domenica 31 agosto 2008
Vittorio Messori minacciato di morte perché difende un’abbazia
La prima notizia: Vittorio Messori, lo scrittore cattolico autore di bestseller venduti in tutto il mondo, l’intervistatore di due Papi, da un anno e mezzo è minacciato di morte. Lettere anonime, telefonate nel cuore della notte, «avvertimenti» sempre più espliciti, i vetri dell’auto mandati in frantumi più volte, con annesso biglietto per rendere chiaro il messaggio.La seconda notizia: dietro queste azioni di stampo mafioso - ne sono convinti gli inquirenti, che lo hanno invitato a non sottovalutare le minacce - non c’è la mano di qualche tardivo discepolo dei demolitori della storicità dei vangeli uscito di senno, che non ha perdonato a Messori le poderose e documentatissime opere apologetiche sul cristianesimo vendute come il pane ad anni di distanza dalla loro pubblicazione. C’è, invece qualche occulto comitato d’affari che non gli perdona di essersi impegnato per la salvaguardia dell’abbazia medievale di Maguzzano e dei terreni circostanti, nel Comune di Lonato. Un piccolo spicchio di verde, l’unico scampato dallo scempio della cementificazione, nel basso Garda.Lo scrittore cattolico, che condivide questa battaglia con altri concittadini, tra i quali il cantautore Roberto Vecchioni, non è mai stato un ambientalista o un ecologista e ha sempre rifuggito il «politicamente corretto». «Ma non posso sopportare - confida al Giornale - vedere prati, boschi e ruscelli trasformati in capannoni o in residenze conigliera per villeggianti che trascorrono qui due settimane all’anno. Come direbbe Talleyrand: è più che un crimine, è un errore. Perché il buon senso vuole che si preservi questo “capitale” proprio per il turismo».Messori si schermisce, non vorrebbe parlare delle minacce ricevute. «Non voglio fare l’eroe, ci ho riso sopra...», ma alla fine conferma: «Dopo essermi impegnato per far sì che i terreni che circondano l’abbazia e che costituivano l’antico Comune monastico di Maguzzano, non si trasformassero in aree da speculazione edilizia, in questa zona in cui il prezzo delle case è tra i più cari d’Italia, e dopo aver fornito al sovrintendente di Brescia una relazione storica basata sui documenti d’archivio, sono stato preso di mira. Mi sono esposto con interviste e dichiarazioni pubbliche, a nome del comitato che abbiamo formato per difendere Maguzzano. Così - spiega lo scrittore - hanno cominciato a scrivermi...».Tra le decine di lettere che inondano quotidianamente la sua cassetta postale, Messori ha ritrovato anche missive anonime, fatte ritagliando i titoli dei giornali. Prima l’invito a farsi i fatti suoi, a non interessarsi dei terreni di Maguzzano. Poi minacce sempre più pesanti, comprese quelle di morte. «Già due volte - aggiunge - hanno spaccato i vetri della mia macchina parcheggiata fuori dall’abbazia e, tanto perché fosse chiaro che non si trattava di una ragazzata né del solito tentativo di furto, mi hanno lasciato un biglietto dentro l’auto».Per mesi lo scrittore ha taciuto. Poi, quando ha informato il comitato a cui partecipa, la notizia è stata segnalata dal Giornale di Brescia. «La mattina stessa mi ha chiamato il questore, sono venuti qui gli uomini della Digos, mi hanno vivamente consigliato di far denuncia e soprattutto di non prendere sottogamba le minacce. È stata investita della cosa anche la Direzione antimafia». Sì, perché la situazione nel Garda agiscono mafie nostrane e d’importazione. E la trasformazione di terreni agricoli in edificabili ne farebbe schizzare il prezzo alle stelle. Messori prossimamente sotto scorta? «Per carità! Proprio di no. L’unica scorta alla quale sono abituato è quella dell’angelo custode». (Andrea Tornielli, Il Giornale 29 agosto 2008)
Cina: finita la tregua olimpica, arrestato vescovo mentre celebrava la Messa
L’illusione che la Cina fosse diventato un paese rispettoso dei diritti umani è durata soltanto il tempo delle Olimpiadi. Già domenica durante la loro conclusione, mentre Pechino salutava i suoi Giochi, a 260 chilometri dalla capitale veniva arrestato monsignor Giulio Jia Zhiguo, vescovo “sotterraneo” di Zhengding, nella provincia di Hebei. Il religioso non appartiene all’Associazione patriottica cattolica cinese (nota come Chiesa di Stato), che assegna le cariche per conto del Partito comunista, ma è membro della Chiesa cattolica clandestina, i cui vescovi e sacerdoti sono ordinati dal Vaticano.
La notizia risale a domenica, ma è stata diffusa soltanto ieri. Il messaggio è chiarissimo: passata la tregua olimpica niente è cambiato in materia di diritti umani e libertà religiosa. Questo vuol dire che i vescovi e i sacerdoti fedeli al Papa e non ai dirigenti cinesi verranno perseguitati come sempre.
Monsignor Zhiguo è stato arrestato alla presenza di alcuni fedeli mentre stava celebrando la Messa delle 10.00. Quattro poliziotti lo hanno portato via senza spiegazioni. «Dopo le Olimpiadi – ha rivelato un sacerdote ad Asianews, l’agenzia del Pontificio Istituto Missioni Estere – in Cina tutto ritorna come prima».
Da quando nel 1980 Roma lo ha ordinato vescovo sotterraneo, monsignor Giulio Jia Zhiguo è vittima di persecuzioni, detenzioni, sevizie fisiche e psicologiche. Le volte che è stato messo in prigione, con i poliziotti che gli fanno il lavaggio del cervello per “convertirlo” alla causa della Chiesa di Stato, sono ufficialmente undici. Nel 2005, anno in cui morì Giovanni Paolo II, è stato rapito tre volte dalle autorità cinesi – a gennaio, luglio e novembre – e portato in una località segreta. In tutto ha trascorso in carcere 15 anni della sua vita. Tra gli ultimi arresti quello di un anno fa, il 25 agosto del 2007, quando il vescovo venne fermato perché cercava di diffondere tra i suoi parrocchiani la Lettera ai fedeli cattolici cinesi che il Papa aveva scritto in giugno.
Pechino arrestando il vescovo di Zhengding ha voluto colpire la provincia con il maggior numero di cattolici. Si calcola che nell’Hebei siano un milione e mezzo, di cui 110.000 sotterranei. Per questo dal 2005, in questa regione, la persecuzione si è fatta ancora più dura, con arresti di vescovi, sacerdoti e fedeli.
In tutta la Cina si contano venti milioni di persone fedeli alla Chiesa di Roma. Il dato è in crescita, così come per quella clandestina, che oggi conta oltre dieci milioni di membri. (Simona Verrazzo, Libero, 26 agosto 2008)
La notizia risale a domenica, ma è stata diffusa soltanto ieri. Il messaggio è chiarissimo: passata la tregua olimpica niente è cambiato in materia di diritti umani e libertà religiosa. Questo vuol dire che i vescovi e i sacerdoti fedeli al Papa e non ai dirigenti cinesi verranno perseguitati come sempre.
Monsignor Zhiguo è stato arrestato alla presenza di alcuni fedeli mentre stava celebrando la Messa delle 10.00. Quattro poliziotti lo hanno portato via senza spiegazioni. «Dopo le Olimpiadi – ha rivelato un sacerdote ad Asianews, l’agenzia del Pontificio Istituto Missioni Estere – in Cina tutto ritorna come prima».
Da quando nel 1980 Roma lo ha ordinato vescovo sotterraneo, monsignor Giulio Jia Zhiguo è vittima di persecuzioni, detenzioni, sevizie fisiche e psicologiche. Le volte che è stato messo in prigione, con i poliziotti che gli fanno il lavaggio del cervello per “convertirlo” alla causa della Chiesa di Stato, sono ufficialmente undici. Nel 2005, anno in cui morì Giovanni Paolo II, è stato rapito tre volte dalle autorità cinesi – a gennaio, luglio e novembre – e portato in una località segreta. In tutto ha trascorso in carcere 15 anni della sua vita. Tra gli ultimi arresti quello di un anno fa, il 25 agosto del 2007, quando il vescovo venne fermato perché cercava di diffondere tra i suoi parrocchiani la Lettera ai fedeli cattolici cinesi che il Papa aveva scritto in giugno.
Pechino arrestando il vescovo di Zhengding ha voluto colpire la provincia con il maggior numero di cattolici. Si calcola che nell’Hebei siano un milione e mezzo, di cui 110.000 sotterranei. Per questo dal 2005, in questa regione, la persecuzione si è fatta ancora più dura, con arresti di vescovi, sacerdoti e fedeli.
In tutta la Cina si contano venti milioni di persone fedeli alla Chiesa di Roma. Il dato è in crescita, così come per quella clandestina, che oggi conta oltre dieci milioni di membri. (Simona Verrazzo, Libero, 26 agosto 2008)
Tra Cesare e Dio: Famiglia Cristiana sceglie Cesare
Rispondendo all’autopromozione della Rivista Paolina a depositaria e rappresentante presso i Media dell’autentico magistero di Roma, il 14 agosto 2008 la Sala Stampa della Santa Sede ha diffuso un comunicato, in cui si afferma che il noto settimanale "Famiglia cristiana", "non ha titolo per esprimere né la linea della Santa Sede né quella della Conferenza episcopale italiana". "Le sue posizioni - ha aggiunto il direttore Padre Lombardi - sono esclusivamente responsabilità della sua direzione". Quindi piena "autonomia di intervento nel dibattito politico generale", ma unicamente come espressione della personale linea editoriale adottata dalla rivista. E in quest'ottica vanno interpretate le recenti polemiche, visto che don Antonio Sciortino ha sciolto le vele, e dirige la sua corazzata "cattolica”, ora più che mai, contro tutte le flotte possibili e immaginabili, con siluri, armi proprie e improprie, colpendo a destra e a manca, a proposito ma più spesso a sproposito. E il tutto con la la disinvolta sicumera di chiaro stampo estremista, residuato bellico dei tempi bui. Quindi nulla a che vedere con il pensiero cattolico ufficiale.
A questo punto è legittimo chiedersi: perché fa così? Scrive il giornalista Fontana:
«Ho voluto toccare con mano i risvolti del caso e mi sono andato a rileggere tutti gli editoriali di Famiglia Cristiana di luglio e agosto. Non solo quello famoso sul “fascismo” incombente in Italia e che tanto ha fatto discutere, ma tutti. 6 luglio: accusa al governo di “razzismo strisciante” per le impronte ai rom; 20 luglio: critica al “lodo Alfano” che copre gli interessi personali di Berlusconi; 27 luglio: sì, il governo qualcosa ha fatto però le riforme non bastano, serve un cambio di coscienza; 3 agosto: troppi tagli alla spesa pubblica; 10 agosto: Berlusconi è nelle mani di Bossi; 17 agosto: no ai sindaci-sceriffo, preludio di autoritarismo.
Una serie programmata di interventi contro il governo: su questo non c’è dubbio. E’ un problema? Di per sé no: la critica è ammessa e addirittura auspicabile. La linea di un settimanale la decide il direttore e la confermano o meno i lettori, continuando a comperarlo o disertando le edicole. E’ bene, per la democrazia, che altri criteri non intervengano.
Però, nel caso di Famiglia Cristiana, ci sono due “però” che forse sarebbe bene venissero esaminati, finite le polemiche, anche dallo stesso staff della rivista dei Paolini.
Il primo riguarda la sua distribuzione nelle parrocchie. Non avviene più come un tempo, né con lo spirito di un tempo. Stefano Lorenzetto ha ricordato su “Il Giornale” di quando anche lui, da ragazzino, faceva il porta a porta per vendere Famiglia Cristiana, a sostegno della “buona stampa”. Anch’io ricordo bene quei tempi e le ragazze che, dopo messa, si prendevano il loro “pacco” di riviste. Ma non si trattava di sfruttamento per non risparmiare la quota degli edicolanti. Erano tempi fatti così: anche L’Unità veniva venduta, la domenica mattina, nelle osterie e nelle piazze, dai militanti della sezione locale del PCI. Ora le “zelatrici della buona stampa” non ci sono più, Famiglia Cristiana non è presente in tutte le chiese parrocchiali, ma in molte ancora sì, come per esempio nella mia. Ora questo non è più ammissibile. Famiglia Cristiana è libera di fare la politica editoriale che crede, compresa la pianificazione di editoriali contrari al governo in carica, ma proprio per questo non può aspirare ad essere presente nella parrocchie. Anzi, dovrebbe essere lo stesso Editore a rinunciare a questa forma di divulgazione. Avvenire ci sta anche nelle chiese, Famiglia Cristiana ormai no.
Il secondo “però” è più di sostanza. La Chiesa ha di mira l’uomo, non in astratto, ma l’uomo concreto. Lo dice anche la “Centesimus annus” di Giovanni Paolo II. Per questo la Chiesa è libera e non segue né le mode né le ideologie. L’amore per l’uomo concreto la spinge a vedere il bene e il male ovunque e non solo da una parte. Ci sono i rom sfruttati, ci sono i rom sfruttatori; ci sono i precari ingiustamente precari, ci sono i precari interessatamente precari; ci sono tagli alla spesa pubblica che indeboliscono i servizi e tagli che eliminano privilegi; ci sono i magistrati che fanno il loro dovere e quelli che prendono di mira il politico di turno. Proprio la concretezza dell’amore cristiano impone di lavorare non con schemi astratti, ma avendo davanti l’uomo concreto, tutto l’uomo e tutti gli uomini. Impone anche di distinguere tra quanto deve fare la Chiesa e quanto deve fare la politica. Nei confronti degli immigrati la Chiesa deve solo aiutarli e a Lampedusa o a Mazara del Vallo la Caritas non cesserà mai di creare centri di accoglienza. Ma questo non significa che la politica non debba regolare questi fenomeni nella tutela degli interessi di tutti. Le diocesi partecipino ai programmi di integrazione dei rom, magari con forze proprie più che con finanziamenti pubblici, come facevano santi alla Don Calabria ma questo non contrasta con il dovere dello stato di proteggere quegli stessi bambini rom dallo sfruttamento e i normali cittadini dai loro furti, nella libera e opinabile messa a punto delle strategie che si ritengono migliori, fatti salvi, naturalmente, i fondamentali diritti dell’uomo.
E’ questo che forse è venuto a mancare a Famiglia Cristiana, la sapienza dell’attenzione all’uomo concreto. Questo impoverisce la testata, la trasforma in rivista di parte e quindi meno libera nel giudizio. La espone anche alla tentazione di adoperare criteri di giudizio unilaterali e vetusti, slogan piuttosto triti e di fare da portabandiera di un cattolicesimo che in Italia è in ritirata, sostituito da un altro cattolicesimo che si sta abituando a “discernere”, come si dice in “pastoralese”, avendo a cuore gli uomini concreti. Tutti, sia peccatori che giusti. Anche i rom e i precari». (Stefano Fontana, L'Occidentale, 19 agosto 2008)
A questo punto è legittimo chiedersi: perché fa così? Scrive il giornalista Fontana:
«Ho voluto toccare con mano i risvolti del caso e mi sono andato a rileggere tutti gli editoriali di Famiglia Cristiana di luglio e agosto. Non solo quello famoso sul “fascismo” incombente in Italia e che tanto ha fatto discutere, ma tutti. 6 luglio: accusa al governo di “razzismo strisciante” per le impronte ai rom; 20 luglio: critica al “lodo Alfano” che copre gli interessi personali di Berlusconi; 27 luglio: sì, il governo qualcosa ha fatto però le riforme non bastano, serve un cambio di coscienza; 3 agosto: troppi tagli alla spesa pubblica; 10 agosto: Berlusconi è nelle mani di Bossi; 17 agosto: no ai sindaci-sceriffo, preludio di autoritarismo.
Una serie programmata di interventi contro il governo: su questo non c’è dubbio. E’ un problema? Di per sé no: la critica è ammessa e addirittura auspicabile. La linea di un settimanale la decide il direttore e la confermano o meno i lettori, continuando a comperarlo o disertando le edicole. E’ bene, per la democrazia, che altri criteri non intervengano.
Però, nel caso di Famiglia Cristiana, ci sono due “però” che forse sarebbe bene venissero esaminati, finite le polemiche, anche dallo stesso staff della rivista dei Paolini.
Il primo riguarda la sua distribuzione nelle parrocchie. Non avviene più come un tempo, né con lo spirito di un tempo. Stefano Lorenzetto ha ricordato su “Il Giornale” di quando anche lui, da ragazzino, faceva il porta a porta per vendere Famiglia Cristiana, a sostegno della “buona stampa”. Anch’io ricordo bene quei tempi e le ragazze che, dopo messa, si prendevano il loro “pacco” di riviste. Ma non si trattava di sfruttamento per non risparmiare la quota degli edicolanti. Erano tempi fatti così: anche L’Unità veniva venduta, la domenica mattina, nelle osterie e nelle piazze, dai militanti della sezione locale del PCI. Ora le “zelatrici della buona stampa” non ci sono più, Famiglia Cristiana non è presente in tutte le chiese parrocchiali, ma in molte ancora sì, come per esempio nella mia. Ora questo non è più ammissibile. Famiglia Cristiana è libera di fare la politica editoriale che crede, compresa la pianificazione di editoriali contrari al governo in carica, ma proprio per questo non può aspirare ad essere presente nella parrocchie. Anzi, dovrebbe essere lo stesso Editore a rinunciare a questa forma di divulgazione. Avvenire ci sta anche nelle chiese, Famiglia Cristiana ormai no.
Il secondo “però” è più di sostanza. La Chiesa ha di mira l’uomo, non in astratto, ma l’uomo concreto. Lo dice anche la “Centesimus annus” di Giovanni Paolo II. Per questo la Chiesa è libera e non segue né le mode né le ideologie. L’amore per l’uomo concreto la spinge a vedere il bene e il male ovunque e non solo da una parte. Ci sono i rom sfruttati, ci sono i rom sfruttatori; ci sono i precari ingiustamente precari, ci sono i precari interessatamente precari; ci sono tagli alla spesa pubblica che indeboliscono i servizi e tagli che eliminano privilegi; ci sono i magistrati che fanno il loro dovere e quelli che prendono di mira il politico di turno. Proprio la concretezza dell’amore cristiano impone di lavorare non con schemi astratti, ma avendo davanti l’uomo concreto, tutto l’uomo e tutti gli uomini. Impone anche di distinguere tra quanto deve fare la Chiesa e quanto deve fare la politica. Nei confronti degli immigrati la Chiesa deve solo aiutarli e a Lampedusa o a Mazara del Vallo la Caritas non cesserà mai di creare centri di accoglienza. Ma questo non significa che la politica non debba regolare questi fenomeni nella tutela degli interessi di tutti. Le diocesi partecipino ai programmi di integrazione dei rom, magari con forze proprie più che con finanziamenti pubblici, come facevano santi alla Don Calabria ma questo non contrasta con il dovere dello stato di proteggere quegli stessi bambini rom dallo sfruttamento e i normali cittadini dai loro furti, nella libera e opinabile messa a punto delle strategie che si ritengono migliori, fatti salvi, naturalmente, i fondamentali diritti dell’uomo.
E’ questo che forse è venuto a mancare a Famiglia Cristiana, la sapienza dell’attenzione all’uomo concreto. Questo impoverisce la testata, la trasforma in rivista di parte e quindi meno libera nel giudizio. La espone anche alla tentazione di adoperare criteri di giudizio unilaterali e vetusti, slogan piuttosto triti e di fare da portabandiera di un cattolicesimo che in Italia è in ritirata, sostituito da un altro cattolicesimo che si sta abituando a “discernere”, come si dice in “pastoralese”, avendo a cuore gli uomini concreti. Tutti, sia peccatori che giusti. Anche i rom e i precari». (Stefano Fontana, L'Occidentale, 19 agosto 2008)
Mons. Fisichella e il caso Eluana: al primo posto il valore supremo della vita
Quando si legifera sulla vita, c’è sempre «un grande timore, che deriva dal non sapere con esattezza cosa il legislatore porrà all’interno della legge». Per monsignor Rino Fisichella, bisogna capire «cosa significhi e di quali contenuti viene riempita» un’iniziativa legislativa su simili questioni. E i contenuti, ribadisce il presidente della Pontificia Accademia per la vita, non possono andare contro la vita stessa. Lo dicono la Costituzione, «la natura dell’ordinamento giuridico » e anche «principi etici condivisi da tutti» secondo i quali l’accanimento terapeutico va evitato, ma idratazione e nutrizione non sono interventi medici, bensì «l’elemento indispensabile per vivere».
Il vescovo, rettore della Lateranense e cappellano della Camera, torna sulla vicenda di Eluana e commenta l’ipotesi di una legge sulla fine della vita.
D. Quale bilancio si può trarre da queste settimane di dibattito sul caso della ragazza lecchese?
R. È in primo piano una questione con la quale presto o tardi avremmo dovuto confrontarci, sia dal punto di vista bioetico che giuridico. Ed è estremamente delicata, trattandosi di persone che, vorrei ribadirlo, vivono un’esperienza di vita piena, anche se in maniera diversa ai nostri occhi. In evidenza va sempre messa l’inviolabilità della vita come dono prezioso, di cui non possiamo disporre a piacimento. Il suo essere misteriosa ci fa anche capire i limiti posti alla scienza.
D. Quali sono?
R. Lo scienziato può dire qualcosa sul mistero, ma non tutto. La maggioranza delle cose sfugge alla mente razionale e deve essere colta in altra maniera. Ricordiamo, poi, che siamo davanti a casi limite. Quello di Eluana ha portato alla ribalta gli altri duemila che ci sono. Dobbiamo riscoprire la vicinanza a queste persone e alle famiglie.
D. Cosa pensa dell’idea che se ne sta facendo l’opinione pubblica?
R. Va fatta più chiarezza. Eluana non è attaccata a nessuna macchina. Non c’è nessun polmone d’acciaio o spina da staccare. A lei, come agli altri, devono essere dati nutrimento e acqua.
D. Quali sviluppi si aspetta, dopo il ricorso del procuratore generale?
R. Chiunque abbia letto la sentenza, ha capito subito che doveva essere impugnata. È positivo che la procura lo abbia fatto. Ed è importante che il Parlamento abbia compreso che si trattava di un’invasione di campo. Mi aspetto solo che il Paese arrivi a una consapevolezza di ciò che è veramente in gioco: il futuro delle nuove generazioni, la concezione stessa della vita e della morte, della verità e della libertà.
D. Perché verità e libertà?
R. Perché si tratta di capire veramente quando c’è vita e quando non c’è più. C’è un dibattito aperto sulla cosiddetta morte cerebrale e gli scienziati non sono ancora in grado di stabilirla con certezza. La scienza deve fare chiarezza. È, dunque, un problema di verità. Ma anche di libertà. Perché ognuno di noi, in alcune situazioni, può pensare di voler decidere quali cure avere o no al momento opportuno. Sappiamo però che poi, nella condizione particolare, si cambia idea. Non esiste decisione che non sia reversibile.
D. Cosa pensa dell’ipotesi di una legge sulla fine della vita?
R. Il Parlamento non parte da zero. Nella scorsa legislatura sono stati presentati nove progetti di legge da vari partiti. C’è il pronunciamento del Comitato nazionale di bioetica. Ci sono, insomma, diverse istanze che hanno posto il problema. Quindi, penso che si possa legiferare in proposito con più facilità. Certamente ogniqualvolta si fa una legge su temi così delicati, c’è anche da parte nostra un grande timore, che deriva dal non sapere con esattezza cosa il legislatore porrà all’interno della legge. 'Testamento biologico' è un’espressione di per sé vuota, bisogna capire cosa significhi e di quali contenuti viene riempita.
D. Ha già ricordato come le volontà cambiano.
R. Non solo. Viviamo in un Paese pluralista. E il legislatore deve sempre arrivare a norme di compromesso. Una legge non può mai essere né confessionale né neutrale. Deve regolamentare dei casi. Nel tempo se ne verifica la validità e, con le nuove conquiste scientifiche, si può anche capire dove modificarla. Per intanto bisogna fare in modo che, in una situazione così complessa, ci siano orientamenti che facciano comprendere il valore supremo della vita. È uno dei primi punti che ci auguriamo possano essere ascoltati dal legislatore.
D. A partire da quali basi?
R. In conformità con la Costituzione e la natura stessa dell’ordinamento giuridico, si legifera sempre a favore della vita. Ci sono, inoltre, principi etici condivisi da tutti a limitare l’accanimento terapeutico, che la Chiesa non ha mai difeso. È necessario, però, che ci sia non solo corretta informazione, ma anche capacità del medico di far comprendere al paziente la validità della cura.
D. È la tanto invocata alleanza terapeutica.
R. Occorre una formazione piena a questo. E deve essere molto chiaro che dare da mangiare e da bere è l’elemento indispensabile per poter vivere. (Gianni Santamaria, Avvenire, 5 Agosto 2008)
Il vescovo, rettore della Lateranense e cappellano della Camera, torna sulla vicenda di Eluana e commenta l’ipotesi di una legge sulla fine della vita.
D. Quale bilancio si può trarre da queste settimane di dibattito sul caso della ragazza lecchese?
R. È in primo piano una questione con la quale presto o tardi avremmo dovuto confrontarci, sia dal punto di vista bioetico che giuridico. Ed è estremamente delicata, trattandosi di persone che, vorrei ribadirlo, vivono un’esperienza di vita piena, anche se in maniera diversa ai nostri occhi. In evidenza va sempre messa l’inviolabilità della vita come dono prezioso, di cui non possiamo disporre a piacimento. Il suo essere misteriosa ci fa anche capire i limiti posti alla scienza.
D. Quali sono?
R. Lo scienziato può dire qualcosa sul mistero, ma non tutto. La maggioranza delle cose sfugge alla mente razionale e deve essere colta in altra maniera. Ricordiamo, poi, che siamo davanti a casi limite. Quello di Eluana ha portato alla ribalta gli altri duemila che ci sono. Dobbiamo riscoprire la vicinanza a queste persone e alle famiglie.
D. Cosa pensa dell’idea che se ne sta facendo l’opinione pubblica?
R. Va fatta più chiarezza. Eluana non è attaccata a nessuna macchina. Non c’è nessun polmone d’acciaio o spina da staccare. A lei, come agli altri, devono essere dati nutrimento e acqua.
D. Quali sviluppi si aspetta, dopo il ricorso del procuratore generale?
R. Chiunque abbia letto la sentenza, ha capito subito che doveva essere impugnata. È positivo che la procura lo abbia fatto. Ed è importante che il Parlamento abbia compreso che si trattava di un’invasione di campo. Mi aspetto solo che il Paese arrivi a una consapevolezza di ciò che è veramente in gioco: il futuro delle nuove generazioni, la concezione stessa della vita e della morte, della verità e della libertà.
D. Perché verità e libertà?
R. Perché si tratta di capire veramente quando c’è vita e quando non c’è più. C’è un dibattito aperto sulla cosiddetta morte cerebrale e gli scienziati non sono ancora in grado di stabilirla con certezza. La scienza deve fare chiarezza. È, dunque, un problema di verità. Ma anche di libertà. Perché ognuno di noi, in alcune situazioni, può pensare di voler decidere quali cure avere o no al momento opportuno. Sappiamo però che poi, nella condizione particolare, si cambia idea. Non esiste decisione che non sia reversibile.
D. Cosa pensa dell’ipotesi di una legge sulla fine della vita?
R. Il Parlamento non parte da zero. Nella scorsa legislatura sono stati presentati nove progetti di legge da vari partiti. C’è il pronunciamento del Comitato nazionale di bioetica. Ci sono, insomma, diverse istanze che hanno posto il problema. Quindi, penso che si possa legiferare in proposito con più facilità. Certamente ogniqualvolta si fa una legge su temi così delicati, c’è anche da parte nostra un grande timore, che deriva dal non sapere con esattezza cosa il legislatore porrà all’interno della legge. 'Testamento biologico' è un’espressione di per sé vuota, bisogna capire cosa significhi e di quali contenuti viene riempita.
D. Ha già ricordato come le volontà cambiano.
R. Non solo. Viviamo in un Paese pluralista. E il legislatore deve sempre arrivare a norme di compromesso. Una legge non può mai essere né confessionale né neutrale. Deve regolamentare dei casi. Nel tempo se ne verifica la validità e, con le nuove conquiste scientifiche, si può anche capire dove modificarla. Per intanto bisogna fare in modo che, in una situazione così complessa, ci siano orientamenti che facciano comprendere il valore supremo della vita. È uno dei primi punti che ci auguriamo possano essere ascoltati dal legislatore.
D. A partire da quali basi?
R. In conformità con la Costituzione e la natura stessa dell’ordinamento giuridico, si legifera sempre a favore della vita. Ci sono, inoltre, principi etici condivisi da tutti a limitare l’accanimento terapeutico, che la Chiesa non ha mai difeso. È necessario, però, che ci sia non solo corretta informazione, ma anche capacità del medico di far comprendere al paziente la validità della cura.
D. È la tanto invocata alleanza terapeutica.
R. Occorre una formazione piena a questo. E deve essere molto chiaro che dare da mangiare e da bere è l’elemento indispensabile per poter vivere. (Gianni Santamaria, Avvenire, 5 Agosto 2008)
sabato 30 agosto 2008
India, la caccia ai cristiani non smuove l'occidente
Questa notizia è dedicata soprattutto a coloro che si informano soltanto attraverso il TG1 delle 20. Costoro infatti, ancora non sanno (poiché il telegiornale non ne fa menzione alcuna!) che in India, più precisamente nello stato dell'Orissa, si è scatenata la caccia al cristiano da parte dei fondamentalisti indù. Finora il bilancio parla di 14 morti, una cinquantina di chiese distrutte, centinaia di case bruciate o distrutte, villaggi messi a ferro e fuoco, decine di migliaia di sfollati. Le violenze anti-cristiane in Orissa vanno avanti da molto tempo, ma l'ondata scatenatasi in questi giorni non ha precedenti. Ad innescarla la morte di un leader religioso indù, pretestuosamente attribuita ai cristiani proprio per scatenare la reazione. A fomentare le violenze sono i gruppi estremisti indù, che mescolano il fondamentalismo religioso al nazionalismo più estremo, ma le autorità locali appaiono compiacenti mentre il governo centrale non sembra avere né la forza né la volontà di fermare le violenze.
Per questo motivo la Chiesa indiana ha ieri chiuso per protesta le 25mila scuole cattoliche dell'India, un pilastro del sistema educativo indiano. “La protesta intende ricordare la carneficina dei cristiani nell’Orissa – sottolinea il card Osvaldo Gracias, presidente della Conferenza episcopale indiana, in un articolo pubblicato da Asia News – acuita dall’incapacità del governo centrale di fermare le violenze, mentre nel Paese monta un sentimento anti-cristiano e i fedeli sono torturati e uccisi”. Il prelato afferma di voler mandare “un segnale chiaro” non solo all’India, ma in tutto il mondo sull’importanza della presenza della comunità cristiana, da sempre in prima fila “nel sociale, nell’educazione e nell’opera di assistenza verso i bisognosi”. Un’opera ancora più significativa in India perché “non tiene conto della differenza di casta” e abbraccia “tutta la popolazione”.
Ed è proprio quest'ultimo uno dei motivi fondamentali dell'odio anti-cristiano, la minaccia che la presenza cattolica porta a quella forma di schiavitù che è il sistema delle caste, difeso con forza dai gruppi nazionalisti indù. Se ne parlerà più diffusamente nel numero del Timone di settembre-ottobre, ma intanto invitiamo tutti i nostri lettori a manifestare solidarietà con i cattolici indiani, sia con la preghiera sia con la diffusione delle informazioni, che sulla stampa occidentale passano con il contagocce. Del resto lo sappiamo già: le violenze contro i cristiani non smuovono le coscienze, non mobilitano i media e le star dello spettacolo e dello sport. Che diamine, non siamo mica il Tibet!
Tocca comunque a noi per primi mostrare solidarietà ai nostri fratelli nella fede. Nel modo più concreto che esista: con il digiuno e la preghiera. Segnaliamo per questo l'iniziativa dell'istituto missionario PIME a Milano, una veglia pubblica di preghiera e digiuno che si terrà il 5 settembre, giorno della festa liturgica della beata Madre Teresa di Calcutta. L'appuntamento è per le ore 18 nella chiesa di San Francesco Saverio in via Monterosa 81, a Milano. (Il Timone, 30 agosto 2008)
Per questo motivo la Chiesa indiana ha ieri chiuso per protesta le 25mila scuole cattoliche dell'India, un pilastro del sistema educativo indiano. “La protesta intende ricordare la carneficina dei cristiani nell’Orissa – sottolinea il card Osvaldo Gracias, presidente della Conferenza episcopale indiana, in un articolo pubblicato da Asia News – acuita dall’incapacità del governo centrale di fermare le violenze, mentre nel Paese monta un sentimento anti-cristiano e i fedeli sono torturati e uccisi”. Il prelato afferma di voler mandare “un segnale chiaro” non solo all’India, ma in tutto il mondo sull’importanza della presenza della comunità cristiana, da sempre in prima fila “nel sociale, nell’educazione e nell’opera di assistenza verso i bisognosi”. Un’opera ancora più significativa in India perché “non tiene conto della differenza di casta” e abbraccia “tutta la popolazione”.
Ed è proprio quest'ultimo uno dei motivi fondamentali dell'odio anti-cristiano, la minaccia che la presenza cattolica porta a quella forma di schiavitù che è il sistema delle caste, difeso con forza dai gruppi nazionalisti indù. Se ne parlerà più diffusamente nel numero del Timone di settembre-ottobre, ma intanto invitiamo tutti i nostri lettori a manifestare solidarietà con i cattolici indiani, sia con la preghiera sia con la diffusione delle informazioni, che sulla stampa occidentale passano con il contagocce. Del resto lo sappiamo già: le violenze contro i cristiani non smuovono le coscienze, non mobilitano i media e le star dello spettacolo e dello sport. Che diamine, non siamo mica il Tibet!
Tocca comunque a noi per primi mostrare solidarietà ai nostri fratelli nella fede. Nel modo più concreto che esista: con il digiuno e la preghiera. Segnaliamo per questo l'iniziativa dell'istituto missionario PIME a Milano, una veglia pubblica di preghiera e digiuno che si terrà il 5 settembre, giorno della festa liturgica della beata Madre Teresa di Calcutta. L'appuntamento è per le ore 18 nella chiesa di San Francesco Saverio in via Monterosa 81, a Milano. (Il Timone, 30 agosto 2008)
domenica 24 agosto 2008
Concorso Web per la "Suora più bella d'Italia"
“Un concorso su internet per incoronare la suora più bella d'Italia. E' l'idea lanciata del teologo campano Antonio Rungi, religioso passionista, vulcanico creatore di "moderne" iniziative religiose, ultima delle quali la recita del rosario con i bagnanti, su una spiaggia, con due cabine trasformate in sacrestia. Padre Rungi ha già un nome per il "suo" concorso, non a caso lanciato in coincidenza con quello di Miss Italia: "Concorso Sister Italia 2008. La suora più bella d'Italia". Le interessate possono scrivere e mandare la propria foto all'indirizzo di posta elettronica del religioso, antonio.rungi@tin.it. Padre Rungi pubblicherà su un apposito sito internet "il volto delle suore, previa autorizzazione delle interessate, al fine di avviare un concorso on-line. Non dovranno sfilare su passerelle, né in abiti civili o religiosi, ma semplicemente inviare le foto più belle ed espressive che possono significare e dire qualcosa, sia su un piano estetico che spirituale". A incoronare la "Sister Italia" sarà il popolo del web. (Corriere della Sera online, 23 agosto 2008)
Annota Andrea Tornielli nel suo blog: “Vi confesso che la notizia mi ha colpito. Mi chiedo a che punto possa arrivare, seppure in buona fede, la voglia di visibilità, il desiderio di apparire “moderni”, l’intenzione di far conoscere con questi mezzi la buona notizia cristiana. Leggo stamattina sul Corriere che un prete teologo, giornalista e professore di filosofia nelle scuole, padre Antonio Rungi, passionista di Mondragone (provincia di Caserta), ha organizzato il concorso “Sister Italia” e intende raccogliere tramite il suo sito web (sul quale però ancora non trovato traccia dell’iniziativa) le foto delle religiose più belle. “Ma pensate davvero - ha dichiarato il religioso - che le suore siano tutte anziane, rattrappite e funeree? Oggi non è più così, grazie anche all’iniezione di gioventù e di vitalità portata nel nostro Paese dalle ragazze straniere: ci sono suore dall’Africa e dall’America Latina che sono davvero molto, molto carine. Le brasiliane soprattutto…”. E ha aggiunto: “Mi aspetto che siano almeno un migliaio le sorelle ad inviare le foto, e mi piacerebbe che la prossima edizione non fosse solo virtuale, magari potrebbe essere ospitata proprio durante Miss Italia. Con una passerella per le suore, certamente”. Non sono mai stato un fan di Miss Italia, specie da quando, nel nome del politicamente corretto, la trasmissione si è trasformata in un’interminabile sequenza di interviste con le aspiranti miss che ripetono di volere la pace nel mondo e di credere nei valori della famiglia. In ogni caso, la Tv e il costume hanno i loro riti e le loro liturgie, e Miss Italia è tra queste. Mi chiedo (e vi chiedo): c’era davvero bisogno di “importare” anche questa novità delle suore in passerella (per quanto solo virtuale) al fine di “aprirsi al mondo”?
Rispondo: Mi auguro che il buon senso delle suore prevalga su una certa forma di "obnubilazione senile" disinvoltamente ostentata da un religioso peraltro noto per il suo passato impegno cristiano (anche se a volte ricorrendo a mezzi discutibili).
Penso che alle suore dovrebbe essere riconosciuto più il loro impegno e la loro professionalità, la loro dedizione a servizio dell'umanità sofferente, della gioventù, della cultura, la loro "santità" (quante ce ne sono!), piuttosto che la loro "avvenenza" mediatica, equiparandole in tale modo alle tante "suffragette" dei vari concorsi di bellezza (è richiesta anche la sfilata in vestito da sera o in bikini?). La ritengo una iniziativa stupida e insulsa, una "boutade" da spiaggia (visto che P. Rungi ne è un solerte frequentatore), una trovata da "solleone", oltraggiosa per l'intelligenza e la personalità delle suore, non certo interessata ad esaltare il carisma delle singole vocazioni religiose, una mortificante classificazione dei tratti estetici, demandata (guardacaso) all'unico ideatore di tale performance... quando invece millenni di storia della Chiesa ci hanno offerto esempi concreti e indiscutibili di sante suore e fondatrici religiose, benemerite per l'umanità intera, che non si sono certo imposte per il fascino e l'eleganza del loro portamento (Madre Teresa docet!). Pertanto non è questione qui di essere "mentalmente chiusi" o retrogradi", come vorrebbe far credere il "patron" dell'iniziativa: si tratta semplicemente di dare il giusto valore alle cose. Introdurre un concorso per "miss suora" mi sembra decisamente alienante: consiglierei quindi a Padre Rungi, se mi è concesso, di impiegare il suo tempo in cose ben più serie e utili alla Chiesa, soprattutto in questo periodo di incalzante laicismo.
Annota Andrea Tornielli nel suo blog: “Vi confesso che la notizia mi ha colpito. Mi chiedo a che punto possa arrivare, seppure in buona fede, la voglia di visibilità, il desiderio di apparire “moderni”, l’intenzione di far conoscere con questi mezzi la buona notizia cristiana. Leggo stamattina sul Corriere che un prete teologo, giornalista e professore di filosofia nelle scuole, padre Antonio Rungi, passionista di Mondragone (provincia di Caserta), ha organizzato il concorso “Sister Italia” e intende raccogliere tramite il suo sito web (sul quale però ancora non trovato traccia dell’iniziativa) le foto delle religiose più belle. “Ma pensate davvero - ha dichiarato il religioso - che le suore siano tutte anziane, rattrappite e funeree? Oggi non è più così, grazie anche all’iniezione di gioventù e di vitalità portata nel nostro Paese dalle ragazze straniere: ci sono suore dall’Africa e dall’America Latina che sono davvero molto, molto carine. Le brasiliane soprattutto…”. E ha aggiunto: “Mi aspetto che siano almeno un migliaio le sorelle ad inviare le foto, e mi piacerebbe che la prossima edizione non fosse solo virtuale, magari potrebbe essere ospitata proprio durante Miss Italia. Con una passerella per le suore, certamente”. Non sono mai stato un fan di Miss Italia, specie da quando, nel nome del politicamente corretto, la trasmissione si è trasformata in un’interminabile sequenza di interviste con le aspiranti miss che ripetono di volere la pace nel mondo e di credere nei valori della famiglia. In ogni caso, la Tv e il costume hanno i loro riti e le loro liturgie, e Miss Italia è tra queste. Mi chiedo (e vi chiedo): c’era davvero bisogno di “importare” anche questa novità delle suore in passerella (per quanto solo virtuale) al fine di “aprirsi al mondo”?
Rispondo: Mi auguro che il buon senso delle suore prevalga su una certa forma di "obnubilazione senile" disinvoltamente ostentata da un religioso peraltro noto per il suo passato impegno cristiano (anche se a volte ricorrendo a mezzi discutibili).
Penso che alle suore dovrebbe essere riconosciuto più il loro impegno e la loro professionalità, la loro dedizione a servizio dell'umanità sofferente, della gioventù, della cultura, la loro "santità" (quante ce ne sono!), piuttosto che la loro "avvenenza" mediatica, equiparandole in tale modo alle tante "suffragette" dei vari concorsi di bellezza (è richiesta anche la sfilata in vestito da sera o in bikini?). La ritengo una iniziativa stupida e insulsa, una "boutade" da spiaggia (visto che P. Rungi ne è un solerte frequentatore), una trovata da "solleone", oltraggiosa per l'intelligenza e la personalità delle suore, non certo interessata ad esaltare il carisma delle singole vocazioni religiose, una mortificante classificazione dei tratti estetici, demandata (guardacaso) all'unico ideatore di tale performance... quando invece millenni di storia della Chiesa ci hanno offerto esempi concreti e indiscutibili di sante suore e fondatrici religiose, benemerite per l'umanità intera, che non si sono certo imposte per il fascino e l'eleganza del loro portamento (Madre Teresa docet!). Pertanto non è questione qui di essere "mentalmente chiusi" o retrogradi", come vorrebbe far credere il "patron" dell'iniziativa: si tratta semplicemente di dare il giusto valore alle cose. Introdurre un concorso per "miss suora" mi sembra decisamente alienante: consiglierei quindi a Padre Rungi, se mi è concesso, di impiegare il suo tempo in cose ben più serie e utili alla Chiesa, soprattutto in questo periodo di incalzante laicismo.
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