mercoledì 12 febbraio 2020

A PROPOSITO DI BENIGNI E DEL SUO CANTICO DEI CANTICI


1. «Non possiamo tacere. 
Abbiamo il dovere morale, dovere di retta coscienza, di condannare duramente il vergognoso monologo di Roberto Benigni durante il festival di Sanremo su Rai 1, prendendo a pretesto la Bibbia e il libro del Cantico dei cantici. Se e quando la televisione pubblica, cioè finanziata dai soldi dei cittadini, decide di portare sul piccolo schermo un tema di grande valore culturale e religioso, non può lasciare il monopolio interpretativo e comunicativo a una persona che non ha nessuna qualifica di competenza specifica e che si arroga il diritto di propinare il suo sproloquio, infarcito di ignoranza e di falsità, a milioni di telespettatori.
Perfino il pubblico dell’Ariston, in mezzo al quale certo non abbondavano gli esegeti biblici e forse neanche i credenti, se n’è accorto, vista la penuria di applausi. Il Cantico dei cantici è uno stupendo libro dell’Antico Testamento in cui si canta la pienezza dell’amore e dell’amore dello sposo, Dio padre, per il popolo ebraico. Dopo l’incarnazione e con la rivelazione, viene riletto come il canto di amore di Cristo, lo sposo per il nuovo popolo eletto, la Chiesa, sua sposa.
Un amore totale pieno di passione, che viene descritto con una delicatezza di toni che non ha nulla a che vedere con la sguaiata volgarità del suddetto sproloquio. Passione che arriva fino al sacrificio della croce. Se si dovesse scrivere a colori quel testo, si dovrebbe utilizzare il rosso della passione del sentimento amoroso e il rosso del sangue versato sulla croce.
Questo è il canto dell’amore totale, fedele, unico, incancellabile in cui eros, agape, e koinonia si fondono e completano, come ci ha magistralmente insegnato Benedetto XVI nell’enciclica Deus Charitas est (2005). Trasformarlo in un delirante messaggio a cavallo fra pornografia ed erotismo di bassa lega, infarcito di banalità, infine inventandosi di sana pianta una traduzione manipolata, è certamente un’operazione politicamente corretta in linea con i tempi, ma che rivela la strategia dell’indottrinamento bieco e menzognero della cultura cristianofobica.
Le radici della storica frase di Gesù "L’uomo non separi ciò che Dio ha unito” ( matrimonio sponsalità, procreazione, genitorialità) trova le sue radici più profonde e proprio nel cantico: l’amore di Cristo per la Chiesa, e amore inseparabile, indefettibile, totale, fedele, che giunge fino al sacrificio della vita.

Questo è l’amore che, realizzato pienamente in Cristo, ha sempre trovato nella storia, anche oggi, testimoni fedeli pur con tutti i limiti della debolezza umana. Chi avesse qualche dubbio, guardi un crocifisso ed impariamo da Lui, che ha perdonato ma non ha fatto sconti nella proclamazione della verità. Per questo l’hanno appeso ad una croce. »
(Massimo Gandolfini)

 2. Benigni, il furbetto che sfrutta l’ignoranza della gente
L’operazione di Benigni è subdola (e ha fatto bene Diego Fusaro a rilevarlo): perché ha voluto insinuare che la Chiesa è la solita oscurantista di sempre, che nega la bellezza dell’amore sponsale. E il nostro comico lo ha fatto fra l’altro suggerendo di stare leggendo da un testo che non sarebbe quello contenuto nelle edizioni ufficiali! Ma sarei curioso di sapere a quale ur-redaktion, redazione originale primitiva extrabiblica lui si riferisca, quando il testo (masoretico ebraico, traduzione greca dei LXX, Vulgata latina) è disponibile in tutte le librerie! E di grazia, converrete che il proclamare in chiesa o in sinagoga traduzioni poetiche e non letterali (evitando di parlare dall’ambone di peni, testicoli e monti di venere) è solo questione di estetica e di buon gusto e non certo operazione censoria!
Ma per me, lo scandalo più grave è ancora un altro: che pur di addossare tutte le colpe alla Chiesa Benigni ha strappato il Cantico al suo legittimo proprietario che è Israele, e vi dico il perché. Perché è lui, sì lui, che ha invece censurato il testo: perché l’invito della bella Sulamita ad aiutarla a cercare lo sposo non è rivolto genericamente a “figlie”, ma l’invito è rivolto alla “figlie di Gerusalemme”, cosa che lui ha deliberatamente omesso tutte le volte che ha citato il testo. E in questa omissione sta il peccato più grave: decontestualizzando il Cantico dal popolo che lo ha espresso (ma d’altronde, dicendo che leggeva da un testo extra biblico più antico, lo aveva già strappato dalla Bibbia), ha reso così un canto, espressione della più alta spiritualità biblica (e quindi espressione della fede secondo la tradizione ebraica prima e cristiana dopo), un inno generico all’amore che, con un po’ di impegno un bravo poeta avrebbe potuto fare: ridotto così cosa c’è di diverso tra una poesia di Baudelaire o una di Garcia Lorca dal Cantico?
Ma siamo in fondo al vero punto in questione: l’operazione più subdola ancora, quella di insinuare che il cantico inneggia all’amore, ad ogni tipo di amore (sponsale, efebico, saffico). Comprendetemi: non si tratta in questa sede di dare un giudizio morale su cui qui non voglio entrare, ma anzitutto di rilevare una scorrettezza di metodo, esegetica. Benigni doveva qui dire, necessariamente che il Cantico dei cantici narra la storia di un fidanzato e di una fidanzata innamorati: per onestà, come per onestà io debbo dire che dal balcone di Verona si affacciava una Giulietta che spasimava per il suo Romeo (e non posso parlare di due Giuliette o di due Romeo). Punto. 
Che se poi voleva cogliere l’occasione per parlare l’amore omoerotico tra maschi (non mi risultano seguaci della poetessa di Lesbo nella Bibbia) poteva citare la storia di Davide e Gionata (perché nella Bibbia c’è pure questo e nessuno ha mai avuto timore di ammetterlo) ma non il Cantico. E ripeto, qui la morale non c’entra (né tanto meno, per favore, si tirino in ballo omofobia e simili), ma solo il dato oggettivo di quello che è il racconto, la trama del Cantico dei cantici.
Certo, Benigni fa furbescamente il suo mestiere e strizza l’occhio ai suoi ascoltatori, ma quello che mi preoccupa è come sia facile abbindolare le persone sfruttando la loro ignoranza e giocando sui sentimenti e oscurando l’intelligenza (ma come anche facilmente la gente si lascia abbindolare). Questo è pericoloso. Non solo per la fede. Ma anche per la democrazia e il dialogo che si basano sul rispetto della persona e l’onesta intellettuale per rigettare con forza ogni tipo di manipolazione. Per questo temo questi applausi a scena aperta, ma anche il silenzio di chi dovrebbe parlare eppure tace, atei o cristiani o ebrei che siano.
(Fonte: Ignazio La China, Tempi, 9 febbraio 2020)
https://www.tempi.it/benigni-il-furbetto-che-sfrutta-lignoranza-della-gente/


3. Benigni a Sanremo: l’endorsement dei cattolici e una precisazione sull’eternità
Sanremo è Sanremo e Benigni è Benigni. Il suo lungo monologo sul palco dell’Ariston dedicato al Cantico dei Cantici, ha suscitato numerose polemiche a causa della personale rilettura e travisamento del testo sacro. Gli osservatori più acuti (come ad esempio Diego Fusaro e Tommaso Scandroglio su La Nuova Bussola Quotidiana) hanno visto nella desacralizzazione e nella derisione del cristianesimo una delle peculiarità di questa settantesima edizione del Festival. Dal siparietto iniziale di Fiorello travestito da prete che invita gli spettatori a scambiarsi un segno di pace, a Lauro che emula san Francesco, dal “Non sia fatta la tua volontà” di Tiziano Ferro a Zucchero che insegna che “Solo una sana e consapevole libidine salva il giovane dallo stress e dall’azione cattolica”. Per finire col bacio tra Fiorello e Ferro, seguito dalle pubbliche scuse al legittimo marito (sic!) del secondo.
Un attacco al sacro e alla trascendenza che è la cifra dell’intervento di Benigni che spoglia il Cantico dei Cantici di ogni riferimento a Dio e all’anima per convertirlo in un manifesto sessantottino di elogio dell’amore (omo)sessuale, novello Decameron boccaccesco. Una imbarazzante performance che tradisce le intenzioni di un comico di fama internazionale.
Tra le tante voci che si sono elevate in ambito cattolico contro questa vergognosa desacralizzazione della Parola di Dio, sorprende leggere alcuni endorsement d’eccellenza. In effetti che a qualcuno il Cantico di Benigni è piaciuto assai. È piaciuto ad esempio a uno studioso che ha collaborato col comico nella stesura del monologo: si tratta, niente meno, che del Presidente del Pontificio Consiglio per la Cultura, biblista di fama internazionale e prolifico scrittore, il cardinale Gianfranco Ravasi che con orgoglio ha pubblicato su Twitter il ringraziamento di Benigni alla sua persona per i buoni consigli sul testo. Non si riesce a comprendere come si possa essere orgogliosi per aver contribuito a un tale indecente spettacolo, tra l’altro pieno di inesattezze dal punto di vista storico, biblico e interpretativo.
Un secondo incredibile applauso a Benigni arriva dalla Associazione Papaboys che non risparmia gli elogi: “Grazie Roberto Benigni. Questo è il tuo omaggio a Giovanni Paolo II che ti ha toccato il cuore”. Non sappiamo che film abbiano visto quelli di Papaboys, ma la cosa lascia a dir poco perplessi. Viene da domandarsi a quale “papa” appartengano questi “boys” che a dicembre hanno esplicitato il loro sostegno alle Sardine in vista delle elezioni regionali in Emilia Romagna (Sartoriboys?). Di certo pensare che Benigni, con il suo monologo, abbia voluto omaggiare Giovanni Paolo II è – ad essere buoni – fuorviante: una storpiatura dello storpiatore.
Un endorsement d’eccellenza nei confronti del Cantico Benigni lo si trova invece sulle colonne di Avvenire dove la biblista Rossanna Virgili afferma che: «L’idea di far conoscere e gustare il Cantico è stata davvero stupenda, appropriata, preziosa per un pubblico tanto vasto e popolare come quello del Sanremo in mondovisione». Un’idea che neanche la “licenza interpretativa” di Benigni può inficiare, nonostante abbia «tradotto, tradendolo, l’amore tra amato e amata in altri amori che sono lontani e fuori dal limpido orizzonte biblico». Noi, al contrario, temiamo che l’idea di Benigni non sia stata proprio così felice, l’idea di proporre la propria personalissima idea del mondo, dell’uomo e della sessualità strumentalizzando a questo fine la Sacra Scrittura e approfittando della propria popolarità per politicizzare il testo sacro. Dispiace che a non notarlo sia una nota biblista sul giornale dei vescovi. Giusto però far notare che sullo stesso giornale l’inviata a Sanremo Lucia Bellaspiga sottolinea con dispiacere la sottomissione di Benigni ai diktat del “politicamente corretto”.
Me per amore di verità e per carità cristiana verso il comico e verso i suoi più attenti ascoltatori vorremmo rispettosamente cercare di rispondere su un punto (tralasciando la questione, già largamente affrontata altrove, riguardante il senso, l’origine e l’interpretazione del Cantico dei Cantici). Benigni ha parlato di eternità, affermando che l’amore (concetto che lui identifica e scambia volentieri col “fare l’amore”) offre agli uomini la possibilità di divenire immortali.
Eternità. Sì Benigni, lei ha ragione, nel cuore dell’uomo c’è un profondo anelito, il desiderio di eternità. Nessuno vuole che i propri giorni finiscano; la paura della morte ci stringe, ci lega, al punto che spesso darci alla “pazza gioia” ci sembra una via percorribile per raggiungere l’illusione di allontanare la fine. Anche il sesso è una scappatoia, ci offre l’illusione dell’immortalità, per poi abbandonarci alla nostra pensante, ingombrante e caduca umanità dai giorni contati. Il libro della Sapienza ci mostra in maniera plastica questa dolorosa realtà:
Dicono gli empi sragionando: «La nostra vita è breve e triste; non c’è rimedio, quando l’uomo muore, e non si conosce nessuno che liberi dagli inferi. Siamo nati per caso e dopo saremo come se non fossimo stati. La nostra esistenza è il passare di un’ombra e non c’è ritorno alla nostra morte, poiché il sigillo è posto e nessuno torna indietro. […] Su, godiamoci i beni presenti, facciamo uso delle creature con ardore giovanile! Inebriamoci di vino squisito e di profumi, non lasciamoci sfuggire il fiore della primavera, coroniamoci di boccioli di rose prima che avvizziscano; nessuno di noi manchi alla nostra intemperanza. Lasciamo ovunque i segni della nostra gioia perché questo ci spetta, questa è la nostra parte» (Sap 1, 1-2. 6-9).
Così pensano coloro che non conoscono Dio. E cercano in ogni modo di scappare alla paura della morte. Ma – continua la Sapienza – «Dio ha creato l’uomo per l’immortalità; lo fece a immagine della propria natura. Ma la morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo; e ne fanno esperienza coloro che gli appartengono» (Sap. 2, 23-24).
Siamo stati creati per l’immortalità ma viviamo circondati di morte. Solo l’incontro con Cristo, che è Via, Verità e Vita, può restituirci – a noi che viviamo da schiavi – la nostra dignità di Figli di Dio, coeredi di Cristo, destinati al cielo e non al cimitero. Non è dunque la sfrenatezza dei sensi (la chiami pure amore) e l’ebrezza dell’amore libero a donarci l’immortalità.
L’immortalità è un’altra cosa. Come afferma San Paolo nella lettera ai Romani: «liberati dal peccato e fatti servi di Dio, voi raccogliete il frutto che vi porta alla santificazione e come destino avete la vita eterna. Perché il salario del peccato è la morte; ma il dono di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù nostro Signore».
Ecco in cosa consiste l’immortalità. E questi versi del Cantico dei Cantici, che San Tommaso d’Aquino, sollecitato dai suoi compagni, commentò in punto di morte nella Abazia di Fossanova, la descrivono con densità poetica e profondità spirituale: «Ho cercato l’amato del mio cuore… quando lo trovai lo strinsi fortemente e non lo lascerò mai» (Cdc 3,4).

(Fonte: Miguel Cuartero Samperi, Blog, 9 febbraio 2020)
https://www.sabinopaciolla.com/benigni-a-sanremo-lendorsement-dei-cattolici-e-una-precisazione-sulleternita/



Nessun commento: