giovedì 27 novembre 2014

Antonio Livi e Giuliano Ferrara: pastori, teologi ed atei devoti

In risposta ad un articolo del quotidiano Il Foglio diretto da Giuliano Ferrara:
“Nella celebre intervista concessa a Eugenio Scalfari, Bergoglio arriva a sostenere che “il Figlio di Dio si è incarnato per infondere nell’anima degli uomini il sentimento della fratellanza”. Quindi, per il Papa, che fa dell’antropocentrismo spinto e della “teologia dell’incontro” la cifra distintiva del suo pontificato, sparisce la finalità redentiva della kenosis del Figlio. Cristo si è incarnato per redimere l’uomo dalla schiavitù del peccato originale (anche questo sparito dal “magistero” bergogliano in luogo di un inaccettabile e pernicioso cainismo) e, attraverso la croce, farlo rinascere alla vita nuova della Risurrezione. Questo dice il cattolicesimo. Qui e solo qui è possibile la vera fratellanza in Cristo che non è quella umanitarista da ong e sentimentalista, tanto sbandierata quanto inaccettabile, di Papa Francesco [articolo integrale QUI].
 
Il mio amico Giuliano Ferrara dice, anche in questa occasione, cose giustissime, ma come sempre le dice da un punto di vista che non mi coinvolge. Lui e tanti altri che analizzano e commentano le azioni pubbliche e le presunte intenzioni di Papa Francesco non parlano da credenti che si rivolgono ad altri credenti ma da intellettuali; da giornalisti, sociologi, uomini politici che si rivolgono a un’indeterminata “opinione pubblica” che dovrebbe, secondo loro, essere interessati a sapere che cosa avviene nella Chiesa “vista da fuori”. Pensano che tutti, anche i credenti, dovrebbero prendere posizione ogni giorno pro o contro le novità che si registrano all’interno del mondo ecclesiastico, approvando o disapprovando ogni apparente nuovo orientamento delle gerarchie ecclesiastiche in materia di dottrina, di morale, di liturgia. Per aiutare questa indeterminata “opinione pubblica” a prendere posizione, questi opinionisti ricorrono alle medesime categorie ermeneutiche che valgono per valutare la dialettica culturale, economica e politica, ossia la lotta per il potere, le rivendicazioni di diritti ancora non rispettati, le spinte riformatrici e le resistenze conservatrici. Insomma, sono notizie e commenti che non mi interessano più di tanto, perché a me della Chiesa interessa soltanto ciò che la Chiesa veramente è.
Il mio punto di vista, quello per cui amo la Chiesa e da sempre mi adopero per servirla fedelmente, è il punto di vista teologale, mentre Ferrara e altri galantuomini come lui guardano sì con una certa ammirazione la Chiesa, hanno sì una buona conoscenza della sua dottrina, ma quando domandi loro se credono davvero che la Chiesa sia stata voluta da Cristo, il Verbo Incarnato, per annunciare a tutti gli uomini e in ogni tempo il Vangelo della salvezza e amministrare i sacramenti della grazia, loro onestamente riconoscono che non ci credono. Tutt’al più sono credenze che apprezzano intellettualmente, ma senza farle proprie.
Invece io mi ritengo credente proprio perché ho sempre creduto e continuo a credere la Chiesa come “sacramento universale di salvezza” e faccio mia la sua dottrina perché non dubito che essa sia la verità religiosa assoluta, rivelata da Dio stesso. E nella mia azione pastorale — l’insegnamento accademico, la catechesi, la direzione spirituale — mi rivolgo logicamente a chi vede la Chiesa dal medesimo punto di vista, perché questo è ciò che qualifica, nell’intelligenza, il vero credente, ciò che lo distingue dai simpatizzanti di ogni tipo, con i quali ci può essere la massima amicizia sul piano umano ma nemmeno un po’ di condivisione dei criteri con cui essi valutano gli eventi della Chiesa.

Io ricordo con stima e simpatia simpatizzanti della vecchia generazione, come lo scrittore Giuseppe Prezzolini o il giornalista Indro Montanelli — due toscani, ambedue amici di Paolo VI —, i quali somigliano tanto, per intelligenza e cultura, a quelli della generazione attuale, come il filosofo Marcello Pera, amico di Benedetto XVI; e lo stesso Giuliano Ferrara, estimatore di Benedetto XVI. Conosco bene e proprio per questo non posso dire che apprezzo i simpatizzanti dell’ultima ora, come Eugenio Scalfari e Marco Pannella, vecchi ideologi del radicalismo ateo e anticlericale e ora smaniosi di sembrare amici di Papa Francesco. La professionalità politica e giornalistica di tutti costoro e l’intenzione con la quale si interessano dei pontefici e della dottrina della Chiesa meritano, in maggiore o minor grado il rispetto da parte dei credenti, così come meritano di essere rispettate le decisioni dei Papi che stabiliscono e intrattengono rapporti personali di amicizia con questi cosiddetti “atei devoti”. Ma, allo stesso tempo io — ripeto — non condivido praticamente nulla di quello che dicono, e nemmeno cerco di simulare un consenso che non può esserci. Io la Chiesa e il Papa li vedo da un diverso punto di vista, che è quello della fede, e se ne parlo con altri credenti ne parlo con una diversa intenzione, che non è quella dell’informazione giornalistica, necessariamente legata alla superficialità dei rilevamenti sociologici e all’ipersensibilità — non intolleranza ma dipendenza — nei riguardi del potere temporale, sia civile che ecclesiastico. Io ripeto sempre, perché è assolutamente vero, che qualunque considerazione basata sui dati della sociologia religiosa non sfiora nemmeno la realtà effettiva della vita della Chiesa, la quale è un mistero soprannaturale del quale noi credenti abbiamo solo qualche indizio attraverso la fede nella rivelazione divina e poi qualche verifica sperimentale nell’esame della propria coscienza — esperienza mistica, ossia dell’azione della grazia in noi — e nell’azione apostolica rivolta alla salvezza del prossimo — esperienza pastorale —.
Per essere fedeli a Gesù Cristo servono forse tante informazioni sulle decisioni pastorali o di governo di Papa Francesco? Servono tanti confronti con i suoi predecessori e tante analisi dei suoi discorsi? È davvero indispensabile per il singolo fedele cattolico riuscire a capire quale sia il trend dei mutamenti che si stanno verificando oggi nella vita della Chiesa da un punto di vista sociologico, come per esempio le statistiche relative alle presenze a Messa, ai nuovi battesimi e ai cosiddetti “sbattezzamenti”, alla crescita o alla diminuzione delle vocazioni sacerdotali e religiose, sondaggi di opinione sulle norme di morale sessuale? Ai fini di una maggiore unione personale con Cristo è indispensabile essere al corrente di tutti i fatti di cronaca riguardanti le polemiche tra i teologi, le nomine e le destituzioni di alti prelati, insomma quelli che vengono presentati come interessanti retroscena della politica ecclesiastica?
Io ritengo, con fondati motivi pastorali, che per la vita di fede dei credenti sia indispensabile soltanto possedere e incrementare una adeguata capacità di discernimento, quel sensus fidei che induce a dare poco ascolto al clamore dello scandalismo mediatico, ad evitare di essere attratti dalla vana curiositas. Mi interessa richiamare l’attenzione dei credenti ai documenti del Magistero solenne e ordinario e all’interpretazione autentica del Vangelo che essi e autorevolmente propongono. Solo così posso contribuire a evitare che la “fantateologia” dei Pastori irresponsabili e l’immagine mediatica della Chiesa, costruita sulla sola base delle sue vicende umane esteriori, si sovrapponga alla conoscenza di fede, ossia alla verità della Chiesa quale risulta dalla divina rivelazione.
Come sacerdote, quando io parlo del Papa o degli sviluppi della dottrina cattolica ho a cuore le sorti della fede nel cuore delle singole persone, tenendo conto, necessariamente, del fatto che il racconto degli eventi ecclesiastici proposto dai media quotidianamente aumenta ogni giorno di più lo sconcerto e il disorientamento tra i fedeli. Ho collaborato l’anno scorso alla pubblicazione di un volume di vari autori — tra questi, il teologo domenicano Giovanni Cavalcoli e lo storico Roberto de Mattei — che si intitola appunto Verità della fede: che cosa credere, e a chi [Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2013, vedere QUI]. In precedenza avevo pubblicato un trattato scientifico intitolato Vera e falsa teologia. Come distinguere l’autentica “scienza della fede” da un’equivoca “filosofia religiosa” [Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2012, vedere QUI]. Giuliano Ferrara ha dedicato a questo libro un intero paginone del suo giornale, Il Foglio, ma lo ha etichettato, già nel titolo redazionale come espressione del pensiero di una scuola teologica tradizionale, vicina all’establishment ecclesiastico. A parte che la verità dei fatti è proprio il contrario — all’establishment ecclesiastico, fatta eccezione per Papa Benedetto XVI, il mio libro non piacque affatto —, il disinteresse di Ferrara per gli argomenti propriamente teologici del testo era scontato. Dai giornalisti non credenti, anche se assai colti e sinceramente simpatizzanti com’è il valente direttore del Foglio, non mi aspetto alcun aiuto nella mia battaglia, che è squisitamente pastorale e si rivolge all’opinione pubblica cattolica con la speranza che qualcuno, tra quanti leggono e capiscono ciò che scrivo, possa essere ri-orientato all’essenziale della fede cattolica, smettendo di dare importanza alle cronache clericali e, peggio ancora, di dare credito alle dottrine dei falsi maestri della fede.
Impresa ardua, direi una mission impossible, ma, oggi come ieri, ogni vera azione pastorale è come remare controcorrente, è come gettare la semenza nei solchi senza poter prevedere sapere se e in quale misura il seme germoglierà. Io so benissimo, perché vivo in mezzo alla gente, che l’opinione pubblica cattolica viene coinvolta da polemiche strumentali — suscitate cioè da interessi di potere — attorno ai discorsi del Papa e alle diverse interpretazioni che essi hanno avuto da parte di opinionisti che si dichiarano credenti ma in realtà professano, più che la fede cattolica, l’ideologia dei conservatori o dei progressisti, e che proprio per questo parlano, purtroppo, il medesimo linguaggio sociologico e politico che vien usato da quegli altri opinionisti che ho prima nominato, i quali si dichiarano non credenti e sono politicamente schierati o a destra o a sinistra e in quest’ottica osannano un papa ne criticano un altro, oppure passano dall’osannare a critica il medesimo quando le sue iniziative con sembrano andare più nel verso “giusto”. Per me, qualunque “verso” che a costoro sembri giusto a me non va bene comunque.
Io faccio un altro tipo di discorso. Ricordo ai credenti di ogni “tipo” gerarchico o cultuale, che un discorso o un gesto del Papa, chiunque egli sia, è da prendersi sul serio solo quando egli agisce presentandosi esplicitamente come supremo maestro della fede, cioè solo in quanto intende impegna formalmente l’autorità dottrinale che gli è propria. Non serve a niente stare ad analizzare l’opportunità o le intenzioni recondite delle sue quotidiane decisioni pastorali o di governo, e nemmeno è utile passare ogni giorno al setaccio i suoi discorsi occasionali, informali, omiletici, addirittura i colloqui privati.
Io ho criticato spesso — sulla Bussola Quotidiana e su L’Isola di Patmos alla quale Ariel S. Levi di Gualdo ha dato vita assieme a Giovanni Cavalcoli ed a me — la tendenza modernistica e in definitiva massonica di tanti loschi figuri che lavorano per una religione mondialistica umanitaria e attribuiscono al Papa le loro idee di riforma della Chiesa, per citarne alcuni tra i più celebri: il cardinale Walter Kasper, l’arcivescovo Bruno Forte, lo pseudo monaco Enzo Bianchi, il professor Melloni con la Scuola di Bologna che si arroga l’esclusiva dell’ interpretazione del Concilio eccetera. Ma io, rivolgendomi all’opinione pubblica cattolica, non posso azzardarmi a confermare che il Papa è davvero d’accordo con loro, perché ancora non ci sono atti ufficiali del magistero pontificio che documentino seriamente questo sospetto. Se ci fossero, saremmo di fronte a un vero e proprio scisma, ma sono convinto che ciò non accadrà. La Chiesa è di Cristo ed è indefettibile.
Io, invece di fare il profeta di sventure per la Chiesa, come coloro che gridano: «ecco che siamo pieno scisma!», o invece di arruolarmi nell’esercito dei “papolatri” del momento che annunciano «ecco finalmente l’avvento della nuova Chiesa ecumenica e sinodale!», preferisco ricordare a tutti che le valutazioni del vaticanisti, la sociologia religiosa e la politica ecclesiastica hanno un interesse del tutto marginale nella vita cristiana, dove l’essenziale è la realtà concreta della vita di fede di ogni singola persona che deve accogliere nel suo cuore la verità divina che è la sola a garantire la salvezza. Per questo dico che la vita di fede del credente non può basarsi su sospetti o arrampicamenti sugli specchi nel commentare i discorsi non esplicitamente magisteriali del Papa attuale: si deve basare sempre e solo sul dogma, che si esprime in enunciati formali non suscettibili di interpretazioni contraddittorie, vale a dire delle formule dogmatiche.
Per quanto possano essere o sembrare sconcertanti le azioni di Jorge Mario Begoglio, grazie a Dio tutti noi cattolici, ecclesiastici e laici, continuiamo ad avere come punto di riferimento certissimo e attualissimo il dogma, peraltro esposto e sintetizzato dal Catechismo della Chiesa Cattolica, che non è stato ancora abrogato né mai lo sarà; nessun papa e nessun concilio ecumenico o sinodo potrà infatti far propria la falsa teoria di Hans Küng secondo la quale il progresso dogmatico della Chiesa si attua mediante continue contraddizioni e superamenti dialettici, con una verità di oggi che nega quelle di ieri e così prepara il domani. Non siamo chiamati a rimpiangere Benedetto XVI od a rallegrarci che egli si sia dimesso e che al suo posto ci sia Francesco. Non possiamo pensare che quest’ultimo abbia beatificato Paolo VI e canonizzato Giovanni Paolo II per poi contraddire il loro magistero, ad esempio abolendo le norme morali della Humanae vitae e della Familiaris consortio. Nella vita e nell’opera di ogni romano pontefice ci sono sempre state ombre, oltre che tante luci, se sono poi stati canonizzati. Di loro, in ogni caso, si è servito Cristo per guidare la sua Chiesa, soprattutto con il ministero della dottrina della fede e l’efficacia soprannaturale dei sacramenti.
Quello che il Papa fa e dice nell’esercizio del ministero petrino deve interessare tutti i fedeli — indipendentemente dalle diverse appartenenze all’interno della Chiesa, dal diverso feeling o da qualunque altra variabile sul piano umano — sempre e solo per un motivo di fede: perché Cristo stesso lo ha voluto come Pastore della Chiesa universale, ossia perché in modo eminente egli è davvero il “Vicario di Cristo”. Di conseguenza, so di poter dire e di dover dire a tutti i credenti che il Papa — chiunque egli sia in un dato momento della storia — non interessa, od interessa assai poco, come personalità umana o come “privato dottore”, cioè come semplice teologo, ma solo come supremo garante della verità divina affidata alla Chiesa dall’unico Maestro, che è Cristo. In questo senso dicevo prima che si può tranquillamente fare a meno di seguire le tante polemiche ecclesiastiche od ecclesiologiche e fidarsi dei documenti della vera fede, che sono a disposizione di tutti, ma non ovviamente sulle pagine del Foglio o della Repubblica o degli altri giornali.
 

(Fonte: Antonio Livi, L’isola di Patmos, 26 novembre 2014)
http://isoladipatmos.com/antonio-livi-e-giuliano-ferrara-pastori-teologi-ed-atei-devoti/
 

La pentola è pronta manca solo il coperchio

Dice un noto proverbio popolare: il diavolo fa le pentole, ma non i coperchi. I modernisti, i falsi ecumenisti, i filoprotestanti, i criptomassoni e i rahneriani, partiti baldanzosi, furbescamente e clandestinamente alla conquista del potere supremo della Chiesa cinquant’anni fa, servendosi di un’ottima organizzazione culturale — per esempio la rivista Concilium e numerose case editrici compiacenti —, nonché di un’astutissima e diabolica falsificazione delle dottrine del Concilio Vaticano II, con incredibile ostinazione ed audacia e l’impiego di mezzi potentissimi, economici e politici, penetrando progressivamente negli istituti accademici della Chiesa, gabbando progressivamente ambienti sempre più vasti del mondo cattolico, compresi certi vescovi ed oggi addirittura certi cardinali, sono ormai giunti nei pressi della casa di Pietro, convinti, nella cecità della loro superbia, di avere ormai la vittoria in mano, col persuadere il Vicario di Cristo ad abbracciare le loro eresie e le loro bestemmie.
Segno tra i tanti di questo grandioso quanto stolto progetto è il prossimo convegno che si terrà in questo mese a Bose, nel corso del quale la cosiddetta “Scuola di Bologna” diretta da Alberto Melloni e ispirata dal suo profeta Enzo Bianchi, col concorso di centinaia di studiosi di fama internazionale, proporranno solennemente e perentoriamente al Papa una “riforma del papato”, che comporta da parte del Papa la rinuncia all’infallibilità dogmatica, sul modello delle Chiese degli scismatici orientali (1). Ai loro occhi il Papa, dopo la nomina di Bianchi a collaboratore della Santa Sede, e tanti altri segni che per loro sanno di simpatia per il modernismo, ormai è pronto, grazie all’azione dello Spirito Santo ad accogliere le loro idee. Credono che il Papa sia un ingenuo o un complice che essi possono giocarsi come meglio credono. La pentola è pronta. Ma il coperchio? Il coperchio non ci sarà mai ed anzi anche la pentola sarà distrutta.
Non c’è dubbio che il Santo Padre da tempo sta dando prova, accanto a sagge e coraggiose posizioni e scelte di carattere dottrinale — e  come diversamente potrebbe essere nel Successore di Pietro? —, di esprimere giudizi o valutazioni su teologi o di prendere decisioni riguardo l’assunzione o la rimozione di collaboratori, che appaiono in contrasto con la linea dottrinale e riformatrice sulla quale egli intende procedere; fatti, questi, che invece di frenare il modernismo finiscono per favorirlo, permettendo che si diffonda l’opinione ingannevole e calunniosa del Papa “modernista”.
Un esempio eclatante di quanto dico è ciò che è avvenuto e sta avvenendo in questi giorni. C’è stato un sinodo dei vescovi dedicato ai problemi del matrimonio e della famiglia. Il Papa, al termine, ha pronunciato un forte discorso, nel quale ha condannato tanto il lefevrismo quanto il modernismo, sotto il nome di “buonismo distruttivo” [vedere il mio precedente articolo qui e quello di Antonio Livi qui].
Dunque non era difficile rintracciare nella condanna di quest’ultimo non solo una certa tendenza lassista, che si era manifestata tra i vescovi, ma anche le famose proposte del Cardinale Walter Kasper, del quale pure il Papa in precedenza aveva parlato in tono elogiativo come di grande teologo, e che proclamava davanti a tutti che la sua proposta l’aveva elaborata col consenso del Papa. Da qui lo strombazzare fatto dai modernisti secondo i quali Kasper era col Papa, mentre il “conservatore” Burke, insieme con gli altri cardinali del suo gruppo sono “contro” il Papa.
Si conosce bene, sulla bocca dei modernisti, il significato infamante dell’appellativo “conservatore”. Il conservatore, per loro, è uno che resta attaccato a cose superate dal progresso ed inutili: è uno escluso dalla storia, e quindi dalla salvezza, giacchè, hegeliani, immanentisti e modernisti come sono, non ammettono verità sovrastoriche, eterne e ed immutabili, ma per loro la verità è filia temporis, è solo nell’oggi, nel moderno. I concetti mutano. La natura umana, la legge morale mutano. La natura umana in Cristo è confusa con quella divina. Dio stesso diviene.
Il passato è passato. Non c’è niente in esso che debba essere conservato, recuperato, rivalorizzato o restaurato, al massimo può esser ricordato come un fatto precedente della storia; ma in sè è solo spazzatura da gettar via e basta. Sarebbe stoltezza voler farlo rivivere oggi, così come lo il conservare la scatola del latte che abbiamo consumato o i mezzi per arare i campi che usavano i nostri bisnonni. Secondo me manca nei modernisti il concetto di conservare inteso come conservare, custodire o mantenere con fedeltà valori del passato, che essendo immutabili e sempre autentici, valgono anche oggi e varranno sempre.
Per questo l’appellativo che essi danno di “conservatore” al Cardinale Raymond Leonard Burke è chiaramente calunnioso, teso a metterlo in cattiva luce per poter esser loro ad emergere come unici detentori della verità, che è storia come storia dell’oggi, perchè tutto si risolve nell’oggi: l'”Assoluto — come recita un libro di Kasper dedicato a Schelling — è “nella storia ” (2). Non esiste fuori, prima e al di sopra della storia, ma solo nella storia, per la storia e identico alla storia. Senza la storia l’Assoluto non è l’Assoluto.
In realtà Burke appartiene ai migliori cardinali, tra i più fedeli al Magistero pontificio e della Chiesa, esimio giurista, profondo conoscitore del diritto canonico, uomo pio, prudente e dottissimo così in campo morale come in campo giuridico, coraggioso difensore dei valori della giustizia, profondamente amante della Chiesa e delle anime.
Il suo equilibrato tradizionalismo, che nulla ha a che vedere col lefebvrismo, non è altro che la gelosa custodia dei valori perenni, in piena conformità con la riforma del Concilio Vaticano II e con la santa libertà che esso promuove, come per esempio la celebrazione della Messa Tridentina, in consonanza col ben noto Motu proprio di Papa Benedetto XVI Summorum Pontificum.
In occasione del recente sinodo il Cardinale Burke, come è noto, insieme con altri Porporati, compreso il Cardinale Ludwig Müller, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, e tutti i cattolici ai quali stanno a cuore la dignità cristiana del matrimonio e della famiglia, ha fatto sentire alta e chiara la sua voce contro le note proposte di mutamento dell’attuale disciplina ecclesiastica nella delicata materia, proposte apparentemente più attente ai casi pietosi, ma in realtà inficiate da un retroterra morale lassista, privo del fattore ascetico e fondato sulla falsa convinzione di origine rahneriana che tutti hanno la fede (“esperienza atematica preconcettuale”), tutti sono benintenzionati (“opzione fondamentale”) e ben orientati a Dio (“autotrascendenza”), tutti sono in grazia (“esistenziale soprannaturale”) e tutti si salvano (“cristianesimo anonimo”). Ciò esclude nell’educatore e nel pastore il compito della correzione dell’errante o del peccatore (far passare dal peccato alla grazia), per cui la sua unica funzione si ridurrebbe a potenziare nel soggetto tutto e solo ciò che ha già di positivo (farlo passare o progredire dal bene al meglio).
Si comprendono allora le conseguenze sconcertanti e dirompenti di questo metodo nell’ambito della prassi e della legislazione canonistica e giudiziaria: se non esistono delitti, non esistono neanche le pene. Sorge una generale tendenza alla depenalizzazione e alla soppressione delle sanzioni canoniche, che, sotto pretesto della misericordia e del rispetto per la persona, finisce per favorire le ingiustizie, e per far crollare l’intero sistema dell’ordinamento giuridico e il senso stesso del diritto canonico, come già avvenne nei tempi entusiastici e spontaneistici, ampiamente utopistici, della riforma luterana e come rinacque nel clima della rivoluzione del ’68, col famoso slogan “vietato vietare”. Non si presuppone in questa impostazione formativo-pastorale una verità certa, unica, oggettiva e immutabile, ma solo un pluralismo di culture e tutto si risolve nel primato e nell’assolutezza della coscienza soggettiva, secondo i placet di Lutero, Cartesio ed Hegel. E’ ciò che il Papa ha condannato come “buonismo distruttivo” e falsa misericordia.
Ciò che preoccupa maggiormente in queste idee non sono tanto le suddette proposte, tutto sommato appartenenti a quel campo della disciplina canonica, dove la Chiesa può anche mutare, ma è il sottofondo storicistico, antimetafisico e relativista, che si intravede e che almeno nel Cardinale Kasper non è difficile rintracciare anche nella sua lunga attività a capo dell’ecumenismo e nelle sue opere di cristologia (3).
Sono certo che il Cardinale Burke accetterà serenamente ed umilmente la decisione papale, non preceduta, a quanto è dato sapere, da alcuna inchiesta, come parrebbe esser stato opportuno per un provvedimento così grave. Devo dire peraltro francamente che non riesco ad armonizzare questa decisione del Papa col suo magistero dottrinale e la sua conclamata volontà di riforma. Burke a mio avviso era da premiare e non da declassare in modo così vistoso ed umiliante, anche se ciò va detto con tutto il rispetto e l’ammirazione per il benemerito e venerabile Ordine di Malta.
Con ogni rispetto per le decisioni sovrane e inappellabili del Papa, mi sia però consentito di dire sommessamente che egli avrebbe potuto avere ben altri modi di allontanare un alto prelato a lui non gradito senza che occorra abbassarlo in tal modo. Pensiamo per esempio a Pio XII, il quale, non essendo soddisfatto di Monsignor Giovanni Battista Montini come sostituto alla Segreteria di Stato, lo nominò arcivescovo di Milano, la diocesi più grande del mondo. Ricordiamoci infatti del famoso, tradizionale e saggio principio promoveatur ut amoveatur, che, salvo casi gravissimi che hanno richiesto sanzioni canoniche, ha risolto tante situazioni scabrose nel governo della Chiesa nel rispetto della giustizia, ma senza offendere la carità e la dignità del suddito.
Ci sono tante maniere di fare un richiamo a un sottoposto senza bisogno di ricorrere a misure del genere. Indubbiamente l’incarico ricevuto dal Cardinale Burke può addirsi al suo livello, ma solo come aggiunta secondaria a impegni più importanti, ma non che il nuovo incarico debba sostituire sic et simpliciter il precedente. Cose del genere non capitano mai. L’umiliare il suddito può essere segno di forza nel superiore, ma lo rende antipatico agli occhi della giustizia e della comunità. Soddisfa solo gli invidiosi e gli avversari.
I modernisti, che adesso canteranno vittoria, dal canto loro hanno imbastito da tempo un’indegna campagna denigratoria nei confronti del Cardinale Burke, mentre hanno innalzato alle stelle la figura del Cardinale Kasper, neanche fosse il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede e il più alto luminare dell’ortodossia cattolica. Sono certo che il Papa non si lascia abbindolare da queste mosse vergognose e disoneste; tuttavia, in questa penosa vicenda del Cardinale Burke si ha l’impressione che il Papa, o per ingenuità o sotto il peso di una fortissima e ben orchestrata pressione psicologica, ciò che in diritto si chiama “stato di necessità”, non abbia agito con piena libertà e consapevolezza della sua altissima responsabilità. Indubbiamente i kasperiani e in generale i modernisti devono aver digerito malissimo il discorso del Papa al sinodo, dove lì ha dato chiara, libera e fiera prova di essere Pietro, e probabilmente si sono subito furiosamente scagliati contro il povero Burke, certamente responsabile ai loro occhi dell’abbominevole rigurgito reazionario e conservatore, al quale il Papa avrebbe momentaneamente ceduto col suo disgraziato discorso.
Dobbiamo pertanto considerare che affinché l’azione di un Pontefice sia efficace, come insegna la storia dei santi Pontefici, soprattutto riformatori, bisogna che le scelte relative ai suoi collaboratori siano sagge e coerenti col suo magistero dottrinale.  Se invece esse vi contrastano, non c’è da stupirsi se esse rimangono lettera morta e sorge il sospetto in molti che il Papa stesso non creda veramente a quello che dice. È inutile avere buone idee se poi non se ne affida l’esecuzione a collaboratori fedeli e capaci. E’ inutile proporre ottime dottrine, se poi non si puniscono coloro che spavaldamente le negano. Diversamente, certo il Papa conserverà il carisma della infallibilità dottrinale, ma intanto ciò non impedirà a soggetti disinvolti come Melloni e Bianchi di proporre sfacciatamente al Papa la rinuncia alla sua infallibilità.
Con la sua mossa infelice contro questo suo Cardinale, il Papa forse non si rende conto che in Burke non ha colpito tanto lui e solo lui, ma piuttosto in lui quella parte migliore del collegio cardinalizio, che è la più fedele alla sana dottrina, alla difesa della morale e al Successore di Pietro. Per questo sono certo che in questo gruppo di eletti Porporati non potrà non esserci del malcontento o forse dello sdegno per l’accaduto e non resteranno senza far nulla. “È questa — probabilmente si chiederanno gli Eminentissimi — la gratitudine del Papa per il nostro servizio?”. Ormai le ostilità sono aperte e bisogna lottare per il Vangelo e per il primato di Pietro. Bando ai criptoprotestanti e a tutti gli impostori.
Per molto tempo gli elementi migliori del collegio cardinalizio hanno lasciato parlare i loro confratelli smaniosi di protagonismo ed aspiranti al papato, s’intende un papato “moderno”. Ora sembrano dire: «Adesso griderò e sbufferò come una partoriente» ([Is 42,14]. Consapevoli della loro gravissima responsabilità di stretti collaboratori del Successore di Pietro, hanno cominciato a parlare e nessuno li fermerà. E sono convinto che il Papa capirà ed apprezzerà, se non vuole, come si suol dire, “darsi la zappa sui piedi”. I suoi veri amici non sono i kasperiani, ma il gruppo di Burke, capeggiato dal Cardinale Müller, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Il Papa torna spesso a parlare della lotta apocalittica di Satana contro la Chiesa e della protezione efficacissima che viene dalla Madonna. Si vede che egli ha il chiaro sentore di ciò che sta accadendo. Se poi Pietro è la roccia sulla quale Cristo ha edificato La sua Chiesa, è evidente che tolta questa roccia, la Chiesa crollerebbe.
Per questo, tutti gli eretici e i distruttori della Chiesa possono farsi paladini dei più alti valori, ma tutti sono d’accordo nel voler abbattere il papato. Ma ecco che quando sembra che siano giunti a realizzare il loro piano, Dio li abbatte rovinosamente. Perché il fair play di Dio assomiglia a quello di un gran signore, che lascia per un certo tempo che ladri e truffatori gli sottraggono brano a brano parte del suo patrimonio, senza intervenire o facendo finta di non vedere, quasi ad invitarli silenziosamente a ravvedersi e a restituire il mal tolto; ma se questi persistono nello loro disonestà, ecco che improvvisamente si presenta loro ad imporre di pagare tutto il conto fino all’ultimo spicciolo.
Quando il papato è in pericolo, la Chiesa è nel massimo pericolo. Ma ecco che quando tutto sembra perduto, questo è il momento della salvezza e del riscatto.

NOTE
(1) In che consiste l’infallibilità pontificia? Il Papa, come maestro della fede e successore di Pietro, e come pastore universale della Chiesa, salvo il caso in cui egli esprima un’opinione teologica privata o non sia compos sui per alterazione o sofferenza psico-emotiva, quando, in qualunque occasione pubblica o privata e con qualunque mezzo di comunicazione, di sua iniziativa (motu proprio) o sollecitato o interpellato da altri, sia da sé (ex sese), sia come presidente del Concilio ecumenico o capo del collegio episcopale sparso nel mondo, solennemente o semplicemente, in magistero ordinario o straordinario, insegna o interpreta, definendo o non definendo, ciò che attiene direttamente o indirettamente al dogma o ai dati della divina rivelazione o ai misteri della fede, non può dire nè il falso né il falsificabile, perché è assistito da quello Spirito di verità che Cristo ha promesso alla sua Chiesa e al suo Vicario in terra al fine di comunicare con certezza il messaggio della salvezza integro ed autentico a tutto il mondo fino alla fine dei secoli. Resta solo eventualmente un problema di interpretazione di certe sue affermazioni, che la richiedono, relativamente al suo modo di esprimersi, che può essere insolito o meno appropriato, interpretazione che comunque dev’essere benevola e che può dare successivamente, se crede, lo stesso Pontefice. Avanzare qui sospetti circa l’ortodossia dei contenuti, sarebbe una grave ed inammissibile irriverenza nei confronti del Pontefice e metterebbe in serio pericolo l’anima di chi osa formare un tale sospetto e di chi lo prende per buono.
(2) Jaca Book, Milano 1986.
(3) Cf Gesù il Cristo, Queriniana, Brescia 1986; il mio libro Il mistero della Redenzione, ESD, Bologna 2004, pp.318-329.

 
(Fonte: Giovanni Cavalcoli OP, L’isola di Patmos, 12 novembre 2014)
http://isoladipatmos.com/il-caso-del-cardinale-burke-il-diavolo-fa-le-pentole-ma-non-i-coperchi/

 

Se tocca a un africano riportare ordine nella liturgia

Lunedì 24 novembre il papa ha nominato il nuovo Prefetto della Congregazione per il Culto Divino. Si tratta del cardinale Robert Sarah, originario della Guinea Conakry, fino ad oggi presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum e prima ancora segretario della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli (Propaganda Fide). Il cardinale Sarah è stato anche protagonista al recente Sinodo straordinario sulla famiglia, prendendo posizione contro le proposte del cardinale Kasper in fatto di ammissione all'Eucarestia dei divorziati risposati. Sostituisce il cardinale Antonio Canizares. Per capire il compito e le sfide che attendono il cardinale Sarah abbiamo chiesto il giudizio di un noto liturgista come don Nicola Bux.
 
L'uomo che prega è l'uomo per eccellenza: è l'atto supremo di autocoscienza della fede. Il culto è l'atto più grande che egli possa compiere, perché lo ricollega all'origine, a Colui che è il creatore e il salvatore dell'uomo.
Ma il culto cattolico, soffre attualmente dello squilibrio tra la forma comunitaria, cresciuta a dismisura dopo il Concilio, e la forma personale, annichilita di fatto proprio dal soverchio comunitarismo, che uccide la partecipazione devota. Questo è uno dei problemi, che  il cardinal Robert Sarah, nuovo prefetto della Congregazione per il Culto Divino, dovrebbe affrontare. La forma comunitaria, infatti, esprime la comunione, che non è una fusione: l’altro rimane un altro, non viene assorbito né diminuito, analogamente al mistero della Trinità: un solo Dio, una sola natura divina, ma allo stesso tempo tre persone.
Soprattutto, poi, il culto serve a far incontrare Dio all'uomo: è la sua mission, serve a introdurre l'uomo alla Presenza divina: questo, oggi, nel tempo della scristianizzazione, non è più evidente. Presenza evoca qualcosa a cui avvicinarsi, quasi toccare, ma che mi supera, perché sono peccatore. Allora, scatta la reazione di Pietro: «Allontanati da me, perché sono un peccatore». Presenza evoca il “sacro”: la liturgia è sacra, a motivo della Presenza divina. E questo “sacro” sembra crollato, travolgendo nella crisi anche la Chiesa, come ha scritto Benedetto XVI.
Così, molti cattolici, in specie i giovani, evadono pian piano dalle 'liturgie-intrattenimento' – litur-tainment, le chiamano in America, dove il sacerdote imita il conduttore televisivo, – e ricercano il mistero nel maestoso rito bizantino o nel sobrio rito romano antico. Molti vescovi cominciano ad accorgersi del fenomeno. È un nuovo movimento liturgico, nell'attuale passaggio di generazione. Beato chi se ne sarà accorto in tempo! Di tutto questo, la Congregazione per il Culto Divino deve tener conto. 
Questa Congregazione, però, è anche preposta alla “disciplina dei sacramenti”. E qui suoneremo un tasto dolente: ovvero l'indisciplina diffusa, la mancanza di fedeltà al rito, che può anche toccare la validità stessa dei sacramenti (cfr. Giovanni Paolo II,Vicesimus Quintus Annus, 1988), inficiando nella liturgia i diritti di Dio, nonché dei fedeli. Nella liturgia, la fede e la dottrina, infatti, sono mediate dal rito: per preces et ritus, dice la Costituzione liturgica (n.48); la fedeltà ai riti e ai testi autentici della liturgia è una esigenza della lex orandi che deve essere conforme alla lex credendi. Il rito, infine, scandisce il tempo della musica e struttura lo spazio dell'arte, rendendole capaci di comunicare all'uomo il 'sacro', perciò queste possiedono una dimensione apostolica, missionaria e apologetica. Il cardinal Sarah, che è stato segretario a Propaganda Fide, lo sa bene.  
 

(Fonte: Nicola Bux, La nuova bussola quotidiana, 26 novembre 2014)
http://www.lanuovabq.it/it/articoli-se-toccaa-un-africano-riportare-ordine-nella-liturgia-11042.htm

 

Attivista Lgbt, vicino al Presidente Obama, in carcere per pedofilia

Un altro leader dell’attivismo gay e pro-choice è stato arrestato per pedofilia. E’ l’ennesimo caso verificatosi, è l’ennesimo caso vergognosamente passato sotto silenzio dalla grande stampa internazionale (quella italiana compresa).
Ancora non si sono sopite le reazioni per la condanna a 5 anni di galera ed a 60 mila euro di multa inflitta a Stefan Johansson, il 44enne ex-presidente della Federazione svedese per l’eguaglianza sessuale di Halland, una Ong Lgbt, che già è scoppiato un nuovo scandalo. Questa volta nei guai nella galassia omosessista è caduto Terrence Bean, di 66 anni: è accusato d’aver violentato un 15enne.
A far scattare le manette ai polsi dell’uomo ha provveduto l’Unità Crimini Sessuali del Dipartimento di Polizia di Portland, che lo ha raggiunto nella sua abitazione dopo il provvedimento emesso nei suoi confronti dal giudice della Contea di Lane per «presunto abuso ai danni di un adolescente, consumato nel 2013». E’ quanto ha annunciato la televisione locale KOIN6.
Il primo a dar notizia del drammatico episodio è stato, però, il periodico on line Willamette Week, che ha specificato come le indagini fossero in corso da circa sei mesi e fossero state condotte, servendosi anche di sistemi di rilevazione ambientale, tra cui una telecamera nascosta nella sua camera da letto. Questo ha consentito agli agenti di tener monitorate le attività del sospettato ed, al contempo, anche di registrare quelle che sarebbero poi divenute le prove a suo carico.
Secondo l’avvocato di Bean, Kristen Winemiller, l’uomo avrebbe collaborato con gli inquirenti e si sarebbe detto «vittima di un’estorsione». Ciò che tuttavia non nega le imputazioni, semmai ne azzarda soltanto una differente spiegazione, tutta da verificare e spunto per nuove indagini.
Il Viceprocuratore capo distrettuale, Patricia Perlow, non ha rilasciato ulteriori informazioni in merito, sebbene fonti vicine agli inquirenti confermerebbero come le accuse possano condurre, in realtà, a più vittime. Bean è considerato un “pioniere” del mondo Lgbt, nonché co-fondatore della Human Rights Campaign, promotrice accanita dell’aborto, ed uno dei principali punti di riferimento per il Partito Democratico. Ha sostenuto, fattivamente ed anche economicamente, la campagna del Presidente Obama ed ha spesso accolto in casa propria personaggi del calibro di Bill Clinton e Al Gore. Per le sue “battaglie” omosessiste e politiche si è prodigato in un’incessante raccolta fondi ed ha esercitato forti pressioni sul Congresso, affinché eliminasse qualsiasi finanziamento federale alle realtà, che educassero i giovani all’astinenza sessuale.
Bean si è recato più volte alla Casa Bianca, ha posato col Presidente in carica e con la first lady, Michelle Obama, nonché con numerosi altri leader democratici. Attualmente Bean, uscito dal carcere solo versando una cauzione di 5 mila dollari, è in attesa di processo.
 

(Fonte: No cristianofobia, 22 novembre 2014)
http://www.nocristianofobia.org/attivista-lgbt-vicino-al-presidente-obama-in-carcere-per-pedofilia/

“Figli di un’etica minore”: presentazione di Mons. Negri

Oggi viviamo in un «silenzio carico di irresponsabilità. Abbiamo estromesso Dio dalla vita, dalla persona, dalla storia e il risultato è il degrado antropologico (…). Un’antropologia sbagliata, una concezione dell’uomo come padrone del mondo». È quanto ha dichiarato mons. Luigi Negri, arcivescovo di Ferrara, nel suo intervento presso l’associazione Famiglia Domani nel corso dell’incontro svoltosi il 19 novembre 2014.
Queste sconfitte però non vanno viste come un cammino irreversibile: «Non possiamo accettare la sconfitta. Siamo una minoranza con una precisa coscienza della realtà». È necessario «recuperare a fondo la propria identità», per provare a «utilizzare positivamente questo disastro; disastro dovuto a un’emergenza educativa, un problema non dei giovani, ma degli adulti (…). Il paragone con altri tempi non deve dar luogo a una fuga dal presente». Dobbiamo raccogliere la sfida che dal mondo viene alla Santa Chiesa, la quale però «deve rimettersi a fare la Chiesa».
Abbiamo la responsabilità di proporre continuamente, con le parole e l’esempio concreto, il modello di vita cristiano, perché la Chiesa siamo tutti noi e la sua vera forza è rappresentata dall’impegno di ogni singolo, laico o religioso che sia: «la fede si comunica da cuore a cuore. (…) Questo desiderio di fede deve rifiorire».
Nel corso dell’incontro, a cui hanno partecipato la pedagogista Maria Paola Tripoli e Giacomo Rocchi presidente del Comitato Verità & Vita, è stato presentato il libro Figli di un’etica minore, un’indagine a cura di Mario Palmaro e Tommaso Scandroglio (Editori Riuniti University Press 2014, per richiedere il libro contattare il Comitato Verità e Vita: info@veritaevita.it) alla presenza di Anna Maria Palmaro, vedova dello studioso scomparso nel marzo di quest’anno.
Giacomo Rocchi ha aperto la discussione evidenziando come l’attuale grave situazione sia il risultato dell’atteggiamento tiepido di molti sedicenti cattolici e membri del clero, che nel corso dei decenni hanno più o meno apertamente portato acqua al mulino della cultura della morte, concedendo aperture e compromessi. La fecondazione artificiale, l’aborto, l’eutanasia… si parla sempre più di questi “diritti”. Ma la buona battaglia va ugualmente combattuta, senza scoraggiarsi, affinché la Verità sia sempre espressa in maniera integrale e decisa: come amava dire Mario Palmaro, la “Bella Addormentata” (l’amata Chiesa), alla fine, non si risveglierà bruscamente con uno schiaffo, ma dolcemente, con un bacio.
Ha preso poi la parola la dott.ssa Tripoli, ispettrice scolastica del MIUR, secondo la quale da decenni ormai tutto il sistema educativo prescinde da ogni valutazione etica. L’inchiesta su cosa pensano i ragazzi riguardo alle tematiche fondamentali mostra un quadro in cui la confusione regna sovrana. I nostri giovani non si mostrano però acriticamente disinteressati; dimostrano invece una preoccupante mancanza di nozioni fondamentali per esprimere un parere a tal proposito. Secondo loro ciò che è lecito è anche morale: è impensabile che una legge possa promuovere qualcosa di erroneo. Questi ragazzi sono soli: «Perché i miei genitori si accorgano che esisto» è stata la risposta di un giovane che ha tentato il suicidio alla domanda sul perché di quel gesto disperato.
C’è una «paura di educare» da parte dei genitori moderni, ha continuato la prof.ssa Tripoli, i quali credono che insegnare ai figli i valori ereditati dai propri genitori significhi far loro violenza, applicare una coercizione, un segno di integralismo. «I nostri ragazzi sono smarriti, non sanno perché vivono. Ma il Bello e il Buono hanno ancora il potere di affascinare».
Durante la conferenza ci sono stati numerosi contributi alla memoria di Mario Palmaro, l’amico di tante battaglie o semplicemente il padre di famiglia, come ha testimoniato a conclusione dell’incontro la moglie Annamaria: «Non bisogna avere paura della Verità, anche se la Verità mette contro tutti, con le spalle al muro».
 

(Alessandro Bassetta, Corrispondenza Romana, 26 novembre 2014)
http://www.corrispondenzaromana.it/famiglia-domani-mons-negri-presenta-figli-di-unetica-minore/

 

giovedì 20 novembre 2014

Il papa non lo sa, ma a Bose preparano la sua fine

Il servizio pubblicato lo scorso 3 novembre in www.chiesa ha suscitato la prevedibile irritazione dei due personaggi interessati:
> L’ecumenismo riscritto da Enzo Bianchi e Alberto Melloni
Ma ha anche dato spunto a ulteriori critiche al progetto ecumenico coltivato da entrambi e in particolare dal priore di Bose, fresco di nomina a consultore del pontificio consiglio per l’unità dei cristiani.
L’autore della seguente nota è sacerdote della diocesi di Bari, docente di liturgia e consultore della congregazione per il culto divino e della congregazione per le cause dei santi.

L’ECUMENISMO NON CATTOLICO DI ENZO BIANCHI di Nicola Bux
La “decostruzione del papato nella sua forma attuale” – come ha fatto notare Sandro Magister – è cara al priore di Bose, secondo cui non c’è più da sperare nell’unità tra le grandi Chiese tradizionali, in quanto la loro divisione su chi abbia il primato sarebbe proprio ciò che impedisce l’unità dei cristiani oggi:
“Nell’Evangelo c’è scritto che i discepoli incominciarono a litigare per sapere chi fosse il primo. Mi sembra che questo litigio sia continuato nella storia della Chiesa e costituisca ancora uno dei nodi centrali della questione dell’unità. Si ignora che ogni tradizione è limitata e parziale e che solo tutti insieme è possibile giungere alla piena verità” (E. Bianchi, “Ricominciare”, Marietti, Genova, 1999, p 73-74).
In realtà, Gesù risolse la discussione pre-pasquale tra i discepoli stabilendo egli stesso il primato di Simone-Cefa.
Inoltre, chi è veramente cattolico sa che non esistono “Chiese tradizionali” ma l’unica Chiesa che quei cristiani autonomamente costituitisi in Chiese e comunità tra il primo e secondo millennio devono giungere a riconoscere presente nella tradizione apostolica condivisa con Roma e da lei suggellata.
Bianchi, quindi, dissimula un’idea relativista dell’unità della Chiesa; né nasconde di condividere la visione di Jean-Marie Tillard, secondo cui la Chiesa è fatta solo dall’insieme di “Chiese sorelle”. Per evidenziare l’erroneità di tale concetto, la congregazione per la dottrina della fede ha emesso il 30 giugno 2000 una nota:

Inoltre, Bianchi invoca il fatto che il papa non debba decidere nulla da solo, ma poi vorrebbe attribuire a lui il potere “di ridare unità alla Chiesa” (”Ricominciare”, pp. 72-73).
Invece, il teologo ecumenico Max Thurian ha descritto così le conseguenze ecumeniche del Credo comune alle confessioni cristiane:
“L’unità visibile dei cristiani non potrà esser compiuta che nel riconoscimento delle celebrazioni eucaristiche e dei ministeri che strutturano la Chiesa, nella successione apostolica e in comunione col vescovo di Roma. […] Per la Chiesa cattolica, la pienezza dell’apostolicità si trova nella successione dei vescovi dopo gli apostoli e nella loro comunione grazie al ministero di Pietro proseguito dal vescovo di Roma”(”Avvenire”, 29 giugno 1997).
Per Bianchi, al contrario, il riconoscimento del primato papale è il reale impedimento all’unità della Chiesa.
Non so se papa Francesco conosceva tutto questo, quando lo scorso 22 luglio  ha nominato il priore di Bose consultore del dicastero ecumenico della Santa Sede.
Le idee di Enzo Bianchi esprimono quell’“ermeneutica della discontinuità e della rottura” che costituisce il filo rosso dell’edizione bolognese, in più volumi, dei “Conciliorum oecumenicorum generaliumque decreta”, sulla quale a detta delle autorità vaticane “permangono le riserve di carattere dottrinale”.
A questo, l’arcivescovo Agostino Marchetto ha puntualmente e in modo documentato fatto il contrappunto. E il papa lo ha definito “il miglior interprete del concilio Vaticano II”.
Dunque, non dovrebbero esservi dubbi su chi non la conta giusta.

 
(Fonte: Sandro Magister, Settimo cielo,20 novembre 2014)
http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/
 

La massoneria all’attacco della famiglia

Nel corso di queste ultime settimane, stiamo purtroppo assistendo ad un’aggressione senza precedenti alla famiglia, a pochi giorni dalla conclusione del Sinodo sulla famiglia, nel corso del quale si è discusso con toni anche molto accesi tra gli stessi vescovi di questioni molto importanti come le unioni di fatto, anche quelle omosessuali, e la separazione e l’ammissione al sacramento della comunione da parte dei divorziati risposati.
Ma da cosa è attaccata la famiglia? Innanzitutto, si è diffusa nel mondo, in questi ultimi decenni, una concezione relativistica, gnostica, soggettivistica ed edonistica dell’esistenza di chiaro stampo massonico, nella quale si è posto l’uomo al primo posto, togliendo questo ruolo preminente di guida a Dio. Tutto ciò ha prodotto la cosiddetta rivoluzione sessuale, sin dagli anni ’60, i cui effetti si possono riscontrare tristemente ancora oggi, soprattutto nelle mode e nei costumi.
In questi ultimi decenni,è mutato molto anche il ruolo della donna nella famiglia, a causa del cosiddetto movimento femminista di chiara matrice massonica che, propugnando una falsa idea di libertà, ha invece favorito la ribellione della donna al progetto di salvezza di Dio.
Nel capitolo quinto della lettera di San Paolo Apostolo agli Efesini, l’Apostolo afferma risolutamente.
«Fratelli, camminate nella carità, nel modo che anche Cristo vi ha amato e ha dato se stesso per noi. 
Siate sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo. Le mogli siano sottomesse ai mariti come al Signore; il marito infatti è capo della moglie, come anche Cristo è capo della Chiesa, lui che è il salvatore del suo corpo. E come la Chiesa sta sottomessa a Cristo, così anche le mogli siano soggette ai loro mariti in tutto. 
E voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei,  per renderla santa, purificandola per mezzo del lavacro dell’acqua accompagnato dalla parola,  al fine di farsi comparire davanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata. Così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo, perché chi ama la propria moglie ama se stesso. Nessuno mai infatti ha preso in odio la propria carne; al contrario la nutre e la cura, come fa Cristo con la Chiesa,  poiché siamo membra del suo corpo. Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna e i due formeranno una carne sola. Questo mistero è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa! Quindi anche voi, ciascuno da parte sua, ami la propria moglie come se stesso, e la donna sia rispettosa verso il marito».
Queste splendide parole sono state quindi sovvertite da una falsa concezione di libertà, intesa come libertinaggio ed esasperato individualismo, che invece mira a rendere la donna libera in modo indecoroso per la sua dignità, libera di abortire, di non aver figli o di non averne molti, libera di fare la propria carriera, trascurando inevitabilmente il proprio marito e la propria famiglia. Insomma libera di fare ciò che vuole. Questi profondi cambiamenti hanno indebolito notevolmente il consorzio familiare, esponendolo a questi forti attacchi ai quali stiamo assistendo, con l’aumento dei divorzi, degli aborti, dei metodi contraccettivi, dell’eutanasia e delle unioni di fatto, anche omosessuali.
Nel 1968, la rivista massonica L’Humanisme pubblicò il famoso piano per distruggere la Chiesa Cattolica. In un paragrafo, si citava espressamente questa eloquente affermazione.
«La prima conquista da fare è la conquista della donna, che deve essere liberata dalle catene della Chiesa e della legge. Per abbattere il Cattolicesimo, bisogna cominciare col sopprimere la dignità della donna; la dobbiamo corrompere assieme alla Chiesa. Diffondiamo la pratica del nudo: prima le braccia, poi le gambe, poi tutto il resto. Alla fine la gente andrà in giro nuda o quasi, senza più battere ciglio. E, tolto il pudore, si spegnerà il senso del sacro, s’indebolirà la morale e morirà per asfissia la fede».
Questo diabolico piano, che si sta purtroppo realizzando nella nostra società, trova una significativa conferma in un’importante intervista rilasciata alcuni anni fa dal produttore cinematografico Aaaron Russo, amico stretto di Nicholas Rockefeller, membro della potentissima dinastia bancaria e finanziaria dei Rockeffeler che fanno parte degli Illuminati, al giornalista Alex Jones.
Russo rispose che erano stati i Rockfeller, con il fattivo contributo di altre logge massoniche, a finanziare e promuovere il movimento femminista per una serie di motivi. Per prima cosa, se la donna lavorava fuori, si poteva tassare anche il suo lavoro, cosa che non si poteva fare se continuava a lavorare  in casa; inoltre, in questo modo si potevano togliere i bambini fin dall’infanzia dal controllo della famiglia e metterli sotto il controllo dello Stato, come si può riscontrare in alcune scandalose iniziative assunte in alcuni Paesi europei, come la Francia, in materia di educazione sessuale, con l’allestimento di vere e proprie mostre pornografiche aperte ai bambini di età compresa tra i 9 e i 12 anni.
Inoltre,la diffusione dell’aborto sistematico, collegato all’uso della contraccezione, alla sterilizzazione di massa e ad una capillare cultura della morte, hanno determinato un crollo spaventoso delle nascite in tutti i Paesi, compresa naturalmente l’Italia.
Proprio in questi ultimi giorni, in Kenya è stata evitata la sterilizzazione di due milioni di donne, attraverso un vaccino antitetano, imposto dall’Oms e dall’Unicef che, alla quinta dose, avrebbe invece provocato questo drammatico effetto. Tutto ciò è stato impedito dai coraggiosi medici cattolici del Kenya, il cui presidente Stephen Karanja, ha cosi analizzato questa terribile vicenda:
«Il governo keniota è stato costretto a sospendere il programma di vaccinazione anti tetano dell’Oms e dell’Unicef, scoprendo che, in realtà, alla quinta dose avrebbe provocato la sterilizzazione di 2 milioni e trecentomila donne dai 14 ai 49 anni d’età. Il beta Hcg è un ormone necessario alla gravidanza, che si sviluppa quando la donna rimane incinta. Iniettato nelle donne che non sono gravide, combinato al tossoide tetanico, produce anticorpi sia contro il tetano sia contro l’ormone Hcg rendendole per sempre sterili. Per rendere le donne sterili, sarebbero state necessarie tutte e cinque le dosi. Fortunatamente sono tutte salve. Non oso pensare cosa sarebbe accaduto altrimenti».
Dopo il recente Sinodo sulla famiglia, tra i tanti pareri illustri che si sono succeduti sulle varie testate nazionali, occorre menzionare quello di mons. Guido Genero, Vicario Generale dell’Arcidiocesi di Udine, la quale ha assunto una posizione forte e coraggiosa sull’accesso alla comunione da parte dei divorziati risposati.
«Ogni sacramento presuppone la freschezza del battesimo e della cresima che si acquista con la santa confessione. Anche quello dell’eucarestia. Ciò che troppo spesso si dimentica. E non soltanto da parte di chi compie adulterio, ma anche di chi bestemmia. Il sabato sera, in bar, si oltraggia Dio, la domenica, alla Messa, ci si accosta all’altare. Si compie un doppio peccato. Quindi un separato o un divorziato per comunicarsi ha bisogno, come qualsiasi altro peccatore, di confessarsi e se lo fa vuol dire che è disposto a cambiare vita. Questo che cosa significa? Che deve rinunciare alla convivenza che, molto probabilmente, ha in atto. Lo fa? Bene. Ritorna, da pentito, al primo vincolo, il matrimonio sacramentale (se lo ha celebrato). O ad una situazione di non vincolo. Si pretende invece  la comunione, e magari l’eventuale assoluzione nell’eventuale confessione, continuando nella situazione di peccato. Nel corso del Sinodo, si è fatto anche riferimento alla creatività. Sinceramente non capisco che cosa si intenda affermare nello specifico. Nella testimonianza del Vangelo non è possibile essere molto creativi. Gesù, ad esempio, condanna per ben cinque volte l’adulterio. Quindi da un punto di vista sacramentale non sono possibili le mediazioni. Sul piano pastorale, invece, è doverosa la vicinanza con le donne e gli uomini che si trovano in condizioni di sofferenza».
Cosa fare quindi concretamente per combattere queste eresie dilaganti e questa mentalità mondana assai diffusa, ripetutamente condannata dallo stesso Papa Francesco?
Innanzitutto, occorre riaffermare con risolutezza e coraggio la bellezza del matrimonio secondo il Santo Vangelo e il Catechismo della Chiesa Cattolica, che  recita testualmente negli articoli 2363, 2364 e 2365.
«Mediante l’unione degli sposi si realizza il duplice fine del matrimonio: il bene degli stessi sposi e la trasmissione della vita. Non si possono disgiungere questi due significati o valori del matrimonio, senza alterare la vita spirituale della coppia e compromettere i beni del matrimonio e l’avvenire della famiglia. L’amore coniugale dell’uomo e della donna è così posto sotto la duplice esigenza della fedeltà e della fecondità. La coppia coniugale forma una intima comunità di vita e di amore [che], fondata dal Creatore e strutturata con leggi proprie, è stabilita dal patto coniugale, vale a dire dall’irrevocabile consenso personale». 
Gli sposi si donano definitivamente e totalmente l’uno all’altro. Non sono più due, ma ormai formano una carne sola. L’alleanza stipulata liberamente dai coniugi impone loro l’obbligo di conservarne l’unità e l’indissolubilità. «L’uomo [...] non separi ciò che Dio ha congiunto» (Mc 10,9). La fedeltà esprime la costanza nel mantenere la parola data. Dio è fedele. Il sacramento del Matrimonio fa entrare l’uomo e la donna nella fedeltà di Cristo alla sua Chiesa. Mediante la castità coniugale, essi rendono testimonianza a questo mistero di fronte al mondo.
San Giovanni Crisostomo suggerisce ai giovani sposi di fare questo discorso alla loro sposa: «Ti ho presa tra le mie braccia, ti amo, ti preferisco alla mia stessa vita. Infatti l’esistenza presente è un soffio, e il mio desiderio più vivo è di trascorrerla con te in modo tale da avere la certezza che non saremo separati in quella futura. [...] Metto l’amore per te al di sopra di tutto e nulla sarebbe per me più penoso che il non essere sempre in sintonia con te». 
Inoltre,è necessario anche lavorare, attraverso un’attenta iniziativa pastorale, sui fidanzati, facendo riscoprire nei loro cuori la bellezza della virtù della castità e favorendo una maggiore assunzione di responsabilità in vista del matrimonio. Solo così si eviteranno divorzi e separazioni, che costituiscono una piaga sociale di notevole portata, favorita anche da discutibili e opinabili normative statuali, asservite al volere di potenti lobby di stampo massonico.
Desidero concludere questa mia dissertazione con questa splendida preghiera pronunciata da San Giovanni Paolo II, il Santo Padre della Divina Misericordia e difensore strenuo ed eroico della famiglia,
«Dio, dal quale proviene ogni paternità in cielo e in terra, Padre, che sei amore e vita,fa che ogni famiglia umana sulla terra diventi, mediante il tuo Figlio, Gesù Cristo, “nato da donna”,e mediante lo Spirito Santo, sorgente di divina carità,un vero santuario della vita e dell’amore per le generazioni che sempre si rinnovano. Fa che la tua grazia guidi i pensieri e le pene dei coniugi verso il bene delle loro famiglie e di tutte le famiglie del mondo. Fa che le giovani generazioni trovino nella famiglia un forte sostegno per la loro umanità e la loro crescita nella verità e nell’amore. Fa che l’amore, rafforzato dalla grazia del sacramento del matrimonio, si dimostri più forte di ogni debolezza e di ogni crisi, attraverso le quali, a volte, passano le nostre famiglie. Fa infine, te lo chiediamo per intercessione della Sacra Famiglia di Nazareth, che la Chiesa in mezzo a tutte le nazioni della terra possa compiere fruttuosamente la sua missione nella famiglia e mediante la famiglia. Tu che sei la Vita, la Verità e l’Amore, nell’unità del Figlio e dello Spirito Santo. Amen».  
 
(Fonte: Gianluca Martone, Il giudizio cattolico, 15 novembre 2014
http://www.ilgiudiziocattolico.com/1/308/la-massoneria-all’attacco-della-famiglia.html
 

Caro Veronesi, il cancro dimostra che solo Cristo risponde all’uomo

L’oncologo Umberto Veronesi ha trovato un modo originale per pubblicizzare il suo ultimo libro: affidare a “Repubblica” alcuni brani sulla sua dimostrazione dell’inesistenza di Dio: «Allo stesso modo di Auschwitz, per me il cancro è diventato la prova della non esistenza di Dio», è il senso del suo scritto.
Un annuncio-spot, a cui ci ha abituato il medico mediatico. Come quando diceva che “l’etica laica è la migliore” e contemporaneamente, si è scoperto, stava tradendo sua moglie. Come quando spiegava che l’amore omosessuale è “più puro” di quello eterosessuale, come quando definiva i malati in stato vegetativo dei “morti viventi”, come quando chiese di legalizzare il doping nello sport, come quando -infine- scrisse all’età di 70 anni che «dopo aver generato i doverosi figli e averli allevati, il compito dell’uomo è finito, occupa spazio destinato ad altri, per cui bisognerebbe che le persone a cinquanta o sessant’anni sparissero» (“La libertà della vita”, Edizioni Cortina Raffaello 2006, p. 39).
Se dunque la riflessione odierna arriva da un personaggio mediatico quanto meno stravagante, non possiamo tuttavia evitare di sottolineare che quella posta è una questione seria, che fa prima o poi capolino in ogni uomo. Siamo contenti e lo ringraziamo per aver riportato Dio al centro del dibattito culturale. Eppure, di fronte all’esistenza del male nessuna religione e nessuna filosofia riesce a rispondere adeguatamente, la posizione atea, inoltre, non solo non ha risposte ma estremizza ed amplifica il dolore in quanto lascia l’uomo in balia della sorte, della tragica e disperata sfortuna di chi viene preso di mira da un fato disumano e capriccioso.
Noi cristiani rispondiamo così a Veronesi: innanzitutto vedere in una malattia una manifestazione del volere di Dio, come afferma il noto oncologo, significa avere una concezione di Dio un po’ fanciullesca e, soprattutto, credere nel creazionismo. Invece, l’evoluzione biologica ci ha suggerito che anche la natura, come l’uomo, ha una sua forma di “libertà”, e le patologie che colpiscono l’uomo altro non sono che un errore causato dalla libertà della natura. Allo stesso modo, anche ciò che avvenne ad Auschwitz fu un errore della libertà dell’uomo, una libertà usata malissimo.
L’accusa a Dio, allora, non è quella di essere l’autore del male ma, semmai, di non intervenire per impedirlo. Ma l’impedimento della libertà non è anch’essa una forma di intollerabile violenza? Dunque Dio sceglie di non interviene? No, Dio interviene sempre ma lo fa “a modo suo” perché «i miei pensieri non sono i vostri pensieri,  le vostre vie non sono le mie vie» (Is 55,8). E come interviene? Dio trae da ogni male un bene più grande. Come ha spiegato Giovanni Paolo II: «non vi è male da cui Dio non possa trarre un bene più grande, non c’è sofferenza che egli non sappia trasformare in strada che conduce a Lui». Anche Gesù stesso, interrogato su chi avesse colpa nell’essere ciechi, ha risposto: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio» (Gv 9, 1-41). La patologia, il cancro, non sono un volere di Dio ma sono la dimostrazione che la natura è libera di sbagliare, tuttavia Dio lo permette per poter trarre da questo male un bene maggiore («perché si manifestino le opere di Dio», spiega Gesù).
Per questo, ne abbiamo parlato tante volte, soltanto il cristianesimo riesce a stare di fronte alla provocazione del male senza scandalizzarsi. Nella croce e nella Resurrezione di Cristo si svela proprio l’intervento di Dio nei confronti del male: la vita di ogni uomo non finisce in questa vita e questo grazie alla Resurrezione di Cristo e, quindi, grazie alla sofferenza e alla croce che Lui ha scelto di portare. Un male enorme, ingiusto -come la crocifissione di Gesù-, nascondeva un bene ancora più grande. Così possiamo intuire che il male e il dolore delle nostre vite sono anche per noi una circostanza, una tragica circostanza attraverso la quale -se prendiamo su di noi questa croce- compiamo un disegno di bene più grande. «Se uno vuol venire dietro me, rinunzi a se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà» (Mt 16, 21-26). Dal male commesso contro Suo figlio innocente, Dio ha tratto un bene più grande: la salvezza di ogni uomo.
Il teologo Maurizio Chiodi, proprio rispondendo a Veronesi, ha scritto: «Per il cristiano, è in Gesù Cristo che Dio ha dato la sua sorprendente “risposta” al dolore umano: com-patendo con noi, per aprirci una speranza che non nasce da noi». Ecco il bene maggiore donato da Dio. Anche perché «proprio il miracolo delle guarigioni evangeliche è la testimonianza che la salvezza è più della guarigione, pur essendo un segno del Regno di un Dio che si è fatto vicino». Lo sa bene l’ex ateo militante Scott Coren, che si è convertito proprio a causa del male che ha colpito sua figlia innocente. «Dio non ci ha tirati fuori dai guai, Dio è il gancio per tirarci fuori da essi. Questo gancio è il crocifisso», ha spiegato il filosofo Peter Kreeft. Auguriamo a  Umberto Veronesi che  il suo ateismo diventi talmente maturo da riuscire a capire questo.
 
(Fonte: UCCR, 18 novembre 2014)
http://www.uccronline.it/2014/11/18/caro-veronesi-il-cancro-dimostra-che-solo-cristo-risponde-alluomo/

 

«La preghiera non è superstizione, ma affidamento a Dio»

In questi giorni tutti i media parlano del suggestivo e curioso gesto di don Evandro Gherardi, parroco di Brescello, che, come il don Camillo di Guareschi, ha organizzato una processione fino al Po per chiedere la protezione contro il maltempo.
Tantissimi hanno irriso questa iniziativa e neppure tanto di nascosto. L’allusione ad un Don Camillo redivivo è stata piuttosto esplicita.
Ma, è bene sottolinearlo, il gesto di don Evandro, è stato soprattutto un gesto di preghiera, come risulta dalla comunicazione con cui il parroco ha invitato i fedeli alla processione:
 «Dopo gli eventi luttuosi di questi giorni a causa del maltempo – ha scritto il sacerdote -, dopo la giusta decisione delle autorità di sgomberare Ghiarole, dopo l’allerta per una nuova ondata di piena del fiume Po, insieme a don Andrea, Vice Parroco dell’Unità pastorale di Brescello, Lentigione con Sorbolo Levante, ho deciso di indire una giornata di preghiera martedì 18 novembre 2014 per: le vittime del maltempo in Italia; chiedere a Dio di proteggerci dal pericolo di alluvioni; chiedere a Dio di saper rispettare l’ambiente naturale, da Lui creato e a noi dato in consegna».
Per questo don Evandro ha invitato a pregare «nelle famiglie e nelle case, soprattutto con gli anziani e i bambini; nella chiesa parrocchiale di Brescello, aperta dalle ore 6.30 del mattino per tutto il giorno, davanti al “Crocefisso parlante di don Camillo”, concludendo con la S. Messa alle ore 18.00; con la benedizione straordinaria del Po, portando in processione il “Crocefisso parlante di don Camillo”, partendo alle ore 15.30 dalla chiesa parrocchiale per arrivare sull’argine maestro del “grande fiume».
E, infine, ha concluso con un ammonimento di grande valore: «La preghiera non è un atto di superstizione, ma di affidamento totale a Dio, soprattutto nei momenti di pericolo e di dolore! L’invito è rivolto alle vicine comunità reggiane, parmensi e mantovane, oltre che a tutto il nord Italia».
Quindi non una sceneggiata folcloristica, ma un autentico ricorso all’aiuto di Dio.

(Ma.La. 20 novembre 2014)