Non passa giorno che sui
giornaloni laicisti non compaia qualche cattolico famoso che non annunci
l'inizio di una nuova Chiesa. Dichiarazioni superbe e irreali, un copione già
visto dopo il Concilio Vaticano II: il deserto delle Chiese occidentali
dovrebbe indurre a prudenza, come facevano le parole di don Barsotti e Paolo
VI. Una lettera al direttore.
Caro
direttore,
credo
alle riforme, non alle rivoluzioni. Le prime appartengono alla storia della
Chiesa, le seconde no. Le prime portano al bene, a rinnovare nella continuità,
a pulire le incrostrazioni; le seconde nascono da uno spirito ideologico e
utopico: si propongono non il rinnovamento ma la distruzione e la ricostruzione
totale e portano sempre con sé, inevitabilmente, violenza e intolleranza.
Per questo, come tanti, sono stupito di leggere ogni
giorno, da
parte di uomini di Chiesa o di laici cattolici famosi alla Melloni,
dichiarazioni del genere: Nasce la nuova Chiesa della tenerezza; La Chiesa ha
cambiato passo; Nulla sarà più come prima; C'è aria nuova nella Chiesa...
Queste dichiarazioni suonano irreali e superbe. Mentre si condanna il
trionfalismo curiale, mentre si predica la povertà, mentre si proclama la
modestia degli appartamenti e delle macchine (ottima cosa, benché da chiarire),
si fanno nel contempo proclami altisonanti, orgogliosi, stonati.
Ma forse non c'è nulla di nuovo. Cinquant'anni fa circa,
la Chiesa fu pervasa dall'idea che si stesse vivendo una "nuova
Pentecoste", una "nuova era", che si fosse trovata la ricetta
per convertire il mondo, convertendosi ad esso. Oggi, a rileggere quelle
dichiarazioni trionfalistiche, mentre si osservano le chiese, i seminari, i
conventi dell'Occidente sempre più vuoti, non si può fare a meno di dire: quanto
sono distanti, le dichiarazioni superbe dalla realtà!
Mentre penso queste cose, rileggo don Divo Barsotti, che è stato consioderato
l'ultimo mistico del Novecento, un uomo ascoltato e consultato dai papi.
Nel 1967 scriveva: «Senso di rivolta che mi agita e mi solleva fin
dal profondo contro la facile ubriacatura dei teologi acclamanti al Concilio.
Si trasferisce all’avvenimento la propria vittoria personale, una orgogliosa
soddisfazione che non ha nulla di evangelico. Tutto il cristiano deve compiere
in ‘trepidazione e timore’; al contrario qui il trionfalismo che si accusava
come stile della curia (cioè dei conservatori alla Ottaviani, ndr),
diviene l’unico carattere di ogni celebrazione, di ogni interpretazione
dell’avvenimento. Del resto io sono perplesso nei riguardi del Concilio, la
pletora dei documenti, la loro lunghezza, spesso il loro linguaggio, mi fanno
paura. Sono documenti che rendono testimonianza di una sicurezza tutta umana
più che di una fermezza semplice di fede. Ma soprattutto mi indigna il
comportamento dei teologi. Crederò a questi teologi quando li vedrò veramente
bruciati, consumati dallo zelo per la salvezza del mondo…Tutto il resto è
retorica… Solo i santi salvano la Chiesa. E i santi dove sono? Nessuno sembra
crederci più».
Potrebbero calzare, queste parole, per i teologi
alla moda che
si pavoneggiano sui grandi giornali, che trovano spazio ogni giorno sul Corriere
della Sera, Repubblica, la Stampa e sul Sole
24 ore (non proprio i posti adatti per esporre l'umiltà evangelica)?
Potrebbero calzare per le interminabili discussioni e dichiarazioni verbose,
logorroiche, dei Sinodi e dei convegni ecclesiali di oggi?
Sempre Barsotti, il 22 gennaio 1968 annotava: «Mi sento polemico, duro
e intollerante. Certi adattamenti non li capisco, certi rinnovamenti mi sembra
siano solo tradimenti. Non riesco a capire chi sia Dio per tanti teologi, per
tanti scrittori, per tanti preti e religiosi. Non riesco a credere che quello
che fanno, che quello che dicono, che quello che scrivono, derivi davvero da
una fede vissuta, da una vita religiosa profonda, dalla preghiera. Come potrei
accettare il loro discorso?».
Intorno a lui i teologi alla moda si pavoneggiavano
sui giornali, mutavano
la teologia, la liturgia, la pastorale, promettendo "magnifiche sorti e
progressive" per la Chiesa tutta, in primis per quella europea, tedesca,
francese, belga... cioè per le chiese che avevano riversato i loro fiumi nel
Tevere della tanto vituperata Città Eterna.
Dirà Paolo VI: «Si
credeva che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia
della Chiesa (il trionfalismo non cristiano di Barsotti, ndr). È
venuta, invece, una giornata di nuvole, di tempesta, di buio».
Ne trarranno una lezione, i trionfalisti? Si accorgeranno che
mentre le loro tesi trovano spazio sui media del potere, la fede cresce invece
in quelle terra, come l'Africa, i cui pastori vivono e parlano ben altra vita e
ben altra dottrina?
(Fonte:
Francesco Agnoli, La nuova bussola quotidiana, 25 novembre 2015)