e delle passioni, esso acquista un’esagerata e sregolata potenza, che si ribella alla volontà divenuta debole, inetta e irresoluta, mal guidata dalla ragione, per cui facilmente l’uomo agisce non sotto la guida di un prudente e saggio consiglio, ma di passioni insidiose, prepotenti e sregolate, dove l’istinto sessuale ha una parte notevolissima, anche abilmente mascherata, come ha notato acutamente Freud.
Qui abbiamo i peccati carnali, che certamente possono essere gravi, in quanto degradano l’uomo al livello delle bestie, ma sono anche meno colpevoli, perchè non nascono da lucida malizia come i peccati spirituali, ma da cedimento alla violenza della passione. Quindi sono peccati di debolezza, più che di malizia. Inoltre, mentre il peccato carnale compromette il bene dell’uomo sotto il profilo della vita fisica, quello spirituale fa deviare lo spirito dal cammino naturale e soprannaturale verso Dio, che è sommo bene dell’uomo, ben più della vita fisica [1].
Per ciò che riguarda la condotta sessuale, l’attrattiva del piacere acquista una forza magari latente e non esplicita di primaria grandezza e tende a padroneggiare tutto il comportamento del soggetto, che, pur di soddisfare la passione, finisce così per calpestare i diritti altrui, ignorandone i bisogni, degrada la propria dignità di persona ad una vita animalesca, estingue o trascura l’interesse per le cose dello spirito e della religione, mettendo eventualmente a repentaglio la sua stessa salute fisica. Freud descrive bene questa schiavitù del soggetto alla libido, che diventa la molla segreta e primordiale, magari inconscia, di tutte le attività del soggetto, anche quelle apparentemente superiori e spirituali.
L’azione dell’appetito sessuale, nell’uomo, si pone dunque a due livelli: un livello fisiologico-istintuale, che è in comune con gli animali, e un livello morale, che caratterizza il comportamento sessuale dell’uomo in quanto uomo, essere dotato di ragione e volontà, fatto non solo per un fine fisico — la salute fisica —, ma anche per una finalità spirituale — salute spirituale —, che è il conseguimento cosciente e libero del sommo bene che è Dio.
Nel primo caso l’azione o impulso sessuale può sorgere spontaneamente non voluto o non cercato; nel secondo, invece, l’impulso o istinto può essere provocato o guidato dalla volontà. Se l’impulso naturale o fisiologico non avviene secondo i normali procedimenti fisiologici e quindi in armonia col fine dell’istinto sessuale, si dà o si parla di uno stato morboso o patologico comunemente detto anche “disfunzione sessuale”, alla quale possono essere soggetti anche gli animali.
Qui si può parlare altresì di “malattia” sessuale come in generale si parla di malattia per tutti quegli stati o moti dell’organismo che comportano un deperimento, uno scompenso o un disordine o un difetto o un eccesso indotti dall’interno o dall’esterno da agenti patogeni, destabilizzanti, menomanti, disgreganti, paralizzanti o distruttivi o comunque nocivi, che possono anche condurre alla morte dell’individuo.
Il comportamento sessuale volontario è tipico dell’uomo. L’uomo può assumere e mettere in pratica volontariamente, per motivi ragionevoli, come nel matrimonio, l’orientamento naturalmente riproduttivo dell’istinto sessuale o può, come per esempio nella vita religiosa o per altri leciti motivi, astenersi volontariamente dall’esercizio dell’istinto sessuale. In tal caso abbiamo il comportamento moralmente sano, buono e virtuoso, che si presenta come attuazione della temperanza sessuale.
Se invece il soggetto, pur conoscendo la norma etica sessuale, volontariamente non vi si adegua, allora abbiamo il peccato sessuale, che può esser frutto del vizio della lussuria, un peccato più o meno grave a seconda dell’entità della materia del peccato o del livello del consenso volontario. La colpa del peccato diminuisce o può anche mancare del tutto, se il soggetto non per colpa sua non ha chiara coscienza di peccare o perchè mal informato o non istruito sulla norma morale o perchè in stato di insufficiente lucidità psichica, come per esempio nel sonno o in stati mentali disturbati.
La forte passione, in caso di peccato, soprattutto se non volontariamente provocata, ma spontaneamente insorgente, soprattutto nei giovani e in soggetti con forte vitalità sessuale, e in caso di volontà debole, diminuisce la colpa, anche se la materia è grave. La volontà infatti qui pecca propriamente non tanto perchè non vuole, ma perchè non riesce a vincere o dominare un impulso troppo forte o irresistibile. Nemo ad impossibilia tenetur.
Se invece l’atto sessuale illecito è volutamente cercato, nè si evitano le occasioni pericolose, allora la colpa aumenta e può giungere fino al peccato mortale. La passione che nasce da sè non cercata diminuisce la colpa; quella che invece è cercata di proposito, la aumenta. Occorre però tener presente che, se il peccato consiste in un atto sessuale cosciente e volontario, la cui materia sia un atto, un desiderio o un’intenzione contrari al processo e al fine fisiologici e procreativi, il peccato è più grave che se il soggetto compiesse un atto sessuale conforme al processo fisiologico della sessualità. Dobbiamo ricordare infatti che la natura umana ha due dimensioni: ha una dimensione animale ovvero fisiologica, ed ha una superiore, razionale, che è quella che caratterizza l’uomo come tale. Da qui la possibilità di due livelli del peccato sessuale: uno contro la natura razionale e un altro contro la natura animale.
Così, per esempio, in linea di principio e a pari condizioni, è più grave la masturbazione o la sodomia che non l’adulterio, la prostituzione o la fornicazione, perchè in questi secondi casi si suppone il rispetto della naturale unione fra uomo e donna, cosa che invece non avviene nei primi casi. Esistono altresì tendenze sessuali fisiche in linea di principio anormali, ossia non conformi ai fini normali della sessualità, tendenze che possono tuttavia essere innate e quindi praticamente incorreggibili, così come può essere irrimediabile una qualunque grave malformazione innata. Può essere questo il caso dell’omosessualità. In questi casi avviene che il soggetto, con tutta la sua buona volontà, non riesce a evitare il peccato.
La difficoltà di comprendere la gravità del peccato che sorge dalla tendenza omosessuale è oggi accentuata dall’enorme ignoranza che purtroppo esiste anche in ambienti cattolici circa la suddetta distinzione tra i due piani della natura umana: quello animale e quello razionale. Da qui scaturisce una concezione della natura umana e quindi della legge morale, che viene a dipendere non dal dato oggettivo riconducibile al Creatore, ma dall’arbitrio del soggetto, come troviamo nell’etica di Rahner. In taluni ambienti cattolici, inoltre, influenzati dal protestantesimo, si trascura o si ignora il fatto che l’etica sessuale ha di per sè fondamento e principio nella semplice ragion pratica, la quale detta la legge morale naturale, a prescindere dalla fede, la quale suppone il dato razionale e non lo sostituisce. Certo la Scrittura impartisce norme sull’etica sessuale, ma sarebbe sbagliato pensare che per il cristiano esse vengano dalla sola Scrittura (sola Scriptura). La Scrittura invece le presuppone e le conferma, così come fa il Magistero della Chiesa.
Vi sono poi oggi esegeti di tendenza protestante liberale, per i quali, assumere per esempio le idee di San Paolo circa i peccati sessuali sarebbe segno di “fondamentalismo“, ossia di una mentalità ormai superata, mentre la vera etica cristiana ignorerebbe una legge morale oggettiva e dipenderebbe solo dalla libertà dello Spirito Santo. Sono pericolose eresie, che occorre assolutamente evitare.
Che si dovrebbe fare in questa grave e complicata situazione? I soggetti che sono affetti da orientamenti difettosi innati, come può essere l’omosessualità, devono imparare, grazie ad un opportuno e magari lungo sostegno educativo, a convivere serenamente e pazientemente con queste tendenze. Infatti non hanno colpa della tendenza; il che però non li ripara dal peccato, benchè poi, se si pentono, siano perdonati. Invece l’esperienza ed apposite cure insegnano che è possibile vincere una tendenza omosessuale acquisita. E noi confessori conosciamo bene questi casi. Ci sono degli omosessuali che si confessano così bene, che dovrebbero far vergognare i farisei che dicono di non aver peccati. In questi omosessuali dalla tendenza innata, la colpa può abbassarsi da mortale a veniale, perchè, anche ammesso che vi sia l’avvertenza, non c’è sempre un pieno deliberato consenso, ma il soggetto è vinto dalla passione, ossia non ce la fa. Ora, la colpa vera non è il fatto che non ce la faccio, ma il fatto che non voglio. Qui sta la cattiva volontà caratteristica del peccato o della colpa, la quale viene tolta dal pentimento e dal perdono divino.
È molto importante sapere in linea di principio perchè il peccato sessuale è peccato, grave o veniale che sia: è peccato, in quanto atto cosciente e volontario contrario ai fini fisiologici o umani della sessualità. Ma è anche importante saper valutare o da parte dell’educatore e del confessore o dello stesso peccatore, nel suo caso particolare, se c’è stata o non c’è stata colpa e, se c’è stata, quanta ce n’è stata? La difficoltà di vincere il peccato non deve diventare una scusa per minimizzare la colpa o per adagiarsi sulle proprie debolezze, quasi non ci fosse bisogno di correggersi o comunque di lottare sempre contro il peccato e di far penitenza. Certamente il peccatore in campo sessuale conserva sempre le sue qualità personali positive, che possono essere anche superiori a quelle di chi non cade in quel peccato.
Il dovere del peccatore e dell’educatore di riconoscere e promuovere quelle qualità, da una parte non esime l’educatore dal dovere di ricordare al peccatore il perchè del suo peccato e quindi di aiutarlo, per quanto gli è possibile, a liberarsene, e dall’altra dovere del peccatore è quello di non adagiarsi nella sua condizione di peccatore, anche se continuamente è oggetto della divina misericordia e della tolleranza da parte degli altri e della società. Ma il peccatore deve aver sempre presente come il santo Davide il proprio peccato, per non dimenticare che continua a peccare: «il mio peccato mi sta sempre dinnanzi» [cf. Sal 51,5].
Come è stato notato da acuti osservatori, il documento finale del recente sinodo dei vescovi sulla famiglia e il matrimonio, nel presentare situazioni e comportamenti di coloro che si scostano in vari modi e gradi dalla pratica onesta e santa di questi sommi valori ed ideali cristiani, se da una parte evidenzia il dovere di tutti di riconoscere le qualità personali insite anche in questi soggetti, dall’altra manca di una chiara e motivata riaffermazione di ciò che in queste materia è disordine o peccato e di come, per conseguenza, togliere questi mali.
L’impressione che insomma si trae dal documento è che questi buoni vescovi poco si dedichino al ministero della confessione e alla guida delle anime, altrimenti non sarebbe così fiacco l’interesse per la correzione dei difetti dei fedeli e non sarebbero così scarse le norme indicatrici delle cure da adottare. I vescovi sono medici dello spirito, così come Cristo è stato medico delle anime. Da loro quindi ci attendiamo non solo la valorizzazione e la lode della salute, come potrebbe fare un allenatore sportivo o il miglioramento del benessere, come potrebbe fare un buon governo politico, o lo sviluppo della produzione, come potrebbe fare un capitano di industria, ma anche e soprattutto la segnalazione, la diagnosi e la cura dei mali del nostro spirito, che sono soprattutto gli errori dottrinali, i vizi e i peccati, indicandoci in Cristo come da essi possiamo liberarci per raggiungere la verità, la virtù, la salvezza e la santità. Qui i vescovi svolgono una missione per mandato di Cristo, in unione col Papa, nella quale nessuno li può sostituire.
Non basta fare l’elogio delle buone famiglie e dei valori che si trovano negli omosessuali, nei conviventi o nei divorziati risposati, se poi non si ricorda che questi valori, a differenza di quanto avviene nelle buone famiglie, ligie ai loro doveri a costo a volte di grandi sacrifici, si accompagnano nelle suddette persone a comportamenti peccaminosi, scandalosi o irregolari più o meno gravi, che mettono in pericolo la loro e l’altrui salvezza, e dai quali bisogna assolutamente che si correggano o cerchino di correggersi, accettando con fiducia la disciplina canonica e pastorale stabilita dalla Chiesa a tal fine.
Non si tratta di infierire con durezza o di considerare queste persone come anime perdute [2]; occorrerà tolleranza, pazienza e comprensione, ma esse devono sapere chiaramente che il loro modo di vivere la sessualità è contrario alla legge naturale e alla volontà di Dio: cose che la Chiesa ha sempre detto, ma che vanno continuamente ripetute, così come i medici sempre di nuovo ci prescrivono le cure necessarie per guarire dalle medesime malattie.
Chi segue una condotta perversa, per quanto per certi aspetti scusabile, certo ha una dignità personale identica a quella degli onesti e dei buoni, ma nel contempo non ha nessun diritto di ritenersi in una condizione morale e giuridica alla pari di chi rispetta la legge divina e della Chiesa o addirittura di pavoneggiarsi nel gay pride. Altrimenti può nascere in molti e negli stessi peccatori, che non sembrano più essere peccatori, ma semplicemente “diversi”, la persuasione, che, in fin dei conti, non essendo oggetto di alcuna riprensione o di alcun richiamo, sono del tutto scusati o possono tranquillamente continuare senza sensi di colpa nella loro condotta peccaminosa, che con ciò stesso non appare più tale [3].
La tendenza omosessuale non può essere considerata, secondo quanto alcuni vorrebbero, come “normale“. Essa invece rientra, come abbiamo visto, nella categoria delle disfunzioni sessuali, che riguardano la dimensione fisiologico-animale della persona. Tale qualifica, quindi, non è assolutamente da confondersi con un giudizio morale negativo. Detta tendenza diventa invece vizio o peccato, precisamente di sodomia, quando essa è volontariamente attuata dal soggetto. L’essere omosessuale non è ancora il peccare di sodomia, come l’essere zoppo non è ancora lo zoppicare o l’inclinazione ad ubriacarsi non è ancora l’atto dell’ubriacarsi. Condannare moralmente o mostrare disprezzo con titoli ingiuriosi un omosessuale per il semplice fatto di essere quello che è, si può configurare come reato di diffamazione, detto nella fattispecie “omofobia”. Viceversa il qualificare come male o come peccato o come atto illecito o dir si voglia l’atto della sodomia, è dovere di chi vuol chiamare le cose col proprio nome, e sarebbe follia considerare come reato tale qualifica, quando è meritata. Così sarebbe follia condannare un medico che fa la diagnosi di una data malattia sotto pretesto che offende la dignità del malato. È invece per amore della dignità della persona omosessuale che l’educatore, il moralista o il sacerdote le ricordano il male dell’atto che compie, nell’intento di aiutarla a correggersi e a liberarsi dal suo peccato.
Il Santo Padre, nel suo discorso a conclusione del sinodo ha denunciato severamente un certo «buonismo distruttivo» e una certa «falsa misericordia», nei quali non è difficile rintracciare i presupposti nel buonismo atematico-trascendentale rahneriano del «tutti in grazia-tutti salvi» [4]. Speriamo che tale forte richiamo del Successore di Pietro serva per il prossimo sinodo a ricordare a tutti che certo Dio è misericordioso, ma che nessuno ottiene misericordia, se non riconosce il proprio peccato e non si sforza di porvi rimedio. Dio chiude un occhio, ma non tutti e due.
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NOTE
[1] Il segno di ciò lo abbiamo nelle polemiche di Gesù contro il peccato. Egli se la prende molto di più contro i peccati spirituali, come l’ipocrisia e la superbia, che non contro i peccati di sesso. Inoltre c’è da considerare che è più facile che si penta un lussurioso che un superbo. Infatti, se la passione è guasta, il rimedio può venire dalla retta ragione. Ma se anche la ragione è guasta, c’è ben poco da fare. È più facile che si penta un pedofilo che un hegeliano o un eretico, così come a quanto dice Cristo, è più facile che si converta una prostituta che un fariseo. Di Madre Angelica, la famosa priora del monastero giansenista di Port-Royal, si diceva che era pura come un angelo e superba come il demonio. Per alcuni un buon prete può seguire Rahner e Schillebeeckx: basta che obbedisca al vescovo, dica Messa e non vada a donne.
[2] Per questo pare inopportuno sostenere, come alcuni fanno, che i divorziati risposati si trovano “in stato di peccato mortale”. È ovvio che l’adulterio in se stesso è un peccato mortale; ma esistono casi nei quali la coppia è obbligata per cause di forza maggiore a praticare la convivenza, la quale certo è occasione immediata di peccato. Ma niente e nessuno impedisce ai conviventi di essere perdonati da Dio dai loro peccati, anche se non possono accedere al sacramento della confessione, perchè Dio dona la sua grazia anche al di fuori dei sacramenti.
[3] Costoro forse reinterpreterebbero così le parole di Cristo all’adultera pentita: “Va’ e continua pure a peccare, tanto Dio è buono e ti perdona”.
[4] Che ebbe negli anni Settanta del Novecento un’applicazione demagogica nel “tutti promossi“, che si diffuse negli ambienti delle scuole.
 

(Fonte: Giovanni Cavalcoli, Isola di Patmos, 15 giugno 2015)
http://isoladipatmos.com/le-tendenze-sessuali-morbose/

 

sabato 6 giugno 2015

Dossier: Il marchio della bestia. La fede low cost, la religione commercializzata

Analisi di una strategia di marketing. La Chiesa trasforma se stessa in un brand commerciale e diventa un prodotto di largo consumo; tra jeans, filmetti, cellulari e caffè, nasce la fede low cost.
 
Il cristianesimo costa troppo e nessuno lo vuole più comprare, è troppo faticoso vivere da cattolici e nessuno vuole più esserlo. Le esigenze della Chiesa impongono l’arresto della continua emorragia di fedeli che pare irreversibile. Come insegnano le regole del mercato s’impone l’aggiornamento di un prodotto diventato obsoleto: essere cattolici oggi è come pretendere di essere alla moda girando per strada con parrucconi settecenteschi.
Nasce così una strategia di marketing all’insegna dell’innovazione: semplificare, aggiornare, bonificare la fede significa facilitarne l’ingresso nel circuito commerciale e renderla più invitante per i fedeli. Tuttavia per rilanciare la fede occorre prima svalutarla. Il cristianesimo costa troppo, è necessario diventi più economico, quindi occorre privarlo della sua aura sacra, renderlo non più faticosa conquista, ma preteso diritto di tutti e trasformarlo in un prodotto di facile accesso come si farebbe con qualsiasi altro prodotto di largo consumo.
Occorre creare un nuovo brand o marchio che riqualifichi la Chiesa: in primo luogo occorre profanare il sacro, poi dissacrare il profanato, infine sottoporre il dissacrato a una campagna pubblicitaria di marketing. Il risultato è un cristianesimo trasformato in prodotto, in un articolo di largo consumo con tutte le caratteristiche necessarie per conquistare il mercato: un prodotto universale, low cost, aggiornabile e con un packaging adeguato cui si può accedere in modo facile, semplice, veloce.
Esistono molte strategie per rendere il cristianesimo un’esperienza comune: non esiste solo la persuasione occulta tesa a trasmettere un messaggio sottotraccia che sia fruito in modo più o meno inconsapevole. Esiste anche una persuasione manifesta, alla luce del sole, chiarissima nei suoi intenti, ma non per questo meno efficace e pervasiva. Anzi.

Nascita di un brand
Già Romano Guardini parlava di chiesa devastata.”Noi viviamo in un’epoca devastata. Le cose dello spirito e le cose della salvezza non hanno più una propria sede. Tutto è buttato sulla strda” (La Coscienza, Introduzione all’edizione italiana, Morcelliana - Brescia 1977 ).
Profanare significa rendere profano ciò che è sacro. L’etimologia stessa del termine “profano” deriva da “pro” (=davanti) e “fanum” (=tempio) ossia porre innanzi al tempio o fuori di esso alla mercé del pubblico, a disposizione di tutti. Ciò che è sacro deve quindi essere profanato ossia essere semplificato e reso alla portata di tutti, deve trasformarsi da esperienza di pochi a faccenda di molti.
La dissacrazione blasfema del laicume che ride sgangheratamente delle vignette di Charlie è stata preparata e anticipata dalle tendenze profananti inaugurate dalle correnti progressiste della Chiesa. Senza la previa profanazione della liturgia, del papa, del sacerdozio, senza l’abolizione del giuramento antimodernista e la deposizione della tiara, oggi non avremmo probabilmente la dissacrazione laicista che dilaga ovunque.
Questa profanazione clericale che ha facilitato la dissacrazione laicista ha potuto giustificarsi agli orecchi delle folle grazie a uno dei tanti slogan collettivi propagati dai mass media, cioè nel nome immortale della libertà.
Alcuni interpreti della Chiesa postconciliare (per comodità chiameremo in seguito Chiesa progressista l’insieme di questi interpreti) per rilanciarsi hanno deciso di accodarsi al laicismo in ascesa e di rinfrescare l’ immagine della Catholica. Per farlo occorreva dotarsi di un nuovo brand che richiedeva innanzitutto quel processo di profanazione / desacralizzazione che i mass media stavano chiedendo a gran voce col pretesto che l’uomo moderno aveva bisogno di una Chiesa moderna. Come dice Vito Mancuso dopo Auschwitz non si può più credere come si credeva nel Seicento!
Queste profanazioni hanno un’origine: la desacralizzazione progressista.
Il progressismo cattolico pensava così di saldare il conto del “ritardo culturale” che separava la cattolicità così retriva dal resto del mondo così avanzato. Come se la Chiesa, vergognandosi della sua tradizione davanti alla modernità, avesse maturato un penoso complesso d’ inferiorità per risolvere il quale è ricorsa alla cosiddetta modalità adattiva:  ha scimmiottato il laicismo per rendersi un po’ più uguale a lui così come certe femministe scimmiottano l’uomo nei suoi aspetti peggiori vergognandosi della propria femminilità.
La Chiesa progressista si è illusa di poter ricondurre a equilibrio una relazione squilibrata a causa di un latente complesso di inferiorità e per giunta, in quanto inconfessato a se stessi, di matrice schizoide. Succede quando si afferma di credere a qualcosa che nei fatti si dimostra di non credere più; pensiero e azione si contraddicono perché l’azione non è più la proiezione coerente  del pensiero.
La guarigione allora consiste nel conformare il pensiero alla parola e questa all’azione. E’ circa quello che è avvenuto: il pensiero teso a profanare ha trovato riscontro in discorsi tesi a profanare che sono sfociati infine in azioni tese a profanare. Così finalmente il pensiero liberato dal fardello dei secoli si è sincronizzato all’azione.
Ma come sempre la Chiesa progressista è in ritardo di decenni rispetto alle conquiste laiciste. Infatti una volta profanata/desacralizzata la liturgia, il papa, il sacerdozio e forse la famiglia la Chiesa progressista si è accorta dell’inganno in cui è caduta perché nel frattempo il laicismo si è spinto molto più avanti, ha già superato un’altra linea di demarcazione non prevista: quella che separa la profanazione dalla dissacrazione.
Non è la stessa cosa: mentre profanare o desacralizzare significa rendere ordinario qualcosa di straordinario, dissacrare significa volgere in ridicolo l’ordinario rendendolo grottesco. Accade che la Chiesa progressista, che si era cullata nell’illusione di aver recuperato la salute, ossia la stima di se stessa, colmando il divario che la separava dal mondo, si trovi nuovamente a soffrire di quel complesso d’inferiorità che pensava di aver superato.
E’ solo desacralizzante mentre il mondo è già dissacrante.

Inserimento del sacro nel circuito commerciale
La dissacrazione laicista inizia dove la profanazione catto progressista finisce. La profanazione scandalizza, la dissacrazione deride: consiste nel tradurre in termini contorti, deformi, ridicoli ciò che una volta era stato sacro e poi profanato. Impadronirsi di qualcosa, un’idea, un concetto e denudarlo, mostrare le sue vergogne a un pubblico guardone che ammicca sogghignando eccitato.
La televisione, ancora lei, ha rotto il ghiaccio per prima: non ha fatto altro che dare visibilità alle dicerie popolari sulla corruzione del clero divulgandone l’idea. Corruzione che c’era e che c’è, beninteso, ma che non riguarda la maggior parte degli uomini di chiesa. Occorreva dare la percezione al pubblico che la corruzione clericale emersa alle cronache fosse solo la punta dell’iceberg e che la lussuria e l’avidità del clero fossero generalmente diffusi.
E’ stato possibile rappresentare tutto questo con i famosi filmetti anni 70 che fin dal titolo invitano a spiare dal buco della serratura per vedere cosa succede dietro le mura di un monastero o l’ingresso di un chiostro. Storia di una monaca di clausura, Le monache di Sant’Arcangelo, La bella Antonia prima monaca e poi dimonia, La Novizia, Confessioni proibite di una monaca adolescente, etc. Titoli così ridicolmente riusciti che anch’io rido mentre li scrivo.
Fino a questo punto grazie ai filmetti a essere dissacrata erano gli ordini religiosi. Tema non nuovissimo in verità perché riprendeva alcune suggestioni boccaccesche. Tuttavia ora la dissacrazione della vita religiosa esce dalla reticenza e dall’ allusione e si fa proclama manifesto.
Un secondo aspetto consiste nel ridicolizzare l’eternità: con le pubblicità della Tim e della Lavazza ambientate in un inferno e un paradiso macchiettistico gli stessi destini eterni dell’uomo sono stati deformati in modo grottesco. Non più così trascendenti e misteriosi, ma finalmente alla portata di un pubblico infantilizzato, ridotto alla psiche di un adolescente grasso, pigro e un po’ beota così come deve essere il consumatore ideale: capriccioso, volubile, disarmato e possibilmente single.
Ossia deresponsabilizzato cioè senza obblighi familiari che lo inducano a risparmiare anziché spendere per una quantità immane di beni voluttuari.
Dopo i religiosi e l’escatologia cristiana a essere dissacrati sono stati i simboli della religione trasformati in accessori moda che potessero conferire un’identità posticcia a chi ne è privo. I simboli religiosi anche tatuati sono stati travisati in oggetti cool per un certo tipo di cultura dark diafana, amebica e fondamentalmente priva di vitalità esattamente come le scarpe Doc Martens qualificano orientamenti punk e anarchici o il Monclair l’atona e cinica gioventù dorata.
Nel settore cinematografico le tendenze desacralizzanti dei filmetti anni 70 evolvono nella dissacrazione a tutto campo, totalizzante e totalitaria la cui summa è condensata nel film Religious di Bill Maher un ebreo ex cattolico diventato ateo. Il dissacrante Bill incontra una serie di persone normali dalla fede semplice e solida, spesso di umile condizione sociale e pone delle domande al fine di ridicolizzare la loro religione: com’ è possibile Giona sia rimasto tre giorni nel ventre di una balena? Com’ è possibile partorire restando vergine? Perché fino al IV secolo i preti potevano sposarsi mentre ora non possono? Perchè i gay sembrano così felici di essere tali mentre i cristiani sembrano così malinconici ?
I cristiani così provocati, privi di istruzione filosofica o teologica restano imbarazzati non sapendo cosa rispondere. E Bill Maher rivolgendosi al pubblico chiede se non è veramente ridicola questa religione che chiede di credere in cose assurde.

Psicologismo e complottismo 
Collaterali alla dissacrazione sono lo psicologismo riduzionista e il complottismo.
Lo psicologismo applicato alla fede tende a ridurre a fenomeni intrapsichici con qualche sfumatura residuale di mistero l’esperienza religiosa. Su questo fronte ha conosciuto larga fortuna l’editoria legata al tema dell’evoluzione spirituale come emancipazione dalla fede tradizionale.
I campioni di questo trend psicologista sono autori come Carlos Castaneda, Anthony de Mello, Isabella Allende, Paulo Coelho: nei loro libri tutto ciò che appartiene alla sfera dello spirito assume i caratteri di un’esperienza intima in cui entrano in gioco teorie esoteriche di derivazione gnostica, la sapienza attinta grazie alla riscoperta di antiche e sepolte conoscenze, l’intuizione irrazionale colta grazie al ricorso a facoltà medianiche.
La pseudo storiografia complottista ha conosciuto enorme successo grazie a una serie di prodotti audiovisivi come il documentario Zeitgeist, lo spirito del tempo largamente diffuso su You Tube e i libri di autori come David Icke attraversati da suggestioni ufologiche e soprattutto quelli di Dan Brown la cui caratteristico stilistica principale peraltro è quella di essere di una noia mortale.
In tutte queste ricognizioni pseudo scientifiche la tesi portante è che la chiesa cattolica abbia secretato per secoli la vera storia dell’umanità il cui sviluppo è stato conculcato tramite la leggenda cristiana inventata ad arte da un’oscura centrale di potere guidata e diretta principalmente dalle gerarchie religiose. Per attingere alla conoscenza della vera natura dell’uomo occorre rimuovere l’ostacolo costituito dalla chiesa cattolica la quale a questo punto è parificata a una struttura anticristica che ha mineralizzato con le sue menzogne lo sviluppo spirituale dell’uomo al fine della conservazione del potere.

Strategie di brand marketing
Una volta profanato e poi dissacrato tramite il grottesco, il riduzionismo psicologista e il complottismo, il cristianesimo è pronto per uscire dalle nicchie specialistiche e diventare un prodotto di largo consumo. Occorre organizzare prima una campagna di brand marketing che conferisca al nuovo prodotto che sta per essere lanciato sul mercato le caratteristiche necessarie per avere successo. Occorre informare il pubblico che il nuovo prodotto è di facile, semplice e veloce accesso. Facile, perché è friendly ossia di agevole utilizzo; semplice perché è immediatamente comprensibile senza troppi misteri; veloce, ossia non richiedere più lunghi e penosi processi di conversione.
Sul fondamento di questi presupposti il prodotto deve quindi avere almeno altri quattro requisiti “tecnici”: deve essere universale, low cost, soggetto a periodici restyling e avere un buon packaging.
Per essere universale deve essere transculturale, incontrare i gusti dei consumatori del sacro sempre e ovunque. Deve quindi perdere le sue caratteristiche peculiari che lo rendono troppo legato alla cultura cattolica. Deve essere poco papista per compiacere protestanti e ortodossi,  poco trascendente per compiacere i laicisti, poco dogmatico per adattarsi alle esigenze di tutti.
Inoltre deve essere low cost, cioè acquistabile a una cifra modesta. Il che significa che non deve impegnare troppo in lunghi e difficoltosi cammini di conversione e revisioni dello stile di vita che implichino una dolorosa messa in discussione delle proprie precedenti certezze. Queste possono ora permanere perché sono perfettamente conciliabili col nuovo prodotto.
Deve essere soggetto a periodici restyling per evitare che diventi obsoleto e quindi passi di moda. Deve mettersi alla scuola della storia umana, leggerne le tendenze e adattarsi alle nuove congiunture culturali o mode che di volta in volta si affermano.
Infine deve presentarsi con un packaging adatto, cioè deve avere una confezione che identifichi immediatamente il prodotto. Il suo involucro deve quindi essere attraente, accattivante, deve sedurre il consumatore. Al contempo deve essere sobrio, austero, quasi squallido per non apparire il prodotto di lusso che non è e scoraggiare gli acquirenti. Tutto ciò che rimanda alla maestà deve quindi diventare spartano, la solennità deve essere spogliata dagli orpelli, le chiese stesse assomigliare più a un fabbricone dismesso che a un luogo di culto.

E com’è il nuovo tipo di credente?
In definitiva abbiamo ora un prodotto flessibile a buon mercato che può essere fruito in tempi brevi: i sacramenti possono essere assunti anche senza previa confessione, i matrimoni senza vincoli sacrali troppi impegnativi, l’esperienza religiosa deve appiattirsi a livello di produzione nel sociale. Soprattutto il “prodotto cristianesimo” per essere appetibile dal cliente/consumatore non deve intralciare la propria visione del mondo e dell’uomo: gli affari sono affari e Dio è Dio. E’ bene questi due aspetti siano ben distinti e separati: si potrà quindi essere cristiani e abortisti, cristiani e divorzisti, cristiani e laicisti, cristiani atei perfino.
Modellato il prodotto religioso occorre poi modellare il consumatore del prodotto stesso: occorre trasmettere la convinzione secondo la quale è perfettamente legittimo pretendere dalla fede tutto e subito. Il credente deve diventare una sorta di adolescente piagnucoloso e ostinato che non fa altro che volere un prodotto religioso che si adatti non alle sue esigenze, ma alle sue voglie.
Il credente moderno deve essere accontentato qualsiasi cosa chieda, non educato, né tanto meno responsabilizzato; occorre dargli subito ciò che gli si insegna a chiedere e non educarlo a domandare ciò che sarebbe opportuno chiedere. Non deve volersi impegnare al fine di soddisfare un bisogno reale, ma deve pretendere l’immediata soddisfazione di un bisogno indotto.
Comunione per tutti.
Se vuole accedere ai sacramenti in stato di peccato grave, se vuole perseverare negli eccessi, se vuole essere corrisposto in tutte le sue voglie, deve essere soddisfatto. L’autentica coscienza che si esplicita nel chiedere ciò che sarebbe opportuno chiedere per la propria salute spirituale deve essere oscurata e scalzata dalla falsa coscienza di una volontà capricciosa ed eterodiretta, che si placa solo se viene saturata in modo effimero e senza sforzi ogni voragine esistenziale.
Un modo per sopravvivere ancora un po’ in attesa della prossima crisi, un farmaco che serve solo a superare le fasi acute della malattia senza guarirla. Del resto come insegna uno dei più celebri slogan di mercato “il cliente ha sempre ragione”.
Un cristianesimo artefatto si sovrappone così al cristianesimo autentico, un cristianesimo di facile accesso scalza il cristianesimo che passa per la porta stretta, il cristianesimo mass mediatico rimpiazza il cristianesimo del catechismo. Un cristianesimo liscio, levigato e smussato deve sostituire il cristianesimo ruvido, esigente e fastidioso che pretende di porsi non come diritto, ma come conquista.

Quell’assordante silenzio
Nel 1973 le città italiane furono tappezzate dai manifesti della pubblicità dei jeans “Jesus” accompagnati dallo slogan “Non avrai altro jeans al di fuori di me”. I manifesti furono tolti dall’autorità pubblica dopo un articolo di lamentela apparso sull’“Osservatore Romano”.
Allora Pier Paolo Pasolini scrisse uno dei suoi più efficaci articoli dal titolo “Analisi linguistica di uno slogan” in cui lo scrittore denunciava l’errore storico compiuto dalla Chiesa la quale pensava di potersi servire del regime liberale come si era servita del fascismo. Cioè, secondo Pasolini, la Chiesa aveva concluso con lo stato borghese una specie di baratto: in cambio dell’avallo morale al regime liberale, questo stesso regime, tramite l’autorità pubblica, si impegnava a difendere la religione.
E infatti prontamente i manifesti furono rimossi. Astutamente peraltro lo stato liberale poté eseguire la rimozione senza subire troppe critiche dal momento che la colpa di tanta arretratezza culturale venne fatta ricadere sulla Chiesa e il suo vecchio e anchilosato moralismo.
Tuttavia, concludeva Pasolini, il ghiaccio era ormai rotto: lo stato liberal borghese ormai era pronto per reggersi sulle sue gambe senza necessità di appoggiarsi alla stampella della Chiesa. La rimozione dei manifesti era solo uno degli ultimi gesti di tutela della religione tramite vecchi uomini d’apparato ormai in declino che stavano per essere scalzati dai rampanti “tecnici” della nuova società industriale come Oliviero Toscano, ideatore della campagna dei jeans “Jesus”.
Quella profezia si è avverata: nessun organo di stampa cattolico si è minimamente scandalizzato, ad esempio, per la pubblicità della Tim o della Lavazza. E’ stato pacificamente accettato da parte cattolica che si potessero trasformare i cardini della fede in articoli di largo consumo esattamente come molti altri prodotti che intasano il mercato.
D’altra parte anche a livello di omelie il tema della trascendenza è stato discretamente accantonato come si farebbe con un oggetto di cattivo gusto in un salotto di prestigio. Il capitalismo commerciale del resto, almeno per ora, ha  ancora un residuo d’interesse per il sacro a fini di sfruttamento lucrativo più o meno come si fa con una miniera in via di esaurimento da cui sia ancora possibile estrarre un po’ di minerale.

Entrati nel circuito commerciale non se ne esce 
La Chiesa peraltro non ha scelta: nemmeno se volesse ora è in grado di attivare quei vecchi magistrati o poliziotti o politici cattolici che una volta l’avrebbero difesa per l’ottimo motivo che quei vecchi esponenti che vicariavano il potere temporale della Chiesa, cui la Chiesa stessa ha rinunciato, non ci sono più. La Chiesa ora, nuda e indifesa, è costretta a giocare a carte col diavolo e accettare il ruolo subalterno in quella che possiamo definire una brutale amicizia col regime consumistico, ossia uno di quei rapporti dalla vaga connotazione sado – maso o vittima – carnefice che lega un soggetto dominante a uno soggiacente.
Una volta fatta entrare la vita religiosa, l’eternità, i simboli sacri e perfino la vita biologica nel circuito commerciale tramite la profanazione e la dissacrazione, l’ultima battaglia che il consumismo deve vincere prima di commercializzare definitivamente la fede in tutti i suoi aspetti e quindi massimizzare il profitto è quella contro la famiglia.
Si tratta di una strategia liquidatoria odiosa, ma non irragionevole: il consumismo deve stimolare ai consumi il segmento potenziale di mercato costituito da coloro che fino a ieri disponevano di una visione del mondo alternativa, almeno in occidente, modellata dal cristianesimo.
L’ethos cristiano, infatti, sia nella sua confessione cattolica che protestante, ha sempre promosso la sobrietà nello stile di vita, la capacità di compiere rinunce e sacrifici, un certo distacco dai beni materiali. Inoltre la famiglia cristianamente configurata implica sacrificio, risparmio, riduzione dei consumi per i beni voluttuari (ossia quasi tutti), accantonamento delle risorse economiche per progetti a lungo termine.
Mentre il mercato ha bisogno di edonismo, prodigalità, incremento dei consumi e quindi di single capricciosi e immaturi che vogliono spendere quello che risparmierebbero se avessero famiglia,  guidati dall’impulso compulsivo a fare shopping, perfettamente omologati in un eterno presente caratterizzato dal mito giovanilistico costruito artificiosamente per cui occorre essere arroganti, aggressivi, goderecci, stracolmi di status symbol spesso costosi da esibire per avere una identità sociale. Identità sociale non più conferita dalla religione, ma dal brand cui si aderisce il quale non è più un semplice logo, ma un sistema di valori che si decide di sposare.
Il nuovo totalitarismo del brand lascia libero il corpo e imprigiona direttamente l’anima.
Insomma i cristiani, più di un miliardo di potenziali e renitenti consumatori, devono diventare come tutti gli altri, adeguarsi allo shopping per noia e disperazione. Per raggiungere questo obiettivo la strategia di marketing più performante consisteva nel dissacrare la religione e provocarne il declino nella sua forma storica e brandizzare in sua sostituzione una versione accomodante e funzionale alle esigente del mercato ossia dei consumatori.
Depotenziato l’antidoto anche ai cristiani mancano gli anticorpi. 
E l’infezione dilaga.
 

(Fonte: Marco Sambruna, Papalepapale, 29 aprile 2015)
http://www.papalepapale.com/develop/il-marchio-della-bestia-la-fede-low-cost-la-religione-commercializzata/

In Italia non esiste l’omofobia, lo dice anche “Repubblica”

Ricordate le centinaia di articoli sui principali quotidiani in favore di una legge contro l’omofobia per frenare la presunta dilagante persecuzione degli omosessuali in Italia? Tutto finito, ora che vanno promossi matrimoni e adozioni Lgbt bisogna assolutamente presentare le coppie gay come totalmente integrate e accettate dagli italiani, che sarebbero così pronti a riconoscere il loro matrimonio.
E’ di questi giorni l’articolo-spot a favore delle adozioni Lgbt del giornalista di Repubblica Francesco Merlo (anticlericale di lungo corso): Merlo si è recato a casa di una coppia di donne con bambino descrivendo prevedibilmente la loro unione come un angolo di paradiso, di amore, di felicità, di bontà, di rispetto, di attenzione e di progresso, concludendo in modo classico: «Esco da quella casa e penso che se avessi da affidare un bambino lo darei a loro». E’ il copione classico per insinuarsi emotivamente nella testa del lettore.
Tuttavia nel confezionare lo spot pro-Lgbt, Merlo non si è accorto di aver appena realizzato anche uno spot contro i sostenitori dell’omofobia italiana, le due donne infatti hanno infatti raccontato -manco fossero dei profughi scappati dalla guerra-, l’aiuto e la vicinanza ricevuta dai vicini di casa, dagli impiegati dell’Anagrafe, dai negozianti del loro quartiere, dal consultorio a cui si sono rivolte e perfino al corso di preparazione al parto, «nessuna delle donne in gravidanza ha mostrato il minimo turbamento. Insomma gli italiani sono molto più avanti delle leggi dello Stato». Ma come? E la dilagante omofobia italiana? Il contesto attorno alle persone omosessuali non era mica discriminatorio, fino a poco tempo fa, tanto da aver bisogno di tutele specifiche?
Evidentemente le necessità dell’associaziono Lgbt sono cambiate, la legge contro l’omofobia è passata in secondo piano e allora ecco i quotidiani che raccontano un’Italia a misura degli interessi degli attivisti omosessuali. E’ sempre Repubblica, nelle sue quotidiane e sdolcinate interviste a coppie Lgbt, a confermare che quella dell’omofobia era una bufala: «Non abbiamo mai avuto problemi all’asilo, con il pediatra, per le vaccinazioni», hanno spiegato altri due omosessuali “genitori” di un bambino. «E neanche ne ha avuti con i suoi coetanei. Forse una differenza la vedremo quando sarà più grande o forse mai». E lo stesso in un terzo articolo-spot a favore delle nozze gay: «nella vita di tutti i giorni siamo una coppia accettata da famiglia, vicini e colleghi», hanno spiegato altri due omosessuali.
Insomma, quando gli attivisti Lgbt volevano far passare il ddl Scalfarotto sui quotidiani non si parlava altro di questa minoranza continuamente perseguitata e bisognosa di una speciale protezione giuridica. Era una grande sciocchezza, come abbiamo dimostrato citando dati e studi sociologici, ed infatti il disegno di legge è stato velocemente accantonato con l’unanime consenso. Oggi la strategia è puntare direttamente sulle nozze gay, così le coppie omosessuali vanno presentate come isole di paradiso, capitali del rispetto e dell’amore reciproco, lontane anni luce dalla litigiosa famiglia italiana, coppie perfettamente integrate nel contesto in cui vivono, dove vengono amate e rispettate, alla faccia dell’omofobia.
Entrambe le descrizioni sono false: nessuna omofobia e nessuna approvazione, gli italiani sono rispettosi delle persone ma difendono la famiglia naturale uomo-donna riconosciuta costituzionalmente, come mostrano i dati. Gli sforzi e le marchette di Repubblica riescono soltanto a mostrare la perenne autocontraddizione e l’utilizzo della stampa come organo di regime e di propaganda per instaurare l’ideologia Lgbt, esattamente per questo Papa Francesco la chiama “colonizzazione ideologica”.
 

(Fonte: Uccr, La redazione, 5 giugno 2015)
http://www.uccronline.it/2015/06/05/in-italia-non-esiste-lomofobia-lo-dice-anche-repubblica/