domenica 25 novembre 2018

Quella partita sulla dottrina, dietro lo scontro sul Padre Nostro


In ballo c'è l'unità della Chiesa minacciata dalla liturgia "liquida" che piace a Bergoglio

C'è molto di più che la diversa interpretazione di una frase dietro la dura polemica che si è scatenata da quando lo scorso 15 novembre la Conferenza Episcopale Italiana (Cei) ha approvato la modifica del Padre Nostro sul Messale.
Come ormai tutti sanno il Non ci indurre in tentazione verrà sostituito dal Non abbandonarci alla tentazione, che i vescovi italiani ritengono più conforme al significato originale in greco. Opinione non condivisa da molti teologi ma anche da una parte consistente dei cattolici italiani, per i quali detto per inciso non è che la nuova formulazione risulti più immediata nel significato di quella tradizionale.
A rendere incandescente la materia ci sono motivi che raccontano delle profonde inquietudini e divisioni che segnano l'attuale momento della Chiesa cattolica, non solo italiana. Un primo motivo riguarda proprio la confusione che oggi regna nella Chiesa riguardo ai contenuti della fede e della morale, come in modo esemplare dimostra lo scontro non ancora risolto sulla comunione ai divorziati risposati seguito all'esortazione apostolica Amoris Laetitia (19 marzo 2016). Non c'è dubbio che negli ultimi anni si susseguono «novità» che vanno nella direzione di un cedimento alla mentalità del mondo: dalla discutibile rivalutazione di Martin Lutero alla condiscendenza verso la cultura omosessualista, dal primato della prassi sull'ortodossia alle aperture su donne diacono e preti sposati, è tutta una corsa al cambiamento che sembra condannare ciò che è stato vero in duemila anni di Chiesa. Non a caso tanti cantori del nuovo corso amano parlare della «Chiesa di Francesco» o della «nuova Chiesa», per indicare una rottura con il passato considerato ormai incapace di dire qualcosa che il mondo sia in grado di ascoltare.
Ammesso e non concesso che fosse giusto toccare l'unica preghiera insegnata da Gesù e all'interno della liturgia che è il cuore della vita della comunità cristiana, era proprio così necessario aggiungere ora un altro fattore di instabilità nel popolo di Dio? E come si concilia questa puntigliosità quando ogni domenica ci sono tanti preti che improvvisano cambiamenti della liturgia senza che nessuna autorità ecclesiastica intervenga?
In tutta questa vicenda è stato ignorato il Catechismo della Chiesa cattolica, che offre già la spiegazione del versetto «non ci indurre in tentazione» (nn.2846-2849); spiegazione che non collima con la nuova traduzione. Nel giro di pochi mesi è perciò la seconda volta che viene «toccato» il Catechismo, dopo il cambiamento sulla pena di morte che Papa Francesco ha introdotto nell'agosto scorso. Un segnale che la dottrina della Chiesa può cambiare nel tempo o anche che sia possibile ignorarla, rendendo ancora più «liquida» la consistenza attuale della Chiesa.
Ma c'è anche un motivo più profondo, ed è la battaglia delle traduzioni che sta dividendo i vertici della Chiesa cattolica. Il 9 settembre 2017 papa Francesco pubblicava il Motu Proprio Magnum Principium in cui introduceva dei cambiamenti nella procedura di approvazione da parte della Santa Sede di traduzioni e adattamenti dal latino dei testi liturgici preparati dalle singole Conferenze episcopali. Fatto rilevante è che la riforma era stata studiata da un gruppo ristretto di esperti, radunati alla Congregazione per il Culto divino ma tenendo all'oscuro il prefetto della stessa Congregazione, il cardinale guineano Robert Sarah, ritenuto troppo vicino alle posizioni di Benedetto XVI. Peraltro lo stesso Benedetto XVI pochi mesi prima, scrivendo la post-fazione al libro di Sarah, La forza del silenzio, aveva affermato che con lui «la liturgia è in buone mani».
Sebbene il testo si prestasse a diverse interpretazioni, i suoi estensori non facevano mistero che il vero significato dell'operazione era dare una maggiore libertà alle Conferenze episcopali in fatto di testi liturgici. Il cardinale Sarah non ha però tardato a reagire e in una lunga lettera inviata al Papa e pubblicata dal sito La Nuova Bussola Quotidiana il successivo 12 ottobre, si premurava di interpretare in modo ben più restrittivo il documento del Papa, con l'autorità che gli viene dal suo ruolo. Sarah temeva a ragione una deriva che portasse a una sorta di «federalismo liturgico» che mette in discussione la stessa unità della Chiesa cattolica. Ma la sortita del cardinale non era piaciuta a papa Francesco che infatti il successivo 22 ottobre con un'altra lettera smentiva il prefetto della Congregazione per il Culto divino e confermava l'intenzione di una devolution liturgica. Potrebbe sembrare una discussione accademica tra esperti, essa tocca invece il cuore della Chiesa cattolica, come ha chiarito anche il cardinale Gerhard Müller, ex prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, anche lui silurato da papa Francesco. In una intervista rilasciata a una rivista francese poco dopo lo scontro sulla Magnum Principium, Müller faceva sue le preoccupazioni del cardinale Sarah affermando: «La liturgia unisce, non deve dividere e fare scaturire contraddizioni. L'autorità finale in caso di dubbi non può risiedere nelle Conferenze episcopali perché questo vorrebbe distruggere l'unità della Chiesa cattolica e la comprensione della fede e della comunione e della preghiera». La vicenda del Padre nostro dunque, è solo un episodio di una battaglia più grande su cui si gioca l'unità della Chiesa, e si può star certi che non finirà con la pubblicazione del nuovo messale.

(Fonte: Riccardo Cascioli, Il Giornale, 25 novembre 2018)
http://www.ilgiornale.it/news/cronache/partita-sulla-dottrina-dietro-scontro-sul-padre-nostro-1606873.html




giovedì 22 novembre 2018

Cambiano il “Padre nostro” e il “Gloria”: alcune nostre considerazioni


In questi giorni si sta parlando delle modifiche apportate dalla CEI in merito alla preghiera del Padre Nostro e del Gloria.
Non siamo intervenuti finora, perché tutto sommato riteniamo che la questione non sia decisiva. Ovviamente se ne può discutere l’opportunità, visto che stiamo parlando di modifiche che toccano preghiere dalla vita secolare.
Visto però che se ne continua a parlare. Ci preme fare qualche considerazione. Come sempre breve e schematica, com’è nello stile che ci siamo scelti.
Iniziamo dal Padre nostro.
Va detto che l’espressione “…non ci indurre in tentazione” (è da decenni che se ne parla) può lasciare intendere una cosa che non è teologicamente esatta, ovvero che Dio possa direttamente (attenzione a questo avverbio) essere causa della tentazione. Ovviamente, ciò non può essere perché l’autore della tentazione è il Maligno, e non certo Dio che è costitutivamente buono.
Pertanto, la modifica di questa espressione poteva rientrare nelle possibilità (anche se -a nostro parere- se se ne doveva valutare l’opportunità) di rendere più chiaro il concetto in merito al rapporto tra l’uomo, la tentazione e l’azione provvidenziale di Dio. 
La questione però è un’altra. Ed è appunto di opportunità, che non solo è legata al consolidamento della recita della preghiera, ma anche ad una mentalità oggi diffusa. L’espressione che è stata scelta “non abbandonarci alla tentazione” potrebbe significare due cose che sono ugualmente inaccettabili teologicamente.
La prima è quella di credere che Dio possa abbandonare nella dinamica della tentazione, una volta invocato. Cosa che non è. Quando si cede alla tentazione, la responsabilità è sempre dell’uomo. L’uomo può abbandonare Dio, non Dio l’uomo. Tant’è che sant’Alfonso giustamente diceva: “Chi prega si salva, chi non prega non si salva”, per far capire -appunto- che se s’invoca Dio, Questi non può non donare la grazia necessaria e sufficiente per superare ogni tentazione.
La seconda è che Dio non possa provvidenzialmente servirsi della tentazione. Ecco perché bisogna stare attenti all’avverbio “direttamente”. Dio non può direttamente tentare, ma indirettamente, permettendola, si serve della tentazione per provarci. Il diavolo (ecco perché Dante ne descrive anche l’aspetto “comico”) diviene, nella prospettiva della Provvidenza, una sorta di “strumento” di Dio per la santificazione dell’uomo. Servire Dio quando non ci sono tentazioni, è facile. Servirlo, nelle tentazioni, è invece occasione di grande merito. Questo non significa che bisogna cercarsi le tentazioni (sarebbe un tentare Dio), ma se arrivano…

Veniamo al Gloria.
Qui la modifica -a nostro parere- è stata ancora più inopportuna. Infatti, la frase “uomini di buona volontà” è divenuta “uomini che Dio ama“. Una modifica che -al di là della correzione della traduzione- induce a sminuire la corrispondenza della libertà umana alla grazia salvifica di Dio. Tutto questo in clima di protestantizzazione della fede cattolica e della vita dei cattolici che è quella che è.

(Fonte: Blog Il cammino dei tre sentieri, 19 novembre 2018)
http://itresentieri.it/cambiano-il-padre-nostro-e-il-gloria-alcune-nostre-considerazioni/?fbclid=IwAR3AUHqd3t1_G_xXB-45upkf7MYVtel1wP3ADi62x4fD5mcrto5AZSwfVmY