martedì 7 settembre 2010

Il delirio di un Don Verzè: "ecco che farei se fossi papa"

«Se io fossi Papa? Scenderei da solo, senza bardature da star. Scenderei non da sacri palazzi, ma da un appartamento come un buon parroco. I Vescovi li farei eleggere dal popolo cristiano ed eliminerei il Cardinalato e tutte le distinzioni feudalesche».
Sono parole dure, anche se non tutte inspiegabili, quelle di un Luigi Maria Verzè, uomo notoriamente molto imprenditore (chapeau!) e un po’ meno prete, scritte contro la Chiesa nell'articolo "Se io fossi Papa", che apparirà nei prossimi giorni sulla rivista del San Raffaele, “Kos”.
Un titolo che rimanda immediatamente al testo polemico trecentesco dell’anarchico Cecco Angiolieri, "Si fossi foco", con cui tutti noi abbiamo dovuto misurarci a scuola; e come lui, l’anarchico Verzè proclama i suoi slogans giullareschi, sicuramente molto appetibili per le orecchie di certo pubblico, di cui ama farsi portavoce.
Le sue parole vorrebbero colpire cristiani e atei senza distinzione, ma finiscono per offendere in modo particolare soltanto i cattolici. In questo momento di crisi della fede nella Chiesa Cattolica, oltretutto ferita dalle recenti campagne mediatiche sulla pedofilia e non solo, una “boutade” di così dubbio gusto offrirà sicuramente nuovi elementi di critica ai tanti laicisti detrattori del Papa e della Chiesa di Roma.
A volte purtroppo la vecchiaia, invece di buon senso, partorisce tante idiozie, anche se indorate con belle e accattivanti espressioni.
«Se io fossi Papa, anziché fare visite lampo con costose comparse oceaniche – proclama il “don”– mi fermerei nei cinque continenti qualche mese e, magari, qualche anno a vivervi come facevano Pietro, Paolo e gli altri, trattando con tutti il meglio e più opportuno per quel Paese, quella città, quei costumi… Non vorrei con me nessun dignitario, né cardinali, ma truppe di medici, truppe di infermieri e di volontari (ricordo che per una simile proposta, Fidel Castro era pronto a darmi duecento medici cubani). Io papa in mezzo a loro, in pantaloncini, in testa un Borsalino, […] sempre sul cuore il gran crocifisso, ma non d’oro. Mi circonderei permanentemente di bambini. Mangerei quello che mangian loro, insegnerei arte e mestieri, e a mangiar meglio; con loro, coltiverei la terra che a tutti è in grado di dar alimento, come ha stabilito il Signore quando la creò. Insegnerei, insegnerei.
Mai sgriderei i vescovi e i sacerdoti se si sposassero. Manco proibirei la pillola anticoncezionale. L’Africa sa già quant’è orrendo l’aborto. Mai, per nessun motivo, applicherei l’istituto della scomunica. Nulla è più avverso allo spirito del Signore, sempre misericordioso, buono e perdonatore, salvo le ipocrisie e il falso fariseismo».
E conclude: «E il Vaticano? Ne farei un oracolo di Delfi per ogni sapere. Per qualche tempo l’ho frequentato: puzza di sodoma e di arroganza! Sostituirei le sottane paonazze con professionisti laici e sposati. Una pulizia la farei anche in certe Curie di certe Diocesi... ».
«E se uno mi chiedesse di poter fare la comunione, pur essendo divorziato? Gli chiederei se – chiusa la prima intesa tra le parti, perché il matrimonio è un contratto tra due – si sente ora sicuro di amare e di essere amato. Se sì, gli direi di fare la comunione quale sacro cemento del vero amore tanto più sacro quanto più sofferto. Chi mi legge, il resto se lo immagini, ma non ci speri, perché papa non lo sarò mai». E meno male, aggiungiamo noi!
E poi, visto che il caro “don” ci ha voluto deliziare con tutta una serie di consigli non richiesti su come il Papa debba fare il Papa, val la pena ricordare ai più distratti che il buon Luigi Verzè è stato “sospeso a divinis” fin dal 1973 – e quindi escluso dall’esercizio valido di qualunque azione legata al ministero sacerdotale, prediche comprese! – non già dai Papi, Ratzinger compreso, dalla figura dei quali decisamente si dissocia, ma dalla Curia vescovile di quella Milano “bene” in cui praticamente lascia intendere di sentirsi più che comodamente integrato.
Pur tuttavia – animo missionario e altruista – egli si dichiara pronto, se fosse Papa, a trasferirsi in Africa. Allora la domanda sorge spontanea: perché aspettare tanto un’occasione che non arriverà mai? Perché non andarci immediatamente? Se si sente tanto missionario ispirato (come magari ai tempi di don Calabria), perché non dare immediatamente il buon esempio? Perché non lasciare il San Raffaele, suo incontrastato dominio con annessi e connessi, per trasferirsi fra i poveri veri e i derelitti?
Mah, mi sembra un po’ troppo comodo pontificare, stando ben ancorati alla propria soffice e capiente poltrona, attorniato da uno stuolo di osannanti estimatori incravattati e di ristrutturate dame ingioiellate, che ben poco hanno a che vedere con la povertà autentica!
Mi sembra, la sua, una stridente e ridicola contraddizione che avrebbe potuto evitare, oggi più che mai, standosene semplicemente zitto.

(Marius, 7 settembre 2010)

4 commenti:

Roberto ha detto...

Leggere quanto scrive è sempre una gioia.

Grazie.

Roberto.

Anonimo ha detto...

Don Verzé ha assolutamente ragione.Si é assolutamente perso ilsenso della Chiesa.La colpa ?
forse dei cattivi preti.Che Dio li perdoni.
Celestino,Trieste

Roberto ha detto...

Potrebbe definire "il senso della Chiesa" ?

Grazie

Anonimo ha detto...

Condivido ogni parola di Don Verzé. E' uno dei pochi che mi è parso coerente e giusto in ciò che crede. Ciò che i cristiani hanno sul loro presunto dio è un pezzo di carta. Dogmi, gerarchie et similia sono tante belle cose che forse andrebbero rimosse.