La salita al cielo di Joseph Ratzinger/Benedetto XVI lascia la terra più al buio. La fede è anche luce e conoscenza che, nel suo matrimonio con la ragione, diffonde chiarezza, dissolve le tenebre, supera i dubbi angosciosi, dà gioia all’intelligenza, sottrae dalla dittatura del tempo e conferisce una libertà riempita di verità. Giovanni Paolo II aveva detto che la frase del Vangelo che egli più amava era: “La verità vi farà liberi”. Non so se Benedetto XVI abbia mai risposto ad una domanda su questo punto, ma penso che condividesse. La verità, che vive assieme alla carità (Veritas in caritate e Caritas in veritate) può essere vista come il centro della sua vita, della sua ricerca teologica, della guida della Chiesa universale prima alla Dottrina della Fede e poi al Pontificato. Un “magistero luminoso” lo aveva giustamente definito il cardinale Sodano.
La
luce della fede, sposata con la ragione, brillava e brilla nei suoi scritti
teologici, nella
chiarezza degli interventi magisteriali, nei discorsi, alcuni dei quali entrati
ormai nella storia … ma anche nella pacatezza dei gesti, nel delicato rispetto
delle persone, nella gentilezza degli atteggiamenti, nella sua sobria e intima
compostezza, così rassicurante nell’esprimere fermezza e fiducia in Cristo.
Nessuna sbavatura, nessuna alimentazione del dubbio che corrode e disanima,
nessuna ambiguità, il come del discorso sempre perfettamente
commisurato al cosa.
Accostandosi a lui si era sicuri di non venire confusi, ma confermati nelle
verità di fede e di ragione. A lui ci si accostava sempre con fiducia
di figli, sapendo che un padre non avrebbe mai dato una serpe da mangiare.
Benedetto difendeva la “sana dottrina” dai venti sempre nuovi delle opinioni
teologiche, conservava e riproponeva l’esigenza del sacro pur in un mondo
secolarizzato, non pensava che al “nuovo” bisognasse passivamente
“aggiornarsi”, ma semmai affrontarlo con una immersione profetica nella
tradizione, non disprezzava il dialogo, anche con gli atei, ma non rinunciava
alla pretesa della fede di emancipare nella verità anche la ragione. Quando
discuteva con Habermas o Odifreddi non usava la sola ragione, ma la “ragione
nella fede”, come San Tommaso, lui che si era formato su San Bonaventura e
Agostino.
Non cessò di difendere il ruolo della metafisica nella teologia e
aiutò Giovanni Paolo II a scrivere la Fides et ratio, che ormai la
Chiesa sembra non ricordare più, era dell’idea che “il ricevere precede il
fare” e che i diritti e le libertà fossero legittimati nella loro verità da
qualcosa che li precede e che si chiama ordine naturale sul piano della ragione
e deposito rivelato su quello della fede, ribadì con finezza intellettuale e
teologica la necessità di intendere Dio come fine ultimo e, quindi, l’ insufficienza
dell’ordine secolare riguardo ai suoi stessi fini e il suo bisogno di una
salvezza che non può derivare dalla superbia mondana, nella relazione tra Città
dell’Uomo e Città di Dio non invertiva mai valore e priorità delle due realtà,
non fece concessioni al naturalismo e pensava che la fede rivelata liberasse la
ragione naturale dalla gnosi.
Nel
magistero di Benedetto tutte le verità si davano appuntamento e trovavano il
loro posto conveniente. L’errore non veniva inteso come spinta dialettica
verso una superiore sintesi. Non solo l’intellettuale ma anche il semplice
fedele godeva nel trovarsi in un universo di senso coerente e dotato di
stabilità, con cui affrontare le contraddizioni e le negazioni dell’esistenza,
continuando a considerarle contraddizioni e negazioni e non nuove norme o nuove
leggi. Con Benedetto si sapeva che le circostanze non sono eccezioni.
Per lui non era il tempo a fare da punto di partenza per interpretare la
fede apostolica, certamente nella Palestina di Gesù i registratori non
esistevano, ma la trasmissione della fede apostolica è avvenuta nella assoluta
certezza garantita dallo Spirito, il metodo storico-critico non va rigettato ma
su di esso prevale la fede della tradizione e la teologia della liberazione
sbaglia a pensare che il Vangelo si legga a partire dalla situazione, mentre è
la situazione che si legge alle luce della fede apostolica. Le teologie
contemporanee hanno indicato il “luogo teologico” in molte situazioni
esistenziali e storiche, ma per Benedetto l’unico luogo teologico era la fede
apostolica. Con lui ogni fedele cattolico si sentiva garantito di essere
guidato dalla Chiesa ad aderire alle stesse verità di fede degli Apostoli.
Benedetto
aveva chiarito alla Chiesa dove la verità fosse stata originariamente
negata nella
forma radicale della modernità. Questo era successo nell’Occidente della grande
abiura e dell’ateismo scelto come nuova religione. Pensava quindi che in
Occidente e non altrove ci dovesse essere la resistenza e la ripresa. Qui, dove
la fiammella rischiava di spegnersi per mancanza di alimento, ci doveva essere
la riproposizione della verità tutta intera. Qui, dove nuove ideologie del
nulla permeavano di sé ormai ogni istituzione, politica o educativa che fosse,
e dove la ragione si avvitava su se stessa annullandosi e alimentando
totalitarismi “consensuali” ma non per questo meno distruttivi di quelli già
vissuti, la Chiesa non avrebbe dovuto “adeguarsi”, ma rimanere se stessa fino
in fondo.
Benedetto
XVI non rappresenta il passato ma il futuro.
(Fonte:
Stefano Fontana, LNBQ, 31 dic. 2022)
https://lanuovabq.it/it/la-salita-al-cielo-di-benedetto-xvi-lascia-la-terra-piu-al-buio
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