domenica 26 giugno 2011

Politici cattolici attenzione: aprite gli occhi e ragionate con la vostra coscienza!

Le lobby omosessuali hanno vinto ancora. Dopo la California anche New York ha ceduto alle pressioni delle grandi potenze economiche in mano ai gay. Alla faccia della discriminazione! E qualche Cassandra del nostro parlamento già prevede analoga sorte anche per l’Italia.
Mi permetto a questo punto di riproporre all’attenzione dei troppi cattolici “distratti” un documento della Congregazione per la Dottrina delle Fede, all’epoca diretta dall’attuale Papa J. Ratzinger, che spiega molto bene il pensiero della Chiesa cattolica a proposito di unioni tra persone omosessuali.
Questo perché ogni cittadino italiano sia poi in grado giudicare con cognizione di causa l’operato dei nostri politici, che si professano cattolici quando si tratta di prendere voti, e che poi non si vergognano di promuovere e approvare leggi improponibili dalla nostra religione.

CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE
CONSIDERAZIONI CIRCA I PROGETTI DI RICONOSCIMENTO LEGALE DELLE UNIONI TRA PERSONE OMOSESSUALI
INTRODUZIONE
1. Diverse questioni concernenti l'omosessualità sono state trattate recentemente più volte dal Santo Padre Giovanni Paolo II e dai competenti Dicasteri della Santa Sede.(1) Si tratta infatti di un fenomeno morale e sociale inquietante, anche in quei Paesi in cui non assume un rilievo dal punto di vista dell'ordinamento giuridico. Ma esso diventa più preoccupante nei Paesi che hanno già concesso o intendono concedere un riconoscimento legale alle unioni omosessuali che, in alcuni casi, include anche l'abilitazione all'adozione di figli. Le presenti Considerazioni non contengono nuovi elementi dottrinali, ma intendono richiamare i punti essenziali circa il suddetto problema e fornire alcune argomentazioni di carattere razionale, utili per la redazione di interventi più specifici da parte dei Vescovi secondo le situazioni particolari nelle diverse regioni del mondo: interventi destinati a proteggere ed a promuovere la dignità del matrimonio, fondamento della famiglia, e la solidità della società, della quale questa istituzione è parte costitutiva. Esse hanno anche come fine di illuminare l'attività degli uomini politici cattolici, per i quali si indicano le linee di condotta coerenti con la coscienza cristiana quando essi sono posti di fronte a progetti di legge concernenti questo problema.(2) Poiché si tratta di una materia che riguarda la legge morale naturale, le seguenti argomentazioni sono proposte non soltanto ai credenti, ma a tutti coloro che sono impegnati nella promozione e nella difesa del bene comune della società.
I. NATURA E CARATTERISTICHE IRRINUNCIABILI DEL MATRIMONIO
2. L'insegnamento della Chiesa sul matrimonio e sulla complementarità dei sessi ripropone una verità evidenziata dalla retta ragione e riconosciuta come tale da tutte le grandi culture del mondo. Il matrimonio non è una qualsiasi unione tra persone umane. Esso è stato fondato dal Creatore, con una sua natura, proprietà essenziali e finalità.(3) Nessuna ideologia può cancellare dallo spirito umano la certezza secondo la quale esiste matrimonio soltanto tra due persone di sesso diverso, che per mezzo della reciproca donazione personale, loro propria ed esclusiva, tendono alla comunione delle loro persone. In tal modo si perfezionano a vicenda, per collaborare con Dio alla generazione e alla educazione di nuove vite.
3. La verità naturale sul matrimonio è stata confermata dalla Rivelazione contenuta nei racconti biblici della creazione, espressione anche della saggezza umana originaria, nella quale si fa sentire la voce della natura stessa. Tre sono i dati fondamentali del disegno creatore sul matrimonio, di cui parla il Libro della Genesi.
In primo luogo l'uomo, immagine di Dio, è stato creato « maschio e femmina » (Gn 1, 27). L'uomo e la donna sono uguali in quanto persone e complementari in quanto maschio e femmina. La sessualità da un lato fa parte della sfera biologica e, dall'altro, viene elevata nella creatura umana ad un nuovo livello, quello personale, dove corpo e spirito si uniscono.
Il matrimonio, poi, è istituito dal Creatore come forma di vita in cui si realizza quella comunione di persone che impegna l'esercizio della facoltà sessuale. « Per questo l'uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne » (Gn 2, 24).
Infine, Dio ha voluto donare all'unione dell'uomo e della donna una partecipazione speciale alla sua opera creatrice. Perciò Egli ha benedetto l'uomo e la donna con le parole: « Siate fecondi e moltiplicatevi » (Gn 1, 28). Nel disegno del Creatore complementarità dei sessi e fecondità appartengono quindi alla natura stessa dell'istituzione del matrimonio.
Inoltre, l'unione matrimoniale tra l'uomo e la donna è stata elevata da Cristo alla dignità di sacramento. La Chiesa insegna che il matrimonio cristiano è segno efficace dell'alleanza di Cristo e della Chiesa (cf. Ef 5, 32). Questo significato cristiano del matrimonio, lungi dallo sminuire il valore profondamente umano dell'unione matrimoniale tra l'uomo e la donna, lo conferma e lo rafforza (cf. Mt 19, 3-12; Mc 10, 6-9).
4. Non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia. Il matrimonio è santo, mentre le relazioni omosessuali contrastano con la legge morale naturale. Gli atti omosessuali, infatti, « precludono all'atto sessuale il dono della vita. Non sono il frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale. In nessun modo possono essere approvati ».(4)
Nella Sacra Scrittura le relazioni omosessuali « sono condannate come gravi depravazioni... (cf. Rm 1, 24-27; 1 Cor 6, 10; 1 Tm 1, 10). Questo giudizio della Scrittura non permette di concludere che tutti coloro, i quali soffrono di questa anomalia, ne siano personalmente responsabili, ma esso attesta che gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati ».(5) Lo stesso giudizio morale si ritrova in molti scrittori ecclesiastici dei primi secoli (6) ed è stato unanimemente accettato dalla Tradizione cattolica.
Secondo l'insegnamento della Chiesa, nondimeno, gli uomini e le donne con tendenze omosessuali « devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione ».(7) Tali persone inoltre sono chiamate come gli altri cristiani a vivere la castità.(8) Ma l'inclinazione omosessuale è « oggettivamente disordinata »(9) e le pratiche omosessuali « sono peccati gravemente contrari alla castità ».(10)
II. ATTEGGIAMENTI NEI CONFRONTI DEL PROBLEMA DELLE UNIONI OMOSESSUALI
5. Nei confronti del fenomeno delle unioni omosessuali, di fatto esistenti, le autorità civili assumono diversi atteggiamenti: a volte si limitano alla tolleranza di questo fenomeno; a volte promuovono il riconoscimento legale di tali unioni, con il pretesto di evitare, rispetto ad alcuni diritti, la discriminazione di chi convive con una persona dello stesso sesso; in alcuni casi favoriscono persino l'equivalenza legale delle unioni omosessuali al matrimonio propriamente detto, senza escludere il riconoscimento della capacità giuridica di procedere all'adozione di figli.
Laddove lo Stato assuma una politica di tolleranza di fatto, non implicante l'esistenza di una legge che esplicitamente concede un riconoscimento legale a tali forme di vita, occorre ben discernere i diversi aspetti del problema. La coscienza morale esige di essere, in ogni occasione, testimoni della verità morale integrale, alla quale si oppongono sia l'approvazione delle relazioni omosessuali sia l'ingiusta discriminazione nei confronti delle persone omosessuali. Sono perciò utili interventi discreti e prudenti, il contenuto dei quali potrebbe essere, per esempio, il seguente: smascherare l'uso strumentale o ideologico che si può fare di questa tolleranza; affermare chiaramente il carattere immorale di questo tipo di unione; richiamare lo Stato alla necessità di contenere il fenomeno entro limiti che non mettano in pericolo il tessuto della moralità pubblica e, soprattutto, che non espongano le giovani generazioni ad una concezione erronea della sessualità e del matrimonio, che le priverebbe delle necessarie difese e contribuirebbe, inoltre, al dilagare del fenomeno stesso. A coloro che a partire da questa tolleranza vogliono procedere alla legittimazione di specifici diritti per le persone omosessuali conviventi, bisogna ricordare che la tolleranza del male è qualcosa di molto diverso dall'approvazione o dalla legalizzazione del male.
In presenza del riconoscimento legale delle unioni omosessuali, oppure dell'equiparazione legale delle medesime al matrimonio con accesso ai diritti che sono propri di quest'ultimo, è doveroso opporsi in forma chiara e incisiva. Ci si deve astenere da qualsiasi tipo di cooperazione formale alla promulgazione o all'applicazione di leggi così gravemente ingiuste nonché, per quanto è possibile, dalla cooperazione materiale sul piano applicativo. In questa materia ognuno può rivendicare il diritto all'obiezione di coscienza.
III. ARGOMENTAZIONI RAZIONALI CONTRO IL RICONOSCIMENTO LEGALE DELLE UNIONI OMOSESSUALI
6. La comprensione dei motivi che ispirano la necessità di opporsi in questo modo alle istanze che mirano alla legalizzazione delle unioni omosessuali richiede alcune considerazioni etiche specifiche, che sono di diverso ordine.
Di ordine relativo alla retta ragione
Il compito della legge civile è certamente più limitato riguardo a quello della legge morale,(11) ma la legge civile non può entrare in contraddizione con la retta ragione senza perdere la forza di obbligare la coscienza.(12) Ogni legge posta dagli uomini in tanto ha ragione di legge in quanto è conforme alla legge morale naturale, riconosciuta dalla retta ragione, e in quanto rispetta in particolare i diritti inalienabili di ogni persona.(13) Le legislazioni favorevoli alle unioni omosessuali sono contrarie alla retta ragione perché conferiscono garanzie giuridiche, analoghe a quelle dell'istituzione matrimoniale, all'unione tra due persone dello stesso sesso. Considerando i valori in gioco, lo Stato non potrebbe legalizzare queste unioni senza venire meno al dovere di promuovere e tutelare un'istituzione essenziale per il bene comune qual è il matrimonio.
Ci si può chiedere come può essere contraria al bene comune una legge che non impone alcun comportamento particolare, ma si limita a rendere legale una realtà di fatto che apparentemente non sembra comportare ingiustizia verso nessuno. A questo proposito occorre riflettere innanzitutto sulla differenza esistente tra il comportamento omosessuale come fenomeno privato, e lo stesso comportamento quale relazione sociale legalmente prevista e approvata, fino a diventare una delle istituzioni dell'ordinamento giuridico. Il secondo fenomeno non solo è più grave, ma acquista una portata assai più vasta e profonda, e finirebbe per comportare modificazioni dell'intera organizzazione sociale che risulterebbero contrarie al bene comune. Le leggi civili sono principi strutturanti della vita dell'uomo in seno alla società, per il bene o per il male. Esse « svolgono un ruolo molto importante e talvolta determinante nel promuovere una mentalità e un costume ».(14) Le forme di vita e i modelli in esse espresse non solo configurano esternamente la vita sociale, bensì tendono a modificare nelle nuove generazioni la comprensione e la valutazione dei comportamenti. La legalizzazione delle unioni omosessuali sarebbe destinata perciò a causare l'oscuramento della percezione di alcuni valori morali fondamentali e la svalutazione dell'istituzione matrimoniale.
Di ordine biologico e antropologico
7. Nelle unioni omosessuali sono del tutto assenti quegli elementi biologici e antropologici del matrimonio e della famiglia che potrebbero fondare ragionevolmente il riconoscimento legale di tali unioni.
Esse non sono in condizione di assicurare adeguatamente la procreazione e la sopravvivenza della specie umana. L'eventuale ricorso ai mezzi messi a loro disposizione dalle recenti scoperte nel campo della fecondazione artificiale, oltre ad implicare gravi mancanze di rispetto alla dignità umana,(15) non muterebbe affatto questa loro inadeguatezza.
Nelle unioni omosessuali è anche del tutto assente la dimensione coniugale, che rappresenta la forma umana ed ordinata delle relazioni sessuali. Esse infatti sono umane quando e in quanto esprimono e promuovono il mutuo aiuto dei sessi nel matrimonio e rimangono aperte alla trasmissione della vita.
Come dimostra l'esperienza, l'assenza della bipolarità sessuale crea ostacoli allo sviluppo normale dei bambini eventualmente inseriti all'interno di queste unioni. Ad essi manca l'esperienza della maternità o della paternità. Inserire dei bambini nelle unioni omosessuali per mezzo dell'adozione significa di fatto fare violenza a questi bambini nel senso che ci si approfitta del loro stato di debolezza per introdurli in ambienti che non favoriscono il loro pieno sviluppo umano. Certamente una tale pratica sarebbe gravemente immorale e si porrebbe in aperta contraddizione con il principio, riconosciuto anche dalla Convenzione internazionale dell'ONU sui diritti dei bambini, secondo il quale l'interesse superiore da tutelare in ogni caso è quello del bambino, la parte più debole e indifesa.
Di ordine sociale
8. La società deve la sua sopravvivenza alla famiglia fondata sul matrimonio. La conseguenza inevitabile del riconoscimento legale delle unioni omosessuali è la ridefinizione del matrimonio, che diventa un'istituzione la quale, nella sua essenza legalmente riconosciuta, perde l'essenziale riferimento ai fattori collegati alla eterosessualità, come ad esempio il compito procreativo ed educativo. Se dal punto di vista legale il matrimonio tra due persone di sesso diverso fosse solo considerato come uno dei matrimoni possibili, il concetto di matrimonio subirebbe un cambiamento radicale, con grave detrimento del bene comune. Mettendo l'unione omosessuale su un piano giuridico analogo a quello del matrimonio o della famiglia, lo Stato agisce arbitrariamente ed entra in contraddizione con i propri doveri.
A sostegno della legalizzazione delle unioni omosessuali non può essere invocato il principio del rispetto e della non discriminazione di ogni persona. Una distinzione tra persone oppure la negazione di un riconoscimento o di una prestazione sociale non sono infatti accettabili solo se sono contrarie alla giustizia.(16) Non attribuire lo statuto sociale e giuridico di matrimonio a forme di vita che non sono né possono essere matrimoniali non si oppone alla giustizia, ma, al contrario, è da essa richiesto.
Neppure il principio della giusta autonomia personale può essere ragionevolmente invocato. Una cosa è che i singoli cittadini possano svolgere liberamente attività per le quali nutrono interesse e che tali attività rientrino genericamente nei comuni diritti civili di libertà, e un'altra ben diversa è che attività che non rappresentano un significativo e positivo contributo per lo sviluppo della persona e della società possano ricevere dallo Stato un riconoscimento legale specifico e qualificato. Le unioni omosessuali non svolgono neppure in senso analogico remoto i compiti per i quali il matrimonio e la famiglia meritano un riconoscimento specifico e qualificato. Ci sono invece buone ragioni per affermare che tali unioni sono nocive per il retto sviluppo della società umana, soprattutto se aumentasse la loro incidenza effettiva sul tessuto sociale.
Di ordine giuridico
9. Poiché le coppie matrimoniali svolgono il ruolo di garantire l'ordine delle generazioni e sono quindi di eminente interesse pubblico, il diritto civile conferisce loro un riconoscimento istituzionale. Le unioni omosessuali invece non esigono una specifica attenzione da parte dell'ordinamento giuridico, perché non rivestono il suddetto ruolo per il bene comune.
Non è vera l'argomentazione secondo la quale il riconoscimento legale delle unioni omosessuali sarebbe necessario per evitare che i conviventi omosessuali perdano, per il semplice fatto della loro convivenza, l'effettivo riconoscimento dei diritti comuni che essi hanno in quanto persone e in quanto cittadini. In realtà, essi possono sempre ricorrere – come tutti i cittadini e a partire dalla loro autonomia privata – al diritto comune per tutelare situazioni giuridiche di reciproco interesse. Costituisce invece una grave ingiustizia sacrificare il bene comune e il retto diritto di famiglia allo scopo di ottenere dei beni che possono e debbono essere garantiti per vie non nocive per la generalità del corpo sociale.(17)
IV. COMPORTAMENTI DEI POLITICI CATTOLICI NEI CONFRONTI DI LEGISLAZIONI FAVOREVOLI ALLE UNIONI OMOSESSUALI
10. Se tutti i fedeli sono tenuti ad opporsi al riconoscimento legale delle unioni omosessuali, i politici cattolici lo sono in particolare, nella linea della responsabilità che è loro propria. In presenza di progetti di legge favorevoli alle unioni omosessuali, sono da tener presenti le seguenti indicazioni etiche.
Nel caso in cui si proponga per la prima volta all'Assemblea legislativa un progetto di legge favorevole al riconoscimento legale delle unioni omosessuali, il parlamentare cattolico ha il dovere morale di esprimere chiaramente e pubblicamente il suo disaccordo e votare contro il progetto di legge. Concedere il suffragio del proprio voto ad un testo legislativo così nocivo per il bene comune della società è un atto gravemente immorale.
Nel caso in cui il parlamentare cattolico si trovi in presenza di una legge favorevole alle unioni omosessuali già in vigore, egli deve opporsi nei modi a lui possibili e rendere nota la sua opposizione: si tratta di un doveroso atto di testimonianza della verità. Se non fosse possibile abrogare completamente una legge di questo genere, egli, richiamandosi alle indicazioni espresse nell'Enciclica Evangelium vitae, « potrebbe lecitamente offrire il proprio sostegno a proposte mirate a limitare i danni di una tale legge e a diminuirne gli effetti negativi sul piano della cultura e della moralità pubblica », a condizione che sia « chiara e a tutti nota » la sua « personale assoluta opposizione » a leggi siffatte e che sia evitato il pericolo di scandalo.(18) Ciò non significa che in questa materia una legge più restrittiva possa essere considerata come una legge giusta o almeno accettabile; bensì si tratta piuttosto del tentativo legittimo e doveroso di procedere all'abrogazione almeno parziale di una legge ingiusta quando l'abrogazione totale non è possibile per il momento.
CONCLUSIONE
11. La Chiesa insegna che il rispetto verso le persone omosessuali non può portare in nessun modo all'approvazione del comportamento omosessuale oppure al riconoscimento legale delle unioni omosessuali. Il bene comune esige che le leggi riconoscano, favoriscano e proteggano l'unione matrimoniale come base della famiglia, cellula primaria della società. Riconoscere legalmente le unioni omosessuali oppure equipararle al matrimonio, significherebbe non soltanto approvare un comportamento deviante, con la conseguenza di renderlo un modello nella società attuale, ma anche offuscare valori fondamentali che appartengono al patrimonio comune dell'umanità. La Chiesa non può non difendere tali valori, per il bene degli uomini e di tutta la società.
Il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, nell'Udienza concessa il 28 marzo 2003 al sottoscritto Cardinale Prefetto, ha approvato le presenti Considerazioni, decise nella Sessione Ordinaria di questa Congregazione, e ne ha ordinato la pubblicazione.
Roma, dalla sede della Congregazione per la Dottrina della Fede, il 3 giugno 2003, Memoria dei Santi Carlo Lwanga e Compagni, Martiri.
Joseph Card. Ratzinger, Prefetto.
Angelo Amato, S.D.B., Arcivescovo titolare di Sila, Segretario

(Mario, 26 giugno 2011. Suggerisco di visitare un ottimo sito, molto attento a tali problematiche: http://sursumcorda-dominum.blogspot.com)

  

venerdì 24 giugno 2011

Veronesi: sfoggio di demenza senile. Inutile giustificarlo appellandosi ai classici greci e latini.

“Also sprache Veronesi”: così ha detto Veronesi, “il sublime”!. Augh! Prostriamoci a terra!
Il dottor Veronesi sostiene [e tutti stiano zitti ad ascoltarlo!] che l’amore più puro è quello omosessuale, perché non è finalizzato alla procreazione. E lo sostiene in risposta a quel sindaco che aveva definito l’omosessualità un’aberrazione genetica.
L’esternazione di Umberto Veronesi è stata molto amplificata dai media. Del resto, si sa, Veronesi è un oncologo, quindi ritenuto [a sproposito] uno specialista di etica, antropologia filosofica e psicologia che tutti anelavamo ascoltare su questo tema… [anche se ahimé ha decisamente perso una delle ultime occasioni per starsene zitto! Ma tant'è: ormai lo sappiamo tutti, l’incontinenza verbale è una prerogativa dei “troppo pieni di scienza”!]
C’è chi è venuto in suo soccorso evocando i Greci e Platone (La Stampa, ndr). In effetti, molto spesso si sente dire che «i Greci erano tutti o quasi tutti favorevoli all’omosessualità». Ora, non possiamo qui svolgere un’analisi completa della questione. Però, brevemente, possiamo almeno dire che in Grecia era praticata la pederastia, cioè il rapporto fra l’adulto ed il ragazzo dai 12 ai 16 anni, ma essa probabilmente era circoscritta agli ambienti intellettuali (su ciò cfr. S. Musitelli – M. Bossi – R. Allegri, Storia dei costumi sessuali in Occidente. Dalla preistoria ai nostri giorni, Rusconi, 1999, pp. 84-85) e non era approvata da chiunque: da alcuni era anzi considerata «un’impudenza», come si ricava dal Simposio di Platone (192 A). Ma che dire dell’omosessualità tra adulti?
Spesso si cita Platone, come ha fatto tante volte Gianni Vattimo. E, allora, per quanto riguarda Platone, bisogna menzionare due testi: di nuovo il Simposio e le Leggi. Nel Simposio si trova una giustificazione dell’omosessualità, ma non è del tutto chiaro se Platone la condivida, se la faccia propria. Probabilmente sì, ma forse no. Il problema interpretativo è dovuto al fatto che questo testo è un fitto gioco di maschere (cfr. al riguardo l’interpretazione di Giovanni Reale) e di finzioni. Comunque, anche qualora all’epoca del Simposio Platone sia stato favorevole all’omosessualità, egli l’ha di certo condannata ne le Leggi, la sua ultima opera. In questo testo (cfr. 836 AC) viene trattato il seguente problema: «come [in uno Stato] si potrebbe garantirci dagli amori precoci di fanciulli e fanciulle, dall’omosessualità maschile e femminile, da queste perversioni che sono responsabili di incalcolabili sciagure, non solo per la vita privata dei singoli, ma anche per l’intera società?». E, probabilmente, Platone condivide la legislazione precedente a Laio, la quale considerava «indecente l’amplesso tra maschi e l’unione con adolescenti».
Ma, sempre per stare ai Greci, veniamo ad Aristotele, il quale nell’Etica Nicomachea (1148b 24-30) dice che «fare all’amore tra maschi» è uno dei «comportamenti bestiali». Sono solo accenni, che richiederebbero molto precisazioni (tra l’altro non abbiamo ricostruito le argomentazioni, invero leggermente sbrigative, di Platone e Aristotele a supporto di queste loro tesi). Bastano però per mostrare come due fra i più grandi Greci (anzi fra i più grandi pensatori di tutti tempi) siano stati contrari all’omosessualità.
Se poi ci spostiamo tra i Romani, le condanne, anzitutto del matrimonio omosessuale, ma anche dell’omosessualità, abbondano. In effetti, come ha rilevato una grande e compianta storica come Marta Sordi, il matrimonio romano è sempre stato monogamico e solo tra un uomo e una donna. Perciò, le nozze omosessuali di Nerone vennero biasimate duramente da autori come Tacito, Svetonio e Cassio Dione. Per continuare con gli esempi, Musonio Rufo (stoico del I secolo d.C.) specialmente nella Diatriba XII afferma chiaramente: «Gli unici tipi di unioni che dovrebbero essere considerate giuste, sono quelle che hanno luogo all'interno di un matrimonio e sono finalizzate alla procreazione di bambini, […] laddove quelle che perseguono il mero piacere sono ingiuste e illegittime, anche qualora dovessero avere luogo all'interno di un matrimonio».
Quanto a Seneca (forse il più grande tra i filosofi stoici), loda l'amore sponsale contrapponendolo ad altre unioni che considera contro natura (Epistulae ad Lucillium, 116, 5; 123, 15). E nel De matrimonio insiste proprio sulla liceità delle sole unioni sponsali finalizzate alla generazione. Infine Epitteto, analogamente, biasima le unioni non matrimoniali ed approva solo quelle dirette alla procreazione (Diatribe, III 7, 21; II 18, 15-18; III 21, 13). Potremmo continuare a lungo, ma una cosa dovrebbe essere chiara: la condanna dell’omosessualità e del matrimonio omosessuale non l’ha affatto cominciata il cristianesimo.

(Fonte: Giacomo Samek Lodovici, La Bussola Quotidiana, 24 giugno 2011)


martedì 21 giugno 2011

Perché la politica si piega alle "voglie" di Heater Parisi e Gianna Nannini

Mamme a 50 anni. Perché no? Heather Parisi può, perfino due gemelli. Gianna Nannini di anni ne ha 56. Giornali e media sono un fiorir di botox e lifting perché, se ti senti giovane, devi anche apparirlo, ti spiegano. E la vita si allunga, le donne a 50anni credono in se stesse, sono più mature, più consapevoli (che hanno mai fatto prima, ci si chiede?). Magari hanno cambiato partner, e desiderano un figlio da quello nuovo, mica si può star dietro all’orologio biologico.
Se poi la fortuna di essere madre non ti ha baciata naturalmente, e ti svegli tardi a volere un pargoletto in casa, perché porre un limite di età alla procreazione assistita? Un certo Antinori, mi pare, scandalizzò parecchio, anni fa, perché aiutò a partorire una sessantatreenne, in un tal paese dell’ex blocco sovietico.
Dunque si aggiorna, sta al passo coi tempi anche la Regione Veneto, modificando i limiti di accesso alle tecniche di procreazione assistita: 50 anni per le donne, 65 per gli uomini (attendiamo qualche indignazione postfemminista per la palese violazione delle pari opportunità. Perché non mamme a 65 anni, vale forse meno il sesso femminile?).
Provvedimento sia per le coppie infertili, sia le coppie che dopo un anno di tentativi non riescono ad ottenere risultati. A parte la finezza di considerare un figlio un risultato, un anno di tentativi mi pare un po’ poco. In fondo si tratta di dodici mesi, dodici ovulazioni, basta un po’ di stress, una virosi, il trasloco o la nonna che s’ammala, e si perde il momento magico. Forse ci si può dare una chance ai supplementari.
Ma stupisce la giustificazione che dà l’Assessore alla Sanità, spiegando che si tratta di “motivi umanitari”. Siamo abituati a impiegare il termine quando vediamo barconi sfondati approdare alle nostre coste, carichi di persone distrutte e assetate, in cerca di casa. O per discutibili azioni paramilitari, che chi è in buona fede pensa possano sostenere le popolazioni di paesi in guerra. Ma i motivi umanitari perché a 50 anni ti salta per il capo il grillo che sussurra: un bebè! Scattano i motivi umanitari quando si tratta di sopperire a una mancanza di diritti: ma un figlio è un diritto? Pare proprio di sì.
E’ la stessa concezione che sottende alle pretese genitoriali delle coppie omosessuali. Capitava, prima che si cominciasse a gridare “il corpo è mio e me lo gestisco io”, che una donna restasse incinta un po’ in là con gli anni. Figli della menopausa, si diceva. Si alzavano gli occhi al cielo, si levava qualche preghiera, perchè tutto andasse bene, e quel bimbo nascesse sano, che bastassero forze e gli anni per crescerlo e vederlo crescere.
La medicina di “scienza e coscienza” sa bene i rischi di parti prematuri, di malformazioni fetali, di eventi avversi per la madre, che aumentano con gravidanze in età avanzata, perché la natura viene forzata.
La tecnologia basta a garantire i “risultati”? E anche fosse, è moralmente corretto, giusto, porre la scienza a servizio dei capricci dell’uomo? E’ l’eterna presunzione di onnipotenza faustiana, che sfonda ogni limita e ci ha portato alla compravendita e all’affitto di uteri, ovuli, spermatozoi. Voglio, quindi posso, quindi devo.
O forse, è solo stupidità. Degli aspiranti genitori immaturi fino alla maturità, non aiutati a vivere al tempo giusto l’età fertile, ad aprirsi ad altre forme di maternità e paternità, non meno utili e gratificanti. Dei medici disposti a tanto, sia a carico del servizio sanitario nazionale, sia con lauti compensi privati (sappiamo che spesso le due cose vanno insieme: quante visite ed ecografie ed esami supplementari, a pagamento, sarà propensa a fare una madre anziana per placare le sue ansie…).
Degli amministratori della cosa pubblica, pronti ad andar dietro al vento della moda, dell’abitudine, del così fan tutti, per qualche consenso in più. Per evitare i viaggi della speranza in paesi con legislazioni più morbide in fatto di procreazione assistita, spiegano. Dunque, se una legge è giusta, pieghiamo la legge, per assecondare chi la scavalca. E’ un buon metodo?
Si richiede da parte dell’Istituto Superiore di Sanità un documento dei referenti delle regioni in quest’ambito per fissare il limite di età a 43 anni, in tutta Italia. E’ il minimo, regole chiare e uguali dappertutto. O gli ospedali e le cliniche venete desiderano trasportare il turismo della provetta a casa loro, invece che oltreconfine? Decine di bambini, che potranno crescere con i loro genitori, giocare con loro, magari poter far conoscere le loro fidanzate/i, sperano, e sentitamente ringraziano.

(Fonte: Monica Mondo, Il Sussidiario.net, 17 giugno 2011)


Il cedimento dei cattolici all’omosessualismo

Il 17 maggio, ci informa la news agency catto-comunista Adista, in occasione della Giornata Mondiale contro l’Omofobia diverse città italiane e straniere hanno visto lo svolgersi di veglie di preghiera «per ricordare le vittime dell’omofobia».
In spregio alle direttive della Congregazione per la Dottrina della Fede, (1) in più di un'occasione i momenti di preghiera collettiva sono stati ospitati da parrocchie cattoliche: a Milano, dove la Curia ha concesso per il terzo anno consecutivo la disponibilità di una chiesa, a Padova, Genova, Firenze, Bologna e Cremona, dove l’anno passato la veglia fu addirittura presieduta dal vescovo locale. (2)
Occorre davvero una massiccia dose di ingenuità per non comprendere la portata, la profondità e l’incisività del graduale mutamento del senso comune e della mentalità dei cattolici apportate da simili iniziative. La crescente legittimazione dell’omosessualità all’interno della Chiesa non è ovviamente una novità del giorno d’oggi, ma si inserisce all’interno di un processo di «lunga durata» di cui chi scrive non ha la minima pretesa di fornire un resoconto esauriente, nemmeno a grandi linee, ma che nondimeno è palese ed evidente. (3)
[Basti pensare anche al recente Gay Pride che quest’anno si è svolto nuovamente a Roma: con la benedizione di Alemanno per il Comune, della Polverini per la Regione, di numerosissimi esponenti cattolici sia di destra che di sinistra, nonché di un pubblico molto numeroso attratto, speriamo, più dalla carnevalata che dal significato della sfilata. Nessuna voce di spicco, da parte del clero, è intervenuta contro questa inguardabile pagliacciata, che come al solito ha avuto nella persona del Santo Padre il bersaglio preferito di lazzi indecenti].
Forse ancora più clamoroso, trattandosi di un principe della Chiesa, è però il cedimento dottrinale all'ideologia – per non dire il vero e proprio collasso – palesato nel corso degli anni da parte di monsignor Luigi Bettazzi, vescovo emerito di Ivrea, ex presidente di Pax Christi, già cantore delle «benemerenze» del comunismo. (4)
Già nel 2000, in occasione del primo Gay Pride svoltosi provocatoriamente a Roma in sfregio all’anno giubilare, tanto da essere significativamente bollato da Giovanni Paolo II come «affronto» e «offesa» ai valori cristiani della città, il presule si lanciava in queste sconcertanti dichiarazioni: «La dottrina della Chiesa ritiene che la sessualità debba essere rivolta soltanto alla procreazione. Forse però non si è tenuto conto che la sessualità ha anche altre espressioni, come quelle che possono manifestarsi verso persone dello stesso sesso. E anche la dottrina potrebbe evolversi». (5)
Nel 2008 Bettazzi si è invece espresso a favore delle unioni omosessuali: «Per tanto tempo abbiamo detto che il fine primario del matrimonio è la procreazione, fino al punto di negare il sacramento a chi è impotente, ma io credo che il fine del matrimonio sia l’amore. E se ci sono due persone dello stesso sesso che si amano, pur non chiamando la loro unione matrimonio, dobbiamo aiutarle a stare insieme» (6).
L'insidia dell'ideologia
La forza e la capacità di penetrazione delle «parole d'ordine» dell'ideologia gay in seno al mondo cattolico non devono certo stupire. Come ha mostrato Alain Besançon, è proprio delle moderne ideologie, gnostiche e totalitarie, imporre «le proprie classificazioni, il proprio linguaggio e il proprio modo di affrontare i problemi». (7) Quelle «macchine di pensiero» che sono le moderne ideologie creano la realtà, non contemplano un ordine dell'essere poiché «l'attività contemplativa e l'attività morale dello spirito sono ormai sublimate nella sola attività che sia «veramente» umana: l'attività poetica (dal greco poiein: fare) o l'attività costruttrice di un mondo nuovo, di un uomo nuovo, di un dio nuovo». (8)
La cifra filosofica delle ideologie di ieri, oggi e domani è il relativismo. Si ha relativismo quando si nega la presenza di essenze e nature immutabili e, conseguentemente, l’esistenza di atti «intrinsecamente cattivi». (9) George Orwell ha sottolineato infatti che «l'aspetto più terrificante del totalitarismo non sono le sue “atrocità”, ma il fatto che esso attacca il concetto di verità oggettiva» (10).
Una volta incorporati i contenuti veicolati dall'artificioso linguaggio ideologico, la battaglia culturale è già persa in partenza. È sempre Besançon a ricordare come sotto il nazismo molti vescovi tedeschi avessero accettato alla stregua di un dato «naturale» quella che era in realtà un prodotto dell'ideologia nazista, ovvero la «codificazione razziale» dell'umanità, la sua fondamentale divisione in ariani ed ebrei. Ciò diede adito a numerosi «tentativi di imitazione» da parte cattolica, nei confronti dei quali meglio sarebbe stato diffidare. (11)
L'idea soggiacente era quella di individuare degli elementi «naturali» nella dottrina nazionalsocialista, mostrando al tempo stesso come il pensiero cattolico avesse già «tutto quello che può offrire la concorrenza, ma di qualità migliore». (12) Rasse, Blut und Boden (razza, sangue e suolo) diventarono così «beni naturali preziosi creati da Dio e affidati da Lui a noi tedeschi» mentre manuali pubblicati sotto il controllo dell'episcopato difendevano «il diritto di ogni popolo di salvaguardare la purezza della propria razza adottando a questo scopo misure moralmente ammissibili» e insegnavano che «la razza e il cristianesimo non sono concetti in contraddizione l'uno con l'altro: sono due ordini di natura differente che si completano a vicenda». (13)
Non mancarono le numerose conseguenze pratiche di questi «adattamenti» dottrinali, non ultima delle quali l'indifferenza pubblica manifestata nei confronti degli assassinii di molte figure del mondo cattolico avverse ai nazisti. Tra le più curiose e comiche, ma non meno tragiche anche se in apparenza più «innocue», vanno annoverate le preoccupazioni «pastorali» del cardinale Bertram, arcivescovo di Berlino, che arrivò a consigliare ai fedeli di origine ebraica di frequentare le funzioni di culto nelle ore di minor afflusso, così da non infastidire o urtare i loro correligionari ariani. (14) «Fin dall'istante in cui questa concezione del mondo veniva accettata come un dato di fatto, - scrive nuovamente Besançon - come una base razionale oggettiva dalla quale bisognava determinarsi moralmente, la volontà della Chiesa non era più libera, ma condizionata dal quadro aberrante in cui si era rinchiusa». (15)
La capitolazione dottrinale consegue all’adozione delle parole-talismano dell’ideologia. (16) Una volta ammessa come «esistente» la «realtà» della lotta di classe, al massimo si può chiedere che i «borghesi», o coloro che il potere indicherà come tali, siano trattati con moderazione e decenza. Si può cercare di «battezzare» la società senza classi o di edificare un «comunismo cristiano». Allo stesso modo, una volta «metabolizzata» l’esistenza di un fenomeno di nome «omofobia» senza riconoscerne l'origine ideologica, le conseguenze sono quelle sopraelencate: l'omofobia diventa un'«odiosa discriminazione» e opporvisi un «valore cristiano», perseguito oltretutto col ridicolo ed eccessivo zelo del neoconvertito alla causa. (17)
Al fondo di questi atteggiamenti remissivi si trova, con ogni probabilità, l’antica e mai sopita tentazione del clericalismo e la sua ansiosa ricerca di un «accordo con l’«ala marciante» della storia» nel tentativo di inserirvisi. (18)
Nel frattempo, mentre le parrocchie si stracciano farisaicamente le vesti, organizzano veglie e deplorano le «discriminazioni» omofobiche, monta una campagna intimidatoria contro gli avversari dell’ideologia omosessualista. L’ultimo episodio, l’irruzione di un gruppo «antagonista» nella parrocchia milanese di san Giuseppe Calasanzio durante la celebrazione della Messa. (19)
Trova così conferma la profonda verità, ben nota a G.K. Chesterton, secondo la quale il cristianesimo autentico, non certo quello sfigurato dagli idoli e inneggiante alle ideologie dominanti, «è sempre fuori di moda perché è sano, e tutte le mode sono insanità». (20)

NOTE
(1) Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica sulla cura pastorale delle persone omosessuali, 01 ottobre 1986.
(2) Cfr. Marco Zerbino, Sempre più chiese ospitano le veglie antimofobia. Ma a Palermo il vescovo dice no, Adista Notizie, n. 39, 21 maggio 2011.
(3) A titolo d’esempio mi limito a segnalare, al livello della penetrazione ideologico-rivoluzionaria nei fatti, il caso particolarmente eclatante dei matrimoni omosessuali officiati da don Franco Barbero, il sacerdote di Pinerolo ridotto allo stato laicale nel 2003 da Giovanni Paolo II. Per quel che riguarda la rivoluzione nelle idee, lo sdoganamento dell’omosessualità da parte della teologia progressista è manifesto nei saggi contenuti nel numero monografico della rivista «Concilium» (n. 1/2008), dedicato a Le omosessualità.
(4) L’ispirazione fideistica del magistero di Mons. Bettazzi è ben evidenziata da Antonio Livi, Farsi vescovo, in «Studi Cattolici», n. 203, gennaio 1978, pp. 43-46. L'articolista ricorda come mons. Bettazzi «non fu mai convinto della validità della filosofia cristiana per fondare la teologia naturale e l'etica naturale, in contrapposizione alle dottrine immanentistiche e tendenzialmente atee del pensiero post-cartesiano» (p. 44). Il «nucleo teoretico» della posizione di Bettazzi è così sintetizzato da Livi: «“dialogo” e “incontro” con il pensiero anticristiano (fino al marxismo), senza una solida base di convinzioni metafisiche e teistiche, ma con il solo appoggio di una fede che, priva di praeambula, rischia di ridursi al livello del sentimento e di consentire qualsiasi assoluzione di categorie non cristiane senza avvertirne l'incompatibilità con il vangelo» (ibidem).
(5) Claudio Lazzaro, I gay dividono i cattolici, «Corriere della Sera», 5 luglio 2000; cfr. anche Luigi Bettazzi, Per le strade del mondo. Due pesi e due misure, in «Il risveglio popolare», settimanale diocesano di Ivrea, giugno 2000. Sulla medesima falsariga, cfr. Luigi Bettazzi, Chiesa e omosessualità. Cenni di ripensamento, in «Adista segni nuovi», n. 18, 27 febbraio 2010.
(6) Concordato, unioni omosessuali, politica vaticana: le critiche di Mons. Bettazzi, in «Adista Notizie», n. 57, 26 Luglio 2008. Con buona pace del vescovo emerito di Ivrea l'immoralità dell'attività omosessuale va annoverata invece tra «le norme morali concrete di carattere assoluto» che «sono state insegnate dal Magistero ordinario universale e quindi infallibilmente» (Ramón García de Haro, Matrimonio & famiglia nei documenti del magistero, a cura di Carla Rossi Espagnet, Ares, Milano 2000, pp. 40-41). A questo riguardo si veda anche Fabio Bernabei, Chiesa e omosessualità, Fede & Cultura, Verona 2008. A ragion veduta Romano Amerio sostiene che la legittimazione dei rapporti omosessuali consegue alla «negazione delle nature, in particolare alla struttura naturale e moralmente inviolabile dell’atto sessuale». In questo modo «la differenza naturale viene sopraffatta da una sofistica dell’amore, il quale viene fatto capace di instaurare una comunione spirituale di persone al di là delle guide naturali e in oltraggio dei divieti morali» (Romano Amerio, Iota unum, Ricciardi, Napoli 1985, p. 357).
(7) Alain Besançon, La confusione delle lingue, Editoriale Nuova, Milano 1981, p. 60.
(8) Marcel de Corte, La virtù della fortezza contro la violenza rivoluzionaria, in AA.VV., Forza e violenza, Volpe, Roma 1973, p. 26.
(9) L'illiceità dell'omicidio (uccisione diretta e volontaria della persona innocente) è un tipico caso di «assoluto morale» (su questo si veda John Finnis, Gli assoluti morali. Tradizione, revisione & verità, Ares, 1993). Al contrario, esistono atti in se stessi qualificati come immorali, a prescindere dalle circostanze: «Esistono, cioè, atti che, per se stessi e in se stessi, indipendentemente dalle circostanze, sono sempre gravemente illeciti, in ragione del loro oggetto» (Esortazione apostolica Reconciliatio et paenitentia, n. 17). Corrispondentemente, «esistono norme morali aventi un loro preciso contenuto immutabile e incondizionato», tra le quali vanno menzionate «la norma che proibisce la contraccezione o quella che interdice l’uccisione diretta della persona innocente, per esempio» (Discorso ai partecipanti al Congresso Internazionale di Teologia Morale, 10 aprile 1986).
(10) George Orwell, Romanzi e saggi, a cura e con nota introduttiva di Guido Bulla, Meridiani Mondadori, Milano 2000, p. 1550.
(11) Sul declino dottrinale del cattolicesimo tedesco si vedano anche, con alcune cautele, le osservazioni critiche di Eric Voegelin nel suo Hitler e i tedeschi, Medusa, Milano 2005, pp. 161-197.
(12) Secondo il settimanale cattolico antinazista «Christlicher Ständestaat», pubblicato a Vienna, questo motto esprimeva al meglio la tattica «assimilatoria» perseguita da certo cattolicesimo tedesco. Cfr. Günther Lewy, I nazisti e la Chiesa, Net, Milano 2000 (ed. or. 1964), p. 140.
(13) G. Lewy, op. cit. , p. 237.
(14) Cfr. Giovanni Miccoli, L'atteggiamento delle chiese durante la Shoah, in Storia della Shoah, vol. I, Lo sterminio degli ebrei, Utet, Torino 2006, p. 768. Per saggiare il grado di penetrazione della «neolingua» nazista è indispensabile Viktor Klemperer, LTI. La lingua del Terzo Reich. Taccuino di un filologo, Giuntina, Firenze 1998 (ed. or. 1947).
(15) A. Besançon, op. cit. , p. 61.
(16) La natura ideologica dell’omosessualismo è stata individuata da Thibaud Collin, Le mariage gay. Les enjeux d’une revendication, Editions Eyrolles 2005 e François Devoucoux du Buysson, Les Khmers roses. Essai sur l’idéologie homosexuelle, Editions Blanche 2003. Sull'ideologia gay si veda anche Roberto Marchesini, Come scegliere il proprio orientamento sessuale (o vivere felici) , Fede & Cultura, Verona 2007. Sull’omofobia come costrutto ideologico si vedano: Roberto Marchesini, Il feticcio (omosessuale) dell’omofobia, in «Studi Cattolici», n. 528, febbraio 2005, pp. 112–116; Tony Anatrella, Omosessualità e omofobia, in Pontificio Istituto per la Famiglia (a cura di), Lexicon. Termini ambigui e discussi su famiglia, vita e questioni etiche, EDB, Bologna 2003, pp. 825-837.
(17) Alla stessa maniera, i tentativi di ingraziarsi il regime nazionalsocialista da parte di alcuni cattolici tedeschi giunsero a un livello tale da indurre gli autori di un rapporto interno della Gestapo sul cattolicesimo politico a mettere «in guardia contro l'appropriazione di simboli e terminologia nazionalsocialisti da parte della Chiesa. Sempre più spesso si udivano frasi come «Gesù è il nostro Führer», «Heil Bischof» ecc. Il rapporto della Gestapo accusava la Chiesa di sperare di potersi così impadronire del nazionalsocialismo, una volta che fosse riuscita a eliminare i tedeschi pagani» (G. Lewy, op. cit. , pp. 239-240).
(18) Augusto Del Noce, Tramonto o eclissi dei valori tradizionali?, Rusconi, Milano 1971, p. 201.
(19) Cfr. Marco Invernizzi, Milano, assalto in chiesa. Un problema di genere, in La Mussola, 06 giugno 2011. Altri episodi della campagna persecutoria perpetrata ai danni di chi si oppone all’ideologia di genere e al movimento gay si trovano in Roberto Marchesini, Colpisci l'omofobo, in «il Timone», n. 73, maggio 2008, pp. 54-55. Ricordiamo anche, come ha fatto Philip Jenkins nell’incipit del suo saggio The New Anti-Catholicism. The Last Acceptable Prejudice (Oxford University Press, New York 2003), l’oltraggiosa e blasfema protesta inscenata nel 1989 a New York da alcune centinaia di attivisti di Act Up, che dimostrarono nella cattedrale di San Patrizio durante la celebrazione liturgica costringendo il cardinale John O’Connor all’interruzione dell’omelia; al prelato furono poi riservati epiteti quali «fanatico» e «assassino». Nel frattempo alcuni dimostranti, prostratisi sull’abside della chiesa come a simulare la morte, gettavano sul pavimento dei profilattici, mentre altri scandivano slogan osceni. Ma il peggio, in un’ottica di fede, doveva ancora venire: impossessatosi della pisside, un agitatore ne scagliò in aria il contenuto, ovvero le ostie consacrate, gettandole sul pavimento.
(20) Gilbert K. Chesterton, La sfera e la croce, in Opere scelte, a cura di Emilio Checchi, Edizioni Casini, Roma 1987, p. 230.

(Fonte: Andreas Hofer, Corrispondenza romana, 11 giugno 2011)


Dom Gérard Calvet, La Santa Liturgia

«Tre miracoli fioriscono continuamente nel giardino della Sposa di Cristo: la sapienza dei suoi dottori, l’eroismo dei suoi santi e dei suoi martiri, lo splendore della sua liturgia», scrive dom Gérard Calvet, fondatore e primo Abate del monastero francese di Le Barroux, in un’opera semplice e incoraggiante, appena tradotta e pubblicata in italiano (cf. G. Calvet, La Santa Liturgia, ed. Nova Millennium Romae, Roma 2011, 10 euro).
La storia di dom Gérard (1927-2008), forse, in altri tempi, sarebbe stata quella non di un fondatore e di un combattente di prima linea come fu, ma quella di un buon monaco benedettino, zelante, pio che vive e muore nel silenzio interiore e nell’oscurità, sia per il mondo che per la Chiesa. Ma le vicende semi-apocalittiche che sconvolsero la cristianità del XX secolo, fecero di lui, al contrario, un esempio e un monito, un “ribelle” e un profeta, un anticipatore e un modello di benedettino compiuto e realizzato. Entrato nell’abbazia di Madiran nel 1950, emise i voti definitivi nel 1954 e fu ordinato sacerdote nel 1957. Nel 1965 si chiuse il Vaticano II e iniziò, col post-Concilio, quella «battaglia nella notte» (Benedetto XVI) che vide un trionfo generalizzato della “teologia moderna”. In pochi lustri (1965-1985) i religiosi che abbandonarono abito, chiostro e voti furono migliaia, lasciando la Chiesa nel dolore e nella costernazione: monasteri chiusi e venduti, scuole gestite da religiosi offerte allo Stato, statue, arredi sacri e perfino reliquie fatti a pezzi con un furore che ricordò quello dell’antica iconoclastia orientale, rinnovata poi da calvinisti e ugonotti.
Nel 1970 il giovane sacerdote decide di fare «l’esperienza della solitudine e della Tradizione» e si mette a vivere – subito seguito da vari giovani entusiasti – in un priorato semi-abbandonato a Bédoin, nel sud della Francia. La vita quotidiana fu stabilita secondo i canoni benedettini tradizionali, fissati dalla Regola scritta dal Patriarca del monachesimo occidentale, ovvero proprio secondo quei modi che per i novatori dovevano essere aboliti per sempre. In pochi anni (1970-1980) il monastero fiorì di vocazioni e attirò un interesse non solo francese, ma europeo se non mondiale, con l’adesione, per esempio, di centinaia di oblati secolari da ogni parte del continente: gli stessi laici che vivono nel mondo, infatti, non vogliono trovare “mondo” anche nei conventi, ma reclamano sacralità, slancio e identità. Seguì ben presto la costruzione della splendida Abbazia del Barroux (1988-2000), e quindi l’erezione canonica della stessa (1989), precedentemente resa impossibile per l’opposizione delle autorità dell’Ordine.
Quando nel 2004, in seguito alla rinuncia di dom Gérard, il nuovo abate dom Louis-Marie ricevette la Benedizione abbaziale dal cardinal Medina, quest’ultimo dichiarò che a Le Barroux, per merito di dom Gérard, era sorta un’abbazia che vive «con grande fedeltà la Regola di san Benedetto» e questo elogio implica secondo noi, un apprezzamento ex post, da parte di Roma, anche delle scelte extra-canoniche che dovette fare dom Gérard per creare qualcosa di grande e di solido da solo, piuttosto che distruggere quanto già esisteva assieme a molti altri.
Il nostro augurio è che le pagine di dom Gérard dedicate alla liturgia, ora tradotte, siano studiate e assimilate dagli ambienti monastici d’Italia, che con Norcia, Subiaco, Farfa e Montecassino resta un po’ il cuore del monachesimo benedettino, oggi però appannato da una crisi di identità, da uno svuotamento del simbolismo sacro e da una grave carenza di radicamento nell’universo culturale e liturgico della tradizione.

(Fonte: Corrispondenza Romana, 15 giugno 2011)


Zapatero accelera i tempi per il varo di nuove leggi anticristiane

Il governo socialista di Zapatero è intenzionato a porre il sigillo conclusivo all’opera di demolizione del bene comune portata avanti con straordinaria determinazione da quando è al potere nella penisola iberica: oltre ad aver trasformato il delitto in un diritto con il varo di una nuova legge sull’aborto estremamente permissiva, e ad aver spianato la strada ai matrimoni tra omosessuali e lesbiche e alle adozioni di bambini da parte delle coppie gay, sostituendo alle definizioni classiche di “marito”e “moglie”, e di “madre”e “padre” quelle di “coniugi” e “progenitori”, il premier socialista mira ad accelerare i tempi (visto che il suo mandato sta per scadere) per l’approvazione del progetto di “Legge per l’Uguaglianza e la Non Discriminazione”.
La nuova legge ha come obiettivo di «prevenire e sradicare qualsiasi motivo di discriminazione e proteggere le vittime, cercando di coniugare la prevenzione con la repressione, ed estendere la tutela contro la discriminazione per ogni motivo e in tutti gli ambiti». Le pene previste nei confronti di chi infrange la norma sono molto severe e prevedono addirittura l’abolizione del principio legale della presunzione d’innocenza; in altri termini, sarà l’accusato che avrà l’onere di provare la propria innocenza e non il contrario. Viene istituito un nuovo organismo, chiamato “Autorità per l’uguaglianza del trattamento e la non discriminazione”, che ha come compito quello di sostenere i discriminati, ricercare l’esistenza di eventuali situazioni di discriminazione, esercitare delle azioni giudiziarie, sollecitare l’intervento delle Pubbliche Amministrazioni e vigilare sull’attuazione della norma. Inoltre, anche i cittadini dovranno «prestare la necessaria collaborazione con le autorità, portando ogni tipo di informazione e di dati, perfino dati di persone senza il loro consenso» (“La Bussola Quotidiana”, 15 giugno 2011).
Nell’accezione corrente la parola discriminazione ha assunto un significato negativo ma in realtà essa è l’asse portante del convivere, la forma necessaria e ineludibile del mantenimento dell’ordine sociale. Sulla base del principio della giusta discriminazione la persona che delinque, ad esempio, viene legittimamente punita e privata della libertà; l’insano di mente escluso da determinate occupazioni perché inadatto a svolgerle, così come la persona avente un determinato handicap fisico.
In altri termini, discriminare vuol dire distinguere, separare in modo tale da formare una società ordinata e ben funzionante. Il vero spartiacque che determina, a livello sociale, una giusta o ingiusta discriminazione è il diritto naturale; infatti, una società che non ha il diritto naturale come riferimento etico e morale rischia di scivolare in una strisciante forma di dittatura in cui l’apparato normativo e culturale non riflette i valori immutabili di origine divina, ma la volontà di determinati gruppi o lobby di potere di orientare le masse nel senso da esse desiderato.
Cosicché, nel caso della legalizzazione dell’aborto volontario, al posto della (giusta) discriminazione nei confronti della donna che intendeva disfarsi del bambino, ne è subentrata un’altra ben più grave della precedente, ossia quella (ingiusta) verso l’innocente. Dunque, il vero obiettivo del governo socialista di Zapatero non è tutelare le minoranze considerate più deboli ma usarle come grimaldelli, facendo leva sul falso principio della non discriminazione, utili a scardinare l’ordine naturale e favorire la dittatura delle ideologie antiumane (omosessualismo, femminismo, ateismo ecc.), giungendo infine a discriminare e perseguitare chi ad esse si oppone. D’altronde, il mito della non discriminazione nasce dalle rovine di una società relativista e nichilista che non discerne più il bene dal male, il giusto dall’ingiusto, il vero dal falso ma pone il suo fondamento nelle sabbie mobili del consenso e del politicamente corretto, orchestrato e diretto dalle forze anticristiane.

(Fonte: Alfredo De Matteo, Corrispondenza Romana, 15 giugno 2011)


mercoledì 15 giugno 2011

Una spiritualità più autentica per contrastare la dilagante crisi della chiesa

In questi tempi sta diventando sempre più difficile parlare di Chiesa Cattolica, avanzare proposte per il rilancio dell'arte e dell'architettura sacra, sensibilizzare i fedeli e il clero al recupero di una spiritualità più autentica, ossia specchio della tradizione da cui è scaturita nei secoli, e non frutto di speculazioni intellettuali ed ideologiche recenti. E le ragioni di questa difficoltà sono molteplici. Cercherò di riassumerle in pochi chiari concetti:
1. L'indifferenza delle gerarchie: tolti pochi cardinali e vescovi altamente sensibili al problema, rispettosi delle indicazioni e delle esortazioni chiare del Santo Padre, il resto del collegio cardinalizio e dei vescovi sembra disinteressarsi agli aspetti per così dire "formali" del culto cattolico. Al contrario il primario interesse di molti sembra essere legato a una stanca iterazione di ruoli istituzionali: si fanno conferenze, si parla molto di Giovanni Paolo II, si visitano parrocchie, si parla anche a sproposito, si assiste a inaugurazioni, etc. Molti, con ruoli istituzionali, sembrano non accorgersi che la Chiesa è immersa in una delle crisi più gravi dalla sua fondazione. Questa inazione clericale, sommata alla sordità delle gerarchie vaticane nei riguardi delle indicazioni di Papa Benedetto, agli opportunismi e alle manovre politico-mediatiche, dà l'idea di un gruppo di potere che vive immerso in una realtà parallela. Quando si sveglieranno da questo sonno letargico sarà troppo tardi.
2. La dissoluzione lenta del cattolicesimo nell'azione sociale: possiamo ripetere quanto vogliamo che i valori alla base della nostra società sono cristiani, che i fondamenti della nostra morale sono nel cristianesimo, che le radici culturali della nostra Europa sono cristiane. La realtà però è ben diversa. E' una realtà nella quale la Chiesa è sempre più marginalizzata, costretta ad arretrare e a trasformarsi in patina sottile, in leggero velo con cui coprire la nostra crescente insensibilità religiosa. Le chiese sono sempre più vuote, e anche quando sono piene il pieno non copre il vuoto: vuoto di formazione, di catechesi, di consapevolezza cristiana, vuoto di autentica moralità cattolica etc. Il culto in sé è diventato per molti mera ripetizione di formule, per carità, in lingua volgare, apparentemente comprensibili e segno di partecipazione. Ma pur sempre formule che a stento il 10% dei cattolici praticanti è in grado di spiegare rimanendo fedeli al catechismo. E in questo contesto di fede apparente, di fede marginale, ossia ancorata solo alla soglia del dolore, della morte, della malattia (si ricorre alla fede laddove il mondo non può fornire sedativi o eccitanti) i sacerdoti annaspano e cercano ogni giorno di inventarsi qualcosa di nuovo: eventi, incontri, rituali partecipativi, convinti che una fede antica, nuda, presa nella sua natura severa e scabra, non persuada più nessuno. E allora si sbizzarriscono e faticano duramente e alle volte sono sul punto di arrendersi. Tutto ciò dipende dalla lenta sostituzione del Cristianesimo col mondo, della spiritualità col materialismo, della fede con la dialettica mondana. E la Chiesa stessa è responsabile di questo repentino passaggio dal soprannaturale al contingente.
3. L'immoralità di preti e religiosi: convincere dei parrocchiani di un prete gay o pedofilo o drogato che le sue messe, celebrate ipocritamente per anni, fossero valide e che ci si possa ancora fidare della Chiesa credo sia arduo se non impossibile. Ci vuole molta fede da parte loro. E in questo caso non servono i “mea culpa” da parte della Chiesa, serve azione: basterebbe buttar fuori a pedate da tutti i seminari e case religiose le legioni di seminaristi e studenti omosessuali e apertamente effeminati. Basterebbe censurare tutti quei vescovi che proteggono o hanno protetto questo o quel prete gay, quelli che hanno protetto questo o quel prete pedofilo. Basterebbe defenestrare dal Vaticano i gay conclamati che hanno raggiunto posizioni di riguardo e che all'interno delle mura leonine sono a tutti noti per le loro attenzioni nei confronti dei maschi. Insomma, basterebbe un po' di coerenza. Quella stessa coerenza che viene ampiamente richiesta ai laici, dovrebbero essere i sacerdoti, i Vescovi e i Cardinali a metterla in pratica nella loro azione quotidiana, senza considerarsi né una casta di eletti, né i protettori messianici di una organizzazione paramafiosa, ma operando con verità e carità: carità prima di tutto nei confronti dei più deboli ossia dei bambini e dei fedeli, verità poi nei riguardi di se stessi, visto che operano non semplicemente in prima persona, ma nel ruolo di continuatori della fondazione soprannaturale di Cristo.
Ma l'immoralità dei religiosi va ben oltre i confini dello spregiudicato cortile della sessualità, avanza nelle stanze dell'avidità e dei traffici economici, in quella della vanità e della presunzione, della spregiudicatezza e dell'indifferenza.
Alla luce di queste tre criticità l'azione dei laici di buona volontà, dei laici impegnati e preparati, non appiattiti sulle posizioni ideologiche di un clero decadente, ma animati da una semplice e accorata consapevolezza dell'attuale crisi della Chiesa, sembra comunque trasformarsi in una sorta di lotta donchisciottesca contro i mulini a vento, una avventura senza scopo e senza frutto.
Questo però non vuol dire che dobbiamo necessariamente arenarci dinanzi all'evidenza. Piuttosto il nostro impegno deve essere trasversale e anticonvenzionale: sostenere i buoni sacerdoti e aiutarli ad essere esempio per le comunità cristiane, agevolare la diffusione della spiritualità che promana dalla liturgia, catechizzare chi ci è vicino, indurlo alla riflessione sulle domande ultime dell'uomo e presentargli la risposta cristiana non nel mero contesto della dialettica, ma in quello della mistica, nell'orizzonte altro dell'invisibile. Favorire un superamento delle ideologie criminali sessantottine così diffuse nel clero - anche fra giovani sacerdoti - e nel laicato "attivo e adulto", tutte scaturite dal Marxismo e dall'Hegelismo. Questi compiti sono complessi, ardui, richiedono testimonianza quotidiana, poche parole e molti fatti, molta contemplazione, riflessione, e nessuna crociata ideologica "al contrario". Richiedono soprattutto la nostra coerenza e la coerenza dei sacerdoti legati alla tradizione della Chiesa, perché un nostro, un loro piccolo errore, può sempre mettere in difficoltà il lavoro di tutti. È un lavoro che parte dal basso, che deve necessariamente ignorare una sorda gerarchia che vive nell’utopia.

(Liberamente tratto da: Francesco Colafemmina, Fides et forma, 31 maggio 2011)

  

Quella pesante “assenza” nell’infinito della Hack

L’astrofisico Piero Benvenuti, docente presso l’Università di Padova, staff member dell’Agenzia Spaziale Europea, sub-commissario dell’Agenzia Spaziale Italiana (ASI), Direttore dell’Osservatorio IUE, già responsabile scientifico Europeo del progetto “Hubble” e Presidente dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), ha commentato l’ultima fatica dell’affaticata militante atea ed ex-scienziata Margherita Hack (89 anni).
«Con l’ultimo suo libro, “Il mio infinito”, Margherita Hack ci ripropone una storia dell’astronomia, da Talete ai giorni nostri, già apparsa in varie forme e sotto titoli diversi nei suoi molti volumetti divulgativi. La novità risiede in una serie di affermazioni, intercalate al testo storico-scientifico, volte soprattutto a dimostrare l’effetto di contrasto esercitato dalla Chiesa, o meglio dalle “caste sacerdotali” come l’autrice le chiama, nei confronti della libera ricerca scientifica. Infine, nell’ultimo capitolo “L’ipotesi di Dio”, la scienziata atea affronta il tema del rapporto attuale tra scienza e fede e offre la sua visione su Dio e sulla vita, riassumendo in forma sistematica le opinioni espresse a più riprese in interviste e interventi radiofonici e televisivi.
Lo stile, come sempre, è autorevole, fluido e accattivante e induce il lettore a recepire ogni affermazione come indiscutibilmente vera. Purtroppo così non è, e proprio in quella parte che dovrebbe essere di competenza professionale dell’astronoma più famosa d’Italia.
Per esempio, la soluzione “cosmologica” che la Hack offre del paradosso di Olbers (“perché il cielo notturno è buio?”), è fallace perché si limita ad attribuirla unicamente al tempo finito dell’evoluzione dell’universo (circa 14 miliardi di anni) e non ne menziona invece la vera causa, ovvero l’espansione dello spazio-tempo. Infatti, il cielo è sempre stato completamente luminoso, ma per effetto dell’espansione la sua luminosità si è via via spostata dalla luce visibile a lunghezze d’onda più lunghe ed oggi ci appare come radiazione di microonde, rilevabile solo dagli strumenti spaziali.
È curioso come l’autrice, che riporta nel suo libro le immagini del fondo cosmico a microonde e cita gli esperimenti spaziali che le hanno ottenute, non ne evidenzi la rilevanza in connessione con il famoso paradosso. Similmente, parlando di fisica quantistica, pasticcia un po’ con la formula del principio di indeterminazione e induce a credere che il vuoto quantico sia equivalente al nulla.
Dettagli? Pignoleria? Non credo: la buona divulgazione non dovrebbe mai travisare od oscurare i risultati consolidati della ricerca scientifica, soprattutto quando, come in questo caso, il lettore medio non è in grado di valutare criticamente la correttezza delle affermazioni. La professoressa triestina non è comunque nuova nell’inventare spiegazioni “pseudoscientifiche”: in una trasmissione televisiva recente affermava che per deviare dal suo corso un asteroide sarebbe stato sufficiente farlo “attrarre” da una grossa astronave! Forse anche le nozioni di meccanica celeste vanno riviste, oppure sarebbe sufficiente avere l’onestà di chiedere il parere di un collega veramente esperto della materia.
Passando alla parte dedicata al rapporto tra la ricerca scientifica e la religione, in essa emergono innanzitutto il materialismo assoluto dall’autrice (esiste solo la materia ed è eterna) e parallelamente risulta evidente come il suo proclamato ateismo sia piuttosto un anticlericalismo di stampo antico, che dipinge il Magistero della Chiesa cattolica affannosamente impegnato a mantenere il “potere”, terrorizzando i fedeli con lo spauracchio del fuoco eterno. È questo in fondo l’ostacolo principale ad un sereno dibattito con Margherita: l’immagine del Cristianesimo che si è radicata nella sua mente, poco ha a che fare con il pensiero dei Padri della Chiesa e con la teologia attuale.

L’esempio più lampante lo offre lei stessa nella penultima frase del libro: “Mi si permetta un’osservazione provocatoria: Dio dovrebbe essere contento che i suoi figli, fatti a sua immagine e somiglianza, si avvicinino sempre più ai segreti della sua Creazione.” La scienziata, evidentemente senza saperlo, sta parafrasando nella sua “provocazione” il pensiero di Tommaso d’Aquino ove, nella Summa contra Gentiles (Libro I, Cap. 7), dimostra l’impossibilità di ogni contrasto tra conoscenza razionale della realtà e conoscenza per fede, per la evidente verità teologica che il Creatore non può mai trarre in inganno i suoi figli.
Speriamo che l’aver inconsapevolmente citato il Doctor Angelicus non turbi il sonno alla scienziata atea: nessuno vuol negare che in epoche passate il limpido pensiero “scientifico” di Tommaso e del suo maestro Alberto Magno sia stato dimenticato o travisato (vedi il caso Galileo), ma oggi la situazione è diversa e la sua affermazione suona datata e dimostra come ci sia la necessità di riportare il confronto tra ateismo e scelta di fede ad un livello più informato e meno superficiale.
A onor del vero, nelle conclusioni, la Hack ammette che oggi la Chiesa non contrasta più la ricerca scientifica a-biologica e sembra ammettere che riguardo alla fede siamo di fronte ad una scelta personale in quanto “… tanto il credente che il non credente non possono dimostrare scientificamente l’esistenza o la non esistenza di Dio, si tratta in ambedue i casi di fede, di risposta a bisogni personali diversi”. Sembrerebbe un radicale cambiamento nel pensiero della Hack, se paragonato a quanto da lei espresso in molte interviste, anche recenti.
Dopo poche righe però l’ordine viene ristabilito: “Chi non accetta la fede, e quindi non accetta la mediazione col mistero della vita di nessuna casta, ritiene che credere in Dio sia un modo infantile di spiegare tutto ciò a cui la scienza non è in grado di dare risposte …”. Scelte di fede non equivalenti, quindi: la fede nella sola ragione, quest’ultima generata autonomamente dall’evoluzione della materia, è superiore all’infantile e retrograda credenza in Dio. Infatti – afferma l’autrice nella lapidaria frase che conclude il libro – “Non potranno mai esserci limiti alla conoscenza, perché non si potrà mai limitare la curiosità della mente. E solo quando riusciremo a creare esseri viventi potremo dire di aver capito veramente che cos’è la vita”.
Viene spontaneo chiedere a Margherita: quando saremo riusciti nell’intento, quell’esserino che avremo “creato” (o meglio “assemblato”), sarà in grado di amare? Saprà sorridere e piangere chiedendo conforto? Sarà in grado di decidere autonomamente ciò che è bene e ciò che è male, in maniera imprevedibile rispetto al software che gli è stato bootstrappato nel cervello dal suo assemblatore?
Questa tua frase, Margherita, fa risaltare una “assenza” che si percepisce via via leggendo il tuo libro ed esplode tristemente nel finale: nel “tuo infinito” non c’è spazio per l’amore. Eppure l’amore tu lo conosci e lo riconosci: ami le tue stelle e l’universo, ami con profondità discreta la tua famiglia, ami i tuoi libri, trasferisci con amore e generosità ciò che sai al tuo pubblico (ti ho visto ripetere una conferenza per due volte di seguito perché la sala non riusciva a contenere tutti i convenuti), ami i tuoi gatti e la natura tutta e riconosci il valore etico dell’essenza dell’annuncio cristiano “ama il prossimo tuo come te stesso”.Se tu avessi il coraggio di sollevare il lembo del velo d’amore che ci (e ti) ricopre, scopriresti che il Dio di cui neghi l’esistenza non è affatto il vecchio severo che attende impassibile in cielo di premiare i buoni e castigare i cattivi: è molto più vicino, qui ed ora».

(Fonte: Piero Benvenuti, Il sussidiario.net, 25 maggio 2011)


«L'Omofobia? Una grande bufala». Parola di ex gay militante

Cinquecentomila persone per le strade, 41 linee del trasporto pubblico deviate, entusiasmo crescente, confusione ed esibizionismo imperanti. È questo l’EuroPride 2011, che è andato in scena nelle strade della capitale, e che ha vissuto il suo culmine con una Lady Gaga (pagata da chi?), invitata nientepopodimeno che dall’ambasciatore statunitense, scatenata sulle note di «Born this way», inno alla naturalità della diversità (tanto perché sono "discriminati!".
La manifestazione dell’orgoglio omosessuale, si legge nello statuto politico, sottolinea che «Essere orgogliosi significa scegliere a testa alta i propri percorsi di vita con consapevolezza e libertà, nel riconoscimento del medesimo spazio di libertà di qualunque altra persona». Ma questa definizione non convince, soprattutto chi l’ha frequentata per 20 anni, come Luca di Tolve. Quarantenne, sposato con Teresa, oggi Di Tolve gestisce il gruppo Lot, un gruppo cattolico che promuove incontri di preghiera per persone che rifiutano il proprio orientamento omosessuale e offre supporto a chi porta dentro di sé ferite e dipendenze a livello emotivo. Nel suo libro «Ero gay. A Medjugorje ho ritrovato me stesso», edito da Piemme, ha raccontato la sua storia e la sua esperienza vissuta all'interno dell'Arcigay, storica associazione che, si legge nel suo statuto «si propone di promuovere e tutelare il diritto all’uguaglianza tra ogni persona sia essa gay, bisessuale, lesbica, transessuale o eterosessuale».
D. Di Tolve, che cosa è Europride ?
R. «Una manifestazione egocentrica, una pura ostentazione, una giornata di folle divertimento. Tutto quello che si fa normalmente nei punti di ritrovo la notte, viene riproposto nelle strade di giorno. Non è, come si vuol far credere, una battaglia sociale, ma solo un mettersi in mostra attorno all’unico elemento di coesione: il sesso. Per capirlo basta accedere al sito di arcigay.it, si trova una serie di locali, sparsi in tutta Italia, con la denominazione cruising, ovvero ricerca e offerta di sesso casuale, anonimo e vario. Nessuna associazione che promuove diritti si sognerebbe mai di organizzare un maxi festino per le strade, tranne i movimenti omosessualisti. Il loro unico scopo è sdoganare un modello di pensiero, negando tutti quelli che lo contraddicono».
D. In che senso?
R. «Non prendono nemmeno in considerazione l’ipotesi che una persona in un dato momento abbia un problema con la proprie identità sessuale, danno per scontato che la strada sia quella dell’omosessualità, e su quella indirizzano tutti, soprattutto i più giovani e i più fragili. Noi crediamo che l’essenza della persona non sia omosessuale, che ci possano essere delle tendenze, dei problemi psicologici, delle ferite, ma non se ne può parlare. Non si può dire nulla se non nel modo in cui Arcigay propone, perchè subito si è tacciati di omofobia. Ma lo spettro dell’omofobia è una grande, gigantesca bufala. Omofobia significa avere paura, io non ho paura dell’omosessualità e nemmeno degli omosessuali: lo sono stato per 20 anni! Questo è soltanto un tentativo di zittire chiunque si permetta di esprimere un’opinione diversa».
D. Qualcuno potrebbe obiettare che alcune persone non si riconoscono nella propria identità sessuale biologica...
R. «Conosco bene questo stato d’animo, per averlo provato. Porta con sè un carico di dolore, di rabbia, di sofferenza inimmaginabile. Di fronte a questa sensazione di freddo smarrimento viene naturale avvicinarsi al mondo gay, e poi ne si viene travolti. Noi vogliamo offrire un’alternativa, con il gruppo Lot vogliamo dare voce alle persone che non si sentono in sintonia con quello che provanno, andare incontro agli adolescenti che chiedono di capire cosa sta succedendo. Il percorso è lungo e complesso, ma bisogna essere chiari: siamo maschi o femmine. E la normalità è essere eterosessuali».
D. Quindi secondo Lei non ci sono diritti da tutelare per quanto riguarda gli omosessuali attraverso i GayPride?
R. «L’unico risultato di queste manifestazioni è il proliferare di locali dove si offre sesso. A me dispiace tantissimo perché so che i ragazzi più giovani ci credono davvero, e il loro entusiasmo viene alimentato di continuo, facendo loro credere che si cambierà il mondo, ma non è così e ai vertici lo sanno bene. E’ il sesso il motore del mondo gay, come in una sorta di cannibalismo ci si nutre di una cosa che non si ha. Ed è questo che personalmente ha fatto scattare in me un campanello d’allarme. Il sesso. Perché non esiste la fedeltà nel mondo gay, esiste la ricerca compulsiva di qualcosa che si vuole possedere, ma non la si ottiene perché ci si ostina a cercare nell’uguale a noi. Non esistono persone serene, o piene, nel mondo gay. Al contrario quando l’individuo scopre il mistero della complementarità, tutto acquista una luce diversa… ».
D. Quale è stata la molla che Le ha fatto pensare che qualcosa non andava nel mondo gay?
R. «Ad un certo punto, dopo anni di ricerca sfrenata, non solo non avevo trovato nulla, ma non avevo nemmeno capito bene cosa stavo cercando, e nemmeno se lo avrei trovato mai. Esausto, mi sono fermato, ho staccato. Poi ho scoperto che c’erano altre possibilità: con grandissimo stupore e altrettanta sofferenza ho scoperto una cosa che nessuno, in 20 anni di Arcigay mi aveva mai detto, e cioè che potevo diventare eterosessuale. Perché non me lo avevano detto? Mi hanno rubato 20 anni di vita. Ho cominciato a leggere i libri di Nicolosi, psicoterapeuta americano, che da anni negli Stati Uniti si occupava di terapia riparativa. Non sono stato convinto da subito, ma ho voluto tentare anche quella strada. Ho capito che la mia vita era cambiata quando ho cominciato a percepire la profondità del mistero della complementarità, e ho sentito dentro di me un desiderio, che nessuno mi aveva detto che avrei potuto sentire: quello di essere padre. Fino ad allora nessuno mi aveva mai detto che avrei potuto generare una vita».

(Fonte: Raffaella Frullone, La Bussola Quotidiana, 10 giugno 2010)

  

domenica 5 giugno 2011

I politici cattolici? Latitano: urge una nuova generazione che si muova e viva con lo spirito del Vangelo

Non so se il segnale che hanno offerto le recentissime amministrative è stato compreso del tutto. Basta vedere le reazioni ai risultati elettorali, per rendersi conto che nessuno ha capito nulla. Che anche la sinistra cattolica canti vittoria, a questo punto, non può che farci nascere un dubbio: ci fanno o ci sono? I “vincitori” di queste elezioni sono infatti convinti di potersi ispirare ai principi chiave di una politica sullo stampo zapateriano, senza però accorgersi che siamo in Italia, e che in questi stessi giorni, nella stessa Spagna, quel tipo di politica è stato definitivamente liquidato.
Nell’attesa che se ne rendano personalmente conto, i cattolici “perdenti” che devono fare? Ricompattarsi tutti al centro, con Casini, Fini, Rutelli (e Montezemolo)? Non si arriverebbe a nulla: sia per la definitiva perdita di credibilità dei vari personaggi, che per aver dimostrato ormai senza possibilità di smentita la vera natura del “terzo polo”: una operazione di laboratorio, promossa dai poteri forti come alternativa al berlusconismo; una operazione che, come tutte quelle di carattere "azionista" che l’hanno preceduta, non potrà mai raccogliere il consenso popolare.
Bisogna pensare ad altro. È di questi giorni un incontro del Segretario della CEI, Mons. Mariano Crociata, con i parlamentari cattolici dei diversi schieramenti: già da qualche tempo si parla infatti della necessità, in Italia, di “una nuova generazione di politici cattolici”. Un discorso ampiamente condivisibile, anche se, almeno per il momento, si fa fatica a vedere in che modo si possa attuarlo.
Ci si chiede: La Chiesa possiede ancora le abilità educative (famiglia, parrocchia, scuola, università, associazioni, movimenti) necessarie per poter formare una nuova generazione di politici cattolici? Non credo che si possa accusare di disfattismo chi si permette di avanzare qualche dubbio in proposito.
Personalmente penso che, nella situazione in cui ci troviamo, non ci si possa fare illusioni su una ricomposizione immediata, come oggi si dice, del “tessuto sociale” in senso cristiano. Dopo secoli di smantellamento della “cristianità” (ché di questo si tratta: la crisi che stiamo vivendo non è, come molti credono, il risultato delle scelte avventate degli ultimi decenni, ma la conseguenza di premesse che affondano le radici lontano nel tempo), non si può pretendere di ricostruirla in quattro e quattr’otto. Al punto in cui siamo arrivati, sono convinto che non si possa più pensare di risolvere la situazione con interventi limitati, unicamente tesi a salvare il salvabile.
È assolutamente da evitare l’errore di pensare che l’unico problema sia da che parte stare, se a destra o a sinistra, o se non sia piuttosto necessario ricostituire un “grande centro”, in cui far confluire tutti i cattolici. Il problema, in realtà, è molto più profondo. Attualmente infatti noi ci troviamo di fronte non solo a una sinistra, ma anche a una destra e, ahimè, anche a un centro completamente secolarizzati.
Allora il vero problema è quello di rievangelizzare la politica. Occorre ricominciare da capo, come duemila anni fa: il cristiano è chiamato a permeare l’ordine delle realtà temporali con lo spirito evangelico. Su questo piano, sul piano della fede e dei valori morali, tutti i cattolici sono — devono essere — uniti. Devono cioè essere non cattolici di destra, di sinistra o di centro, non “cattolici liberali” o “cattolici democratici”, “cattocomunisti” o “clericofascisti”, ma semplicemente “cattolici”, “cattolici convinti” senza aggettivi di comodo: non dispersi tra le varie fazioni, ma compatti, uniti in uno schieramento politico autonomo, o quantomeno in uno che non sia a priori e pregiudizialmente contrario ai principi fondamentali e non negoziabili della nostra fede. Penso che questa sia la strada da percorrere per ricominciare tutto da zero.

(Rielaborato da: P. Scalise, Parliamo un po’ di politica, Senza peli sulla lingua, 31 maggio 2011)