lunedì 28 dicembre 2009

Attenzione, i matti non sono tutti uguali

Evagrio Pontico - uno dei padri del deserto che nel V secolo d.C., nel deserto della Tebaide, anticipava molti dei pensieri di Freud sul ruolo dell’inconscio - fornisce chiavi interpretative sui cosiddetti «psicolabili», sempre più importanti nella cronaca politica, assai più di tanti criminologi e sociologi moderni.
Per Evagrio i grandi vizi capitali dell’uomo, come l’ira, la superbia, l’orgoglio e l’accidia, sono fondamentalmente dei loghismoi, cioè in greco pensieri, che l’energia dell’uomo fatto a immagine di Dio trasforma in veri e propri demoni, capaci di prendere forma e vita propria. È la ragione per cui, soprattutto di questi tempi, le parole possono diventare pesanti come pietre o come certe dure resine sintetiche di cui sono fatti mediocri souvenir, fabbricati magari ad Hong Kong, in forma di cattedrali gotiche. Ma che nelle mani di un matto possono diventare armi assassine.
La categoria della follia ha intercettato spesso quella della politica violenta, senza peraltro mitigare gli effetti storici di gesti che hanno cambiato la storia. Dall’attentato al Granduca d’Austria a Sarajevo, scintilla scatenante della Prima guerra mondiale, fino agli omicidi di Abraham Lincoln, Umberto I o John Fitzgerald Kennedy, passando attraverso gli attentatori di Napoleone III o di Giovanni Paolo II. In tutti costoro le categorie della psicopatologia sono state mobilitate, più forse per far perdere le tracce di un disegno complessivo, che per spiegare davvero l’accaduto. Non tutti i gesti irresponsabili sono uguali, né possono essere troppo facilmente assimilati. Per esempio, il travolgente abbraccio della psicopatica italo-svizzera a Papa Benedetto non ha prodotto danni fisici, anche perché appare soprattutto un abbraccio disperato per quanto irresponsabile. Il Papa non si è fatto male anche perché quasi caduto addosso alla sua «attentatrice». Pure una giovane adolescente argentina, in un memorabile giubileo dei giovani, scavalcò tutti i Servizi di Sicurezza, per arrivare a stringere calorosamente un Giovanni Paolo II, fragilissimo per il Parkinson e commosso fino alle lacrime. Non tutti i matti quindi sono uguali. Anzi, oserei dire che, sfidando con l’esemplificazione la psicopatologia, ci sono matti buoni e matti cattivi. I primi di solito agiscono in preda a pensieri e fantasmi interiori roventi, ma confusi ed isolati. La loro, di solito, è una esplosiva e disperata richiesta d’aiuto e la ricerca infantile di attenzione. Come il vagito di un bambino, più fastidioso che pericoloso, ma che non può suscitare almeno un po’ di tenerezza. Quelli cattivi, invece, spesso non sono altro che l’ultimo anello terminale di una catena di lucidi e feroci ragionamenti che proviene da lontano e che si va progressivamente solidificando e strutturando, passaggio dopo passaggio, concetto dopo concetto. Negli anni del terrorismo, i cosiddetti cattivi maestri sedevano su autorevoli cattedre universitarie, magari di antiche sedi accademiche, come Padova o Bologna. I professori non sparavano e in verità neanche tutti gli allievi e i seguaci. Anche se inni, quasi liturgici, invocavano la lotta armata per la rivoluzione, che i più, sulle terrazze e nei salotti, si guardavano bene dal praticare al di là delle chiacchiere. Ma altre menti più fragili e suggestionabili, attraversate dai demoni loghismoi, credevano invece che davvero fosse giunto il momento di imbracciare il fucile per la grande palingenesi rivoluzionaria, che avrebbe per sempre purificato il mondo, scacciato il male dalla storia e affermato un universo di giustizia del paradiso in terra, certificato dal Politbureau degli ideologi.
Oggi per fortuna di soviet planetari non se ne vedono molti in giro. Anche perché la dura pragmatica e il realismo della storia li ha cancellati, fallimento dopo fallimento. Dopo che peraltro i vari Pol Pot avevano innalzato cataste di ossa e di teschi alte come silos, con coloro che non volevano adeguarsi alla società perfetta, disegnata da un professorino indocinese, brillante diplomato nel ’68 della Sorbona. Quando i cattivi maestri vogliono fare la storia per davvero, effettivamente sono dolori. Da almeno un ventennio in Italia, nel nome della pulizia, dell’onestà e della metafisica della legalità, si sparano parole come palle di piombo. È il modo più facile per ottenere applausi scontati con ciò che Popper chiamerebbe le «verità non falsificabili»: perché nessuno con un po’ di sale in zucca potrebbe legittimamente sostenere il contrario. Chi non può essere d’accordo con l’affermazione che un politico non deve rubare, che un amministratore deve essere onesto o che una società deve essere basata sul bene comune? Declamarlo come una verità rivelata è il modo più facile per costruirsi una congrega di entusiastici e talvolta fanatici sostenitori. Fatta questa premessa non è difficile identificare i nemici del popolo: corrotti, ladri, mafiosi, immorali e corruttori di minorenni. L’equazione successiva è semplicissima: chi mi critica è sicuramente ladro, mafioso o corruttore. Questo meccanismo tra il delirio di onnipotenza e quello persecutorio si chiama in psichiatria «paranoia». È stata caratteristica di molti ideologi della violenza in epoche diverse e solitamente foriera di grandi lutti. Da Fra’ Dolcino al terrore giacobino, fino ai populisti russi dei grandi attentati dinamitardi, si basa sul fatto che c’è una verità di cui il maestro è depositario, e che deve eccitare e provocare reazioni adeguate nel popolo a cui la Grande Rivelazione viene fatta. Basta aprire i siti internet di certi «grilli» farneticanti o di certi «travagli» nel senso letterale del termine, per capire, anche dal punto di vista della semiologia e della comunicazione, che cosa intendo dire. Il diritto alla propaganda dell’odio viene contrabbandato come difesa della libertà di espressione, anzi di irrinunciabile rivelazione della verità. La paranoia purtroppo è un virus contagioso e nelle menti più fragili non diventa soltanto la condivisione di un’idea, ma, come ben si è visto in passato, la giustificazione ad imbracciare un’arma propria o impropria.
Dopo l’attentato al presidente del Consiglio e dopo l’abbraccio irresponsabile al Papa, si sono moltiplicati i siti di fan degli psicolabili, che evidentemente si riconoscono e si richiamano immediatamente tra di loro. Ma ciò che colpisce è che in entrambe le prontissime reazioni sul web, i concetti che si rincorrono richiamano tutti all’odio e alla paranoia. Nel primo caso coerenti, perché il gesto di Tartaglia non era sicuramente mosso da simpatia. Nel secondo caso c’è molto più odio che nelle possibili intenzioni della folle abbracciatrice. Non importa, perché i cattivi maestri hanno seminato efficacemente. Comunque il gesto viene immediatamente interpretato come frutto della rabbia e della ribellione. Mentre chissà, a San Pietro avrebbe potuto essersi alzato un grido come quello della Cananea che voleva abbracciare per essere curata da Gesù. Per l’uno e l’altro caso, preghiamo che il canto degli angeli agli uomini di buona volontà e che si lasciano amare da un Dio della pace, venga ascoltato prima che i germi di un odio mascherato da verità abbiano disseminato la paranoia. Una malattia grave e contagiosa, capace peraltro di contaminarsi nei suoi untori con il dolo e la malafede di tante doppiezze. La palude mefitica per un’epidemia di massa, l’acqua opaca in cui nuotano le amebe e i pesci velenosi di tutti i terrorismi della Storia.

(Fonte: Alessandro Merluzzi, Il Giornale, 27 dicembre 2009)

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