giovedì 30 aprile 2015

Controinformazione. Le parole del papa sulla famiglia, oscurate dai media

Nell’udienza generale di mercoledì 29 aprile, papa Francesco ha detto delle battute contro il maschilismo della società e la mancata parità tra uomo e donna che hanno fatto immediatamente il giro del mondo, con formidabile risalto sui media.
Col risultato però di oscurare il cuore del suo discorso, che era invece un inno alla magnificenza del disegno divino sul matrimonio, oltre che una riflessione puntuale sulle ragioni dell’odierna crisi della famiglia.
È un oscuramento che non è nuovo. E che sistematicamente rimuove tutto ciò che Francesco dice e fa di difforme dalla “narrazione” di lui che va per la maggiore.
Ecco qui di seguito la trascrizione del discorso del papa con omesse le sue battute “femministe”, cioè le uniche arrivate al grande pubblico.
È un discorso che la dice lunga su come Francesco guarda al tema in esame nel prossimo sinodo dei vescovi, senza alcuna arrendevolezza alle spinte divorziste presenti in alcuni settori della stessa gerarchia.
*
“QUESTO È IL CAPOLAVORO…”
Cari fratelli e sorelle buongiorno!
La nostra riflessione circa il disegno originario di Dio sulla coppia uomo-donna, dopo aver considerato le due narrazioni del libro della Genesi, si rivolge ora direttamente a Gesù.
L’evangelista Giovanni, all’inizio del suo Vangelo, narra l’episodio delle nozze di Cana, a cui erano presenti la vergine Maria e Gesù, con i suoi primi discepoli. Gesù non solo partecipò a quel matrimonio, ma “salvò la festa” con il miracolo del vino!
Dunque, il primo dei suoi segni prodigiosi, con cui Egli rivela la sua gloria, lo compì nel contesto di un matrimonio, e fu un gesto di grande simpatia per quella nascente famiglia, sollecitato dalla premura materna di Maria.
Questo ci fa ricordare il libro della Genesi, quando Dio finisce l’opera della creazione e fa il suo capolavoro; il capolavoro è l’uomo e la donna. E qui Gesù incomincia proprio i suoi miracoli con questo capolavoro, in un matrimonio, in una festa di nozze: un uomo e una donna. Così Gesù ci insegna che il capolavoro della società è la famiglia: l’uomo e la donna che si amano! Questo è il capolavoro!
Dai tempi delle nozze di Cana, tante cose sono cambiate, ma quel “segno” di Cristo contiene un messaggio sempre valido.
Oggi sembra non facile parlare del matrimonio come di una festa che si rinnova nel tempo, nelle diverse stagioni dell’intera vita dei coniugi. È un fatto che le persone che si sposano sono sempre di meno; questo è un fatto: i giovani non vogliono sposarsi. In molti paesi aumenta invece il numero delle separazioni, mentre diminuisce il numero dei figli.
La difficoltà a restare assieme – sia come coppia, sia come famiglia – porta a rompere i legami con sempre maggiore frequenza e rapidità, e proprio i figli sono i primi a portarne le conseguenze. Ma pensiamo che le prime vittime, le vittime più importanti, le vittime che soffrono di più in una separazione sono i figli. Se sperimenti fin da piccolo che il matrimonio è un legame “a tempo determinato”, inconsciamente per te sarà così.
In effetti, molti giovani sono portati a rinunciare al progetto stesso di un legame irrevocabile e di una famiglia duratura. Credo che dobbiamo riflettere con grande serietà sul perché tanti giovani “non se la sentono” di sposarsi. C’è questa cultura del provvisorio… tutto è provvisorio, sembra che non ci sia qualcosa di definitivo.
Questa dei giovani che non vogliono sposarsi è una delle preoccupazioni che emergono al giorno d’oggi: perché i giovani non si sposano?; perché spesso preferiscono una convivenza, e tante volte “a responsabilità limitata”?; perché molti – anche fra i battezzati – hanno poca fiducia nel matrimonio e nella famiglia? È importante cercare di capire, se vogliamo che i giovani possano trovare la strada giusta da percorrere. Perché non hanno fiducia nella famiglia? […]
In realtà, quasi tutti gli uomini e le donne vorrebbero una sicurezza affettiva stabile, un matrimonio solido e una famiglia felice. La famiglia è in cima a tutti gli indici di gradimento fra i giovani; ma, per paura di sbagliare, molti non vogliono neppure pensarci; pur essendo cristiani, non pensano al matrimonio sacramentale, segno unico e irripetibile dell’alleanza, che diventa testimonianza della fede. Forse proprio questa paura di fallire è il più grande ostacolo ad accogliere la parola di Cristo, che promette la sua grazia all’unione coniugale e alla famiglia.
La testimonianza più persuasiva della benedizione del matrimonio cristiano è la vita buona degli sposi cristiani e della famiglia. Non c’è modo migliore per dire la bellezza del sacramento! Il matrimonio consacrato da Dio custodisce quel legame tra l’uomo e la donna che Dio ha benedetto fin dalla creazione del mondo; ed è fonte di pace e di bene per l’intera vita coniugale e familiare.
Per esempio, nei primi tempi del cristianesimo, questa grande dignità del legame tra l’uomo e la donna sconfisse un abuso ritenuto allora del tutto normale, ossia il diritto dei mariti di ripudiare le mogli, anche con i motivi più pretestuosi e umilianti. Il Vangelo della famiglia, il Vangelo che annuncia proprio questo sacramento ha sconfitto questa cultura di ripudio abituale.
Il seme cristiano della radicale uguaglianza tra i coniugi deve oggi portare nuovi frutti. La testimonianza della dignità sociale del matrimonio diventerà persuasiva proprio per questa via, la via della testimonianza che attrae, la via della reciprocità fra loro, della complementarità fra loro. […]
Cari fratelli e sorelle, non abbiamo paura di invitare Gesù alla festa di nozze, di invitarlo a casa nostra, perché sia con noi e custodisca la famiglia. E non abbiamo paura di invitare anche la sua madre Maria! I cristiani, quando si sposano “nel Signore”, vengono trasformati in un segno efficace dell’amore di Dio. I cristiani non si sposano solo per sé stessi: si sposano nel Signore in favore di tutta la comunità, dell’intera società.
Di questa bella vocazione del matrimonio cristiano, parlerò anche nella prossima catechesi.

(Fonte: Sandro Magister, www.chiesa, 30 aprile 2015)
http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/

 

martedì 21 aprile 2015

Terremoto tra i gesuiti, al Pontificio Istituto Orientale

La scorsa settimana il Pontificio Istituto Orientale ha pianto la misteriosa scomparsa di un suo docente, padre Lanfranco Rossi, trovato senza vita in una campagna poco lontano da Roma.
Ma sempre la scorsa settimana ha investito l'istituto anche un verro e proprio terremoto istituzionale, con l'esautorazione dell'intero suo corpo dirigente.
La notifica del provvedimento, firmata dal preposito generale della Compagnia di Gesù, padre Adolfo Nicolás Pachón, vice gran cancelliere dell'istituto, è rimasta affissa sull'albo solo per un giorno. Ma tanti hanno potuto leggerla e sapere.
Da martedì 14 aprile il rettore James McCann, il vicerettore Massimo Pampaloni e i decani delle due facoltà di scienze ecclesiastiche e di diritto canonico orientali Philippe Luisier e Michael Kuchera, tutti gesuiti, sono decaduti dai loro ruoli.
A reggere temporaneamente l'istituto, con la qualifica di pro-rettore "ad interim", è stato chiamato padre Samir Khalil Samir, 77 anni, gesuita, nato in Egitto, orientalista e islamologo di fama, già professore alla Université Saint-Joseph di Beirut e in altri atenei d'Europa e d'America.
E come nuovi pro-decani sono stati nominati i padri Edward G. Farrugia e Sunny Thomas Kokkaravalayil.
L’ordinanza è andata in esecuzione immediata, senza attendere l’inizio del nuovo anno accademico. Nella lettera con la quale ha notificato il provvedimento, il generale dei gesuiti ha riprovato lo spirito "non caritatevole" che ha disgregato la comunità docente, con grave danno per la missione dell'istituto.
Il Pontificio Istituto Orientale è stato creato quasi un secolo fa, nel 1917, da papa Benedetto XV, assieme alla congregazione per le Chiese orientali, il cui prefetto – che attualmente è il cardinale argentino Leonardo Sandri – ne è anche gran cancelliere.
Nel 1922 Pio XI affidò l'istituto alla Compagnia di Gesù, riservando al papa la nomina del rettore, su proposta autonoma del preposito generale dopo aver sentito i docenti gesuiti.

Nei mesi scorsi i decani e alcuni professori dell'istituto avevano chiesto la destituzione del rettore, lo statunitense McCann, giudicato incapace di guidare la macchina accademica. Il generale dei gesuiti inviò un ispettore nella persona di padre Gianfranco Ghirlanda, già rettore della Pontificia Università Gregoriana ed esperto canonista. E il risultato è stato, appunto, l'azzeramento del direttivo.
Che padre McCann non godesse di particolare apprezzamento nemmeno in Vaticano lo si era intuito già il 19 febbraio 2014, quando furono nominati consultori della congregazione per le Chiese orientali il vice rettore Pampaloni e i decani Luisier e Kuchera, ma non lui, il rettore in carica: un'umiliazione tanto più bruciante in quanto segretario della congregazione era – ed è tuttora – un suo confratello gesuita, l'arcivescovo slovacco di rito greco Cyril Vasil.
Tuttavia, che il disastro riguardasse non una singola persona ma l'insieme dell'istituto era da tempo sotto gli occhi di tutti, senza però che nessuno vi ponesse rimedio.
La denuncia di tale disastro affiorò la prima volta in pubblico il 15 dicembre 2011, in un momento solenne e di fronte all'intero corpo accademico, in occasione della cerimonia di congedo di padre Robert F. Taft (nella foto), statunitense, liturgista insigne, l'ultimo dei grandi docenti del periodo d'oro del Pontificio Istituto Orientale, al pari dei padri Tomás Spidlik, moravo, fatto cardinale da Giovanni Paolo II nel 2003, e Miguel Arranz Lorenz, spagnolo.
A tenere la "laudatio" in onore di Taft – poi pubblicata sulla rivista “Studi sull’Oriente Cristiano” e ivi leggibile on line – fu Stefano Parenti, professore di liturgie orientali al Pontificio Ateneo Sant'Anselmo di Roma e discepolo dello stesso Taft, assieme al quale sta ora pubblicando una monumentale storia della liturgia bizantina in più volumi, per i tipi dell'Abbazia Greca di San Nilo a Grottaferrata.
Parenti disse tra l'altro: "A differenza di oggi, alla fine degli anni Ottanta del XX secolo il Pontificio Istituto Orientale era luogo d’eccellenza per lo studio delle liturgie orientali, in particolare della liturgia bizantina. Chi in futuro si sobbarcherà l’onere di scriverne la storia saprà accertare le responsabilità che hanno condotto a una 'débâcle' tanto clamorosa, in un gioco al massacro che, osservato a distanza con il distacco di chi non si sente coinvolto, vede un’arena deserta, senza vincitori e senza vinti".
E ancora: "Ci troviamo dinanzi a quello che in politica si chiama 'problema di sistema', noto da tempo ma ignorato da chi aveva il compito di vigilare. A ciò si devono sommare la precarietà di tanti contratti e le modalità singolari di reclutamento e promozione dei docenti, per cui vi sono professori stabili che in una buona università statale europea o americana, nella più favorevole delle eventualità, sarebbero rimasti ricercatori fino alla pensione".
In effetti, anche oggi basta scorrere la tabella dei corsi per notare la precarietà di tanti insegnamenti, affidati a docenti raccogliticci, in temporanea trasferta da altre università e ridotti a fare in poche settimane ciò che dovrebbe durare un intero semestre, a tutto danno degli allievi.
Per non dire del venir meno dell'istituto al suo compito primario di servizio alla Chiesa, in un momento di gravissima crisi nell'oriente musulmano e cristiano, dalla Siria all'Ucraina, un frangente in cui un contributo di consulenza e di studio sarebbe più che mai necessario.
Oltre che improduttivo su questi temi cruciali, il Pontificio Istituto Orientale si è segnalato nei mesi scorsi anche per la clamorosa defezione di un suo ex vicerettore, Costantin Simon, americano di origini ucraino-ungheresi, specialista del cristianesimo russo.
Uscito dalla Compagnia di Gesù e dalla Chiesa cattolica, Simon è stato solennemente accolto come sacerdote nella Chiesa ortodossa russa il 7 giugno 2014, in un rito officiato dall'arcivescovo Amvrosij di Peterhof, rettore dell'accademia teologica di San Pietroburgo.
C'è chi prevede che il terremoto di questi giorni sia solo il preludio di una temporanea chiusura dell'istituto, in vista di una sua radicale ristrutturazione.

(Fonte: Sandro Magister, www.chiesa, 21 aprile 2015)
http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1351034

 

lunedì 20 aprile 2015

La matita per Charlie Hebdo. La gomma per i cristiani affogati

Per Charlie Hebdo s'è mosso il mondo intero: quasi quattro milioni di persone, nel giorno del grande lutto, hanno sfilato a Parigi contro il terrorismo e la sua folle pedagogia. Dodici furono i morti, assurti in un attimo alla dimensione eroica di liberi pensatori. Tempo qualche giorno, a bandiere ammainate, comparve qualche crepa nella decifrazione di quella strage. L'offesa fu così grande e ardita che, però, tutto passò in secondo piano. Dodici a Parigi, dodici nei fondali del Mediterraneo: la loro razza era ghanese e nigeriana, il loro Credo era cristiano.
La redazione di Charlie Hebdo disegnava vignette, a questi dodici la vignetta l'hanno disegnata quelli di “Repubblica”. Ritrae uno squalo che, intento a divorare qualcuno, chiede: «Questo era cristiano?». Con la risposta dell'altro squalo: «Boh! Io di religione non ci capisco niente. Hanno tutti lo stesso sapore». Perchè, dunque, i dodici della redazione di Charlie Hebdo meritano una beatificazione laica mentre i dodici cristiani meritano la derisione pubblica? Forse che anche Cristo, oggi, se tornasse non lo metterebbero più in Croce: quelli erano i tempi delle grandi passioni. Oggi, quasi certamente, lo esporrebbero al ridicolo: è il tempo dell'intelligenza e della laicità a tutti i costi.
Dentro quei corpi gettati in mare, invece, giace la semente di una storia millenaria: quella di uomini e donne che non si sono mai ripresi da una sorte di stupore – quasi un'Annunciazione – che li ha portati ad essere uomini e donne diversi, capaci di affrontare le fauci dei leoni nelle arene e degli squali nel mare pur di non tacere la Grazia che li ha sedotti. Oggi da più parti s'invoca un ritorno alla Chiesa delle origini, al cristianesimo della prima chiesa nascente, al sapore di ciò che era nel sogno di Cristo. Eppure, a conti fatti, ciò che era all'inizio è ciò che è sotto gli occhi di tutti pure oggi: non più catacombe ma barconi, non più ghigliottinai ma scafisti, non più persecuzione ma ironia. Non più «date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio» ma tutto e il suo contrario: è il politicamente corretto di Caifa, sacerdote citato nei Vangeli della Passione e ridicolizzato dalla storia successiva. Tutto come all'inizio, insomma, quando Dio venne ucciso in nome di Dio. Loro gettati in acqua, altri salvatisi grazie ad una catena umana. Qualcuno scrisse che l'uomo per l'uomo sarà come un lupo: molti gli dettero credito, la storia lo rese forte di molte sue pagine.

Poi venne un Uomo al quale non bastava la logica dell'intelligenza: tentò l'illogico dell'amore perdente. E corresse la frase: l'uomo per l'uomo potrà essere come un Dio. Uomini-lupo che gettano in mare uomini oranti; uomini-dei che, abbracciati, formano una catena umana di salvataggio e di speranza.
Di loro non rimarrà traccia: forse una leggera bava tra i denti degli squali che la prossima vignetta ci racconterà. Di loro, invece, è rimasta la traccia più baldanzosa: alla sicurezza della schiavitù rispondere con il rischio della libertà. Mezzi nudi in mare, mezzo nudo l'Uomo della Croce. Entrambi, però, rivestiti dell'unico vestito che faccia la differenza nel tempo: se non ci è dato scegliere se morire o meno, ci è rimasta la possibilità di scegliere come morire. Da vittime o da testimoni. “In odium fidei” recita la locuzione latina che la Chiesa cattolica utilizza nelle cause di beatificazione di un cristiano la cui morte avviene “in odio alla fede”, che muoia per questioni di fede.
Che cosa, dunque, impedisce di aprire loro una causa di beatificazione? I santi-patroni dei mari in burrasca: di quelli naturali, di quelli simbolici, di quelli disperati. Della gente disperata di cui nessuno vuole accorgersi. Eppure sono la Chiesa delle origini, quella che tanti vorrebbero. Come si dice: “Botte piena e moglie ubriaca”? Necessito di un più salutare: «Ora pro nobis». Per non affogare nel peccato dell'ignoranza.

(Fonte: don Marco Pozza, Il Mattino di Padova, 19 Aprile 2015)
http://mattinopadova.gelocal.it/padova?refresh_ce

 

mercoledì 15 aprile 2015

La teoria del gender effetto di una frustrazione

Papa Francesco: “La teoria del gender espressione di frustrazione e rassegnazione che mira a cancellare la differenza sessuale”. Neghiamo la differenza perché non sappiamo più confrontarci con essa. “Nell’uomo e nella donna la differenza porta in sé l’immagine e la somiglianza di Dio: il testo biblico lo ripete per ben tre volte in due versetti: uomo e donna sono immagine e somiglianza di Dio”.
Il Papa oggi all'udienza generale ha parlato della famiglia, preannunciando altre catechesi sul matrimonio, ma partendo da quello che ne è il presupposto necessario: la differenza tra maschile e femminile. “Questo ci dice che non solo l’uomo preso a sé è immagine di Dio, non solo la donna presa a sé è immagine di Dio, ma anche l’uomo e la donna, come coppia, sono immagine di Dio. La differenza tra uomo e donna non è per la contrapposizione, o la subordinazione, ma per la comunione e la generazione, sempre ad immagine e somiglianza di Dio. L’esperienza ce lo insegna: per conoscersi bene e crescere armonicamente l’essere umano ha bisogno della reciprocità tra uomo e donna. Quando ciò non avviene, se ne vedono le conseguenze. Siamo fatti per ascoltarci e aiutarci a vicenda. Possiamo dire che senza l’arricchimento reciproco in questa relazione – nel pensiero e nell’azione, negli affetti e nel lavoro, anche nella fede – i due non possono nemmeno capire fino in fondo che cosa significa essere uomo e donna”.
Poi fa un affondo sulla teoria del gender, oggi tanto di moda: “La cultura moderna e contemporanea ha aperto nuovi spazi, nuove libertà e nuove profondità per l’arricchimento della comprensione di questa differenza. Ma ha introdotto anche molti dubbi e molto scetticismo. Per esempio, io mi domando, se la cosiddetta teoria del gender non sia anche espressione di una frustrazione e di una rassegnazione, che mira a cancellare la differenza sessuale perché non sa più confrontarsi con essa. Sì, rischiamo di fare un passo indietro. La rimozione della differenza, infatti, è il problema, non la soluzione. Per risolvere i loro problemi di relazione, l’uomo e la donna devono invece parlarsi di più, ascoltarsi di più, conoscersi di più, volersi bene di più. Devono trattarsi con rispetto e cooperare con amicizia. Con queste basi umane, sostenute dalla grazia di Dio, è possibile progettare l’unione matrimoniale e familiare per tutta la vita. Il legame matrimoniale e familiare è una cosa seria, lo è per tutti, non solo per i credenti. Vorrei esortare gli intellettuali a non disertare questo tema, come se fosse diventato secondario per l’impegno a favore di una società più libera e più giusta”.
Un invito a un impegno, a una mobilitazione comune, dunque, con strade che i laici dovranno cercare, e che il Papa,che si dice preoccupato, indica solo a grandi linee: “Dio ha affidato la terra all’alleanza dell’uomo e della donna: il suo fallimento inaridisce il mondo degli affetti e oscura il cielo della speranza. I segnali sono già preoccupanti, e li vediamo. Vorrei indicare, fra i molti, due punti che io credo debbono impegnarci con più urgenza.

Il primo. E’ indubbio che dobbiamo fare molto di più in favore della donna, se vogliamo ridare più forza alla reciprocità fra uomini e donne. E’ necessario, infatti, che la donna non solo sia più ascoltata, ma che la sua voce abbia un peso reale, un’autorevolezza riconosciuta, nella società e nella Chiesa. Il modo stesso con cui Gesù ha considerato la donna in un contesto meno favorevole del nostro, perché in quei tempi la donna era proprio al secondo posto, e Gesù l’ha considerata in una maniera che dà una luce potente, che illumina una strada che porta lontano, della quale abbiamo percorso soltanto un pezzetto. Non abbiamo ancora capito in profondità quali sono le cose che ci può dare il genio femminile, le cose che la donna può dare alla società e anche a noi: la donna sa vedere le cose con altri occhi che completano il pensiero degli uomini. E’ una strada da percorrere con più creatività e audacia”.
E pone, Francesco, il tema della differenza e dell'alleanza uomo donna alla radice della crisi di fede: “Una seconda riflessione riguarda il tema dell’uomo e della donna creati a immagine di Dio. Mi chiedo se la crisi di fiducia collettiva in Dio, che ci fa tanto male, ci fa ammalare di rassegnazione all’incredulità e al cinismo, non sia anche connessa alla crisi dell’alleanza tra uomo e donna. In effetti il racconto biblico, con il grande affresco simbolico sul paradiso terrestre e il peccato originale, ci dice proprio che la comunione con Dio si riflette nella comunione della coppia umana e la perdita della fiducia nel Padre celeste genera divisione e conflitto tra uomo e donna”.
“Da qui viene la grande responsabilità della Chiesa, di tutti i credenti, e anzitutto delle famiglie credenti, per riscoprire la bellezza del disegno creatore che inscrive l’immagine di Dio anche nell’alleanza tra l’uomo e la donna. La terra si riempie di armonia e di fiducia quando l’alleanza tra uomo e donna è vissuta nel bene. E se l’uomo e la donna la cercano insieme tra loro e con Dio, senza dubbio la trovano. Gesù ci incoraggia esplicitamente alla testimonianza di questa bellezza che è l’immagine di Dio”.


 
(Fonte: Raivaticano, 15 aprile 2015
http://www.raivaticano.rai.it/dl/portali/site/news/ContentItem-29c30503-95e5-4f3a-bab9-d112b5b0f6a0.html

 

mercoledì 1 aprile 2015

Maria Guarini: La questione liturgica a 50 anni dal Concilio Vaticano II

«Dai un dito e si prendono il braccio» recita un antico adagio della saggezza popolare. Ebbene è ciò che è accaduto con la Costituzione Sacrosactum Concilium formulata durante il Concilio Vaticano II, quando i Padri conciliari tracciarono le linee guida di una revisione del Messale. Dopo il Concilio fu designata una Commissione per redigere il testo, il Consilium ad exsequendam Constitutionem de Sacra Liturgia.
Un nuovo Messale venne editato nel 1965, in parte modificato nel 1967, nel quale vennero introdotti la preghiera dei fedeli, la possibilità di recitare in volgare un diverso ciclo di letture e diverse parti dell’Ordinario. Poi la Commissione, presieduta da Monsignor Annibale Bugnini, giunse alla formulazione di un ulteriore nuovo Messale nel 1969: il Novus Ordo Missae, che venne stilato ben oltre le linee guida dell’Assise conciliare.
La Sacrosactum Concilium ha fatto dunque da apripista per legittimare coloro che volevano rivoluzionare (con i pretesto di svecchiare), oltre a tutto il resto, anche il rito della Santa Messa. Scrive Maria Guarini nel suo recente libro La questione liturgica. Il rito Romano usus Antiquior e il Novus Ordo Missae a 50 anni dal Concilio Vaticano II, pubblicato da Solfanelli: «… l’abolizione di moltissimi gesti: inchini e preghiere, l’inserimento di nuove preghiere eucaristiche, la soppressione dei riferimenti alla Comunione dei Santi ed alla Vergine eliminando le invocazioni alla loro intercessione, il maggior spazio dato all’ascolto della sacra scrittura, la modifica delle formule dell’Offertorio e diversi altri rifacimenti hanno reso il nuovo messale un libro liturgico che molto si distacca dal testo tridentino» (p. 24).
Il fatto di aver contaminato la Liturgia, funzione primaria della Chiesa, è stato un errore gravissimo, i cui effetti sono stati tragici, per il clero come per la gente. Una tragedia che ha compromesso sicuramente la grazia santificante della Santa Messa, le propiziazioni che dal Santo Sacrificio derivano e, inevitabilmente, la stessa Fede dei fedeli. Benedetto XVI, nella sua Autobiografia, aveva scritto pagine di forte riflessione dove ricorda il suo sbigottimento di fronte al divieto del messale antico, poiché una cosa simile non si era mai verificata in tutta la storia della liturgia:
«Sono convinto che la crisi ecclesiale in cui oggi ci troviamo dipende in gran parte dal crollo della liturgia, che talvolta viene addirittura concepita “etsi Deus non daretur”: come se in essa non importasse più se Dio c’è e se ci parla e ci ascolta. Ma se nella liturgia non appare più la comunione della fede, l’unità universale della Chiesa e della sua storia, il mistero del Cristo vivente, dov’è che la Chiesa appare ancora nella sua sostanza spirituale? Allora la comunità celebra solo se stessa, senza che ne valga la pena. E, dato che la comunità in se stessa non ha sussistenza, ma, in quanto unità, ha origine per la fede dal Signore stesso, diventa inevitabile in queste condizioni che si arrivi alla dissoluzione in partiti di ogni genere, alla contrapposizione partitica in una Chiesa che lacera se stessa» (cfr. J. Ratzinger, La mia vita [Titolo originale dell’opera: Aus meinem Leben Erinnerungen 1927-1977], San Paolo, Cinisello Balsamo 1997, pp. 113-115).

Maria Guarini, laureata in teologia ed esperta in Comunicazione e nuove tecnologie, ha diretto per diversi anni la Biblioteca e le Relazioni al Pubblico del Ministero delle Comunicazioni, ha svolto e svolge l’attività di operatore dell’informazione a livello internazionale e da alcuni anni si prodiga per il recupero della Tradizione nella Chiesa. Con questo saggio l’autrice aiuta il lettore a comprendere efficacemente che la liturgia rappresenta lo ius divinum del culto dovuto a Dio, che la Santa Messa è un’opera divina e non umana, mediante la quale Dio santifica il suo popolo: azione del Signore per i credenti e azione del popolo per il suo Signore. Così come per Cristo (Dio-uomo) e per la Chiesa (divina e umana), anche la Sacra Liturgia è nel contempo divina ed umana, realtà visibile e realtà invisibile.
Il cuore del libro, scrive nella prefazione Monsignor Brunero Gherardini, «non è, dunque, ciò di cui il titolo potrebbe indurre l’attesa, vale a dire uno studio più o meno scientificamente condotto sul concetto di liturgia, sul suo contenuto e sulle sue singole parti, ma una serie di riflessioni, non raramente e giustamente critiche circa la situazione di fatto determinatasi sulla scia della “creatività” postconciliare, ma protese alla riconquista del terreno perduto. A tale riguardo non si può far altro che applaudire» (p. 5).
Inoltre Monsignor Gherardini elogia il sano equilibrio che l’autrice distribuisce riccamente nelle sue pagine: la sua fede tradizionalista non è per lei un «paraocchi», ma ci «vede anzi e ci vede bene, tanto se si volge all’indietro, quanto se guarda in avanti (…) Se è vero che liturgia e fissismo non vanno d’accordo, è altrettanto vero che dell’autentica liturgia non è un ottimo interprete né chi sa o preferisce voltarsi soltanto all’indietro, né chi, guardando in avanti, non ha occhi se non per l’ancor confuso domani» (p. 6).

Un altro merito del saggio è la puntuale confutazione di alcuni luoghi comuni che assurdamente continuano ad alimentare la non accoglienza del Rito Romano, codificato da San Pio V e oggi celebrato con il Messale del 1962. Alcuni hanno paura del Vetus Ordo, altri lo considerano un allestimento teatrale. In realtà «non si tratta di una gestualità coreografica, ma di un insieme organico e ben scompaginato di gesti parole e sentimenti cui corrispondono significati profondi e sublimi – certamente non criptici né solo formali per chi vi si accosta con un minimo di interesse e volontà di comprendere – e, soprattutto, si rivolge alle fonti giuste, smettendo di ascoltare i “cattivi maestri”, che stanno rendendo la Chiesa una landa desolata» (p. 107).
La questione della Santa Messa continua ad essere pietra di inciampo, nonostante la sua liberalizzazione, grazie al documento Summorum Pontificum di Benedetto XVI; permane l’azione di boicottaggio nei suoi confronti, di crudele proibizione, emarginazione e persecuzione (vedasi l’emblematico caso dei Francescani dell’Immacolata): nonostante sia reclamata, con amore, da sacerdoti e fedeli, la maggior parte dei vescovi non provano simpatia per questo rito che offre la possibilità di sentirsi davvero cattolici e in un corpo solo: a Roma come nel villaggio sperduto del Kenya o dell’India o della Colombia. Finché non si tornerà a comprendere che il vero celebrante è Cristo (nel sacerdote), Altare, Vittima, Sommo Sacerdote, il quale rivolge a Dio il suo Sacrificio e non al popolo, non si tornerà ad una Fede autentica.
Al centro del rito liturgico non c’è né la Parola, né l’assemblea (come per i Protestanti), ma Gesù, lo sposo di ogni anima e come tale deve essere adorato e glorificato: «Amico, come hai potuto entrare qui senz’abito nuziale?» (Mt 22, 12); «Ti sposerò nella fedeltà» (Os 2, 22).
Gesù continua fedelmente, ogni giorno, a sacrificarsi sull’altare per ciascuna persona, alla quale La Vittima immolata non richiede la partecipazione, come attore di un qualcosa, ma di assistere in umiltà, di raccogliersi, di inginocchiarsi, di contemplare il Calvario e la Croce, Mistero di Amore perfetto della perfetta Trinità.


(Fonte: Cristina Siccardi, Corrispondenza Romana, 1 aprile 2015)
http://www.corrispondenzaromana.it/la-questione-liturgica-a-50-anni-dal-concilio-vaticano-ii-di-maria-guarini/

 

 

Quelli che “l'ideologia gender non esiste” (e scrivono sui giornali cattolici!)

Da un paio d'anni a questa parte, lo sappiamo, moltissimi genitori hanno avuto un brutto risveglio. Hanno scoperto che, a scuola, i loro figli vengono sottoposti a programmi che diffondono l'ideologia di genere; ovviamente senza il loro consenso (informato ma anche no). Con il pretesto di insegnare il rispetto e combattere il bullismo e le discriminazione, ai bambini viene insegnato che il mondo maschile e femminile sono solo una convenzione, per di più cattiva e pericolosa.
La reazione (tardiva, a mio parere) è stata comunque capillare e pugnace. Un buon segno, da un lato; significa che, a differenza di ciò che accade in altri paesi europei, gli italiani ai loro figli ci tengono. Un cattivo segno, dall'altro; perché la scuola è la linea del Piave, e se un concetto viene insegnato a scuola diventa, in pochi anni, patrimonio di tutto il Paese.
Questa reazione non avrebbe potuto passare inosservata e, soprattutto, indisturbata. Come era probabile, in queste ultime settimane sono arrivate diverse prese di posizione contro le reazioni all'ideologia di genere. Queste prese di posizione ruotano intorno a due affermazioni che ricorrono frequentemente.

1. «L'ideologia di genere non esiste»
Il dottor Alberto Pellai, editorialista di Avvenire (clicca qui), ha scritto un post sul suo blog (clicca qui) chiedendo di mobilitarsi contro «l’ideologia di chi è contro l’ideologia del gender», definita «pericolosa e dannosa». Il dottor Pellai racconta che da alcuni mesi, al termine delle sue numerose conferenze, «il dibattito è quasi sempre monopolizzato da persone che appartengono ai movimenti che si oppongono alla diffusione dell’ideologia gender nelle scuole e che lanciano forti allarmi chiedendo ai genitori presenti di fare molta attenzione perché nelle scuole italiane i nostri figli vengono avvicinati da programmi fortemente diseducativi che diffondono l’ideologia gender e che inducono l’omosessualità». L'allarme, scrive Pellai, è isterico e ingiustificato, perché l'ideologia di genere non esiste: «Io non conosco l’ideologia del gender e personalmente come padre di quattro figli io non l’ho mai incontrata sulla mia strada». Risposta che ricorda quella di Jurij Gagarin, astronauta sovietico, il quale disse che Dio non esiste perché nello spazio non l'aveva incontrato.
L'ideologia di genere non esiste, lo dice anche l'Associazione Italiana di Psicologia (clicca qui): «L’AIP ritiene opportuno intervenire per rasserenare il dibattito nazionale sui temi della diffusione degli studi di genere e orientamento sessuale nelle scuole italiane e per chiarire l’inconsistenza scientifica del concetto di «ideologia del gender». Italiani, state sereni: il concetto di “ideologia di genere” non ha consistenza scientifica, lo dice l'Associazione Italiana di Psicologia. «Esistono, al contrario, studi scientifici di genere, meglio noti come Gender Studies che, insieme ai Gay and Lesbian Studies, hanno contribuito in modo significativo alla conoscenza di tematiche di grande rilievo per molti campi disciplinari (dalla medicina alla psicologia, all’economia, alla giurisprudenza, alle scienze sociali)». I Gender Studies sì, che hanno consistenza scientifica: incomprensibili elucubrazioni di donne con evidenti difficoltà nei confronti del genere femminile (Butler, Fireston, Wittig, Rubin...), che hanno pensato bene di risolvere questi loro problemi personali dichiarando che il mondo si è sbagliato per millenni, e che i generi sessuali vanno semplicemente aboliti perché provocano loro disagio (Fedro ha mirabilmente dipinto questo atteggiamento nella favola La volpe e l'uva).
L'ideologia di genere non esiste, lo dice anche la rivista Wired (clicca qui): è solo «un’espressione usata dai cattolici (più conservatori) e dalla destra più reazionaria per gridare "al lupo al lupo" e creare consenso intorno a posizioni sessiste e omofobe». Chiaro, no? L'ideologia di genere è uno spauracchio e, probabilmente, Judith Butler è uno pseudonimo del cardinale Bagnasco.

2. «Gli Stereotipi di genere sono dannosi»
Se per il dottor Pellai non esiste l'ideologia di genere, esistono invece gli «stereotipi di genere», ossia «quei condizionamenti educativi per cui alle nostre figlie viene insegnato che per avere successo come femmine conviene mostrarsi "ammiccanti, disponibili, magari anche molto sexy" e ai nostri figli maschi viene invece insegnato che mostrarsi machi, insensibili e potenti è il miglior modo per appropriarsi della loro identità di genere». Per aiutare i bambini a liberarsi dagli stereotipi di genere che li affliggono, il dottor Pellai ha scritto un libro destinato alle scuole.
Il libro del dottor Pellai non è l'unico strumento che le scuole hanno per combattere gli stereotipi di genere; esistono anche dei programmi appositi, ad esempio «Non sono una principessa. Educare al genere attraverso la lettura». Nella presentazione di questo programma si chiarisce che le «immagini stereotipate sono mutilanti per le bambine ma anche per i maschietti. La simmetria vuole, infatti, che se i maschi sono attivi e coraggiosi, le femmine non possono che essere passive e timide. Se le bambine sono affettuose e sensibili, ai maschi non rimane che essere violenti».
In sostanza, vediamo i ruoli di genere ridotti a ridicole macchiette: la femminilità consiste nel «mostrarsi ammiccanti, disponibili, magari anche molto sexy»; la virilità nel «mostrarsi machi, insensibili» e nell'essere violenti (del resto, «ai maschi non rimane altro che»). È il famosissimo artificio retorico detto “dell'uomo di paglia” o dello “spaventapasseri”: consiste nel rappresentare in modo caricaturale le argomentazioni dell'avversario in modo da confutarle facilmente. Le specificità femminili e maschili vengono ridotte a odiose caricature (gli uomini machi violenti, le donne ammiccanti e disponibili) che nessuno potrebbe condividere.
A questo punto non resta che condurre una battaglia di civiltà, e combattere questi dannosi e ridicoli stereotipi a partire dalla scuola, con opportuni programmi educativi; magari senza avvisare i genitori, perché sono loro a perpetuare quei malefici «condizionamenti educativi».
Va da sé che: separare la parte biologica della sessualità da quella psicologica, sociale e relazionale; definire quest'ultima come mero condizionamento culturale ed educativo; rappresentarla in modo grottesco e caricaturale al fine di eliminarla dalla società; inserire nelle scuole (senza il consenso dei genitori) programmi che abbiano questo fine, tutto questo è, precisamente quello che viene chiamato “ideologia di genere” (che, quindi, esiste eccome).
Opporsi all'ideologia di genere non significa sostenere che i maschi debbono essere violenti e le femmine sessualmente disponibili. Significa rifarsi ad una antropologia leggermente più ricca, che fa riferimento – ad esempio – a questi testi:

- SEGRETERIA DI STATO, Dichiarazione riguardante l'interpretazione del termine «genere», 15 settembre 1995
- PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA FAMIGLIA, Famiglia, Matrimonio e «unione di fatto», 26 luglio 2000,  
- CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica sulla collaborazione dell'uomo e della donna nella Chiesa e nel mondo, 31 maggio 2004 
- BENEDETTO XVI, Discorso del santo padre Benedetto XVI alla curia romana in occasione della presentazione degli auguri natalizi, 22 dicembre 2008 
- PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA FAMIGLIA, Lexicon. Termini ambigui e discussi su famiglia vita e questioni etiche, Edizioni Dehoniane Bologna, Bologna 2003, 2006.
- BENEDETTO XVI, Discorso del santo padre Benedetto XVI alla curia romana in occasione della presentazione degli auguri natalizi, 21 dicembre 2012  (cfr. http://www.lanuovabq.it/it/articoli-ideologia-del-gender-grave-minaccia-per-la-chiesa-5455.htm).
- Lettera Episcopato Polacco


(Fonte: Roberto Marchesini, La nuova bussola quotidiana, 30 marzo 2015)
http://www.lanuovabq.it/it/articoli-quelli-che-lideologia-gender-non-esistee-scrivono-sui-giornali-cattolici-12222.htm?fb_action_ids=10205222486995667&fb_action_types=og.shares&fb_source=other_multiline&action_object_map=%5B728538690593209%5D&action_type_map=%5B%22og.shares%22%5D&action_ref_map=%5B%5D#.VRkL4PlbiH5.facebook