Un nuovo Messale venne editato nel 1965, in parte modificato nel 1967, nel quale vennero introdotti la preghiera dei fedeli, la possibilità di recitare in volgare un diverso ciclo di letture e diverse parti dell’Ordinario. Poi la Commissione, presieduta da Monsignor Annibale Bugnini, giunse alla formulazione di un ulteriore nuovo Messale nel 1969: il Novus Ordo Missae, che venne stilato ben oltre le linee guida dell’Assise conciliare.
La Sacrosactum Concilium ha fatto dunque da apripista per legittimare coloro che volevano rivoluzionare (con i pretesto di svecchiare), oltre a tutto il resto, anche il rito della Santa Messa. Scrive Maria Guarini nel suo recente libro La questione liturgica. Il rito Romano usus Antiquior e il Novus Ordo Missae a 50 anni dal Concilio Vaticano II, pubblicato da Solfanelli: «… l’abolizione di moltissimi gesti: inchini e preghiere, l’inserimento di nuove preghiere eucaristiche, la soppressione dei riferimenti alla Comunione dei Santi ed alla Vergine eliminando le invocazioni alla loro intercessione, il maggior spazio dato all’ascolto della sacra scrittura, la modifica delle formule dell’Offertorio e diversi altri rifacimenti hanno reso il nuovo messale un libro liturgico che molto si distacca dal testo tridentino» (p. 24).
Il fatto di aver contaminato la Liturgia, funzione primaria della Chiesa, è stato un errore gravissimo, i cui effetti sono stati tragici, per il clero come per la gente. Una tragedia che ha compromesso sicuramente la grazia santificante della Santa Messa, le propiziazioni che dal Santo Sacrificio derivano e, inevitabilmente, la stessa Fede dei fedeli. Benedetto XVI, nella sua Autobiografia, aveva scritto pagine di forte riflessione dove ricorda il suo sbigottimento di fronte al divieto del messale antico, poiché una cosa simile non si era mai verificata in tutta la storia della liturgia:
«Sono convinto che la crisi ecclesiale in cui oggi ci troviamo dipende in gran parte dal crollo della liturgia, che talvolta viene addirittura concepita “etsi Deus non daretur”: come se in essa non importasse più se Dio c’è e se ci parla e ci ascolta. Ma se nella liturgia non appare più la comunione della fede, l’unità universale della Chiesa e della sua storia, il mistero del Cristo vivente, dov’è che la Chiesa appare ancora nella sua sostanza spirituale? Allora la comunità celebra solo se stessa, senza che ne valga la pena. E, dato che la comunità in se stessa non ha sussistenza, ma, in quanto unità, ha origine per la fede dal Signore stesso, diventa inevitabile in queste condizioni che si arrivi alla dissoluzione in partiti di ogni genere, alla contrapposizione partitica in una Chiesa che lacera se stessa» (cfr. J. Ratzinger, La mia vita [Titolo originale dell’opera: Aus meinem Leben Erinnerungen 1927-1977], San Paolo, Cinisello Balsamo 1997, pp. 113-115).
Maria Guarini, laureata in teologia ed esperta in
Comunicazione e nuove tecnologie, ha diretto per diversi anni la Biblioteca e
le Relazioni al Pubblico del Ministero delle Comunicazioni, ha svolto e svolge
l’attività di operatore dell’informazione a livello internazionale e da alcuni
anni si prodiga per il recupero della Tradizione nella Chiesa. Con questo
saggio l’autrice aiuta il lettore a comprendere efficacemente che la liturgia rappresenta
lo ius divinum del culto dovuto a Dio, che la Santa Messa è un’opera
divina e non umana, mediante la quale Dio santifica il suo popolo: azione del
Signore per i credenti e azione del popolo per il suo Signore. Così come per
Cristo (Dio-uomo) e per la Chiesa (divina e umana), anche la Sacra Liturgia è
nel contempo divina ed umana, realtà visibile e realtà invisibile.
Il cuore del libro, scrive nella prefazione
Monsignor Brunero Gherardini, «non è, dunque, ciò di cui il titolo potrebbe
indurre l’attesa, vale a dire uno studio più o meno scientificamente condotto
sul concetto di liturgia, sul suo contenuto e sulle sue singole parti, ma una
serie di riflessioni, non raramente e giustamente critiche circa la situazione
di fatto determinatasi sulla scia della “creatività” postconciliare, ma
protese alla riconquista del terreno perduto. A tale riguardo non si può far
altro che applaudire» (p. 5).Inoltre Monsignor Gherardini elogia il sano equilibrio che l’autrice distribuisce riccamente nelle sue pagine: la sua fede tradizionalista non è per lei un «paraocchi», ma ci «vede anzi e ci vede bene, tanto se si volge all’indietro, quanto se guarda in avanti (…) Se è vero che liturgia e fissismo non vanno d’accordo, è altrettanto vero che dell’autentica liturgia non è un ottimo interprete né chi sa o preferisce voltarsi soltanto all’indietro, né chi, guardando in avanti, non ha occhi se non per l’ancor confuso domani» (p. 6).
Un altro merito del saggio è la puntuale
confutazione di alcuni luoghi comuni che assurdamente continuano ad alimentare
la non accoglienza del Rito Romano, codificato da San Pio V e oggi celebrato
con il Messale del 1962. Alcuni hanno paura del Vetus Ordo, altri lo
considerano un allestimento teatrale. In realtà «non si tratta di una
gestualità coreografica, ma di un insieme organico e ben scompaginato di gesti
parole e sentimenti cui corrispondono significati profondi e sublimi –
certamente non criptici né solo formali per chi vi si accosta con un minimo di
interesse e volontà di comprendere – e, soprattutto, si rivolge alle fonti
giuste, smettendo di ascoltare i “cattivi maestri”, che stanno rendendo la
Chiesa una landa desolata» (p. 107).
La questione della Santa Messa continua ad essere
pietra di inciampo, nonostante la sua liberalizzazione, grazie al documento Summorum
Pontificum di Benedetto XVI; permane l’azione di boicottaggio nei suoi
confronti, di crudele proibizione, emarginazione e persecuzione (vedasi
l’emblematico caso dei Francescani dell’Immacolata): nonostante sia reclamata,
con amore, da sacerdoti e fedeli, la maggior parte dei vescovi non provano
simpatia per questo rito che offre la possibilità di sentirsi davvero cattolici
e in un corpo solo: a Roma come nel villaggio sperduto del Kenya o dell’India o
della Colombia. Finché non si tornerà a comprendere che il vero celebrante è
Cristo (nel sacerdote), Altare, Vittima, Sommo Sacerdote, il quale rivolge a
Dio il suo Sacrificio e non al popolo, non si tornerà ad una Fede autentica.Al centro del rito liturgico non c’è né la Parola, né l’assemblea (come per i Protestanti), ma Gesù, lo sposo di ogni anima e come tale deve essere adorato e glorificato: «Amico, come hai potuto entrare qui senz’abito nuziale?» (Mt 22, 12); «Ti sposerò nella fedeltà» (Os 2, 22).
Gesù continua fedelmente, ogni giorno, a sacrificarsi sull’altare per ciascuna persona, alla quale La Vittima immolata non richiede la partecipazione, come attore di un qualcosa, ma di assistere in umiltà, di raccogliersi, di inginocchiarsi, di contemplare il Calvario e la Croce, Mistero di Amore perfetto della perfetta Trinità.
(Fonte: Cristina Siccardi, Corrispondenza Romana, 1
aprile 2015)
http://www.corrispondenzaromana.it/la-questione-liturgica-a-50-anni-dal-concilio-vaticano-ii-di-maria-guarini/
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