In
cinque righe il Pontefice regnante liquida un paio di millenni di monachesimo
contemplativo, maschile e femminile. Al N. 26 della sua esortazione apostolica Gaudete ed Exsultate scrive: “Non
è sano amare il silenzio ed evitare l’incontro con l’altro, desiderare il
riposo e respingere l’attività, ricercare la preghiera e sottovalutare il
servizio. Tutto può essere accettato e integrato come parte della propria
esistenza in questo mondo, ed entra a far parte del cammino di santificazione.
Siamo chiamati a vivere la contemplazione anche in mezzo all’azione, e ci
santifichiamo nell’esercizio responsabile e generoso della nostra missione”.
Saranno
felici le suore di clausura e i religiosi contemplativi.Per il resto, il lungo documento tratta in forma lievemente diversa dei soliti rimproveri e chiodi fissi del Pontefice. Parla di Gnostici e Pelagiani, facendo capire che in realtà sono sempre loro, i rigidi, quelli che amano troppo il culto, ecc. ecc. i colpevoli, sotto diverse forme.
Critica le chiacchiere, in una noticina:
“La diffamazione e la calunnia sono come un atto terroristico: si lancia la bomba, si distrugge, e l’attentatore se ne va felice e tranquillo. Questo è molto diverso dalla nobiltà di chi si avvicina per parlare faccia a faccia, con serena sincerità, pensando al bene dell’altro. In certe occasioni può essere necessario parlare delle difficoltà di qualche fratello. In questi casi può succedere che si trasmetta un’interpretazione invece di un fatto obiettivo. La passione deforma la realtà concreta del fatto, lo trasforma in interpretazione e alla fine la trasmette carica di soggettività. Così si distrugge la realtà e non si rispetta la verità dell’altro”.
A sorpresa difende la predicazione ossessiva su accoglienza e migranti, quasi contrapponendola alla difesa della vita:
“Nocivo e ideologico è anche l’errore di quanti vivono diffidando dell’impegno sociale degli altri, considerandolo qualcosa di superficiale, mondano, secolarizzato, immanentista, comunista, populista. O lo relativizzano come se ci fossero altre cose più importanti o come se interessasse solo una determinata etica o una ragione che essi difendono. La difesa dell’innocente che non è nato, per esempio, deve essere chiara, ferma e appassionata, perché lì è in gioco la dignità della vita umana, sempre sacra, e lo esige l’amore per ogni persona al di là del suo sviluppo. Ma ugualmente sacra è la vita dei poveri che sono già nati, che si dibattono nella miseria, nell’abbandono, nell’esclusione, nella tratta di persone, nell’eutanasia nascosta dei malati e degli anziani privati di cura, nelle nuove forme di schiavitù, e in ogni forma di scarto”.
È interessante la lunga parte finale dedicata al demonio, alla sua realtà, alle sue opere e all’influenza che ha nel mondo. Mentre l’interpretazione quasi esclusivamente sociale della beatitudine di chi ha fame e sete di giustizia sottolinea l’impianto orizzontale, secolare e immanente di gran parte della predicazione del Pontefice. Così come fanno alzare le sopracciglia le parti dedicate alla mitezza e al giudizio degli altri da parte di qualcuno che mite certamente non sembra, e quanto a giudicare sembra che pratichi spesso e volentieri il giudizio: compreso questo documento stesso.
Per
chi non volesse leggere tutto il documento, abbiamo raccolto qualche paragrafo
che ci sembrava interessante. Buona lettura.
7. Mi piace vedere la santità nel
popolo di Dio paziente: nei genitori che crescono con tanto amore i loro figli,
negli uomini e nelle donne che lavorano per portare il pane a casa, nei malati,
nelle religiose anziane che continuano a sorridere. In questa costanza per
andare avanti giorno dopo giorno vedo la santità della Chiesa militante. Questa
è tante volte la santità “della porta accanto”, di quelli che vivono vicino a
noi e sono un riflesso della presenza di Dio, o, per usare un’altra
espressione, “la classe media della santità”.
Tra le diverse forme, voglio
sottolineare che anche il “genio femminile” si manifesta in stili femminili di
santità, indispensabili per riflettere la santità di Dio in questo mondo. E
proprio anche in epoche nelle quali le donne furono maggiormente escluse, lo
Spirito Santo ha suscitato sante il cui fascino ha provocato nuovi dinamismi
spirituali e importanti riforme nella Chiesa. Possiamo menzionare santa
Ildegarda di Bingen, santa Brigida, santa Caterina da Siena, santa Teresa
d’Avila o Santa Teresa di Lisieux. Ma mi preme ricordare tante donne
sconosciute o dimenticate le quali, ciascuna a modo suo, hanno sostenuto e
trasformato famiglie e comunità con la forza della loro testimonianza.
14. Per essere santi non è
necessario essere vescovi, sacerdoti, religiose o religiosi. Molte volte
abbiamo la tentazione di pensare che la santità sia riservata a coloro che
hanno la possibilità di mantenere le distanze dalle occupazioni ordinarie, per
dedicare molto tempo alla preghiera. Non è così. Tutti siamo chiamati ad essere
santi vivendo con amore e offrendo ciascuno la propria testimonianza nelle
occupazioni di ogni giorno, lì dove si trova. Sei una consacrata o un
consacrato? Sii santo vivendo con gioia la tua donazione. Sei sposato? Sii
santo amando e prendendoti cura di tuo marito o di tua moglie, come Cristo ha
fatto con la Chiesa. Sei un lavoratore? Sii santo compiendo con onestà e
competenza il tuo lavoro al servizio dei fratelli. Sei genitore o nonna o
nonno? Sii santo insegnando con pazienza ai bambini a seguire Gesù. Hai
autorità? Sii santo lottando a favore del bene comune e rinunciando ai tuoi
interessi personali.
16. Questa santità a cui il
Signore ti chiama andrà crescendo mediante piccoli gesti. Per esempio: una
signora va al mercato a fare la spesa, incontra una vicina e inizia a parlare,
e vengono le critiche. Ma questa donna dice dentro di sé: “No, non parlerò male
di nessuno”. Questo è un passo verso la santità. Poi, a casa, suo figlio le
chiede di parlare delle sue fantasie e, anche se è stanca, si siede accanto a
lui e ascolta con pazienza e affetto. Ecco un’altra offerta che santifica.
Quindi sperimenta un momento di angoscia, ma ricorda l’amore della Vergine Maria,
prende il rosario e prega con fede. Questa è un’altra via di santità. Poi esce
per strada, incontra un povero e si ferma a conversare con lui con affetto.
Anche questo è un passo avanti.
22. Per riconoscere quale sia
quella parola che il Signore vuole dire mediante un santo, non conviene
soffermarsi sui particolari, perché lì possono esserci anche errori e cadute.
Non tutto quello che dice un santo è pienamente fedele al Vangelo, non tutto
quello che fa è autentico e perfetto. Ciò che bisogna contemplare è l’insieme
della sua vita, il suo intero cammino di santificazione, quella figura che
riflette qualcosa di Gesù Cristo e che emerge quando si riesce a comporre il
senso della totalità della sua persona.
25. Poiché non si può capire
Cristo senza il Regno che Egli è venuto a portare, la tua stessa missione è
inseparabile dalla costruzione del Regno: «Cercate innanzitutto il Regno di Dio
e la sua giustizia» (Mt 6,33). La tua identificazione con Cristo e i suoi
desideri implica l’impegno a costruire, con Lui, questo Regno di amore, di
giustizia e di pace per tutti. Cristo stesso vuole viverlo con te, in tutti gli
sforzi e le rinunce necessari, e anche nelle gioie e nella fecondità che ti
potrà offrire. Pertanto non ti santificherai senza consegnarti corpo e anima
per dare il meglio di te in tale impegno.
26. Non è sano amare il silenzio
ed evitare l’incontro con l’altro, desiderare il riposo e respingere
l’attività, ricercare la preghiera e sottovalutare il servizio. Tutto può
essere accettato e integrato come parte della propria esistenza in questo
mondo, ed entra a far parte del cammino di santificazione. Siamo chiamati a
vivere la contemplazione anche in mezzo all’azione, e ci santifichiamo
nell’esercizio responsabile e generoso della nostra missione.
Gnosticismo:
39. Facciamo però attenzione. Non
mi riferisco ai razionalisti nemici della fede cristiana. Questo può accadere
dentro la Chiesa, tanto tra i laici delle parrocchie quanto tra coloro che
insegnano filosofia o teologia in centri di formazione. Perché è anche tipico
degli gnostici credere che con le loro spiegazioni possono rendere
perfettamente comprensibili tutta la fede e tutto il Vangelo. Assolutizzano le
proprie teorie e obbligano gli altri a sottomettersi ai propri ragionamenti.
Una cosa è un sano e umile uso della ragione per riflettere sull’insegnamento
teologico e morale del Vangelo; altra cosa è pretendere di ridurre
l’insegnamento di Gesù a una logica fredda e dura che cerca di dominare tutto.
39. In realtà, la dottrina, o
meglio, la nostra comprensione ed espressione di essa, «non è un sistema
chiuso, privo di dinamiche capaci di generare domande, dubbi, interrogativi», e
«le domande del nostro popolo, le sue pene, le sue battaglie, i suoi sogni, le
sue lotte, le sue preoccupazioni, possiedono un valore ermeneutico che non
possiamo ignorare se vogliamo prendere sul serio il principio
dell’incarnazione. Le sue domande ci aiutano a domandarci, i suoi interrogativi
ci interrogano».
Pelagiani:
49. Quelli che rispondono a
questa mentalità pelagiana o semipelagiana, benché parlino della grazia di Dio
con discorsi edulcorati, «in definitiva fanno affidamento unicamente sulle
proprie forze e si sentono superiori agli altri perché osservano determinate
norme o perché sono irremovibilmente fedeli ad un certo stile cattolico».46
Quando alcuni di loro si rivolgono ai deboli dicendo che con la grazia di Dio
tutto è possibile, in fondo sono soliti trasmettere l’idea che tutto si può
fare con la volontà umana, come se essa fosse qualcosa di puro, perfetto,
onnipotente, a cui si aggiunge la grazia. Si pretende di ignorare che «non
tutti possono tutto»47 e che in questa vita le fragilità umane non sono guarite
completamente e una volta per tutte dalla grazia.
51. In ultima
analisi, la mancanza di un riconoscimento sincero, sofferto e orante dei nostri
limiti è ciò che impedisce alla grazia di agire meglio in noi, poiché non le
lascia spazio per provocare quel bene possibile che si integra in un cammino
sincero e reale di crescita. La grazia, proprio perché suppone la nostra natura,
non ci rende di colpo superuomini. Pretenderlo sarebbe confidare troppo in noi
stessi. In questo caso, dietro l’ortodossia, i nostri atteggiamenti possono non
corrispondere a quello che affermiamo sulla necessità della grazia, e nei fatti
finiamo per fidarci poco di essa. Infatti, se non riconosciamo la nostra realtà
concreta e limitata, neppure potremo vedere i passi reali e possibili che il
Signore ci chiede in ogni momento, dopo averci attratti e resi idonei col suo
dono. La grazia agisce storicamente e, ordinariamente, ci prende e ci trasforma
in modo progressivo. Perciò, se rifiutiamo questa modalità storica e
progressiva, di fatto possiamo arrivare a negarla e bloccarla, anche se con le
nostre parole la esaltiamo.
52. Ci sono ancora
dei cristiani che si impegnano nel seguire un’altra strada: quella della
giustificazione mediante le proprie forze, quella dell’adorazione della volontà
umana e della propria capacità, che si traduce in un autocompiacimento
egocentrico ed elitario privo del vero amore. Si manifesta in molti
atteggiamenti apparentemente diversi tra loro: l’ossessione per la legge, il
fascino di esibire conquiste sociali e politiche, l’ostentazione nella cura
della liturgia, della dottrina e del prestigio della Chiesa, la vanagloria
legata alla gestione di faccende pratiche, l’attrazione per le dinamiche di
auto-aiuto e di realizzazione autoreferenziale. In questo alcuni cristiani
spendono le loro energie e il loro tempo, invece di lasciarsi condurre dallo
Spirito sulla via dell’amore, invece di appassionarsi per comunicare la
bellezza e la gioia del Vangelo e di cercare i lontani nelle immense
moltitudini assetate di Cristo.
58. Molte volte,
contro l’impulso dello Spirito, la vita della Chiesa si trasforma in un pezzo
da museo o in un possesso di pochi. Questo accade quando alcuni gruppi
cristiani danno eccessiva importanza all’osservanza di determinate norme
proprie, di costumi o stili. In questo modo, spesso si riduce e si reprime il
Vangelo, togliendogli la sua affascinante semplicità e il suo sapore. E’ forse
una forma sottile di pelagianesimo, perché sembra sottomettere la vita della
grazia a certe strutture umane. Questo riguarda gruppi, movimenti e comunità,
ed è ciò che spiega perché tante volte iniziano con un’intensa vita nello
Spirito, ma poi finiscono fossilizzati… o corrotti.
73. Paolo menziona
la mitezza come un frutto dello Spirito Santo (cfr Gal 5,23). Propone che, se
qualche volta ci preoccupano le cattive azioni del fratello, ci avviciniamo per
correggerle, ma «con spirito di dolcezza» (Gal 6,1), e ricorda: «e tu vigila su
te stesso, per non essere tentato anche tu» (ibid.). Anche quando si difende la
propria fede e le proprie convinzioni, bisogna farlo con mitezza (cfr 1 Pt
3,16), e persino gli avversari devono essere trattati con mitezza (cfr 2 Tm
2,25). Nella Chiesa tante volte abbiamo sbagliato per non aver accolto questo
appello della Parola divina.
74. La mitezza è
un’altra espressione della povertà interiore, di chi ripone la propria fiducia
solamente in Dio. Di fatto nella Bibbia si usa spesso la medesima parola anawim
per riferirsi ai poveri e ai miti. Qualcuno potrebbe obiettare: “Se sono troppo
mite, penseranno che sono uno sciocco, che sono stupido o debole”. Forse sarà
così, ma lasciamo che gli altri lo pensino. E’ meglio essere sempre miti, e si
realizzeranno le nostre più grandi aspirazioni: i miti «avranno in eredità la
terra», ovvero, vedranno compiute nella loro vita le promesse di Dio. Perché i
miti, al di là di ciò che dicono le circostanze, sperano nel Signore e quelli
che sperano nel Signore possederanno la terra e godranno di grande pace (cfr
Sal 37,9.11). Nello stesso tempo, il Signore confida in loro: «Su chi volgerò
lo sguardo? Sull’umile e su chi ha lo spirito contrito e su chi trema alla mia
parola» (Is 66,2).
Reagire
con umile mitezza, questo è santità.
79. Tale giustizia
incomincia a realizzarsi nella vita di ciascuno quando si è giusti nelle
proprie decisioni, e si esprime poi nel cercare la giustizia per i poveri e i
deboli. Certo la parola “giustizia” può essere sinonimo di fedeltà alla volontà
di Dio con tutta la nostra vita, ma se le diamo un senso molto generale
dimentichiamo che si manifesta specialmente nella giustizia con gli indifesi:
«Cercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano,
difendete la causa della vedova» (Is 1,17).
Cercare
la giustizia con fame e sete, questo è santità..
100. Purtroppo a
volte le ideologie ci portano a due errori nocivi. Da una parte, quello dei
cristiani che separano queste esigenze del Vangelo dalla propria relazione
personale con il Signore, dall’unione interiore con Lui, dalla grazia. Così si
trasforma il cristianesimo in una sorta di ONG, privandolo di quella luminosa
spiritualità che così bene hanno vissuto e manifestato san Francesco d’Assisi,
san Vincenzo de Paoli, santa Teresa di Calcutta e molti altri. A questi grandi
santi né la preghiera, né l’amore di Dio, né la lettura del Vangelo diminuirono
la passione e l’efficacia della loro dedizione al prossimo, ma tutto il
contrario.
101. Nocivo e
ideologico è anche l’errore di quanti vivono diffidando dell’impegno sociale
degli altri, considerandolo qualcosa di superficiale, mondano, secolarizzato,
immanentista, comunista, populista. O lo relativizzano come se ci fossero altre
cose più importanti o come se interessasse solo una determinata etica o una
ragione che essi difendono. La difesa dell’innocente che non è nato, per
esempio, deve essere chiara, ferma e appassionata, perché lì è in gioco la
dignità della vita umana, sempre sacra, e lo esige l’amore per ogni persona al
di là del suo sviluppo. Ma ugualmente sacra è la vita dei poveri che sono già
nati, che si dibattono nella miseria, nell’abbandono, nell’esclusione, nella
tratta di persone, nell’eutanasia nascosta dei malati e degli anziani privati
di cura, nelle nuove forme di schiavitù, e in ogni forma di scarto. Non
possiamo proporci un ideale di santità che ignori l’ingiustizia di questo
mondo, dove alcuni festeggiano, spendono allegramente e riducono la propria vita
alle novità del consumo, mentre altri guardano solo da fuori e intanto la loro
vita passa e finisce miseramente.
102. Spesso si
sente dire che, di fronte al relativismo e ai limiti del mondo attuale, sarebbe
un tema marginale, per esempio, la situazione dei migranti. Alcuni cattolici
affermano che è un tema secondario rispetto ai temi “seri” della bioetica. Che
dica cose simili un politico preoccupato per i suoi successi si può
comprendere, ma non un cristiano, a cui si addice solo l’atteggiamento di
mettersi nei panni di quel fratello che rischia la vita per dare un futuro ai
suoi figli. Possiamo riconoscere che è precisamente quello che ci chiede Gesù
quando ci dice che accogliamo Lui stesso in ogni forestiero (cfr Mt 25,35)? San
Benedetto lo aveva accettato senza riserve e, anche se ciò avrebbe potuto
“complicare” la vita dei monaci, stabilì che tutti gli ospiti che si
presentassero al monastero li si accogliesse «come Cristo» (85), esprimendolo
perfino con gesti di adorazione (86) e che i poveri pellegrini li si trattasse
«con la massima cura e sollecitudine» (87).
117. Non ci fa bene
guardare dall’alto in basso, assumere il ruolo di giudici spietati, considerare
gli altri come indegni e pretendere continuamente di dare lezioni. Questa è una
sottile forma di violenza.
(noticina:
95) Ci sono parecchie forme di bullismo
che, pur apparendo eleganti e rispettose e addirittura molto spirituali,
provocano tanta sofferenza nell’autostima degli altri.
Qualcosa
di più di un mito
160. Non
ammetteremo l’esistenza del diavolo se ci ostiniamo a guardare la vita solo con
criteri empirici e senza una prospettiva soprannaturale. Proprio la convinzione
che questo potere maligno è in mezzo a noi, è ciò che ci permette di capire
perché a volte il male ha tanta forza distruttiva. È vero che gli autori
biblici avevano un bagaglio concettuale limitato per esprimere alcune realtà e
che ai tempi di Gesù si poteva confondere, ad esempio, un’epilessia con la
possessione demoniaca. Tuttavia, questo non deve portarci a semplificare troppo
la realtà affermando che tutti i casi narrati nei vangeli erano malattie
psichiche e che in definitiva il demonio non esiste o non agisce. La sua
presenza si trova nella prima pagina delle Scritture, che terminano con la
vittoria di Dio sul demonio.120 Di fatto, quando Gesù ci ha lasciato il “Padre
Nostro” ha voluto che terminiamo chiedendo al Padre che ci liberi dal Maligno.
L’espressione che lì si utilizza non si riferisce al male in astratto e la sua
traduzione più precisa è «il Maligno». Indica un essere personale che ci
tormenta. Gesù ci ha insegnato a chiedere ogni giorno questa liberazione perché
il suo potere non ci domini.
161. Non pensiamo
dunque che sia un mito, una rappresentazione, un simbolo, una figura o un’idea
(121). Tale inganno ci porta ad abbassare la guardia, a trascurarci e a
rimanere più esposti. Lui non ha bisogno di possederci. Ci avvelena con l’odio,
con la tristezza, con l’invidia, con i vizi. E così, mentre riduciamo le
difese, lui ne approfitta per distruggere la nostra vita, le nostre famiglie e
le nostre comunità, perché «come leone ruggente va in giro cercando chi
divorare» (1 Pt 5,8).
Svegli e
fiduciosi
162. La Parola di Dio ci invita
esplicitamente a «resistere alle insidie del diavolo» (Ef 6,11) e a fermare
«tutte le frecce infuocate del maligno» (Ef 6,16). Non sono parole poetiche,
perché anche il nostro cammino verso la santità è una lotta costante. Chi non
voglia riconoscerlo si vedrà esposto al fallimento o alla mediocrità. Per il
combattimento abbiamo le potenti armi che il Signore ci dà: la fede che si
esprime nella preghiera, la meditazione della Parola di Dio, la celebrazione
della Messa, l’adorazione eucaristica, la Riconciliazione sacramentale, le
opere di carità, la vita comunitaria, l’impegno missionario. Se ci trascuriamo
ci sedurranno facilmente le false promesse del male, perché, come diceva il
santo sacerdote Brochero: «Che importa che Lucifero prometta di liberarvi e
anzi vi getti in mezzo a tutti i suoi beni, se sono beni ingannevoli, se sono
beni avvelenati?».
(Fonte: Marco Tosatti, Stilum Curiae, 9
aprile 2018)
http://www.marcotosatti.com/2018/04/09/gaudete-et-exsultate-ma-non-se-siete-contemplativi-o-di-clausura/
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