lunedì 11 settembre 2017

La profanazione dell’Eucaristia è già cominciata: una realtà nella Diocesi di Torino!

Mi dispiace se i miei interventi sono sempre portatori di cattive notizie. Ma è giusto rendere noto a tutti i lettori la continua demolizione che “Omissis” cerca di compiere nei confronti della Chiesa Cattolica.
Abbiamo parlato in diversi spifferi che vi è una commissione riservata che sta preparando testi “ad experimentum” per “messe ecumeniche”.
La strategia di “Omissis & Co.” non si ferma qui. Infatti è sua abitudine far sembrare che le cose arrivino senza alcuna imposizione dall’alto. E che le iniziative partano dal “basso”. In realtà sotto il suo ossessivo controllo (da buon dittatore).
Ebbene. L’esperienza della “messa ecumenica” è già partita. Dalla diocesi di Torino. Dal fatidico gruppo ecumenico “spezzare il pane”, capitanato -udite udite- dal sacerdote cattolico don Fredo Oliviero (ilbenevincera.wordpress.com/tag/chi-e-don-fredo-olivero/), che gode dell’appoggio grandissimo del suo vescovo, Mons. Cesare Nosiglia, (forse perché è un prete pro migranti sempre, comunque e dovunque) torino.repubblica.it/…/1820120). Vi suggerisco di leggere gli articoli che sto linkando.
Questo gruppo ecumenico -“spezzare il pane”-, fondato da don Fredo qualche tempo fa, sta ormai iniziando a celebrare “ecumenicamente” la Messa insieme ai valdesi, ortodossi, anglicani e luterani. Leggete qui (www.lavocedeltempo.it/…/Unita-nella-div…).
In poche parole questa gente ha escogitato una sorta di “ospitalità eucaristica”, dove una volta dall’uno e una volta dall’altro si celebra tutti insieme “alla stessa mensa”, facendo tutti la “comunione” (cattolici, protestanti, valdesi ecc…) e dando così il via alla famosa “messa ecumenica” voluta intensamente da “Omissis”.
Vi cito solo alcune frasi dell’articolo citato : “Non viene richiesto, per vivere insieme quest’evento, l’adesione ad un ‘pensiero unico’ sull’eucarestia, ma piuttosto il rispetto di tutti per il pensiero di ognuno; del resto – come anche Paolo Ricca ha osservato nel suo ‘L’ultima cena, anzi la prima’ – se né Gesù, né Paolo hanno spiegato il ‘come’ di questa presenza, perché allora dobbiamo farlo noi?”.
“E’ ormai consuetudine che, una volta al mese, il gruppo si incontri in un chiesa cattolica, luterana, valdese o battista per condividere l’eucarestia, partecipando al culto o alla messa – officiati secondo la liturgia della chiesa ospitante – e collaborando con ruoli diversi alla celebrazione. Distribuzione della comunione, letture e commento della Parola divengono così altrettante occasioni di condivisione ecumenica, ricollocando in primo piano la propria identità di cristiani rispetto a quella di appartenenza ad una specifica chiesa. All’accoglienza eucaristica hanno così aderito, in misura crescente, diversi luoghi di culto, qualche comunità e qualche realtà parrocchiale, e questa pratica va ora diffondendosi anche in altre città” (don Fredo Olivero).
“Anche il dogma della transustanziazione, introdotto dal Concilio di Trento in un clima segnato dalla Controriforma, e che ha a lungo diviso i cattolici dagli altri cristiani, è oggi letto da molti teologi cattolici (Alberto Maggi e Carlo Molari in Rocca n.9/2017, e molti altri) come transignificazione delle specie e commemorazione nel rito, con ‘distinguo’ che è sempre più difficile riconoscere rispetto alle letture evangeliche; la presenza ‘reale’ infatti non è più intesa come ‘materiale’, ma come ‘presenza reale spirituale”.
La cosa raccapricciante è che questa farsa sia partita in seno al cattolicesimo.
La mia fonte mi ha segnalato che questo gruppo e queste iniziative sono strettamente raccomandate da “Omissis”.
Come mai altrimenti l’Arcivescovo di Torino non ha preso provvedimenti contro queste iniziative? Anzi, vengono incentivate? Come mai invece i provvedimenti vengono presi solo per sacerdoti e vescovi che vogliono restare fedeli alla Dottrina della Chiesa?
Ormai l’iter della “messa ecumenica” è iniziata. A livello pratico. E si comincia anche a farne pubblicità (riforma.it/…/fare-rete-saper…).
A breve usciranno anche le “linee guida” liturgiche ufficiali per queste farse. E il dado è tratto. Tra qualche tempo chi non si adegua sarà emarginato. Come è solito fare Omissis.
La situazione è gravissima. Siamo dentro l’eresia più totale. Siamo dentro la profanazione dell’Eucaristia, della negazione del Sacramento.
Tutto ciò è il segno del tempo dell’anticristo: l’abolizione del “Santo Sacrificio”.
E se qualcuno aveva dubbi che avessero intenzione di varare una “nuova messa”, ora i signori sono serviti.

(Fonte: Fra Cristoforo, Anonimi della croce, 9 settembre 2017)



martedì 5 settembre 2017

Liturgia al centro. I progressisti ora sono conservatori

Ancora una volta la questione liturgica è tornata al centro dell’attenzione della vita della Chiesa e non solo, visto che anche numerosi mezzi di informazione ‘laici’ ne hanno dato un certo risalto: alcuni giorni fa papa Francesco ha rivolto un discorso denso e articolato ad un importante organismo (il CAL) che si occupa di liturgia e che compie settant’anni di vita; quasi in contemporanea è uscita l’intervista che il cardinal Sarah, prefetto del dicastero per il Culto Divino, ha rilasciato ad una rivista cattolica francese (la Nef). Pur tenendo presente che si tratta di due interventi di tenore diverso per destinatari e per contesto, sarebbe comunque difficile negare che vi sia tra essi una difficoltà di sintonia. Infatti mentre il cardinale Prefetto rilancia ancora una volta, e nonostante le ripetute opposizioni ad essa, l’idea di un possibile intervento correttivo sulla ‘riforma’ liturgica in corso da cinquant’anni, il Papa dichiara questa stessa riforma irreversibile, aggettivo che a questo punto pare sinonimo di irreformabile.
Dunque, dicevamo, la questione liturgica è di nuovo al centro. E lo è in una forma sorprendente: il fronte progressista, che sta dietro a questo discorso di papa Francesco e agli altri suoi interventi in materia, è ora paradossalmente arroccato in una posizione conservatrice per cui la riforma liturgica postconciliare non si può toccare; il fronte conservatore invece sostiene, pur con mille distinguo, l’esigenza di interventi correttivi sulla scorta della ‘riforma della riforma’ ratzingeriana o, per meglio dire, della ‘riconciliazione liturgica’ di cui parla il cardinal Sarah. Inutile dire che le forze in campo sono assolutamente sproporzionate e che il destino della tesi riformistica è, nello stato attuale, già segnato. Non di meno la questione è di importanza capitale e merita qualche riflessione.
Anzitutto resistiamo alla tentazione di pensare che si tratti di problemi di lana caprina, di ‘roba da preti e che se la vedano loro’. La liturgia è sempre espressione di una visione della fede, del cristianesimo, della Chiesa; e mentre la esprime ne è anche il veicolo: cinquant’anni fa la Chiesa (nel senso dell’autorità ecclesiastica) ha cambiato la messa, e in questi cinquant’anni la (nuova) messa ha cambiato la Chiesa (nel senso della comunità dei fedeli e della loro mentalità). D'altronde gli stessi operatori della riforma liturgica postconciliare hanno motivato l’esigenza del cambiamento del rito e coerentemente hanno proibito con forza per decenni la forma liturgica tradizionale, poiché – sostenevano – solo il nuovo rito era pienamente adeguato ad esprimere il rinnovamento della visione teologica ed ecclesiologica di cui erano portatori i documenti conciliari. Dunque non si tratta di dettagli. Non possiamo non citare ancora una volta le parole, più attuali che mai, dell’allora cardinale Ratzinger: “Sono convinto che la crisi ecclesiale in cui oggi ci troviamo dipende in gran parte dal crollo della liturgia” (La mia vita, Ed. San Paolo 1997, pag. 113).
Detto questo, occorre quindi valutare con attenzione la forma liturgica in corso e la congruenza di una sua presupposta irreversibilità. Riguardo a questo, infatti, non si possono evitare alcune osservazioni.
Per prima cosa, già stando alla semplice cronologia, c’è un problema di logica: pare strano infatti che si dichiari intoccabile una storia liturgica che ha cinquant’anni, mentre i suoi fautori cinquant’anni fa non si sono fatti problema a mettere le mani su una storia liturgica che di anni ne aveva mille e cinquecento! Infatti è vero che il messale in uso fino alla riforma postconciliare è stato codificato da san Pio V (XVI secolo), ma l’ordo, cioè la struttura e i testi, della messa tradizionale risale a san Gregorio Magno (VI secolo) tanto che essa può a giusto titolo essere chiamata anche messa gregoriana.
In secondo luogo c’è un altro problema di coerenza. Stiamo vivendo un momento di attuati o previsti mutamenti non della forma ma addirittura del contenuto della messa e dei sacramenti: in seguito ai due sinodi sulla famiglia è ampiamente mutata la prassi circa la ricezione dei sacramenti della confessione e della comunione ai divorziati risposati e ai conviventi; riguardo al sacramento dell’ordine è ufficialmente al lavoro ai più alti livelli una commissione che studia la possibilità del diaconato femminile e contemporaneamente la Civiltà cattolica, organo sempre più quasi ufficiale della santa Sede, lascia intendere che l’esclusione delle donne dal presbiterato non sia poi così definitiva come sembrava ai tempi di Giovanni paolo II; quanto poi al battesimo, è da un pezzo che il suo valore è stato relativizzato, visto che ben pochi lo considerano ancora davvero necessario alla salvezza eterna; infine veniamo alla messa: è noto, anche se non ufficialmente confermato, che a Roma si stia lavorando per produrre un rito che consenta a cattolici e protestanti di mettersi intorno allo stesso altare; come si intenda realizzare questo non è dato saperlo, ma visto che i protestanti hanno una dottrina opposta circa l’essenza stessa della messa, cioè circa il sacrificio, il sacramento e il sacerdozio, i mutamenti richiesti da una presunta ‘concelebrazione’ non saranno quisquiglie… E dunque con tutto questo in ballo, mentre si stanno compiendo o almeno preparando epocali cambiamenti di contenuti dottrinali bimillenari, contemporaneamente si proclama l’intangibilità delle forme rituali codificate pochi decenni fa?
Alla luce di tutto questo la barriera messa in atto in questo momento dall’Autorità ecclesiastica e dai corifei della conservazione dello status quo contro qualunque ipotesi di correzione della riforma liturgica postconciliare è più che comprensibile: l’idea di ‘riforma della riforma’ o di ‘riconciliazione’ tra le due forme liturgiche, quella preconciliare e quella postconciliare, porta con sé l’idea di un benefico reciproco influsso tra di esse (che Benedetto XVI auspicava nella promulgazione del Summorum Pontificum) e quindi di un riequilibrio rispetto alle spinte innovatrici che hanno estremizzato la riforma in ambito liturgico, ma anche, di conseguenza, in ambito teologico, morale, pastorale, ecc… Ora, è evidente che questo è incompatibile con la visione di coloro, e sono la maggioranza in alto e in basso, che ritengono che il problema sia invece non aver portato ancora a radicale compimento il cambiamento iniziato cinquant’anni fa.

(Fonte: Claudio Crescimanno, La NBQ, 5 settembre 2017)